mercoledì 30 maggio 2012

I TERREMOTI DI SAN MINIATO E DEI SANMINIATESI

di Francesco Fiumalbi
[post aggiornato il 30 ottobre 2016]

Le scosse di terremoto, che hanno colpito Amatrice e una vasta area fra Lazio, Umbria e Marche (24 agosto 2016), si sono manifestate ai nostri occhi attraverso le terribili immagini diffuse dalle televisioni, dai giornali e dai vari canali internet. Ed ancora a Norcia (30 ottobre 2016) dove sono crollate la Cattedrale e la Basilica di San Benedetto. Sono immagini che impressionano, immagini di morte, di distruzione.
Il patrimonio architettonico di una vasta area italiana è stato cancellato in pochi attimi e molte opere storico-artistiche perdute per sempre. E come non dimenticare anche i terremoti dell'Emilia (2012), de L’Aquila (2009) e in Umbria-Marche (1997), le cui immagini sono ancora vive, impresse nella nostra memoria. Anche in questi casi, a farne le spese maggiori sono state le vite umane e lo straordinario patrimonio artistico. Ogni volta dolore, morte. Una ferita dopo l'altra, che difficilmente potranno risarcire.
Non vanno neppure dimenticati terremoti più recenti, seppur di modesta entità (e senza danni a persone o cose), che comunque hanno fatto tremare la Toscana e sono state chiaramente avvertiti anche a San Miniato: il piccolo sciame sismico a Certaldo (agosto 2014), in Garfagnana (gennaio-febbraio 2013), Greve in Chianti (dicembre 2014) e Castelfiorentino (25 ottobre 2016).

Salvo pochissime zone, tutta l’Italia è a rischio sismico, come si può vedere dalla Carta della Pericolosità Sismica, recepita dall'Ordinanza PCM 3519/2006 (G.U. n.105 dell'11 maggio 2006) e consultabile sul sito dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.
Per l’esattezza il territorio del Comune di San Miniato, con l’Ordinanza del PCM 3274/2003, aggiornata con la Deliberazione della Giunta Regionale Toscana n. 431 del 19.06.2006, è classificato in zona “3S”, ovvero zona con pericolosità sismica bassa, che può essere soggetta a scuotimenti modesti. La speciale zona 3S indica obbligo di azione sismica prevista per la zona 2.
Quindi nessun allarmismo, ma dobbiamo stare molto attenti poiché i terremoti possono avvenire ovunque, anche senza preavviso. L'unico modo per non incorrere in pericoli è quello di farsi trovare ben preparati. Lo scuotimento della terra, infatti, non miete vittime: sono gli edifici, costruiti senza criteri antisismici che, cadendo, provocano morti e feriti. L’unica soluzione possibile è costruire in maniera responsabile e, non meno importante, praticare continuamente opere di manutenzione alle nostre case e ai nostri monumenti.
Proprio perché nessuno può sentirsi completamente al sicuro, è bene ricordare alcuni episodi sismici che hanno coinvolto la Toscana centrale e in particolare la nostra zona e che ci dovrebbero servire da monito.

La Rocca prima dei restauri del 1888
Utilizzo ai sensi art. 70, comma 1-bis,
Legge 22 aprile 1941 n. 633 e succ. modif.

Il primo episodio che proponiamo è il terremoto che colpì Firenze il 28 settembre 1453, narratoci da un testimone d’eccezione: il sanminiatese Giovanni Chellini, di cui abbiamo avuto modo di parlare nel post UN SANMINIATESE A LONDRA. Un sisma stimato del V-VI grado della Scala Mercalli “modificata”.
Richordo che nello anno millequactrocentocinquantatre a dì XXVIII di settembre a hore cinque di notte venne nella città di Firenze il maggiore e più terribile terremoto che per li viventi ne nostri dì mai fosse udito o sentito e durò presso che uno ottavo d’ora, per paura del quale grande quantità di persone uscirono dalle case andando per le piazze e luoghi scoperti, a ciò non cadessero loro addosso case e altri edificii gridando per la città a Dio misericordia, cum molte laude e orationi ad alte voci. Li signori uscirono dal palagio in sulla piazza per paura e fra gli altri Piero di Cosimo de Medici, sendo in casa sua malato di gotti, si fece portare a molti giovani a san Marco e facesi mettere nell’orto di quelli frati e cum cuperture e cum fuochi che in detto orto fece accendere cum altri suoi di casa vi si stete quella notte e abondavavi tanta gente che bisognò serrare la porta che non vi intrasseno. Cosimo suo padre era in villa sua a Careggi, malato di gotti. Caddero molti edifici e in santa Reparata nella chiesa caddeno loro addosso delle loro case e molte altre cose nella città ruinarono, la maggior parte de cittadini notevoli e cavalieri tutti per la città fuor di loro case in luoghi di piazze e maxime sul prato della Nuntiata e di san Marco stava grande quantità di gente per paura. Dopo quello grande terremoto quella medesima notte ne vennero circa otto, ma non grandi, ne terribili come quello primo, posto assi spaventasseno la gente.
Di poi la seguente notte che fu a dì 29 di detto mese alle 4 hore venne uno terremuoto non grande a buon pezzo come il primo della passa notte e dopo esso due altri piccoli, pur quella notte gran gente albergò supra piazze e prati e in orti di frati e di spedali per paura e domattina a dì primo d’ottobre s’è ordinato divote processioni per insino a 4 dì.” (1)

