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sabato 31 marzo 2012
RIAPPARSA FONTEVIVO
di Francesco Fiumalbi
A volte ritornano, altre volte sono perdute per sempre. Sono le strutture architettoniche del passato, i segni di un mondo che fu, troppo spesso dimenticato sotto strati di terra o coperti dalla vegetazione. E’ il caso, quest’ultimo, di Fontevivo: un’antica costr uzione per la raccolta e il deposito di acque sorgive. Fino a qualche giorno fa, i residui setti murari erano coperti da una considerevole vegetazione che trovava nell’acqua della fonte, le perfette condizioni climatiche per una crescita rigogliosa.
E’ accaduto, attorno al 20-25 marzo 2012: la vegetazione è stata incendiata. Non sappiamo da chi, e nemmeno il perché. Possiamo affermare che l’incendio non è stato sicuramente accidentale, anche perché a bruciare sono stati il canneto e gli alberelli esattamente intorno all’antica fonte che, quasi per magia, ha rifatto capolino!
Fontevivo, video di Francesco Fiumalbi
Lo sfruttamento di questa sorgente, probabilmente, si perde nei secoli. A pochi metri da qui, poco più in piano, nel maggio del 1934 fu rinvenuta una vera e propria necropoli etrusca. La scoperta fu fatta dal sig. Baldini Giuseppe, mentre stava lavorando il terreno appartenente al sig. Poggetti Giulio. Il ritrovamento fu comunicato alla Regia Soprintendenza dell’Etruria dall’allora Ispettore locale Mons. Francesco Maria Galli Angelini (1).
Fontevivo, “Case Altini”, San Miniato Basso
Foto di Francesco Fiumalbi
La zona era quindi abitata almeno fin dal III secolo a.C., e anche gli uomini di allora avevano bisogno di bere, lavare i panni e irrigare i campi. Per questo è ragionevole ipotizzare uno sfruttamento di queste acque sorgive fin da epoca remota.
Quella che per noi è un’ipotesi ragionevole, era una certezza per lo stesso Galli Angelini, che propone una datazione della struttura all’epoca romana, attribuendole il nome di Fons vivus, senza però fornire alcuna prova certa in proposito (2). Da quel che si può vedere oggi, i setti murari non sembrano molto antichi, ma potrebbero essere stati realizzati negli ultimi 3 secoli su una struttura precedente. Tuttavia nelle Piante dei Popoli e strade, redatte dai Capitani di Parte Guelfa alla fine del ‘500, della fonte non vi è traccia.
Fontevivo, “Case Altini”, San Miniato Basso
Foto di Francesco Fiumalbi
Sfortunatamente le fonti archivistiche ci offrono un quadro documentario soltanto dei primi anni del ‘900. La prima è l’indicazione fornitaci dal Catasto Generale della Toscana, Comune di San Miniato, sezione B “Colline Adiacenti alla Città”, foglio n. 6, particella 2925. Notiamo subito che il colore della campitura della particella non è di quel colore grigio-celeste, come si usa per i beni di proprietà pubblica, bensì neutro. La fonte, infatti, era di proprietà privata, ovvero degli Spedali Riuniti di San Miniato, che lo aveva dato in enfiteusi ai sigg. Paolo e Giovanni del fu Luigi Altini (3). In questa carta vi è scritto “Fonti” e vi sono rappresentati due rettangoli celesti, evidentemente la fonte e il lavatoio di cui si parlerà di seguito.
Nel 1910, la popolazione delle case vicine aveva chiesto al Comune di San Miniato di restaurare l’antica struttura, dotata anche di un lavatoio. Tuttavia l’ingegnere comunale accertò che la fonte sussisteva su un terreno di proprietà privata e non poté far altro che stanziare un piccolo sussidio per sostenere dei lavori che comunque sarebbero stati a carico dei possessori (4).
Fontevivo, “Case Altini”, San Miniato Basso
Foto di Francesco Fiumalbi
La proprietà si rifiutò di eseguire i lavori e il tecnico propose al Comune di acquistare il terreno prendendosi cura della struttura. L’affare per il Comune sfumò, e il terreno fu acquistato dal sig. Pozzolini Leopoldo (5).
Appena quattro anni dopo, nel 1914, si segnalò la rottura di un tubazione della struttura, che aveva provocato anche l’avvallamento della vicina strada (6). La fonte versava in pessime condizioni di manutenzione, tanto che nel 1920 gli abitanti di Casenuove (in prossimità dell’incrocio fra l’attuale via Fontetivo e la SS. Tosco-Romagnola Est) e di Pozzo, si appellarono all’amministrazione comunale, affinché si occupasse del restauro e della riattivazione di Fontevivo e dei relativi lavatoi. La richiesta non poté essere accolta, perché la struttura apparteneva ad un privato (7).
Fontevivo, “Case Altini”, San Miniato Basso
Foto di Francesco Fiumalbi
Delle fonti se ne perde completamente traccia nei documenti. Il Comune, evidentemente per accogliere le istanze della popolazione, costruì l’attuale fonte-cisterna sul ciglione che costeggia la strada verso Case Altini. Non si ha notizia di questa nuova struttura, più piccola rispetto all’antica costruzione, ma funzionale e soprattutto pubblica. Si tratta di quella “cannellina” che funziona ancora oggi.
