martedì 20 settembre 2016

LA BIOGRAFIA DI LODOVICO CARDI DETTO “IL CIGOLI” NELLE NOTIZIE DE' PROFESSORI DI FILIPPO BALDINUCCI

a cura di Francesco Fiumalbi

In questa pagina è proposta la “biografia” che Filippo Baldinucci [Firenze, 1624 – 1697] dedicò, nella seconda metà del '600 a Lodovico Cardi Cigoli [Cigoli, San Miniato, 21 settembre 1559 – Roma, 8 giugno 1613], il più celebre artista sanminiatese di tutti i tempi. Si tratta di una narrazione, non priva di divagazioni, contenuta all'interno delle Notizie de' Professori del Disegno da Cimabue in qua, stampate in sei volumi, dal 1681 al 1728. Nelle intenzioni dell'autore, l'opera voleva proporsi come l'ideale continuazione delle “Vite” di Giorgio Vasari.

Lodovico Cardi detto “Il Cigoli”
Busto marmoreo collocato a Cigoli nel 1913 in occasione
delle celebrazioni per il 300° anniversario della morte
Foto di Francesco Fiumalbi

Per la stesura del testo, Baldinucci dichiarò di aver attinto dalla biografia redatta da Giovan Battista Cardi-Cigoli nipote di Lodovico, dal testo del sacerdote Giovan Battista Brocchi e informazioni ricavate direttamente da pittori ed eruditi del tempo.
Quella del Baldinucci ha rappresentato, per oltre tre secoli, la principale raccolta edita di informazioni dedicate a Lodovico Cardi detto “Il Cigoli”, almeno fino alla seconda metà del XX secolo. L'importanza di quest'opera narrativa sta sia nella descrizione precisa e puntuale di moltissime opere, ma anche nell'aver riportato molteplici fatti ed episodi della vita dell'artista, in modo da ricavare un'idea non soltanto della sua produzione artistica ma anche del suo animo e del suo carattere.

F. Baldinucci, Notizie de' Professori del Disegno da Cimabue in qua. Parte Seconda del Secolo Quarto, Stamperia di Piero Matini all'Ins. Del Lion d'Oro, Firenze, 1688, frontespizio.

Di seguito la trascrizione del testo tratto da F. Baldinucci, Notizie de' Professori del Disegno da Cimabue in qua. Parte Seconda del Secolo Quarto, Stamperia di Piero Matini all'Ins. Del Lion d'Oro, Firenze, 1688, Decennale I. della parte III del secolo IV, dal MDLXXX al MDXC, pp. 15-49.

[015] COMMENDATORE
FRA LODOVICO CARDI,
Cognominato il CIGOLI

PITTORE, E ARCHITETTO
Discepolo d'Alessandro Allori, nato 1559 1613

D'ognuno è notissimo, quanto per lo corso di più di tre interi Secoli , da numero quali dissi infinito di gravissimi Autori fu scritto, intorno ai nobile risorgimento, che circa gli anni del Signore 1260 fece l'arte del Disegno, e della Pittura per le mani di Cimabue, e poi di Giotto suo Discepolo, l'uno, e l'altro Fiorentini; ciò, che pure da noi, nel bel principio di questa nostra Opera delle Notizie, fu con particolare accuratezza notato, ed è noto altresi fino a qual Segno d'evidenza ci parve di mostrare, cioè a dire, che questa novella luce della Giottesca maniera, dopo essersi fatta vedere, anzi dopo avere ripiena di sé stessa l'Italia tutta, e parte della Francia, e dopo essersi allargata, ove più, ove meno per lo restante dell'Europa, dove pochissimo per avanti s'operava, e quel poco, in su la vecchia, e goffissima Greca maniera, finalmente incominciò quasi del tutto a mancare, al comparir , che fece pure nella Città di Firenze lo splendore di tre nuovi lumi, cioè a dire del celebre Donato nella Scultura, del singulare Brunellesco nell'arte stessa, ed assai più nell'Architettura, e dello studiosissimo Masaccio nella Pittura; essendo dunque ciò tanto noto, non farà d'uopo a noi di più parlarne; diremo solamente, che il poc'anzi nominato Masaccio, il primo, che tale Giottesca maniera incominciasse del tutto a lasciare, dando assai maggior perfezione al Disegno, verità al colorito, varietà alli scorci, morbidezza al panneggiamento, nobiltà, e ricchezza all'invenzione, fece sì, che s'applicarono allo studio dell'Opere sue tutti i Giovani di quel tempo, i quali troviamo, che poi fecero quei grandi progressi, che a tutto il Mondo son noti. Durò la maniera di costui (non ancora però ridotta al perfetto) meno di mezzo Secolo; fin che il Verrocchio, il Perugino, i Pollajuoli, e i Grillandai in Firenze, i Bellini in Venezia, e gli altri seguaci di tutti costoro, con modo più aggradevole, e più esquisito Disegno, apersero a' successori loro un più largo campo, d' onorare i proprj pennelli. Restavasi però quest'arte, ciò non ostante, in una tale quale secchezza, e picciolezza di maniera, e così ella si stette per più lustri, fin che finalmente piacque al Cielo di dare al Mondo, nell'Anno di nostra salute 1474 il non mai abbastanza celebrato MichelagnoIo Buonarruoti Nobile Fiorentino, il quale avendo in fanciullezza studiato l'Opere del Masaccio, e del Pollajuolo, e [016] quelle del Grillandajo nella sua Scuola, non avendo di sua età a pena compiti cinque lustri, aveva intagliata la singularissima Statua del Gigante, o del David, che dir vogliamo, e disegnato per la Sala del Consiglio, il tanto, maraviglioso Cartone, che studiato da infiniti Professori di nostra Città, e forestieri, in quei medesimi tempi, fu poi , [così disponendo a benefizio del Mondo la Divina Provvidenza] portato in pezzi in varie parti d'Europa, onde poté bastare senz'altro più , a condire dell'ottimo gusto, e della grande, e nobilissima maniera ogni luogo. Possiamo senza timore
d'ingannarci affermare, per una accurata osservazione fatta intorno al modo di dipingnere di molti grand'uomini, che dopo, che fu comparsa quella nuova luce operarono, fra i quali il nostro Andrea del Sarto, fra Bartolommeo, il Puntormo, e lo stesso Raffaello, dessero alle maniere loro, tutto che Eccellenti, tanto accrescimento da quel che e' fecero prima, e poi quanto da ogn'occhio erudito si può ben riconoscere, e tale un somma, che non vi ha, per avventura chi sappia, che in un corso di più di centocinquanta anni, da che queste cose furono, si sia fatto punto maggiore. Non lascio la Nobilissima Città di Venezia di godere del frutto di sì bella novità, mentre nella persona di Pordenone, e di Giorgione da Castel Franco riconobbe anch'essa sì fattamente ingrandito il modo d'operare in Pittura, che poté promettersi i grand'uomini, che ad esempio di costoro, e ne' lor tempi, e dopo rinnovarono le maraviglie degli antichi Zeusi, e degli Apelli; tali furono il gran Tiziano da Cador, il Vecchio Palma, e tanti altri con essi, che io per brevità non istò qui a nominare.