Firenze, Palazzo Vecchio
Foto di Francesco Fiumalbi

Il secondo episodio, ancora una volta non è sanminiatese, ma riguarda la vicina Empoli. Luigi Lazzeri, Canonico della Collegiata di Sant'Andrea di Empoli, all'interno della sua Storia di Empoli, nell'anno 1804 riporta: "Nel decorso del mese di Ottobre di quest'anno si sentirono sopra a quindici scosse di terremoto più o meno gagliarde, ma senza altro danno pel nostro Paese, che d'un generale spavento degli abitanti" (2). In merito a questo piccolo "sciame" sismico disponiamo soltanto di queste notizie.

Il terzo episodio è il terremoto del 14 agosto 1846, con epicentro nel Comune di Lorenzana (PI), fra Collesalvetti e Orciano Pisano e i cui effetti si propagarono anche nel Valdarno Inferiore, compreso a San Miniato che si trova a circa 30 km in linea d’aria. Fu un terremoto molto forte, stimato in VI-VII gradi della Scala Mercalli “modificata” (3) e molte chiese della parte occidentale della Diocesi di San Miniato (nei Comuni di Crespina, Fauglia, Ponsacco, Lari, Capannoli, Casciana Terme) risultarono gravemente danneggiate, se non distrutte. Nell’Archivio Vescovile della Diocesi di San Miniato è conservato un fascicolo contenente il quadro della situazione e le disposizioni intraprese dall’allora Vescovo Torello Pierazzi (4). Fortunatamente non si registrarono vittime, ma soltanto alcuni feriti. Questo fu considerato un vero e proprio miracolo e nelle parrocchie colpite, per molti anni, il 14 agosto venne solennemente cantato il Te Deum (5). I danni materiali furono ingenti ed anche nella nostra zona non mancarono situazioni critiche. A Fucecchio molte case risultarono gravemente danneggiate, così come il campanile della Collegiata di San Giovanni Battista (6). A San Miniato, almeno ufficialmente, non abbiamo notizie di danneggiamenti a persone o cose. Tuttavia, non è certo da considerarsi casuale l’abbattimento della Torre delle Cornacchie situata all’ingresso di Piazza del Duomo, proprio nel 1847 (7), che evidentemente minacciava di crollare dopo la scossa dell’anno precedente. Anche la Rocca non se la passò bene: ormai abbandonata da quasi tre secoli, dopo aver subito due assedi ed esser stata colpita ripetutamente dai fulmini, si confrontò anche con il terremoto. Così nel 1888 fu restaurata a spese del Governo Italiano e dichiarata “Monumento Nazionale” (8).

La Rocca prima dei restauri del 1888
Utilizzo ai sensi art. 70, comma 1-bis,
Legge 22 aprile 1941 n. 633 e succ. modif.

Il 18 maggio 1895 si verificò quello che viene chiamato "il grande terremoto di Firenze" (anche se in realtà l'epicentro è da individuarsi nella zona del Chianti). La scossa, che fu avvertita distintamente in tutta la Toscana provocò quattro vittime e il danneggiamento di molti edifici storici fiorentini (la più gravemente colpita fu la Certosa di Firenze). Di questo episodio rimangono immagini suggestive pubblicate sul blog dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. VAI AL SITO >>>


La prima pagina de La Nazione, 21 maggio 1895

Tutta l’Italia partecipò al dramma del terremoto di Messina e Reggio Calabria avvenuto la mattina del 28 dicembre del 1908. Anche in Toscana furono organizzati i soccorsi. I rappresentanti della Federazione delle Confraternite di Misericordia della nostra regione si adunarono il 31 dicembre presso la sede fiorentina e deliberarono di offrire il proprio aiuto. Tra i firmatari della lettera inviata al Prefetto figurava anche il Prof. Rossi per la Misericordia di San Miniato. Il prefetto Cioja rispose il 2 gennaio, ringraziando quanti si erano offerti per portare soccorso alle popolazioni siciliana e calabrese. Riportiamo un brano estremamente significativo tratto dal sito http://www.volontari.org/Terremoto_Messina.htm