Fontevivo, “Case Altini”, San Miniato Basso
Foto di Francesco Fiumalbi
Negli anni, Fontevivo si perde del tutto, sotto al terreno. Soltanto nel 1992, durante uno scavo per la costruzione di una nuova fognatura, riemergono le tracce dell’antica fonte (8). Da quel momento la struttura comincia piano piano a scomparire nuovamente, stavolta sotto la vegetazione. E così è rimasta fino a pochi giorni fa.
Fontevivo, “Case Altini”, San Miniato Basso
Foto di Francesco Fiumalbi
Ci appelliamo all’Amministrazione Comunale, affinché ciò che rimane dell’antica Fontevivo non ricada nell’oblio per molti anni ancora. Basterebbe riuscire a mantenere “pulito” quel piccolo fazzoletto di terreno ai piedi della collina sanminiatese.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
(1) De Agostino Alfredo, San Miniato – Scoperta di una necropoli etrusca in località “Fonte Vivo”, Atti della Regia Accademia dei Lincei, vol. XI, serie VI, fasc. 1, 2, 3, Roma, 1935.
(2) Galli Angelini Francesco Maria, Origine romana della città di San Miniato, in Bollettino dell’Accademia degli Euteleti, n. 20, San Miniato, 1939, p. 6.
(3) Comune di San Miniato, sezione B “Colline Adiacenti alla Città”, foglio n. 6, particella 2925, in Parentini Manuela e Fiordispina Delio, Pozzi, fonti, cisterne e acquedotti. L’approvvigionamento idrico a San Miniato e nel suo territorio dal XVIII secolo all’inizio del XX secolo, FM Edizioni, San Miniato, 2010, p. 89.
(4) Archivio Storico del Comune di San Miniato, F200 S132 UF21, fasc. “Affari sfogati dal 301 al 400, inserto “Fonte di Fonte Vivo, Perizie n. 388, 1551, in Parentini e Fiordispina, Op. Cit., pp. 45, 89.
(5) Ibidem.
(6) Ibidem.
(7) Archivio Storico del Comune di San Miniato, F200 S132 UF35, in Parentini e Fiordispina, Op. Cit., p. 45-46, 89.
(8) Da vedere anche la preziosa documentazione fotografica proposta da Nistri Rossano, Acque dei vivi, acque dei morti. Mitologie acquatiche attorno alle Fonti alle fate di San Miniato, in Bollettino dell’Accademia degli Euteleti, n. 76, San Miniato, 2009, p. 553.
venerdì 30 marzo 2012
CITTA' E BORGHI DELLA TOSCANA
San Miniato era chiamata "La Città delle venti miglia" e in venti miglia (quasi 40 km) di bellezze ce ne sono tantissime! Alcune sono famose in tutto il mondo, altre quasi sconosciute. Un po' come il Grand Tour dell'800, proponiamo questo viaggio fotografico alla scoperta della Toscana.
(...in aggiornamento continuo...)
(...in aggiornamento continuo...)
lunedì 26 marzo 2012
“MADONNA IN TRONO CON BAMBINO CIRCONDATA DALLE VIRTU’ CARDINALI E TEOLOGALI” (terza parte)
di Alessio Guardini e Francesco Fiumalbi
Post correlati:
- Madonna in Trono con Bambino circondata dalle Virtù Cardinali e Teologali (prima parte)
- Madonna in Trono con Bambino circondata dalle Virtù Cardinali e Teologali (seconda parte)
Nei primi due post abbiamo parlato dell’affresco “Madonna in trono con bambino circondata dalle Virtù Cardinali e Teologali”, con particolare riferimento al contesto storico, agli artisti che vi lavorarono e al valore religioso e civico che quest’opera propone. In questo post tratteremo nel dettaglio le figure relative alle virtù.
Vergine che allatta il Bambino circondata dalle Virtù cardinali e teologali
“Sala delle sette Virtù cardinali e teologali”, Municipio di San Miniato
Foto di Federico Mandorlini
Aut. Prot. N. 3302 del 9 febbraio 2011
E’ vietata la riproduzione
Il gesto dell’allattamento, abbiamo visto, richiama inevitabilmente la figura del governante, con il latte che si farebbe simbolo del buon governo, che solo un buon amministratore (la figura del vicario nel nostro caso) può offrire ai suoi neonati, ovvero alla comunità che egli è chiamato a governare. E per questo dovrebbe sacrificarsi alla ragion pubblica, per il suo popolo, esattamente come una madre nei confronti del proprio figlio.
Per adempiere a tale missione, al governante vengono in aiuto le Virtù. Sono qualità contraddistinte da valore, eccellenza, perfezione d’essere, e a cui è possibile pervenire, nella loro accezione cristiana, attraverso una relazione viva con Dio (1). Le Virtù si suddividono in Cardinali (Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza) e in Teologali (Fede, Speranza e Carità (2). Nell’affresco sono rappresentate attraverso figure alate, dotate di aureola ottagonale arricchita, forse con interventi successivi, da corone oggi lievemente avvertibili.
Le Virtù Cardinali sono note almeno a partire dall’antica Grecia. Ad esempio Platone, nel “dialogo” La Repubblica, indica le quattro virtù (3), che, molti secoli più tardi, da Sant’Ambrogio verranno chiamate “Cardinali” (4). Sono denominate anche come “Virtù umane principali” e riguardano essenzialmente l'uomo. Le Virtù Teologali, invece, sono quelle che rendono l'uomo capace di vivere in relazione con Dio; vivificano le Virtù Cardinali, dalle quali differiscono perché non possono essere ottenute con il solo sforzo umano, ma sono infuse nell'uomo dalla grazia divina.