Ebbe poi la nostra Città di Firenze, oltre agii accennati, altri Maestri in gran numero, che vollero nel loro modo di operare farsi pure imitatori di Michelagnolo: ma con tale differenza però, che la dove quei primi, insieme con la nuova gran maniera tolta da lui, s'erano formato un colorito di viva carne con una impareggiabile morbidezza; questi fecondi tutti intenti al rigirar de' muscoli nell'ignudo, non si curarono più che tanto in ciò, che ai colorito apparteneva, d'attenersi al vero. Questo difetto rimase nella Città nostra , viepiù accresciuto a mio credere per lo grande operare, che fece in essa, e per lo Stato il Vasari ne' tempi del Gran Duca Cosimo, e di Francesco Prima, come quegli, che fin da fanciullezza, era stato Creatura dell'Augustissima Casa de' Medici, e perché essendo egli persona, come noi sogliamo dire, entrante assai, e di grandi parole, aveva talmente saputo portare sé stesso appresso a quei Principi, che a lui, e non ad altri furono commesse opere in gran numero, le maggiori e più singolari; onde non vi fu giovane Pittore, anche di tutta aspettazione, e quali non vi fu buon Maestro, a cui l'accomodarsi con esso, e lungamente con lui vivere, ed operare in suo ajuto, e con suoi Disegni non abbisognasse; ed avvengache per ordinario in ogni nostra azione, non mai s'abbandonino quegli abiti, che si presero in gioventù, o che per lungo spazio di tempo, col replicar degli atti acquistaronsi; fu forza a' Pittori Fiorentini, tutto che valorosissimi in Disegno, e pratichissimi, quanto altri mai, nel maneggiare i colori, il ritenere mescolato nell'Opere loro, con tali buoni attributi dell'arte, alquanto di quel duro, che [come abbiamo in altri luoghi detto] sogliono avere le Pitture di tutti coloro, che senza essere Michechelagnolo [017] hanno voluto disegnare, e dipignere a sua imitazione; con che pur troppo avverarono nel passato Secolo quel Tuo tanto celebre vaticinio cioè, che quella sua maniera averebbe in tempo prodotti molti grossi Artefici. Ma non fu sì misera la nostra Città, che nel tempo stesso, che in tal modo in essa per la più parte si operava, altri eziandìo non ne avesse, che camminando per via diversa, ed a seconda degli ottimi Pittori, di cui poeti' anzi facemmo menzione, non giungessero ad ornar sé stessi in grado eminentissimo, e dell'ottimo disegno, e dell'ottimo colorito; onde potessero andar di pari, stetti per dire, con qualunque, queste bell'arti aveva innanzi a loro professate. Uno di costoro adunque fu il non mai abbastanza lodato, Lodovico
Cardi da Cigoli, il quale essendo stato da natura arricchito di un'animo nobilissimo, di bontà, e di prudenza, d' amorevole tratto, e di tutte quelle doti, che vagliono a render un' uomo naturalmente perfetto; in quello poi che all'arte sua apparteneva, s'avanzò tanto, che potè essere per eccellenza, da chi ben conobbe suo gran valore, chiamato il Tiziano, e 'l Coreggio fiorentino, con che a gran misura averebbe alla Patria nostra, ed all'arte stessa da per sé solo quel pregio, e quella rinomanza, che ne' tanti, e tanti, che pur ora detti abbiamo, si era alquanto abbassata.
Volendo dunque noi dar principio a parlare di quello grand'uomo, diremo primieramente, come nel passato Secolo, fra il 1550 e 'l 1560 nell'antico Castello di Cigoli in Toscana, non molto lungi dalla Città di S. Miniato al Tedesco, vivevano congiunti in Matrimonio Gio: Batista d'Olivieri Cardi, e Ginevera Mazzi fiorentini, l'uno, e l'altra persone dotate di gran civiltà, e di sustanze ragionevolmente provvide, e per non lasciar cosa, che sia venuta a notizia nostra, soggiungeremo, come appresso a quelli due, per quanto era solito talvolta raccontare lo stesso Lodovico Cigoli, era assai invecchiata tradizione, che tale lor famiglia de' Cardi avesse avuto suo principio dalla nobilissima de' Gualandi della Città di Pisa, mediante uno di essa, che per non so quale accidente si portasse a Cigoli, e quivi stanziasse , ed avessevi figliuoli , da' quali poi derivarle un certo Cardo, dal nome di cui fusse sua descendenza cognominata de' Cardi. Che che si sia di ciò poco rilieva, giacche quegli, di cui ora siamo per parlare, o fusse da una sì lllustre Casata derivato nel Mondo, pure da altra men rinomata avesse tratti i suoi principi, seppe guadagnarsi tanta gloria, che non pure può a mio credere, renderne abbondante lui stesso nella memoria degli uomini nei Secoli, che verranno; ma eziandio accrescerne non poca ad ogn'altro, che contar si possa fra' suoi, qualunque siano srati anche nobilissimi progenitori. Venne poi questa famiglia ad abitare nella Terra d' Empoli, sette miglia lontana da Cigoli verso Firenze, ritenendo però sempre in esso Castello di Cigoli sua Casa, Villa, che dir la vogliamo; nella eguale a' 21 di Settembre del 1559 ebbe i suoi natali il nostro Lodovico. Ne sarà cosa difficile il venire in cognizione dello spirito grande, che egli diede a conoscere in sé stesso, ne' primi anni di sua fanciullezza mentre sappiamo, che l'applicarlo allo studio delle lettere umane, furono i primi pensieri del Padre suo. Studiò egli adunque nella Terra d'Empoli appresso un molto Letterato Sacerdote, chiamato Bastiano, soprannominato Morellone, sino all'età di 13 anni con tanta apertura d'ingegno, che gli bastò [018] quel poco, per poter poi in età cresciuto dar saggio di sé, con sue belle composizioni, nelle più famose Accademie di nostra Città, risolvè intanto Giovan Batista suo Padre di portarsi ad abitare a Firenze, e indi a poco vi su dichiarato Cittadino: ma Lodovico il figliuolo scoprendo ogni di più suo naturale talento, e l'alto genio alle buone arti, datosi a vedere le stupende Pitture di questa Città, sentissi così forte stimolare dal desiderio d' applicare anche a cose di Disegno che ormai non poteasi riconoscere in lui, quale de' due affetti, o quello delle lettere, o quello di sì bell'Arte, maggiormente occupasse i suoi pensieri, perché in un tempo stesso mescolando l'uso di questa, e di quelle, e studiava sopra i libri, e disegnava sopra carte, piccole, e spiritose figure, sin che vinta finalmente sua volontà dall'amore della Pittura fu d'uopo al Padre, benché contro sua voglia, ad essa applicarlo. Viveva allora, ed operava in Firenze con non ordinario grido Alessandro Allori, stretto parente, e Discepolo
del celebre Agnolo Fronzini, e su quegli, a cui, mediante gli ufficj di Jacopo Salviati Nobile, e Ricchissimo Cittadino di nostra Patria, diede la sorte un tanto Scolare, e la grazia eziandio di comunicarli per quattro anni continui gli ottimi precetti dell'Arte sua, sin che caso occorse, a cagion