“DA SAN MINIATO. Una squadra di volenterosi costituitasi per cura dell'on. conte Francesco Guicciardini, nostro deputato, partì Domenica 3 corr. per le province danneggiate dal terremoto. I componenti della squadra che viaggia a spese del ministero, furono scelti fra le tre associazioni benemerite cittadine, e la nostra Misericordia è rappresentata dai fratelli Rinaldi Carlo (infermiere) Micheli Corrado, Baldassini ed Olivieri (porta feriti). Questa squadra è comandata dal Sig. Amedeo Mancini pure fratello della Misericordia. I volenterosi sono già arrivati, e destinati dal Genio Militare, a Palmi, una delle città più devastate. Abbiamo ricevuto due telegrammi dell'onorevole Guicciardini, telegrammi che ci fanno sapere quanto siano valorosi i nostri bravi giovani. A questi il Magistrato consegnò, per meglio poter soccorrere i feriti, un cataletto pieghevole, pregevole opera della ditta Trinci, e un porta feriti da campo opera pure della sullodata ditta di Pistoia.  Ricevo poi dalla Nazione:  Aderendo ad un sollecito invito del conte Pallavicino, vice-presidente della Croce Rossa Italiana,  la R. Misericordia di S. Miniato si fece iniziativa di una colletta per l'acquisto di coperte di lana da inviarsi, per il tramite della Croce Rossa nei luoghi delle rovine. In brevissimo tempo furono raccolte discrete somme ed inviate un buon numero di coperte.  II Magistrato di questa Misericordia ha fatto giovedì 14 a suffragio delle vittime, un solenne funerale, cui prese parte Mons. Vescovo Falcini e tutte le autorità cittadine”.

Nel gennaio 1915 si verificò il cosiddetto "Terremoto della Marsica". Fin dai primi giorni l'Arciconfraternita di Misericordia di San Miniato si adoperò per prestare soccorso alle popolazioni colpite. Di seguito il testo del manifesto pubblicato in quei giorni (Archivio Arciconfraternita di Misericordia di San Miniato, Atti vari sec. XIX-XX):


R. V. Arciconf. di Misericordia
S. MINIATO
CONCITTADINI
Dalla conca del Fucino, dalla valle del Liri - con furia orrenda dal terremoto devastate - sale implorante il lamento angoscioso dei miseri colpiti.
L'Italia chiede ai suoi figli tutti una novella prova di solidarietà nazionale, solidarietà che più compatta e solenne si deve affermare nell'ora triste della sventura e del dolore.
S. Miniato non manchi.
La Regia Ven. Arciconfraternita di Misericordia - iniziatrice - chiede a voi, concittadini, un pensiero dolente ed una prece per i poveri morti, un aiuto fraterno per gli infelici superstiti.
S. Miniato, dalla Sede Magistrale
Lì 20 Gennaio 1915.
IL MAGISTRATO
La Regia Arciconfraternita provvederà per mezzo di suoi incaricati al ritiro delle offerte - che possono essere anche direttamente inviate al Rag. Giuseppe Marconcini, Tesoriere dell'Opera Pia.
S. Miniato. Tip. Bongi.


Stemma dell’Arciconfraternita di Misericordia di San Miniato
Foto di Francesco Fiumalbi

Il 22 gennaio del 1918 si verificò un sisma del IV-V grado della Scala Mercalli “modificata”, con epicentro localizzato proprio nel territorio del Comune di San Miniato. La scossa non dovette fare molti danni, in quanto non registrarono notizie di danneggiamenti. Tuttavia ci riserviamo di approfondire la ricerca presso l’Archivio Storico del Comune di San Miniato (9).

Il 29 giugno 1919 un violento sisma (stimato di magnitudo 6.2, dunque del tutto simile a quello de L'Acquila e di Amatrice) colpì il Mugello, con epicentro a Vicchio. Anche la popolazione sanminiatese si adoperò per portare aiuti e sostegno alla popolazione colpita. Di seguito l'articolo del quindicinale sanminiatese "La Rocca" del 13 luglio 1919, p. 4:

Pro danneggiati del terremoto
Il Comune ha aperto una sottoscrizione pro danneggiati dal terremoto il quale così spietatamente ha in questi giorni portato la morte, il terrore e la miseria nel verde Mugello, la Svizzera della Toscana.
Noi siamo certi che la cittadinanza Saminiatese, la quale in tante occasioni ha dato sicura prova del suo squisito senso di umana solidarietà, risponderà con slancio di passione amorosa all'appello dell'amministrazione, recando con signorile larghezza aiuto ai poveri fratelli mugellani.
"La Rocca", per conto suo ha versato L. 30.00.