Vergine che allatta il Bambino circondata dalle Virtù cardinali e teologali, particolare della Prudenza
“Sala delle sette Virtù cardinali e teologali”, Municipio di San Miniato
Foto di Federico Mandorlini
Aut. Prot. N. 3302 del 9 febbraio 2011
E’ vietata la riproduzione
“La Prudenza è la virtù che dispone la ragione pratica a discernere in ogni circostanza il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per compierlo” (5). Da un punto di vista strettamente biblico la prudenza evoca essenzialmente il dono della sapienza, cioè la capacità di interpretare ogni cosa alla luce di Dio, il quale istruisce sulle decisioni da prendere. Secondo questa accezione, la sapienza, infatti, è costituita da due aspetti: la conoscenza e la saggezza, quest’ultima sinonimo, appunto, della prudenza. Nell’affresco la Prudenza è rappresentata dall’angelo che indica con la mano destra lo specchio che tiene nella sinistra, essendo un riflesso della luce perenne, uno specchio senza macchia dell’attività di Dio e un’immagine della sua bontà (Sapienza 7,25-26). Quasi nascosta dietro alla figura alata, si trova un uomo dalla lunga barba. Si tratta di un elemento figurativo conforme all’iconografia propria di questa virtù, esattamente come nell’omologa figura dipinta da Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova (6). Infatti la Prudenza presuppone il guardare avanti, ma anche indietro; necessita di uno spirito giovane e maturo insieme; è dotata della sensibilità maschile e femminile (7).
Vergine che allatta il Bambino circondata dalle Virtù cardinali e teologali, particolare della Giustizia
“Sala delle sette Virtù cardinali e teologali”, Municipio di San Miniato
Foto di Federico Mandorlini
Aut. Prot. N. 3302 del 9 febbraio 2011
E’ vietata la riproduzione
“La Giustizia, è la virtù morale che consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto. (…) La giustizia verso gli uomini dispone a rispettare i diritti di ciascuno e a stabilire nelle relazioni umane l’armonia che promuove l’equità nei confronti delle persone e del bene comune” (8). La figura alata che rappresenta la Giustizia stringe una lunga spada nella mano destra, mentre nella sinistra tiene una bilancia. Quest’ultimo elemento deriva dall’idea di equilibrio, di equità, che a questa virtù spetta mantenere o ristabilire. La spada è un elemento associato alla giustizia fin dall’antica Roma, come valore da difendere “a spada tratta”, corroborato in epoca medioevale dall’avvento del “penale”, una sorta di contro-altare per una Giustizia da ristabilire (9).
Vergine che allatta il Bambino circondata dalle Virtù cardinali e teologali, particolare della Fortezza
“Sala delle sette Virtù cardinali e teologali”, Municipio di San Miniato
Foto di Federico Mandorlini
Aut. Prot. N. 3302 del 9 febbraio 2011
E’ vietata la riproduzione
“La Fortezza è la virtù morale che, nelle difficoltà, assicura la fermezza e la costanza nella ricerca del bene. Essa rafforza la decisione di resistere alle tentazioni e di superare gli ostacoli nella vita morale. La virtù della Fortezza rende capaci di vincere la paura, perfino della morte e di affrontare la prova e le persecuzioni (10). La Fortezza è rappresentata da una figura angelica che è predisposta a difendersi. Nella mano destra stringe una mazza flangiata, ovvero un particolare tipo di arma utilizzata nella mischia. Tiene lo scudo con la sinistra e l’elmo in testa e per questo è pronta anche ad affrontare un corpo a corpo.
Vergine che allatta il Bambino circondata dalle Virtù cardinali e teologali, particolare della temperanza
“Sala delle sette Virtù cardinali e teologali”, Municipio di San Miniato
Foto di Federico Mandorlini
Aut. Prot. N. 3302 del 9 febbraio 2011
E’ vietata la riproduzione
“La Temperanza è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati” (11). Nell’affresco in questione è rappresentata dalla figura alata che versa l’acqua dall’ampolla che tiene nella mano destra in quella stretta nella sinistra e che contiene vino, che così viene “temperato” (12).
Vergine che allatta il Bambino circondata dalle Virtù cardinali e teologali, particolare della Fede
“Sala delle sette Virtù cardinali e teologali”, Municipio di San Miniato
Foto di Federico Mandorlini
Aut. Prot. N. 3302 del 9 febbraio 2011
E’ vietata la riproduzione
“La Fede è innanzi tutto una adesione personale dell’uomo a Dio; al tempo stesso ed inseparabilmente, è l’assenso libero a tutta la verità che Dio ha rivelato” (13). “Con la Fede l’uomo si abbandona tutto a Dio liberamente” (14). Nell’affresco in questione la fede è rappresentata dalla figura alata che sostiene una croce a due mani. Il riferimento è alle parole di Gesù: “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16,24).
Vergine che allatta il Bambino circondata dalle Virtù cardinali e teologali, particolare della Speranza
“Sala delle sette Virtù cardinali e teologali”, Municipio di San Miniato
Foto di Federico Mandorlini
Aut. Prot. N. 3302 del 9 febbraio 2011
E’ vietata la riproduzione
“La speranza è l’attesa fiduciosa della benedizione divina e della beata visione di Dio; è anche il timore di offendere l’amore di Dio e di provocare il castigo” (15). Per il nostro affresco, interessante è la prima parte della definizione: la visione di Dio. Questa virtù è rappresentata, infatti, come una figura alata con le mani giunte in segno di preghiera e devozione, con il viso rivolto verso una specie di formella, o medaglione, contenete l’immagine del volto di Cristo.