del quale, poco mancò, che egli medesimo si conducesse a far perdita d'un tanto Scolare, e il Mondo tutto d'un sì grand'uomo, quale egli poi riuscì, e andò il fatto in questo modo. Aveva Alessandro Allori alcune stanze per entro i Chiostri della Venerabile Basilica di S. Lorenzo, ove, come studioso che egli era della Notomia, introduceva del continuo umani Cadaveri, cuegli scorticando, e tagliando a suo bisogno, ed al giovanetto Cigoli, non so sé per far compagnia al Maestro, o pure per appagare suo gran genio in quegli studij tanto necessarj all'Arte sua, veniva fatto il passare i giorni, e talora l'intere notti fra quelle malinconiche operazioni, quando non potendo a lungo andare sua tenera età far riparo alla violenza, che facevano a' suoi sensi gli odori corrotti, e gli spaventosi aspetti di quei morti, aggiunta l'immobile fissazione, con che egli gl'andava osservando, e disegnando, finalmente gli fu forza il cadere sotto il peso d'una mala sanità, che oltre i più altri travagli, che gli apportava, non solo gl'impediva l'uso delle membra, ma di quando in quando facevalo patire accidenti di mal caduto, tarto, che egli fu obligato da' Medici, a fine di campare sua vita, ad abbandonare Firenze, ed all'aria nativa ritirarli nella sua Villa di Cigoli, dove non andò molto, che per arruoto alle sue disgrazie, quella li sopravvenne della mancanza per morte prima del Padre, e poco dopo della Madre. Costituito dunque il povero giovane in istato di tanta miseria, dico senza sanità, e senza i Genitorii, quasi quasi fu forzato a deliberare di lasciar la Pittura per istarsene, come gli fusse riuscito il meglio, nella propria Villa, non per altro fare, che vivere, ed alquanto attendere alla conservazione del proprio avere, massime essendo egli di tre fratelli il maggiore e quegli a cui tal carico s' apparteneva; tuttavia, con più animo e l'amore all'arte, talché forse non si lasciò portare de! tutto da tal pensiero; ma andava spendendo il giorno, or disegnando da' rilievi, or da' naturali, or dando alcuna cosa da fare a' pennelli , ed intinto con buona regola della vita, e coll'ajuto de' miedicamenti, [019] andava in traccia della primiera salute. In tal modo, ed in tali occupazioni consumò il Cigoli presso a tre anni, e finalmente volle il Cielo, che consumate le cagioni de' terribili accidenti del mal caduco, ritornasser le forze, ed egli del tutto libero dal male si rimanesse . Or qui non è da affaticarsi in pensare quali fussero in lui i nuovi fervori nelli studj del Disegno, e della Pittura, co' quali con non poco vantaggio riparò al perduto tempo, ed avendo per avventura riconosciuto il dono della nuova sanità dall'intercessioni della Gran Madre di Dio, volle che a suo onore fusse esposta al pubblico la prima Pittura, che dopo il male avessero partorita i suoi pennelli, che su un'Immagine della medesima con altre figure, stata chiamata poi la Madonna dello Spasimo, ed altrimenti anche la Madonnina, alla quale fu dato luogo presso al Castello di Cigoli, che in segno di ricevute grazie, essendo stata in tempo adornata di gran quantità di voti, diede occasione a' Nipoti di Lodovico di fabbricarle una devota Cappella, per entro li quale viene tuttavia da quei del Paese adorata. Aveva il Cigoli, stanco ancora in Firenze applicato alla Pittura, contratta non ordinaria amicizia col celebre Bernardo Buontalenti, da cui aveva ancora appresa l'Architettura: or mentre egli stava disegnando suo ritorno a quella Città, gli comparve una lettera d'esso Bernardo, con una molto pressante persuasione d ritornavi ben presto, per subentrare in certi lavori, vacati per morte del Crocino Pittore di grande espettazione, fra' quali era un S. Francesco di Paola per la Chiesa di S. Giuseppe de' Frati Minimi, ed una stanza (si crede a Grottesche) nella Reale Galleria. Egli subito diede orécchio alla chiamata: accettò alcune dell'opere proposte; ma volle farle nella propria Casa di Bernardo, come quegli, che molto prometteasi dall'assistenza di tal tono. Era solito portarsi alcune volte alla Casa del Buontalenti, il Gran Duca Francesco gran Mecenate di queste Arti nobilissime, ed una fra l'altre avendo vedute le Pitture del Giovane Lodovico, e scorte eziandio le sue spiritose, e nobili maniere, non solamente con lodi, ma con doni incominciò a farlo ogni di più animoso, al corso di sue onorate fatiche. Così possiamo noi con verità affermare, che da questo punto mutatesi in tutto, e per tutto, dall'esser di prima, cioè in prospere, e molto aggradevoli le sue viste fortune, egli incominciasse a godere giorni felici, ne' quali poté darsi da dovero a' tanto desiderati studj, ed al fine che ciò più sicuramente gli riuscisse, s'accostava bene spesso a Santi di Tito Pittore, che in quanto a disegno, attitudini, e componimento di figure nell'Istorie appartiene godeva allora in Firenze il primo grido, tutto che nel colorito non giungesse a toccare l'ultimo segno. Col consiglio dunque di costui, volle il Cigoli in questi tempi sempre operare, con che incominciò a dare grandi saggi di se stesso. Era in uso allora, come altrove abbiamo detto, il bel costume nell'Accademia del Disegno, d'obbligare ogni Pittore, che volesse in essa aver luogo, a dipingere un quadro, e quello presentare alla medesima, per rimanervi per sempre per Testimonio del suo valore, onde volendo Lodovico al suo debito sodisfare per condursi all'onore d'esservi ascritto, dipinse un bel quadro per la medesima, in cui rappresentò la Storia di Caino ed Abele. In questi tempi fece ancora un Deposto di Croce, dopo averne fatti con studio non ordinario il cartone: colorì [020] un S. Girolamo in istato di penitenza, un S. Giovanni nel Deserto, una piccola Tavola d'una Nonziata, ed altri molti quadri, tutti però di maniere diverse, come quegli, che sin dalla tenera età, non ebbe mai a grado il modo di tignere, che in Firenze si teneva per la più parte de' Pittori, procurando al possibile di disegnare quante più opere poteva di Jacopo da Pontormo, non una, ma più volte, e quante altre di simiglianti Artefici venivano a sua cognizione in questa Città, e specialmente quelle di Michelagnolo Buonarruoti, di che ella non punto invidiando Roma, è si abbondante, e ricca; e nello studiar queste, volle per lo più aver in sua compagnia Andrea Comodi Giovane suo amicissimo, del cui valore, sì nel modellare, come nel dipignere d'ottimo gusto parleremo a suo luogo. Disegnavale sopra carte, ora spezzate, ora intere e talora modellavale di terra, aggiungendo come preparatorio necessarissimo a quella sorta di studio il disegnare, e modellare con cera in ogni veduta un Scheletro umano, che egli a tale effetto si teneva in Casa; e di tali Scheletri, così disegnati sopra carta azzurra, lumeggiati con gesso veggonsi molti, oltre a' quanti fra più disegni del medesimo Cigoli ne conserva chi queste cose scrive, ma conciossiacosache tendesse allora ogni suo fine a condursi a' posti di singularità nel dipignere, la quale consiste, non pure nell'ottima maniera del colorire, e inventare, ma eziandìo nel possesso d'ogni altra facoltà appartenente al Disegno, vedendo quanto gli mancava, non ostante i primi studj fatti appresso il Buontalenti in prospettiva, e Architettura, di nuovo sotto la scorta del medesimo vi s'applicò, al che s'aggiunge il favore offertoli da un certo M. Ostilio Ricci di leggerli le Matematiche nel tempo stesso, che egli nella Casa pure di Bernardo, ne dava lezione a D. Giovanni de' Medici; parve veramente, che tale nuova applicazione a sì fatti studj gli fusse stata persuasa dal Cielo, perché non andò molto, che dovendosi dal Buontalenti, come primario Ingegnere dei Gran Duca, ordinare varj apparati, Archi trionfali, e Rappresentazioni per causa delle Nozze di D. Cesare da Este, del Duca di Mantova, del Gran Duca Francesco, e poi di Ferdinando Primo, largo campo s'aperse il Cigoli di dovervi, e potervi far cose grandi, e degne dell'ingegno suo. Diede egli pure in questi medesimi tempi grand'opera a formare pensieri, schizzi, disegni, e modelli per la facciata di S. Maria del Fiore, in che molto gli giovò pure l'assistenza di Bernardo , che in simile affare s'era anch'egli molto affaticato, e andavagli scoprendo le difficultadi, che in porre ad effetto quella grand'Opera si poteano incontrare, e 'l modo eziandìo di superarle. Vedesi sino a' di nostri il bel modello fatto dal Cigoli per entro la Guardaroba dell'Opera del Duomo, ed è composto di due ordini, il primo è Corintio, il secondo è Composito, e le tre porte sono Doriche, e questo modello de' molti altri che ve ne sono, tutti d'Eccellenti Maestri è il minore sì in grandezza; ma a' parere di Periti, forse in bellezza, di tutti gli altri maggiore.