Sul numero de "La Rocca" del 10 agosto 1919, a pagina n. 3, fu pubblicato un resoconto sintetico della raccolta fondi:

Sottoscrizione Comunale a favore dei danneggiati dal terremoto:
Somma già raccolta L. 1027.00
Circolo Femminile L. 25.00
Bonaveglia Sofia L. 5.00
Conti Assunta L. 5.00
Pero Maria L. 5.00
Pontanari Pia L. 5.00
Capoquadri Silvia L. 5.00
Cav. Lauricella Sotto-Prefetto L. 25.00
Lorenzelli dott. Alfonso L. 50.00
Totale L. 1152.00

Dal medesimo giornale si ha notizia anche di uno spettacolo di beneficenza tenutosi in data 3 giugno 1919 presso il Teatro Verdi di San Miniato, gentilmente concesso dall'amministrazione, per raccogliere fondi da destinare a beneficio dei danneggiati del terremoto del Mugello.

I sanminiatesi si sono sempre dimostrati sensibili nell’aiutare le popolazioni colpite da eventi sismici. Squadre di soccorso furono inviate in Friuli nel 1976, in Irpinia nel 1980, in Umbria e nelle Marche nel 1997, a L’Aquila nel 2009 e in Emilia nel 2012.

Desideriamo concludere questo post con la significativa riflessione dell’amico Carlo Pagliai:
Ancora una volta Madre Natura ci fa capire che non siamo proprietari del pianeta, ma solamente usufruttuari a tempo determinato: nessuno è completamente al sicuro dalla sua forza.


NOTE BIBLIOGRAFICHE
(1) Sillano Maria Tesera (a cura di), Le ricordanze di Giovanni Chellini da San Miniato: medico, mercante e umanista (1425-1457), Franco Angeli Editore, Milano, 1984, pp. 195-196.
(4) Simoncini Vasco, Cinelli Cristina, Desideri Silvia e Prosperi Maria (a cura di), San Miniato e la sua Diocesi, CRSM, Edizioni del Cerro, Pisa, 1989, pp. 114-115.
(5) Ibidem.
(7) Vensi Antonio, Memorie per servire ad una storia di San Miniato al Tedesco, Archivio dell’Accademia degli Euteleti, 1874, p. 483, in Cristiani Testi Maria Laura, San Miniato al Tedesco, saggio di storia urbanistica e architettonica, Marchi e Bertolli, Firenze, 1967, p. 144.
(8) Galli Angelini Francesco Maria, La Rocca di San Miniato, Monumento nazionale, in Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di San Miniaro al Tedesco, n. 24, 1947, p. 4

sabato 26 maggio 2012

CASTRO SANCTI JOHANNIS IN VALDEGOLA

di Francesco Fiumalbi

Poco sopra l’antica Pieve di San Giovanni a Corazzano, lungo via della Pieve, si trova la villa-fattoria di proprietà della famiglia Pancanti. Il luogo, detto “San Giovanni”, è a dir poco suggestivo: immersi fra gli olivi, da qui si può scorgere uno dei più suggestivi panorami di tutta la Valdegola.

Panorama della Valdegola dalla villa-fattoria Pancanti
Foto di Francesco Fiumalbi

La Valdegola, da epoca antichissima, costituiva un corridoio privilegiato per giungere a Volterra dal Medio Valdarno Inferiore. Per i numeri dell’epoca, contrariamente alla situazione odierna, la vallata era molto abitata e frequentata, anche perché più facilmente bonificabile rispetto a quella principale dell’Arno. Proprio per questo, a circa metà della Valdegola, era stata fondata una pieve molto importante: Ecclesia plebis beate S. Marie et S. Johan Bapt, dipendente dalla Diocesi di Lucca. La chiesa esiste ancora oggi, seppur ricostruita fra l’XII e il XIII secolo, e si trova nei pressi di Corazzano, antica località denominata nel 790, Quarantiana, dove i vescovi di Lucca avevano una curtis (1). E’ estremamente complesso ricostruire le vicende che portarono la sovrapposizione dell’organizzazione amministrativa laica ed ecclesiastica tardoantica alla precedenti circoscrizioni agricole romane, costituite dai pagus. Di fatto, è quello che avvenne. Un documento estremamente interessante, datato 983 e conservato presso l’Archivio Arcivescovile della Diocesi di Lucca, ci fornisce la notizia che la Pieve di S. Maria e S. Giovanni, comprese tutte le sue pertinenze, furono date con la formula del livello dal vescovo di Lucca Teudigrimo a Willelmo et Wido del fu Willelmo, Signori di Saminiato (2). In tale documento vengono riportate le località dove sussistevano i beni da allivellare.