Vergine che allatta il Bambino circondata dalle Virtù cardinali e teologali, particolare della Carità
“Sala delle sette Virtù cardinali e teologali”, Municipio di San Miniato
Foto di Federico Mandorlini
Aut. Prot. N. 3302 del 9 febbraio 2011
E’ vietata la riproduzione
“La Carità è la virtù teologale per la quale amiamo Dio sopra ogni cosa per se stesso, e il nostro prossimo come noi stessi per amore di Dio” (16). Questa definizione è perfettamente in linea con quanto affermato da Gesù: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti” (Mt 22,37-38). Nell’affresco troviamo la Carità come una figura alata che tiene nella mano destra proprio un cuore. Con la sinistra, invece, tiene un rotulo dispiegato dove sta scritto (17):
“Chi in questo mondo meco ci governa
Ornar di fama il fo da queste donne,
e poi per premio li do vita eterna”
La metrica di questa terzina è di tipo “dantesco”, cioè costituita da versi endecasillabi in rima alternata. Il riferimento ovviamente è ai governanti. Chi governerà meco, quindi con la carità, con l’amore per Dio e per il prossimo, sarà ornato dalle Virtù, le donne, ed avrà come ricompensa la vita eterna.
Nel prossimo ed ultimo post, parleremo del sonetto e della figura del vicario Guicciardini.
Si ringrazia il Comune di San Miniato, in particolare la Segreteria del Sindaco, l’Uff. Stampa e l’Uff. Cultura per la disponibilità.
Si ringraziano Luca Macchi e Don Luciano Niccolai per gli importanti suggerimenti e Federico Mandorlini per le fotografie.
Post correlati:
- Madonna in Trono con Bambino circondata dalle Virtù Cardinali e Teologali (prima parte)
- Madonna in Trono con Bambino circondata dalle Virtù Cardinali e Teologali (seconda parte)
NOTE BIBLIOGRAFICHE
(1) Leon-Dufour Xavier, Dizionario di Teologia Biblica, Marietti, Genova, 1976 rist. 2003, pag. 1381.
(2) 1 Corinzi 13,12-13
(3) Adorno Francesco, Introduzione a Platone, Laterza, Bari 1989, pag. 84.
(4) Krabinger Johann Georg (a cura di), Opere morali 1: I Doveri, note e traduzione a cura di Banterle Gabriele, Biblioteca Ambrosiana, Collana Tutte le Opere di Sant’Ambrogio, Città Nuova, Milano, 1977, pag. 11.
(5) Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1992, art. 1806, pag. 459.
(6) Pisani Giuliano, Il programma della Cappella degli Scrovegni, in Tomei Alessandro, Giotto e il Trecento. “Il più sovrano Maestro stato in dipintura”, Skira, Milano, 2009, pagg. 113-127.
(7) Tale interpretazione è stata formulata da Don Luciano Niccolai durante un incontro in preparazione dell’evento “Conversazione sull’affresco: Madonna in trono con Bambino circondata dalle Virtù cardinali e teologali” presso il Municipio di San Miniato, organizzato dal gruppo Smartarc in collaborazione con il Comune di San Miniato – Assessorato alla Cultura, il 14 luglio 2011.
(8) Catechismo…, art. 1807, pag. 460.
(9) Sbriccoli Mario, La benda della Giustizia: iconografia, diritto e leggi penali dal medioevo all'età moderna, in Sbriccoli Mario e altri, Ordo iuris : storia e forme dell'esperienza giuridica, Milano, Giuffrè, 2003, p. 41-95.
(10) Catechismo…, art. 1808, pag. 460.
(11) Catechismo…, art. 1809, pag. 460.
(12) Cerri Roberto (a cura di), Palazzo Comunale, Sistema Museale San Miniato, Nova Stampa Arti Grafiche, Signa, 2009, pag. 11.
(13) Catechismo…, art. 150, pag. 52-53.
(14) Catechismo..., art. 1814, pag. 462.
(15) Catechismo…, art. 2090, pag. 521.
(16) Catechismo…, art. 18252, pag. 464.
(17) Piombanti Giuseppe, Guida della Città di San Miniato al Tedesco, Tipografia Massimo Ristori, San Miniato, 1894, rist. anastatica, Bollettino dell’Accademia degli Euteleti, n. 44, 1975, pag. 143.
domenica 18 marzo 2012
DELLA VITA DI PIETRO BAGNOLI (prima parte)
di Francesco Fiumalbi
Quella di Pietro Bagnoli è stata una delle figure di maggior rilievo della prima metà dell’800 a San Miniato. Di lui si hanno diverse notizie, ma in pochi conoscono la sua Autobiografia, una raccolta di carte da lui scritte e conservate presso al Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Questa collezione è stata trascritta dalla Dott. Sabina Candela, nel 1998, per conto del Comune di San Miniato e i cui risultati si possono consultare anche in un testo della Biblioteca Comunale di San Miniato. Fu utilizzata anche per scrivere i vari necrologi da Augusto Conti, Giuseppe Conti e Giuseppe Rondoni che ne ricevettero copia dagli eredi.