Era cosa maravigliosa nel Cigoli il vedere, come egli fra tante mentali applicazioni, non mai s'allontanasse dallo studio della Pittura, in quello particolarmente, che apparteneva all'acquisto dell'ottima maniera del colorito. A tale oggetto si portava spesso da Gregorio Pagani, Giovane di sua età , che già vi aveva fatto gran profitto, e dentro alle sue stanze, dietro [021] al Convento de' Servi, ove oggi è il Palazzo de' Guadagni, rimase a Gregorio, come in custodia, finché Girolamo Macchietti, detto altrimenti del Crocifissajo fusse tornato di Spagna, dove era stato chiamato a dipignere. In quelle stanze adunque tratteneva collo stesso Gregorio, disegnando tuttavia al naturale: conferendo con esso a vicenda le difficultadi, che per giungere ad un modo di colorire naturale, e vero si frapponevano a' loro studj; che son quelle finalmente, ove va a cadere ogni professore, anche dopo essersi lungamente affaticato in cercare di bene intendere il rilievo, l'attitudini, le proporzioni, il componimento, ed altre a queste simiglianti cose; ma perché a chi veramente desidera il profitto, e bene sta in su l'avviso, rare volte, o non mai mancano congiunture d'appagare sua volontà, una se ne porse loro in quel tempo, e su che nella Chiesa di S. Piero d'Arezzo nella Cappella della Compagnia della Misericordia, fusse mandata una bellissima Tavola di Federigo Barocci, onde venutane loro la notizia, subito rimosso ogn'indugio, colà si portarono, la videro, e vedutala bene la studiarono, e non fu gran fatto, che il Cigoli al suo ritorno a Firenze incominciasse a dar segni d'essersi alquanto confermato a quella maniera nelle sue Storie a fresco, che gli furon date a fare nel Chiostro nuovo di S. Maria Novella, ciò furono per Lucrezia Strozzi S. Vincenzio Ferrero, che piglia l'Abito da S. Domenico, e per Vincenzio, e Giuliano de' Ricci lo scendere dei Sig. al Limbo; gli fu anche dato a fare nella Chiesa della Congrega della Concezione, presso all'Altar Maggiore dalla parte dell'Evangelio una Storia della Nascita di Maria Vergine, che tutte l'altre da lui fatte sin'allora superò in bontà; essendo poi a' dì nostri stata quella parte della Chiesa, a spese della famiglia de' Passerini, e con Disegno di Pier Francesco Silvani riccamente adornata di nobili Architetture, non è più stato luogo a godersi la bella Pittura del Cigoli, essendo rimasta sotto i nuovi Ornamenti. Tornando ora al nostro Artefice, avendo egli dopo lo studio della maniera del Baroccio, vedute alcune delle maravigliose Pitture del Coreggio, tanto se ne invaghì, che volle copiarne, quante ne poté avere, e da quell'ora mutato pensiero, all'imitazione di tal maniera, solamente indirizzò ogni suo studio, e fatica, solito di chiamare il Coreggio singulare Maestro del colorito. Dipinse poi un'Istoria a presso nel Cortile della Petraja, Villa de' Sereniss. di Toscana, de' fatti di Goffredo Buglione, ma questa pure per essere esposta all'ingiurie del tempo ebbe poca vita. Ebbe ancora a fare più Tavole, le quali condusse d'ottimo gusto: ciò furono, un Cenacolo per la Terra d' Empoli, la Concezione di Maria Vergine per Pontormo, e per la Chiesa di S. Croce di Firenze, nella Cappella de' Risaliti, dipinse la maravigliosa Tavola della Pietà, o vogliam dire della Santissima Trinità, in cui si vede lo Dio Padre, e la figura di Gesù Cristo morto, v'è lo Spirito Santo, e da i lati due Angeli, ed è da notarsi in questo luogo, come fra' quadri d'alto pregio, che possiede il Marchese Filippo Corsini, degno Nipote dell'Eminentiss. Cardinale Neri, è una Testa con ispalle, e parte del petto, fatta come si crede per istudio della stessa figura del Cristo morto, cosa rarissima, quanta altra mai ne uscisse dalle mani di tal Maestro. Risolutosi poi a pigliare alcune stanze nella strada detta il Campaccio, sotto la Parrocchiale di S. Lorenzo, vi dipinse molti quadri per nostri Cittadini; ed [022] occorse, che un giorno Santi di Tito, il quale poniamo dire che fusse stato, in gran parte suo Maestro, trovandosi da lui, e vedendolo operare sopra uno di essi, alla presenza di colui, che glie lle faceva fare, con quella libertà che s'era acquistato col suo gran possesso del Disegno, di correggere ogni Artefice, quando gli parea, che bisogno il richiedesse, sorte il riprese dell'aver posto in uso il verderame, colore, ente come egli disse, per esperienza fattane in brevità di tempo diventava nero, ed ogni bella Pittura guastava; ma il Cigoli, che per lungo corso di tempo s'era dato a speculare modi di mantenere i colori freschi, ed accesi sopra le Tele, e Tavole per lunghissimo tempo, ne più ne meno, come sé pure allora vi fussero stati posati, su in quell'istante per entro l'interno suo preso da collera, e non poca, ma seppe reprimere quel moto, usando solamente queste parole in risposta. M. Santi abbiatemi per iscusato, se io vi rispondo, il che per avventura fare non dovrei. Io tengo opinione, che possa bene il verderrame, e qualche altro colore ancora fare gli effetti, che voi accennaste, ma però sotto le mani di coloro, che aggiustare, e mescolare non lo sanno: ma non già a chi può avere imparato da voi a maneggiare i pennelli, siccome per grazia vostra potrei far io. E Santi a lui; ben sapete, che io non ebbi intenzione di parlare di voi, di cui troppo ben note mi sono le abilitadi, e i talenti; e così il Cigoli con una riverente; e piacevole risposta giustificò sé stesso, placò il Maestro, e insiememente il lodò, e diede occasione al Gentiluomo, che quivi era presente, di formar concetto maggiore dell'animo, e della virtù sua. E' però da notarsi in questo luogo, che Lodovico nel fare gli studj, che detti abbiamo sopra le qualitadi, e la natura de' colori, e il modo di perpetuarli al possibile, ne scrisse di sua mano un dotto libro; ma non andò molto, che il medesimo con infinito suo dolore gli fu sottratto, senza che mai, ne da lui in vita, ne dopo la morte di lui si potesse venire in cognizione, ove capitasse; abbiamo ben noi veduti alcuni framrmenti, o per meglio dire, alcune prime bozze fatte per tale opera sopra fogli disegnati di sua mano, distese in quel modo, che allora gettò sua penna, dopo averne fatta esperienza, i quali benché brevissimi scritti non lasciano di mostrare per la novità dell'avvertenze avute, e delle materie usate, la profondità dell'ingegno suo, e la sua attenta, ed accurata investigazione. Occorse non molto dopo a questi tempi, che il soprannominato Federigo Barrocci, mandasse a Perugia un'altra sua bellissima Tavola d'un Deposto di Croce; e il Cigoli, a cui non mancò mai il desiderio di vedere il più bello nelle cose dell'arte, accordatosi col Passignano, insieme con esso si partii a quella volta; ed era solito dire lo stesso Passignano, che nel veder che fecero opera sì bella, furono per isbalordire; e Lodovico che fino a quel giorno s'era tal volta lasciato intendere, che per quanto aveva fino allora veduto d'opere de' viventi Maestri, non s'era presa di loro molta paura, nel vedere questa seconda Opera del Baroccio si diede per vinto; e tornato di subito a Firenze, volendo pure per ogni modo procurare d'avanzarlo, si gettò più che mai all'imitazione del Coreggio, e non è mancato chi abbia detto, che egli a tale effetto viaggiasse poi per la Lombardia; non abbiamo già di ciò riscontro, che vaglia; questo bensì pare a noi di poterle affermare, cioè, che pochi, o niuno fra' Professori di Pittura sono stati, che dalle opere di quel singolarissimo [023] Maestro abbian tratto profitto eguale a quello del Cigoli; che però a gran ragione, come sopra accennammo, egli s'acquistò presso a molti il nome del Coreggio Fiorentino. Di questa terza maniera colorì egli per lo Sereniss. Gran Duca il bel quadro della Diana giacente col Satiro, e 'l Cane opera bellissima, che oggi si vede nel Palazzo de' Pitti.