Villa Pancanti
Foto di Francesco Fiumalbi

Fra i toponimi segnati nella pergamena figura quello di “Cappitrone” (3), nome che ancora oggi, modificato in Capitroni, indica due poderi nei pressi della Villa Pancanti: uno a nord, afferente alla Villa-Fattoria di Collebrunacchi e l’altro, a sud, pertinente proprio alla fattoria di proprietà Pancanti. Non si fa menzione dell’attuale toponimo “San Giovanni”, relativo al poggio ove sussiste la villa. L’ipotesi più plausibile è che l’attuale poggio, oggi denominato “San Giovanni” all’epoca non fosse abitato e quindi non menzionato; potrebbe essere stato insediato proprio da quei Signori di Saminiato di cui conosciamo ancora molto poco (4).
Abbiamo visto anche nel post relativo al villaggio di Fabbrica, come l’insediamento pedecollinare nei pressi dell’attuale Molino d’Egola, attorno all’anno 1000, si sia spostato per motivi politico-militari in cima alla collina di Cigoli. Potrebbe essere avvenuto lo stesso processo con l’ipotetico abitato di fondovalle di Quarantiana che viene abbandonato a favore del nuovo, e più difendibile, Castro Sancti Johannis.
Con ogni probabilità si trattava di un insediamento di tipo agricolo, vale a dire una curtis (forse la stessa documentata nel 790), dotato di un recinto, o comunque di una struttura volta a circuire, a chiudere l’abitato e per questo denominato castro (5), come risulta dai documenti che proponiamo più avanti.

Cartorafia odierna
Disegno di Francesco Fiumalbi

Il 983 è uno degli anni centrali del governo di Ugo, Marchese della Tuscia dall’anno 969 al 1001, detto “Il Grande” per la sua vicinanza e notevole influenza sugli imperatori della dinastia sassone: Ottone I, Ottone II e Ottone III. Durante il trentennio del governo marchionale di Ugo, si verificò una vera e propria esplosione delle forze signorili, sia di natura ecclesiastica che laica. Continuò con una accelerazione nuova quella frammentazione delle terre, dei proventi e delle funzioni pubbliche avviata quasi due secoli prima da Carlo Magno (6). In questo contesto si inserisce probabilmente la strategia politica lucchese, nell’assegnare terre, benefici e funzioni pubbliche nella zona del sanminiatese ad una serie di famiglie locali, forse di origine lucchese, nel tentativo di contrastare i Cadolingi (che occupavano la val di Nievole e si spingevano fino a Fucecchio) (7) e i Gherardeschi (che forti dell’appoggio volterrano si spingevano fino alle vicine Barbialla, Collegalli e Scopeto) (8). Si venne a creare una sorta di clientela episcopale.
Furono Wido e Willelmo, o forse i loro discendenti, coloro che probabilmente costruirono, per difendere magazzini agricoli e/o per controllare la viabilità della Valdegola, quello che nel XIV secolo sarà denominato Castro Sancti Johannis. Il contratto che li vede coinvolti è un vero e proprio atto di infeudamento, seppur in piccolo, in quanto Willelmi et Wido gg. vel de nostris hered. sint permanent potestatem suprascriptam medietatem de suprascriptis casis seo rebus tam domnicatis ec.. di una porzione territoriale molto consistente e che riproporremo in un apposito post.

Villa Pancanti e la Pieve di San Giovanni a Corazzano
Foto di Francesco Fiumalbi

L’attuale villa sorge su quella piccola altura dove, con ogni probabilità, si trovava quel Castro Sancti Johannis de Gello, rammentato da Giovanni di Lemmo da Comugnori. Gli abitanti di questo piccolo centro fortificato, insieme a quelli di Barbialla e Mellicciano, tesero un agguato agli uomini di Collebrunacchi nel 1314 (9). Il nome del Castro è rimasto, infatti, nella toponomastica del luogo: “San Giovanni”, che è segnalato anche da Antonio Vensi come uno dei castelli sanminiatesi prima della dominazione fiorentina (10).
Il Castro Sancti Johannis è menzionato anche negli Statuti della comunità sanminiatese del 1337. Gli abitanti del castello costituivano, infatti, una societas (11), ovvero un’unità amministrativa locale che habeat de dicta cerna pro parte eam contingente nomine armatos vitingi, quorum quator eum balistis sint et alii XVI cum pavesibus, muniti etiam aliis armis necessariis prout decet (12). Doveva, cioè, fornire almeno quattro uomini dotati di balistis (verosimilmente una balestra o qualcosa di simile) e altri sedici dotati di pavesibus (lo scudo “pavese”) e di altre armi che si sarebbero rese necessarie. Un piccolo contingente, costituito da venti uomini armati, che in caso di guerra sarebbe andato a costituire l’esercito sanminiatese. Non ci dobbiamo stupire per l’esiguità, in quanto 20 uomini erano più che sufficienti per difendere un piccolo castelletto, che poteva presentarsi come un edificio recintato con una palizzata in legno (si veda anche il post CASTRUM MORIORI). Non avrebbe certamente retto l’assedio di un vero esercito, ma avrebbe potuto resistere facilmente a piccole scorribande nemiche. Da questo numero, possiamo fare anche una stima molto approssimativa delle persone che abitavano il Castro Sancti Johannis o che vi gravitavano attorno: circa 200 persone.