Pietro Bagnoli
Disegno di Francesco Fiumalbi
(sulla base del monumento funebre collocato nel Duomo di San Miniato)
LA GIOVINEZZA
Figlio di Antonio Bagnoli e di Maria Anna Castelli, Tommaso Vincenzo Pietro Bagnoli nacque a San Miniato il 21 dicembre del 1764, secondogenito di otto fratelli.
Il padre vendeva il vino per conto della famiglia Pazzi, e in San Miniato aveva una bottega di pizzicagnolo (1). Il giovanissimo Pietro dimostrò, fin dalla tenera età, spiccate doti umanistiche tanto che: (…) verso i tre anni, [fui] mandato ad imparare a leggere dalle donne, ove presto ne seppi da insegnare alle maestre. Allora mio padre mi scelse in maestro un barbiere suo amico, uomo dalla stampa antica, gran cantore degli uffizi, ed officiale di prima riputazione nelle Confraternite (…) e da lui dovea continuare l’esercizio del leggere, ed imparare a scrivere e a dar di conto. (…) Essendo dal mio barbiere imparava anco più di quello che egli mi insegnasse. Perocché leggendo per esercizio un Libretto Italiano che era una Vita della Santa Genevieva tradotto dal francese di originale, mi pare di un Gesuita, scritto quasi in invenzione di un Santo Romanzo, meravigliosamente quella lettura mi dilettava sì che averò avuto appena sei anni che mi venne voglia di metterlo in versi e cominciai a metterlo in Ottava (…). (2)
Ben presto il giovane Pietro si cimentò anche nella lettura dei grandi autori italiani, come il Tasso e l’Ariosto (3). Iniziò ad imparare il latino e pregò il padre di poter frequentare le scuole pubbliche. Fra le sue frequentazioni “letterarie” di quegli anni, Bagnoli ricorda il Dottor. Bottoni, Corso Sovelli e Giovan Battista Marzi che diventerà presbitero e suo maestro in Seminario. All’età di dieci anni entrò in Seminario, grazie anche a Padre Sereni, priore del convento domenicano di San Miniato (4). Ai successivi problemi economici della famiglia Bagnoli, Pietro reagì dedicandosi strenuamente allo studio, tanto da essere prescelto come segretario da Giuseppe degli Albizzi, Arcidiacono della Metropolitana di Firenze che di tanto in tanto si recava a San Miniato. Questi lo prese con sé e lo fece dimorare spesso nella sua canonica fiorentina dove possedeva una ricca biblioteca (5).
San Miniato, Via Pietro Bagnoli
Foto di Francesco Fiumalbi
La passione per gli studi classici era di gran lunga maggiore rispetto a quelli di teologia, tanto che, incaricato di trascrivere gli atti dell’Assemblea dei Vescovi tenutasi a Firenze per trattare di importanti temi, tra i quali il Giansenismo, Pietro Bagnoli si lasciò scappare che:
(…) passarono per la mia penna quelle lunghe scritture che, per quanto fossero all’obiettivo loro importanti (dei Vescovi, n.d.r.), erano per me di noia assai e di fatica. (…) Eravamo alloggiati nel convento della SS. Nonziata, essendovi uniti tre o quattro Vescovi che fossero non mi risovviene. Ivi in quella Biblioteca allora fiorilissima mi ricreava nella parte dei Classici; e feci stretta amicizia col Bibliotecario, dottissimo e di ogni genere di erudizione fornito quanto buono, e gentile Padre Costantino Battini (di cui poi fui collega Professore nell’Università di Pisa) e corsero fra noi alcune giocose poesia che denominammo strambotti.
(…) Ed ancor io obbligato ad imparare la Teologia, la casistica, che mi riusciva facilissima più per il lume della Ragion Naturale che per le regole. Il Vescovo (Mons. Brunone Fazzi, n.d.r.), che era stato Professore di Moral Teologia nell’Università di Pisa, era quello che ce la dettava e me voleva presente alle Lezioni.
Feci anch’io dei Concorsi alle Cure ad honorem non per esser Curato, al che aveva un’avversione insuperabile, e passai a pieni voti, con degli optime, come quegli Esaminatori dicono (6).
Di lì a breve, Pietro Bagnoli fu nominato segretario del Vescovo Fazzi, incarico che mantenne per alcuni anni e di cui non fu molto contento:
(…) Ed ora che mi sono trovato, non per mio merito ma per benigne disposizioni del cielo, ad ver potuto fare nella mia Patria del bene pubblico e privato, penso che un fattore (il fattore della famiglia Pazzi a San Miniato, n.d.r.) ed un Monsignore l’avrebbero potuto impedire; ma le vie della Provvidenza, che fa servigi di umili mezzi a suoi benefici fini, mi si aprirono per condurmi al poterlo fare (7). Ordinato sacerdote nel 1788 (8), rimase comunque come segretario del Vescovo, anche se cominciai, fatto prete, ad uscirne. Grazie anche al consiglio del già citato Arcidiacono Albizi (col quale si mantenne sempre in stretti rapporti) e all’influenza del Canonico Filippo Buonaparte, ottenne un posto di studio presso il Collegio Ferdinando di Pisa, fondato nel 1593 dal Granduca Ferdinando I, come residenza per gli studenti universitari “fuori sede” (9). Continuò, nel periodo universitario, a coltivare gli studi letterari insieme ad altri compagni di collegio, anche se, come lui stesso ammise, dovetti però dottorarmi, per obbligo del mio posto nel collegio Ferdinando, in Legge (10), ovvero in Diritto civile e canonico, nel 1795 (11). In particolare, insieme al nobile aretino Donato Chiaromanni, fondò un’ “accademia” di lettura, che chiamarono degli Edicresmofili il cui nome e le cui leggi furono tratte dedotte dalla locuzione utile dulci di Orazio. L’Accademia ebbe un notevole successo, tanto da divenire un appuntamento fisso per i notabili e gli eruditi che erano a Pisa in quegli anni o che vi transitavano (12).