In questi tempi medesimi [tanto era nel Cigoli il capitale dello spirito] non solamente egli attese alle fatiche dell'arte sua, ma diede anche luogo al coltivamento d'un suo bel genio di vaga, e nobile Poesia, la quale, secondo l'antico detto di quel Greco, egli era solito di chiamare una Pittura parlante, e tanto vi s'approfittò, che montato già in grande stima fra' Letterati di nostra Patria, sorti d'esser accettato per uno della nobilissima Accademia della Crusca, nella quale con una erudita Orazione in ringraziamento del ricevuto onore, fece anche viepiù conoscere la chiarezza di suo intelletto. Parevagli però, che la Poesia senza la Musica, non facesse di sé stessa quella bella mostra, che tel'è solita di fare con sua accompagnatura, onde diedesi all'apprendere tale facultà, ed insieme con essa una squisita maniera di sonare il Liuto; in che non può negarsi, che (essendo egli per altro poco tirato da desiderio di guadagno, ed anche poco bisognoso) ei non si divertisse alquanto dall'unico intento suo, che era la Pittura; onde bene spesso per la Musica, e per lo sonare tale strumento, dava di grandi riposi a' pennelli. Occorse allora, che avendo egli fatte alcune opere per lo Castello di Figline, nel quale ancora si dovevano dipignere due Tavole, una ne fu allogata a lui, per rappresentare in essa il Martirio di S. Lorenzo; fecela egli con grande studio, rispetto massime alle vedute di prospettiva, che dovevan fare effetto, nel piano e nella Graticola; e riuscì cosa bellissima; non su però, che egli portato dal disìo di sonare, non indugiasse molto a condurla, tanto che avendo già il Pittore, a cui era stata l'altra allogata finita sua fatica, domandiate di ciò che facesse il Cigoli della sua, disse, che più gli piaceva il sonare il suo Liuto, che l'attendere a dar fine alla Tavola; il che saputosi da Lodovico, dopo essersi anche accorto, che la Pittura (la quale all'occhio d'ognuno che non aveva la gran cognizione, el buon gusto, che esso aveva, compariva maravigliosa) a cagione di tale suo divertimento, non era riuscito a suo modo, preso il Liuto, e strappatene a viva forza le corde, diedegli luogo da non più rivederlo, non che sonarlo, ed era solito dire d'essere non poco obbligato a chi una tale apprensione avevagli tolta dall'animo.
Dovendoli intanto per lo Palazzo Sereniss. A' Pitti dipignere una Tavola della Resurrezione del Signore, per una Cappella del Regio Appartamento del Gran Duca Ferdinando Primo, che oggi è quello stesso, che stato per gran tempo destinato alloggio de' Principi forestieri, serve ora per la Sereniss. Violante Beatrice di Baviera Principessa di Toscana, fu dato l'ordine a diversi valorosi Artefici di farne disegni, e poi fu loro domandato, se ponendosi in esecuzione i già da loro dimostrati pensieri, sarebbero venute nell'opera le figure, fino ad una certa loro determinata grandezza, al che risposero tutti, che no, per essere lo spazio troppo angusto. Trovavasi a questo discorso il Signore D. Giovanni de' Medici, al cui ottimo gusto, e cognizione di tali materie, poco soddisfece la risposta de' Pittori, onde troncato [024] il discorso, prese egli l'assunto di ordinar la Tavola ad altri, e subito diedene l'incumbenza al Cigoli, che fece suo disegno, scherzando graziosamente coll'attitudini, e quelle a forza di scorci di vicini, e di lontani, e d'altri industriosi Artefici, condusse prima in disegno, e poi fece l'opera colle figure della destinata grandezza; fecela vedere a' Serenissimi, con dire, nulla essere impossibile, a chi vuole, e ne riportò accrescimento di stima e d'amore. Rappresentò egli in questa Tavola Cristo Signor Nostro Risorgente, e fecevi, sette, o Otto figure di Soldati, uno de' quali atterrito dal Terremoto, si chiude con le mani gli orecchi per non sentirne il rumore, mentre fa mostra di cadere in Terra. Due ve ne sono d'impareggiabile bellezza, che spiccando in chiaro sopra la veste dell'Angelo, maravigliosamente rilievano; ed in lontananza in vaghe attitudini si veggiono le Marie. Non andò molto, che per lo celebre Girolamo Mercuriale da Forlì Lettore primario allora nello Studio Pisano, egli ebbe a dipignere l'Istoria della Cena del Signore in Casa il Fariseo, e la Maddalena, che riuscì quel tanto rinomato quadro, che a tutti è noto, intagliato poi per mano di Cornelio franzese. Ebbe il Cigoli, nell'ordinar quest'opera, la bella avvertenza di figurare la persona del Signore a Tavola, non a sedere, come quasi tutti i moderni il dipingono, ma giacente al modo, che da antichissimi, e gravissimi Autori sappiamo, che si praticava in quei tempi.