Villa Pancanti
Foto di Francesco Fiumalbi

Alla fine del XVI secolo, all’interno delle Piante di Popoli e Strade redatte dai Capitani di Parte Guelfa, troviamo una costruzione che potrebbe trattarsi proprio dell’attuale villa-fattoria (13). L’edificio è disegnato alla maniera di una casa padronale con un ampio corpo di fabbrica, una torre o colombaia e un altro annesso agricolo, anche se, contrariamente a quanto avviene in altre carte, non si ha alcun riferimento riguardo alla proprietà. La posizione dell’edificio disegnato è del tutto simile all’odierna costruzione, ovvero lungo la strada che dalla Pieve di Corazzano conduce a Gello. Invece, in un disegno coevo conservato all’Archivio di Stato di Firenze lo stesso edificio è contrassegnato dalla proprietà Buonaparte (14). Sul prospetto contenente anche lo stemma della nobile famiglia sanminiatese, un graffito riporta una data: MCCCCLXXIII. Si tratta probabilmente dell’anno in cui i Buonaparte edificarono l’edificio o ne ristrutturarono uno preesistente. La proprietà dei Buonaparte nel XV secolo è plausibile in quanto tale famiglia, insediatasi a San Miniato già nel XIII secolo, si dispose molto vicina alla Repubblica di Firenze e ai vicari insediatisi all’ombra della Rocca dopo la conquista fiorentina avvenuta nel 1370 (15).
Nel 1693 la villa, che era locus consuete habitationis dictorum dominorum (16), fu dotata anche di un oratorio, noviter extructus, che Jacopo Vanni, inviato dal Vescovo Cortigiani, fu incaricato di ispezionare, controllando che tutto fosse in ordine prima della benedizione inaugurale. Lo stesso Vanni riferisce che la piccola chiesa era fornita degli arredi, pavimentata, imbiancata e isolata rispetto all’abitazione (17).

Stemma Buonaparte
Villa-fattoria Pancanti, Corazzano
Foto di Francesco Fiumalbi

Nella denuncia delle Decime Granducali del 1714, abbiamo notizia della casa padronale che era posseduta da Niccolò Buonaparte Franchini, cioè del ramo di Pier Antonio Buonaparte (18).
La situazione del complesso architettonico al 1820 risultava praticamente identica a come è oggi (probabilmente già dalla fine del ‘600): l’articolazione planimetrica era costituita da due corpi di fabbrica paralleli, di cui quello a mezzogiorno con la casa del fattore e quello a settentrione l’abitazione padronale con l’oratorio a fare da appendice (19). 
Negli anni ’40 dell’800, Luigi Pancanti, allora fattore a San Vivaldo, acquistò dalla famiglia Rospigliosi, che era subentrata ai Buonaparte, l’attuale proprietà. E’ in questo periodo che il complesso architettonico subisce una profonda ristrutturazione, come ricorda la data 1845 scolpita su una porta del corpo meridionale.
I due edifici furono uniti, andando a formare un’unica casa padronale, dotata di una facciata monumentale sul lato occidentale della vecchia casa del fattore. Tale variazione della planimetria, a formare una “U”, è documentata al 1860 (20).
Dalla carta del Catasto Leopoldino, oltre al complesso architettonico costituente la casa padronale, emerge, significativa, una strada perfettamente retta in direzione sud-occidentale, che segue il crinale del rilievo collinare. Tale sistemazione ricorda quella di un’antica ragnaia, poi trasformata in giardino, mantenutosi fino alla seconda metà del ‘900.

Si ringrazia la famiglia Pancanti per la cortesia e la disponibilità nella stesura di questo post.