Pisa, Piazza dei Miracoli
Foto di Francesco Fiumalbi
Con l’orgoglio che lo ha sempre contraddistinto, Pietro Bagnoli ci lascia intendere che la cattedra di Filosofia Morale, e di Storia e Archeologia al Collegio Legale dell’Università di Pisa (ovvero al corso di studi in Diritto) fu introdotta proprio grazie all’esperienza dell’Accademia degli Edicresmofili. All’interno dell’Accademia, Bagnoli lesse, più volte, alcuni brani tratti dal Cadmo che lui stesso stava componendo proprio in quegli anni (13).
CON FERDINANDO III A VIENNA
Durante i suoi anni all’Università aveva terminato di comporre l’Orlando Savio, come continuazione del Furioso, celebre opera dell’Ariosto. Questa sua opera, rimasta poi inedita fino al 1843, fu presentata, a sua insaputa, al prof. Lorenzo Pignotti, che ne rimase piacevolmente colpito (14). Il Pignotti coltivò grande stima per il giovane Bagnoli, tanto da proporlo nel 1795, una volta laureato, come segretario al marchese Federico Manfredini, già Primo Ministro del Granducato di Toscana, col titolo di Maggiordomo Maggiore del Granduca Ferdinando III (15).
Con l’avvento in Italia dell’esercito rivoluzionato francese, guidato dal giovanissimo Napoleone Bonaparte, la situazione sembrava inizialmente non destare preoccupazione. Ma nel 1799, quando il Granduca fu esiliato a Vienna, Pietro Bagnoli seguì il regnante destituito. Essendo il Granduca in pericolo di cattura durante il viaggio, la figura di Pietro Bagnoli, presbitero, fu considerata fondamentale per la “cura” della famiglia regnante e per questo ottenne apposita patente da parte della Curia fiorentina (16), mentre il Manfredini rimase inizialmente a Firenze (17).
Bagnoli nella sua Autobiografia si sofferma a narrare con cura e le concitate vicende alle quali seguì l’esilio e, in particolare, durante un breve soggiorno presso Ferrara prima della traversata del Po verso l’Impero Austriaco, fa cenno ai figli di Ferdinando III, fra cui il giovane Leopoldo, di appena due anni, il futuro Granduca Leopoldo II:
E’ delle città, come degli uomini differente il carattere. Entrammo in Ferrara senza tumulto, senza folla di curiosi, non che d’insolenti nelle disgrazie altrui. Anzi gran commozione destava nel Popolo le vista degl’innocenti bambini, ed a chi una cosa, a chi un’altra faceva dire sull’aspetto loro gentile, e angelico e sulla mala fortuna che li colpiva – feriva – senza loro colpa se non quella di esser nati Principi (18). Ed è durante questo viaggio che a Pietro Bagnoli viene affidato il compito di occuparsi dell’istruzione dei figli del Granduca.
Non mancano nemmeno considerazioni personali sui grandi stravolgimenti che in quegli anni si andavano compiendo:
“(…) ho osservato che dopo una rivoluzione che voleva atterrare, ed atterrò, Troni, Principi e Principati, dopo che fu, con lunga lotta e sangue sparso e Natura e fortuna adiutrici, abbattuta e tornata essendo come da tempesta la calma, i maggiori impiegati pubblici, i Professori di Università, i distinti con ordini e decorazioni, ed arricchiti con pensioni, scelti furono fra coloro che l’avevano operata la rivoluzione, e che avevano voluto arrostire e far pezzi dei sovrani; ed i fedeli, che si erano adoprati al riparo ed alla difesa loro con sacrifizi e rovine di loro facoltà, lasciati furono delusi, e dolenti forse di aver così operato veggendo le famiglie loro depauperate, e sé trascurati e negletti. Chi interpreterà simili fatti! Non viene il dubbio che avessero ragione coloro che fecero la rivolta? O è timore, o debolezza dei Principi, o scaltrezza di facinorosi che li circondano! O è sovrana superbia, e dispetto di essere Stati liberati da sudditi, dopo che essi si videro in salvo!” (19)
(…) “Vidi andare in terra il tutto, non era che cittadinanza, popolo e repubblica, andò a finire che caddero fino le repubbliche che vi erano innanzi in un sol capo, che dominò tutti, e in un piede che li calpestò.
Sempre i Governi Popolari finiscono in Principati, e Principati di virga ferrea. Dunque conviene costituire.
Vogliamo comandare anco Noi. E’ la massa Popolare che ciò dice? No, questa non ci pensa, né può pensarvi, applicata a guadagnarsi il vivere giornaliero, sono i briganti.” (20)
A Vienna, presso la casa reale, Pietro Bagnoli si distinse come valido poeta. Quasi ad ogni occasione gli vennero commissionate piccole opere, alcune delle quali furono anche musicate da celebri compositori dell’epoca, come Ferdinando Paer (21), e dal “Maestro di Cappella di Corte Imperiale” Antonio Salieri (22), quest’ultimo reso famoso per le presunte accuse di omicidio nei confronti del rivale Mozart.