Sopra di che veggasi quanto da noi è stato scritto nelle Notizie della Vita di Santi di Tito, Parte Seconda, del Secolo Quarto dal 1550. al 1560. ed è verisimile, che tal modo di rappresentare il Signore, giacente, e non sedente, fusse suggerito al Cigoli dallo stesso Mercuriale, giacché abbiamo nel primo Libro della sua Gimnastica al Cap. XI. De accubitu in Coena antiquorum, tanto, quanto basta per mostrare, che anche quel dottissimo uomo era di tale opinione, ormai fra' più pratici d'antichità, senza alcuna dubitanza ricevuta, e per verissima creduta. Per Massimiliano Mercuriale pure di Forlì, fece un quadro , al quale fu dato luogo nella Cappella di S. Mercuriale. Fece ancora il Cigoli in quelli tempi per le Monache di S. Salvi un bel quadro d'un Crocifisso, e per la Libreria de' Frati di S. Domenico di Fiesole, la figura di Maria Vergine, nella sua salita al Cielo; e per la Terra d'Empoli in una Tavola Eraclio portante la Croce. Per Jacopo Giraldi nostro erudito Gentiluomo colorì due quadri di Misterj della Passione del Signore; in uno fece vedere la Coronazione di Spine, facendo pigliare il lume all'Istoria da un Lanternone, sostenuto da uno de' Manigoldi, la cui armatura, percossa da quella luce, illumina altresì coll'altre figure la faccia del Redentore; nell'altro quadro, che da' professori dell'arte, è reputato maggiore d'ogni stima, rappresentò lo stesso Signore mostrato al Popolo. Queste figure conservano oggi, fra altre di singulari uomini, gli Eredi dello stesso Jacopo, insieme con un bel quadro pure del Cigoli d'una Santa Caterina Sposata dal Signore; v'è Maria sempre Vergine, e S. Giuseppe, appoggiato ad un santo. E' anche in Casa Giraldi di mano del Cigoli uno stupendo Ritratto, testa sola con collare a lattughe, che è Concino Concini, Governatore di Normandia, Maresciallo d'Angrè, il quale Ritratto pervenne in quella Casa per mancanza della sua linea masculina per via di Donne. Si scorgono nella fronte di quella vivacissima faccia, [025] tre segni del Vajuolo, imitati con tal facilità, e verità, che sanno conoscere, che quest'Artefice, che nel rappresentare cose nobilissime, e grandi fu grande; anche in ciò che alle piccole, e minute apparteneva, non fu piccolo. Dipinse ancora per Ascanio Pucci un S. Girolamo; per Cosimo Ridolfi un S. Francesco, in atto di orare, e la Visione di Giobbe, che poi pervenne in mano del Serenissimo Cardinale Carlo de' Medici, insieme con una Vergine, che mostra insegnar leggere al fanciullo Gesù, ed una Santa Maria nel Deserto, fatta già al Cavaliere Capinera Ricasoli, a cui pure aveva dipinto il Cigoli un S. Giovanni nel Deserto, ed un S. Francesco che riceve le Stimate. Per Carlo Guidacci, che su suo grand'amico, dipinse un S. Francesco, ed una S. Maria Maddalena, figure quanto il naturale, che poi pervennero in Casa del Sanatore Torrigiani, ove pure di sua mano, era una Testa di un'Ecce Homo.
Per lo stesso Cardinale Carlo de' Medici colorì la bellissima figura della Santa Maria Maddalena nel Deserto, poco minore del naturale ed ignuda se non quanto viene da' proprj capelli ricoperta, sta in atto di sedere, stende la sinistra mano, sopra urna Testa di morto, e coll'altra tiene un Libro, che ella posa sopra a una coscia. Conservasi oggi questo quadro nel Palazzo Serenissimo, con altri molti di mano del Cigoli, e fra essi una Vergine col fanciullo Gesù, che tiene in mano alcuni fiori. Non istarò a dire molto, della bellissima Tavola, che dipinse per la Chiesa Parrocchiale del Pontadera, e di quella altresì per la Città di Cortona, ov'è la Vergine con quattro Santi, tutte opere di pregio, richiamandomi a parlare di loro, le due stupende, che veggiamo, una nella Chiesa di S. Marco de' Frati Predicatori, ov'è Eraclio, portante la Croce a Gerusalemme, nella quale non è ne testa, ne figura, che non iscopra in sé qualche maraviglia dell'arte, oltre a quanto ne dicono; l'invenzione, la disposizione, e l'accordamento. Di rara bellezza è la figurai d'una femmina, e d' un fanciullo; che si scorgono in prima veduta, e quella altresì dell'Angelo, che in aria tiene in mano il Sacrosanto Segno; e gran disgrazia per certo fu di questa bell'opera, il trovarsi per sempre sequestrata in luogo sì fattamente contrattato dagli opposti lumi di quella Chiesa, che non può a gran segno far mostra di quella bellezza, di che con i grand'industria l'aveva l'Artefice arricchita. L'altra Tavola è quella, che egli condusse per la Chiesa di S. Francesco di Cortona, rappresentando il miracolo del Santissimo Sacramento dell' Altare, a cui mentre dalla mano di S. Antonio da Padova era portato a vista di quell'incredulo, su prestata adorazione dal vile Giumento: della bellezza e bontà di quest'opera, come non veduta da me, io non saprei dir più, di quello, che ne ha a me rapportato Francesco Baldelli di quella Città, Gentiluomo di grande erudizione, e nelle cose appartenenti all'arti nostre, non meno intendente, che nell'amore alle medesime, ed agli Artefici singulare; dico bene, che ella riuscì di tanto gusto al medesimo Cigoli, che egli volle portarsi in persona colà, per porla a suo luogo, e ne partì contentissimo; fecegli fare questa Tavola Curzio di Marsilio Tomasi marito di Caterina Buoni, unica figlia, e Erede di Anton Buoni Cittadino fiorentino, e Cortonese, che l'Anno 1596. fece edificare al Santo la Cappella, in cui su posta, la quale poi passò in padronato di Fra Gio: Tommaso Tomasi [026] Cavaliere Gierosolimitano, Commendatore di S. Casciano, e S. Croce di Perugia, e de' suoi Nipoti. Per la Chiesa di S. Domenico della stessa Città di Cortona, fece il Cigoli anche una Tavola del Santissimo Rosario, con S. Domenico, e S. Antonino Arcivescovo di Firenze, con altri Santi; in questa il Cigoli non riuscì gran fatto simile a sé medesimo, con ciò fosse cosa, che essendo stata fatta fare di limosine da certe donne di quella Compagnia, tanta fu per quanto si disse l'importunità loro verso il Pittore, acciocché discostandosi dal bellissimo concetto, che egli a principio, s'era prefisso, obbedisse alle loro sconcertate fantasie, obbligandolo ad aggiungere in esso, or quello, or quell'altro Santo, che la sua pazienza si diede per vinta, e così come ella venne fatta, per togliersi da sì stucchevole fastidio, a loro la consegnò. Per lo Castello di Fucecchio dipinse un S. Francesco, che riceve le Stimate; per la Chiesa delle Monache di S. Marta di Montopoli un Lazzero resuscitato; per la Città di Colle una Pietà; per Pisa la Tavola del Presepio, per la Chiesa di San Francesco; ma bella oltre ogni credere è la Tavola del Pilastro in S. Maria Novella, ov'è rappresentato S. Pietro Martire, in atto di Martirio. Fu questa Pittura fatta, e ornata di marmi, in forma di un nobile Tabernacolo, da quei della famiglia de' Benedetti. Di questa non si contentò il Cigoli di far grandi studi in disegno, ma anche ne volle far modelli in Pittura di varia invenzione, uno de' quali in piccole figure, bellissimo, conservano in Casa loro gli Eredi del Marchese Senatore Ottavio Pucci, stato a caso riconosciuto fra altri di diversa mano, da chi quelle cose scrive in una lor Villa, è però' stato condotto in Città. Vedesi nella Chiesa di S. Maria Maggiora de' Frati Carmelitani la bella, benché piccola Tavola del S. Alberto, dissi bella, benché piccola non pure per molte ottime quaitadi, che tale la mostrano, ma perché in gran piccolezza seppe egli fare apparire molte figure, tutte quanto il naturale, cioè a dire il Santo, e le persone di alcuni Ebrei da lui liberati, dal pericolo