NOTE BIBLIOGRAFICHE:
(1) Barsocchini, Memorie e Documenti per servire alla Istoria del Ducato di Lucca, Francesco Bertini Tipografo Ducale, Lucca, 1841, tomo V, parte II, pag. 135, in Morelli Paolo, Pievi, castelli e comunità fra Medioevo ed età moderna nei dintorni di San Miniato, in A.A. V.V., Le Colline di San Miniato (Pisa), La natura e la storia, Supplemento n. 1 al vol. 14 dei Quaderni del Museo di Storia Naturale di Livorno, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Provincia di Pisa, Tipografia Bongi, San Miniato, 1997, pag. 87.
(2) Barsocchini Domenico, Memorie e Documenti per servire alla Istoria del Ducato di Lucca, Francesco Bertini Tipografo Ducale, Lucca, 1841, tomo V, parte III, documenti: MDLXVIII (Arch. Arciv. Luc. ++ C.68) pagg. 453-454.
In proposito si veda anche Barsocchini Domenico, Memorie e Documenti per servire alla Istoria del Ducato di Lucca, Francesco Bertini Tipografo Ducale, Lucca, 1841, tomo V, parte I, pagg. 148-149.
(3) Ibidem.
(4) Non sembrano essere gli stessi Domini di San Miniato, in proposito si veda Salvestrini Francesco, Il nido dell’aquila. San Miniato al Tedesco dai vicari dell’Impero al vicariato fiorentino del Valdarno Inferiore (secc. XI-XIV), in Malvolti Alberto e Giuliano Pinto (a cura di), Il Valdarno Inferiore terra di confine nel Medioevo (Secoli XI-XV), Atti del convegno di studi 30 settembre – 2 ottobre 2005, Leo S. Olschki, Firenze, 2009, pagg. 236-238.
(5) Wickham Chris, Documenti scritti e archeologia per una storia dell’incastellamento: l’esempio della Toscana, in Francovich Riccardo e Milanese Marco (a cura di), Lo scavo archeologico di Montarrenti e i problemi dell’incastellamento medievale. Esperienze a confronto., Atti del Colloquio Internazionale Siena 8-9 dicembre 1988, Edizioni all’Insegna del Giglio, Firenze, 1990, pag. 88-89.
(6) Nobili Mario, Le famiglie marchionali della Tuscia, in AA.VV., I ceti dirigenti in Toscana nell’età precomunale, Atti del 1° Convegno di studi sulla storia dei ceti dirigenti in Toscana, Firenze 2 dicembre 1978, Pacini Editore, Pisa, 1981, pag. 99.
(7) Salvestrini, Il nido dell’aquila…, pag. 236, e anche Salvestrini Francesco, San Genesio. La comunità e la pieve fra VI e XIII secolo, in Cantini Federico e Salvestrini Francesco (a cura di), Vico Wallari – San Genesio. Ricerca storica e indagini archeologiche su una comunità del Medio Valdarno Inferiore fra alto e pieno Medioevo, Centro Studi sulla civiltà del Tardo Medioevo di San Miniato, Firenze University Press, Firenze, 2010, pagg. 46-47.
(8) Ceccarelli Lemut Maria Luisa, I conti Gherardeschi, in AA.VV., I ceti dirigenti in Toscana nell’età precomunale, Atti del 1° Convegno di studi sulla storia dei ceti dirigenti in Toscana, Firenze 2 dicembre 1978, Pacini Editore, Pisa, 1981, pagg. 165-190, in particolare si veda la carta allegata, con le località controllate dalla famiglia.
(9) Mazzoni Vieri, Ser Giovanni di Lemmo Armaleoni da Comugnori, Diario (1299-1319), Olschki Editore, Firenze, 2008, c. 37v, pag. 49.
(10) Archivio dell’Accademia degli Euteleti, Antonio Vensi, Materiali raccolti, Castelli che appartenevano a San Miniato nel tempo della sua libertà, 91, pag. 389.
(11) Salvestrini Francesco (a cura di), Statuti del Comune di San Miniato al Tedesco (1337), Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo, ETS, Pisa, 1994, pag. 336.
(12) Salvestrini, Statuti…, pag. 339.
(13) Pansini (a cura di), Piante di Popoli e Strade, Archivio di Stato di Firenze, Olschky, 1989, volume II, C663.
(14) Archivio di Stato di Firenze, Capitani di Parte Guelfa, Piante di Popoli e Strade, 118, c. 357 in Romanelli Rita, Villa Buonaparte, Pancanti, in Giusti Maria Adriana (a cura di), Le Ville del Valdarno, Ecofor, Edifir Edizioni, Firenze, 1996, pagg. 68-69.
(15) Boldrini Roberto, La famiglia Buonaparte a San Miniato, in Biron Francesco e D’Aniello Antonia (a cura di), Buonaparte o Bonaparte? Napoleone e gli antenati toscani di San Miniato, Sistema Museale San Miniato, Titivillus Edizioni, Corazzano, 2003, pagg. 44-46.
(16) Archivio Vescovile Diocesi di San Miniato, Atti Beneficiali, P, fasc. 24, in Romanelli, Op. Cit.
(17) Ibidem.
(18) Archivio di Stato di Firenze, Decime Granducali, 5783, c. 1041 r., in Romanelli, Op. Cit.
(19) Archivio di Stato di Pisa, Catasto Leopoldino, sezione “O” di San Miniato, n. 59, arroto 75, anno 1860, in Romanelli, Op. Cit.
(20) Archivio di Stato di Pisa, Catasto Leopoldino, sezione “O” di San Miniato, n. 59, in Romanelli, Op. Cit.