Tuttavia partecipò anche ai gravi lutti che colpirono la famiglia del Granduca Ferdinando III, come la morte del primogenito Francesco Leopoldo, di cui Bagnoli era istitutore, nel 1800 (23) e la morte, durante il parto, della Granduchessa Maria Luisa nel 1801 (24). Di questi due episodi, Bagnoli propone narrazioni appassionate e non prive di particolari dolorosi.
CON FERDINANDO III A SALISBURGO E A WURTZBURG
Il legame di Pietro Bagnoli con la famiglia regnante in esilio era davvero molto forte, tanto da rallegrarsi per essere rimasto al fianco di Ferdinando III, durante il periodo di transizione sancito dal Trattato di Luneville, che portò alla guida della Toscana, Ludovico I di Borbone prima e Carlo Ludovico di Borbone-Parma poi, fra il 1801 e il 1807.
Così narra di quel periodo: “A me fu detto ‘Voi rimanete con noi’. E ciò mi fu caro, perché il mio sentimento più forte era quello della nuova affezione. Ed era io già precettore dei RR. Arciduchi, e faceva da assistente di camera, non ancora essendo montata, e da cantore delle Accedemie Musicali, e da Poeta, e da emanuense talvolta di alcuno di quei S.Sri di Corte, quando lo scritto richiedeva sintassi e ortografia.” (25)
Seguì Ferdinando III, nominato Principe di Salisburgo. La corte si trasferì in quella città, dove risedette presso il Palazzo Imperiale (26). In merito al soggiorno nella città austriaca, Bagnoli si dilunga molto nella sua Autobiografia, nel descrivere il paesaggio, le attività economiche e culturali (in particolar modo l’università) di quel territorio così lontano dalla sua Toscana (27).
Una non immediata conseguenza del Trattato di Luneville, fu lo scambio del Tirolo con il Granducato di Wurzburg, avvenuto nel 1806 e sancito da Napoleone e dalla Baviera. Ferdinando III, per volere di Napoleone fu costretto a spostarsi nuovamente con la sua corte, da Salisburgo a Wurzburg, e con lui anche Pietro Bagnoli (28).
Nella città tedesca la corte si trovò particolarmente bene. Nonostante che Bagnoli potesse, in qualche modo, far ritorno in Toscana, egli rimase inizialmente fedele a Ferdinando III:
“Io non ebbi mai intenzione di dipartirmi da quel […?] benché molto dell’Italia mi ricordassi, e dubitassi di non più ritornarvi; ma l’amore del Principe, e soprattutto l’affetto che aveva al mio allora piccolo alunno mi tenevano colà volentieri” (29). Il riferimento è al giovane Leopoldo, futuro Granduca di Toscana, del quale Pietro Bagnoli era istitutore. E poi ancora: “Il mio padrone mi voleva troppo bene, lo mostrava, lo conoscevano tutti; e gli dava nel genio per avermi egli invitato a seguirlo, per essere di età quasi contemporanea, per servirlo di Poesia negli Oratori che faceva comporre, e nella Musica quando cantava, come tutte a lui grate cose oltre le lezioni che dava all’Arciduca e all’Arciduchessa come Maestro fatto per suo decreto, e il condurli alla passeggiata, quando andavano a piedi nel giardino, o fuori alla campagna” (30). Il riferimento in questo caso è ancora a Leopoldo, all’epoca bambino di circa 10 anni, e a Maria Luisa, di circa 7-8 anni; è poi interessante notare anche la sua considerazione di poeta all’interno della corte regnante.
La situazione, tuttavia, cambiò di lì a poco. “Tanto affetto al mio bene che avevano quei Signori, in specie il principale delle camera verso il quale io aveva il torto di aver conosciuto quello che valeva, portò che a Wurtzburgo, dove si credeva che la Famiglia regnante si sarebbe fermata stabile e senza speranza mai più di ritorno, e che il Principe sarebbe stato tedesco, e di tedesche istituzioni e istruzioni, di maestri bisognoso, e non di Italiani, e che un giovine Italiano, levato dal suo paese sempre, sarebbe stato come sacrificato, indusse il padrone, quasi per esigenza di una illibata giustizia, o anco per prova, a lasciarmi fare la domanda se io volessi permanente rimanere, o avessi nell’animo mai di ritornare in Italia. Fu come un mucchio di gelo gittato in un vaso d’acqua bollente. Mi adontai fieramente che mi fosse fatta la domanda. Dissi che averei risposto domani. Pensai tutto il giorno e nella vigilia della notte senza consigliarmi con alcuno, e senza potermi tranquillare irato e della domanda, e di chi me la fece. Conobbi donde veniva, e sentii allora tutto me stesso, chi io era e come era colà, e come vi erano coloro che ad altro erano valorosi, che alle mende del Principe. La mattina dissi ‘Si, vorrei tornare in Italia’. Dispiacque al Principe la mia risposta. Io credeva che Egli non mi avrebbe mai lasciato fare la domanda. Egli credeva che io mai non avrei risposto di sì. C’ingannammo ambedue. Ma i dadi erano gittati” (31). Era il 1807, e Bagnoli fece ritorno in Toscana, dove Maria Luisa di Borbone era reggente del Regno d’Etruria, a seguito del già citato Trattato di Luneville.