d'annegarli; ma giacché parliamo di quella Tavola, è anche da sapersi, che l'Architettura, che di qua, e di la, e sopra alla Porta maggiore nell'interior parte, fa ornamento ad essa Tavola, ed a' quella, che dall'altro lato fece il Passìgnano, fu fatta con modello della stesso Cigoli. Hanno le Monache di S. Onorio dell'Ordine Serafico, dette di Fuligno, nella loro Chiesa, non lungi dalla Fortezza da basso, una stupenda Tavola pure di mano di Lodovico, ov'è rappresentato S. Francesco in atto di ricever le Stimate, a cui per esser vivo, altro non manca, che il respirare; giacché vede ogn'uomo, che ha ingegno, che avendolo figurato l'Artefice; rapito in un dolcissimo éstasi d'amor Divino, volle farlo vivo sì, ma non parlante, e veramente lo fece vivo e parlante pur troppo, mentre seppe far apparire in quel volto effetti chiarissimi delle grandi voci del suo cuore, arso dà Divin fuoco. Hanno quelle Madri per tradizione, che il Cigoli, dopo aver formata l'idea di quell'Opera, e fattone il disegno, e forse anche abbozzatala, desiderando di eleggere per la Testa del Santo un'aria devotissima, e per quanto fusse stato possibile somigliante il vero, se ne stesse in un forte pensiero, quando batté la porta di sua casa un povero Pellegrino, domandando limosina, e che il Cigoli fissandogli ben gli occhi addosso riconoscesse quel volto, accomodato [027] appunto quanto abbisognava per Io suo quadro, onde chiamatolo in casa, e ben ristoratolo di cibo alla propria mensa, lo tenesse al naturale per la Testa del Santo, e fattone il Ritratto in piccola tela, l'originai del quale, con sette altre Teste di vecchi, fatte pure per primi studj di Tavole dallo stesso Cigoli, conserva il Marchese Filippo Corsini, traessene la devota immagine, che vede ognuno con istupore; soggiungono che il Pellegrino, dopo aver servito al bisogno l'Ospite suo, con buon modo si partisse da quella Casa, e che non più, ne dal Cigoli, ne da altri si rivedesse. Può esser che fusse questo successo, cosa meramente naturale, ma pure noi sappiamo, non solo esser possibile a Dio l'onorare i suoi Santi con modi miracolosi ma quando ciò fusse seguito per opera soprannaturale, sappiamo ancora che questa non sarebbe stata la prima volta, che alle formazioni di Sacre Immagini, fusse concorsa la Divina Provvidenza, con modi prodigiosi. Questo però è verissimo, ed il conosce ognuno, che ha occhio erudito in queste arti, che la Testa del Santo è fatta dal naturale, e non d'invenzione del Pittore, onde convien dire, che, o con miracolo, o senza miracolo, concorse particolarmente la Divina Provvidenza a fare, che potesse il Cigoli trovare un volto, in cui concorressero qualità sì da non poter esser mirato senza devozione, e compunzione. Questo stesso effetto veggiamo portarci la bellissima sua Tavola, che egli per carità fece a' frati Cappuccini di Montui, nella quale la Vergine Santissima Annunziata, dall'Angelo, sa conoscere quanto possa un'eccellente, e molto devoto Artefice, quale fu egli nel rappresentare con amorosa attenzione l'effigio della nostra comune Consolatrice, e quanto possa la Divina grazia operare nelle Sacre Immagini di Maria. Fece per quei Religiosi, oltre ad essa Tavola, anche il disegno dell'Architettura dell'Altar Maggiore fattasi poi di Noce, per contenere in sé nel bel mezzo il Crocifisso, e da i lati sopra le porticelle del Coro, li due quadri di fatti di S. Francesco, opera a pennelli di Jacopo Ligozzi. Ma che diremo della grande, e stupendissima Tavola, fatta da lui l'Anno 1587 per le Monache di Montedomini, ove è rappresentato il Martirio di S. Stefano. Qui veramente il Cigoli si mostrò tanto superiore a sé stesso, quanto ad ogni più eccellente Artefice del suo tempo e se il descriverla minutamente, non fusse da noi giudicato tempo perduto, giacché all'occhio solamente, e non all'orecchio appartiene il dar giudizio dell'ottime Pitture, potremmo dir cose grandi: ma il tutto tralasciando, vogliamo far noto solamente, che questa Tavola, al parere d'uomini segnalati nell'arte, e fra questi del celebre Pietro da Cortona, fu predicata per la più bella di quante egregie Pitture, possiede la nostra Città, che in ogni tempo fu madre di singularissimi Professori; ed è concetto universale, che quando il Cigoli, non avesse fatto altro, che quest'opera, sarebbesi con essa sola, a gran ragione guadagnato il nome del Coreggio fiorentino. Sappiamo, che l'Artefice per condurla, fece una gran quantità di pensieri disegni, e modelli a fine di dispor talmente le figure di quei satelliti lapidatori del Santo, che elle non si tirassero i fatti l' una, l'altra, cosa che lo stesso Cigoli diceva aver osservata in opere di Pittori, per altro lodati, ma poco accorti nel concertare gli atti delle figure loro; ci pareva che volesse ogni dovere, che alcuna cosa si dicesse da noi della persona, che col proprio denaro [028] arricchì d'una sì nobile cosa, e la detta Chiesa, e la nostra Città; ma per molto che abbiam cercato (giacché nel Monastero di Montedomini non se ne trova fatta alcuna memoria) non posiamo a tale effetto far capitale, che delle semplici tradizioni, verisimili però molto; le quali concludono, che ella fusse fatta fare, ne' tempi di uno Stefano Fontani Procuratore delle Monache; e che ciò seguisse a spese di Zaccheria Tondelli, stato per gran tempo fattore del Monastero, e che la Testa del Vecchietto con barba piccola, che si vede in lontananza dalla parte dell'Evangelio, sia il suo ritratto, al naturale; che questi fusse stato un gran benefattore di quel luogo è ben noto, giacché, per avergli lasciata sua eredità, ogn'anno in quel Monastero si fa memoria di lui; non è anche mancato chi abbia detto, che non esso, ma il Fontani la facesse fare a sue spese, e che di sua persona fusse il ritratto, e non del Tondelli; ma noi per giusti titoli prestiamo più fede al primo parere. Passando ora ad altre Opere del Cigoli, diremo, che nella Chiesa de' Servi di Pistoja è di sua mano la Tavola della Natività di Maria sempre Vergine, della quale gli studj, e pensieri, che in diversi tempi son venuti solamente sotto l'occhio nostro, sono in grandissimo numero, cosa che ben fa conoscere, non pure la ricchezza, e vastità delle sue nobili Idee, ma eziandio l'ottimo gusto suo, nel far sempre fra tanti concetti elezione del più bello. Non è anco da passarsi in silenzio la Tavola del Battesimo di Nostro Signore fatta per lo Duomo di Livorno. Quella eziandio del Sacro Eremo di Monte Senario, ov'egli rappresentò un Presepio. La Tavola del S. Pietro, che cammina sopra l'acque per la Parrocchiale di Riottoli, non lungi dalla Terra d'Empoli, e quella altresì, che è per entro la Compagnia della Croce nella medesima Terra, ov'è la Deposizione di Cristo Nostro Signore dalla Croce; ed un' altra pure nella Compagnia del Sacramento contenente la Cena del Signore; è anche opera del suo dottissimo pennello la Tavola dell'adorazione de' Magi, posta all'Altare della Cappella degli Albizi in S. Pier Maggiore. Questa al certo non ha parte in sé, che bellissima non sia, sonovi arie di Teste stupende, ricchezza, e nobiltà; è maraviglioso nel suo genere un ritratto d'un Cane, della bellissima, e grande razza di Inghilterra, a cui per parer vivo, altro non manca, che il moto: ma non su questa l'unica volta, che il Cigoli con tanta bravura, vivacità, e spirito, ritrasse così fatti animali; perché io mi ricordo fin dal tempo di mia fanciullezza averne un'altro veduto della stessa qualità, fatto per uno della nobil famiglia de' Ricasoli, e quello stesso Cane, per