SAN JACOPO IN LUPETA (PI)

SAN JACOPO IN LUPETA IN 2000 BATTUTE (di Francesco Fiumalbi)
Nei pressi di Vicopisano, su di una propaggine orientale del Monte Pisano, si trova la splendida vallata chiamata Lupeta, immersa tra vigneti e oliveti. Qui sorge un’antichissima chiesa, dedicata originariamente a San Mamiliano, Vescovo e Martire e parte integrante di un complesso monastico. Fu intitolata a San Jacopo nel XV secolo e divenne un eremo Agostiniano. La prima notizia di questo edificio risale alla metà dell’VIII secolo, datazione confermata anche dalle caratteristiche formali di due bassorilievi collocati rispettivamente sulla facciata e sul fianco sinistro della costruzione. Rappresentano la “Croce di Gerusalemme” assieme a quello che sembra un “Albero della Vita”, e un trittico le cui figure sono state identificate con i profeti Habacuc, Daniele e Giobbe.
L’edificio, dalla caratteristica pianta a “tau”, si presenta con un’aula semplice, a navata unica. Il paramento murario è costituito da conci in pietra locale calcarea, del tipo verrucano, disposti a filaretto, che, unitamente ad elementi decorativi di grande pregio storico-artistico, conferisce alla chiesa un aspetto austero e rigoroso. All’interno è visibile un ciclo di affreschi trecenteschi raffiguranti probabilmente San Mamiliano, San Giovanni Battista e Sant’Antonio Abate ed un altro bassorilievo con un episodio della Passione di Cristo e una mensola con la Dextera Domini.
Sull’architrave del portale d’ingresso, quasi non più visibile, è scolpita la seguente frase: K DE LUPETA ORNAVIT H. OPUS/PRO ETERNA VITA MAMILIANE SACER/PRO NOSTRIS ORA DELICTIS. In facciata è presente anche una testa di un animale cornuto, forse un ariete o un toro, la cui simbologia è molto dibattuta. Il partale laterale è costituito da un arco romanico, che poggia su due piedritti decorati a fasce, quello di sinistra, e spirali, quello di destra.
La torre campanaria, un tempo molto più alta, è stata rimaneggiata assieme alla parte absidale della chiesa, durante il passaggio del fronte della Seconda Guerra Mondiale.

La chiesa di San Jacopo in Lupeta
Foto di Francesco Fiumalbi

La chiesa di San Jacopo in Lupeta
Foto di Francesco Fiumalbi

Bifora della chiesa di San Jacopo in Lupeta
Foto di Francesco Fiumalbi

Bassorilievo con i profeti Habacuc, Daniele e Giobbe
Chiesa di San Jacopo in Lupeta
Foto di Francesco Fiumalbi

Animale con le corna, ariete o toro?
Chiesa di San Jacopo in Lupeta
Foto di Francesco Fiumalbi

Portale d'ingresso
Chiesa di San Jacopo in Lupeta
Foto di Francesco Fiumalbi

Croce di Gerusalemme e Albero della Vita (?)
Chiesa di San Jacopo in Lupeta
Foto di Francesco Fiumalbi

Portale laterale
Chiesa di San Jacopo in Lupeta
Foto di Francesco Fiumalbi

Torre Campanaria
Chiesa di San Jacopo in Lupeta
Foto di Francesco Fiumalbi

Oliveti e vigneti a Lupeta
Foto di Francesco Fiumalbi

venerdì 25 maggio 2012

BADIA POZZEVERI (LU)

BADIA POZZEVERI IN 2000 BATTUTE (di Francesco Fiumalbi)
Badia Pozzeveri è oggi una frazione del Comune di Altopascio. Il monumento più insigne è sicuramente l’abbazia, fondata dai camaldolesi nel 1103, attorno alla preesistente chiesa di San Pietro. Questa chiesa è documentata già nel IX secolo, e nel frattempo era diventata una “canonica”, ospitava cioè una piccola comunità di sacerdoti sotto il diretto controllo del vescovo. L’antica chiesa sorgeva lungo il tracciato della via Francigena e si affacciava sulle sponde dell’ex Lago di Sesto (o Lago di Bientina), prosciugato alla metà dell’800. L’abbazia come istituzione, per secoli ha svolto un ruolo importantissimo per la bonifica del territorio ed è stata il punto di riferimento per le attività agricole della zona circostante, la cui popolazione si era andata concentrando nel Burgo de Poctieuli, oggi Pozzeveri, dove fu fondato anche un piccolo ospedale. Nel 1260, anno del censimento della Diocesi di Lucca, con 2800 lire l’abbazia di Pozzeveri era fra le istituzioni lucchesi più ricche.
La zona fu poi teatro di numerosi eventi bellici che coinvolsero le città di Lucca, Pisa e Firenze per la prima metà del ‘300. Nei pressi fu combattuta la sanguinosa battaglia di Altopascio, nel settembre del 1325, che vide l’esercito fiorentino contrapposto a quello lucchese guidato da Castruccio Castracani.
 L’abbazia fu abbandonata per alcuni decenni, fino al XV secolo, quando fu soppressa e i possedimenti passarono al Capitolo dei Canonici della Cattedrale di San Martino di Lucca.
La chiesa, che ha subito modificazioni ed ampliamenti fino alla metà dell’800, si presenta ad unica navata, absidata e dotata di torre campanaria. L’interno, fortemente rimaneggiato, conserva gli altari seicenteschi e ampie porzioni affrescate, sia sulle pareti che sul soffitto.