Firenze, Palazzo Pitti, residenza granducale
Foto di Francesco Fiumalbi
RIETRO IN ITALIA E RITORNO A VIENNA
Rientrato a Firenze, ritrovò subito il Prof. Pignotti, nel frattempo divenuto Direttore degli Studi del Regno, una sorta di Ministro per l’Istruzione, il quale fornì a Bagnoli il brevetto necessario per poter entrare nel corpo docenti dell’Università di Pisa. L’incarico fu rifiutato, perché mi volli mantenere fedele al mio Padrone di Wurtzburgo (32). Probabilmente per Bagnoli, l’entrare in un incarico pubblico del genere sarebbe stato come legittimare, se non sostenere, l’allora situazione politica.
Ben presto Bagnoli chiese ed ottenne di partire alla volta di Vienna, dove la moglie dell’Imperatore, Maria Teresa di Borbone, lo chiamò affinché componesse alcune opere da musicare. Con questa scusa mi trattenni in Vienna fino dopo il matrimonio di Napoleone coll’Arciduchessa Maria Luisa” (33).
A Vienna assistette all’assedio ad opera di Napoleone nel 1809. L’imperatore francese, trionfante, si insediò nel Palazzo Imperiale di Schonbrunn e alla sua partenza dette ordine di distruggere le fortificazioni della città (34). La situazione viennese si normalizzò in breve tempo, grazie al già citato matrimonio tra Napoleone e Maria Luisa.
Pietro Bagnoli fece così ritorno in Toscana. “In patria, dimorando sotto una carta di sicurezza, senza essere stato mai suddito d’altri che del mio Principe, accadde quel gran rovescio di cose, per la quali il Padrone e Sovrano di Toscana ritornò felicemente al suo governo colla Real Sua famiglia, e con quel caro Figlio (Leopoldo, n.d.r.) che ora fa la felicità e la gloria della Toscana. E me accolsero per loro clemenza con quella medesima bontà, in cui mi avevano tenuto in Germania; ciò è a tutti noto, che basta per testimonianza e premio di mia fedeltà, perché trovai in loro quell’amore nelle parole e nei fatti, che aveva lasciato a Wurtzburgo” (35)
FINE PRIMA PARTE
Nel prossimo post parleremo del suo rientro a San Miniato, e degli ultimi anni della vita di Pietro Bagnoli.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
(1) Bagnoli Pietro, Autobiografia, trascrizione a cura di Candela Sabina, Comune di San Miniato, 1998, originale conservato presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, c.1r, p. 1.
(2) Ibidem.
(3) Bagnoli, Op. Cit., c.2r e c.3r, pp. 1-2.
(4) Bagnoli, Op. Cit., c.3r, p. 2.
(5) Bagnoli, Op. Cit., c.4r, c.5r, c.6r, c.7r, c.8r, pp. 2-4.
(6) Bagnoli, Op. Cit., c.9r, c.10r, p. 5.
(7) Bagnoli, Op. Cit., c.11r, c.12r, p. 6.
(8) Boldrini Roberto, (a cura di), Dizionario Biografico dei Sanminiatesi (secoli X-XX), Comune di San Miniato, Pacini Editore, Pisa, 2001, v. Bagnoli Pietro, p. 27.
(9) Bagnoli, Op. Cit., c.13r, p. 7.
(10) Bagnoli, Op. Cit., c.15r, c.16r, p. 8.
(11) Boldrini, Op. Cit., pag. 27.
(12) Bagnoli, Op. Cit., c.17r, c.18r, c.19r, pp. 8-9.
(13) Bagnoli, Op. Cit., c.19r, c.20r, pp. 9-10.
(14) Bagnoli, Op. Cit., c.15r, pp. 7-8.
(15) Ibidem.
(16) Bagnoli, Op. Cit., c.33r, p. 16.
(17) Bagnoli, Op. Cit., c.39r, p. 18.
(18) Bagnoli, Op. Cit., c.32r, p. 15.
(19) Bagnoli, Op. Cit., c.50r, c.51r, p. 23.
(20) Bagnoli, Op. Cit., c.52r, p. 24.
(21) Bagnoli, Op. Cit., c.77r, p. 35.
(22) Bagnoli, Op. Cit., c.44r, p. 21.
(23) Bagnoli, Op. Cit., c.83r, c.84r, c.85r, c.86r, c.87r, c.88r, pp. 37-39
(24) Bagnoli, Op. Cit., c.43r, c.44r, c.45r, c.46r, c.47r, pp. 20-22.
(25) Bagnoli, Op. Cit., c.91r, p. 40.
(26) Bagnoli, Op. Cit., c.93r, p. 41.
(27) Bagnoli, Op. Cit., cc.97-125, pp. 41-57.
(28) Bagnoli, Op. Cit., c.129r, p. 57.
(29) Bagnoli, Op. Cit., c.141r, p. 61.
(30) Bagnoli, Op. Cit., c.141r, c.142r, p. 62.
(31) Bagnoli, Op. Cit., c.143r, p. 62-63.
(32) Bagnoli, Op. Cit., c.145r, p. 63.
(33) Bagnoli, Op. Cit., c.146r, p. 64.
(34) Bagnoli, Op. Cit., cc.150-160, pp. 64-69.
(35) Bagnoli, Op. Cit., c.146r, p. 64.