quanto a me raccontò un'antico uomo della medesima nobile famiglia, a cui essendo morto il Padrone, e portato il Cadavero in Chiesa per darli sepoltura, non mai si volle partire dal feretro, sin che il Padrone sepolto non fu, poi posatosi come sbalordito in sulla lapida del Sepolcro, donde non si discostò mai, finalmente per inedia, e malinconia sopra quel sasso lasciò la vita. Devesi anche dar luogo, fra le belle Pitture del Cigoli, alla Tavola, che veggiamo all'Altar Maggiore della Chiesa di S. Gaggio Monastero di Monache poco distante dalle mura della Città, fuori della porta a S. Pier Gattolini. Vedesi in essa la Vergine Santa Caterina, disputante co' Dottori, i quali in atto reverente pare che mostrino l'alto concetto che sanno di sua Celeste Dottrina. E' bellissima un'Architettura, che fa [029] campo scuro alle figure, ed è cosa vaga a vedersi il passare che fa per un'apertura una tale persona, in atto di portare quelle legna, che dovevano essere Istrumento del Martirio della Santa. E anche opera del Cigoli un Tondo, Sopra detta Tavola, ov'è Maria Vergine; con Gesù fanciullo in atto di sposare quella Vergine. Uno de' modelli, che fece per detta Tavola venne ultimamente in potere del Sereniss. Cardinal Leopoldo di Toscana, che con averlo collocato fra l'opere de' più segnalati Maestri di Lombardia, non lo fece per ciò apparire men bello di quello, che egli averebbe potuto parere da sé solo. Niccolò Ronconi Fiorentino Cavaliere di S. Stefano, e Dottore dell'una, e dell'altra Legge, Gentiluomo che oltre alla Dottrina, possiede altre molte rare qualitadi, conserva di mano del Cigoli due quadri, a lui pervenuti per eredità degli Avi; in uno è S. Girolamo in atto di percuotersi il petto colla pietra, e nell'altro S. Francesco d'Assisi genufletto in atto di orazione, l'una, e l'altra sono figure intere, e quanto il naturale, condotte del più perfetto gusto, e della più brava maniera, che mai usasse il Cigoli; e ben che tanto nell'una, quanto nell'altra si scorga un fare maraviglioso, con tutto ciò, per essere la figura del S. Girolamo, quasi del tutto ignuda, la dove quella di S. Francesco vestita, ella si rende più ammirabile per lo disegno, e colorito del bel rosso, e dell'altre parti scoperte di quel corpo, ed è questa, a mio credere, una di quelle Pitture, nelle quali il Cigoli si fece vedere più simile a Tiziano, e ad ogni altro gran Maestro Veneto, e Lombardo, che a sé stesso. Nel quadro del S. Francesco sono scritte le seguenti parole: Lod. Card. Cigol. F. 1603. Aveva il nostro valoroso Artefice, come accennammo a principio, applicato molto, ed anche a gran costo di sua sanità, agli studj della Notomia, sopra di cui, per quanto apparteneva al disegno, si era egli si ben sondato, che possiamo affermare, che e' non avesse pari, fra quanti allora maneggiavano pennello, o scarpello. Quando comparve a Firenze Teodoro Maiern Fiammingo celebre Anatomista, al quale fu dato luogo per entro allo Spedala di S. Maria Nuova, per esercitare suo talento a prò de' Professori di Medicina e dilettanti di tale arte utilissima, e curiosissima. Allora il Cigoli, mosso cred'io da quel desiderio, che è solito d'infiammare ogn'animo gentile e far comune ad ogn'uno la propria virtù, non volle lasciare tal congiuntura, per mettersi a fare la più bella, ed utile fatica, che abbia veduta in questi ultimi Secoli la nostra Italia, e l'Europa tutta. Tale fu il modellare con cera la bella Notomia, figura intera di circa d'un braccio, in atto di posare, con un braccio levato in alto, e l'altro disteso verso la coscia, opera tanto rinomata, e così andava l'Anatomista, col quale egli strinse grand'amicizia, tagliando i Cadaveri per le sue lezioni, e 'l Cigoli profondandosi sempre più nell'intelligenza delle principali disposizioni delle parti della forma, e positura de' muscoli, del rigirare, e congiungersi, e variar de' medesimi ne' moti, e quel che è più, del loro principio; andava altresì perfezionando così bel lavoro: ma cosa occorse in questo tempo, cioè l'anno 1600 la quale quanto recò d'allegrezza alla nostra Patria, tanto fu di sconcerto al Cigoli nel seguitare opera sì bella, e su lo sposalizio di Maria figliuola del Gran Duca di Toscana Francesco Primo col Re di Francia Enrico IV. nella quale occasione ebbe egli a dare ogni sua opera [030] per la costruzione delle tanto maravigliose Scene per la Commedia, che allora in Firenze su rappresentata, ma non solo ebbe egli ad impiegarli in ciò, ma eziandio nell'inventare gli abiti di tutti i personaggi di quella, che furon tanti in numero, e fra di loro tanto diverto, e con tal proprietà, novità, e bizzarria adattati alle parti, che fu cosa da stupire, onde è, che quanti da lui disegnati in carte con penna, e acquerelli coloriti, ne venner mai alle mani degl'intelligenti del Disegno, furono, e sono al presente, come preziose Gioje, tenuti, e conservati. E' ben vero che non toccò già una simil sorte alle bellissime sue prospettive, conciosiacosache quelle quando in una, quando in altra parte, a fine che la memoria si smarrisse d'un si bel tutto, furono dal morso dell'invidia, prima che dal tempo, lacerate, e distrutte. In tal congiuntura dipinse il Cigoli la bella Storia a Olio per una delle Sale del Palazzo Vecchio, e su la Creazione del Gran Duca Cosimo, che su posta in uno degli angoli della maggior Sala, e fra le figure che s'ammirano in quell'opera, una, e bellissima si è quella del fiume d'Arno, in cui apparisce un fare tanto nobile, e maestoso, che molto, a confronto di questa, ne perse la figura di un'altro fiume, rappresentato in altra Storia, rimpetto a questa dal per altro celebrassimo Pittore Domenico Passignani, mentre su detto da' critici, che il Cigoli aveva nella sua Tela fatto vedere un fiume Reale, e 'l Passignano nella sua un piccol fossatello, o rigagnolo. Credesi ancora, che dal Cigoli fusse fatto in questo medesimo tempo il bellissimo ritratto, figura intera assai maggiore del naturale, del Gran Duca Cosimo Primo, vestito in abito Granducale, che tuttavia oggi vediamo nella Sala detta dell'Oriuolo, o con nome più moderno la Sala de' Gigli, contigua alle stanze della Real Guardaroba in esso Palazzo. Aveva già la magnificenza del Gran Duca Ferdinando Primo fatto tirare molto avanti il gran lavoro della Cappella di S. Lorenzo, a disegno degli altri pensieri avutili dagli Antenati suoi, e desiderava d'aggiungerle sempre nuova bellezza per ridurla in quello stato, a cui può dirsi, che ella tutto che appena, condotta nella metà, sia oggi già pervenuta, cioè della più maravigliosa, e nobil cosa, che in suo genere veder si possa in tutto il Mondo; quando fatto animoso dalla stupenda quantità, e qualità di durissime, e preziose pietre, che tuttavia si procacciavano da diverse parti, per porsi in opera nella medesima, e ne' bellissimi lavori di Commesso, che del continuo da uomini in quelle Arti eccellenti si conducevano nelle Officine della Real Galleria, con alquanti di loro si dichiarò, esser sua volontà, che si trovasse modo di formarne alcune Sacre Storiette, ad imitazione della Pittura, da collocarsi poi nel Ciborio. Ma non avendo fra que' Professori trovato, chi a tanto s'offerisse, conciofussecosache a ciò si ricercane la perizia d'un valoroso Pittore, volle avere a sé il nostro Artefice, che subito prevenendo i desiderj del Padrone, ne fece, secondo i pensieri di lui, varj, e bellissimi Disegni, poi messosi attorno a quei Maestri per Io spazio di 5 anni, gl'instruì per modo, che fece loro condurre l'opere stupende in genere di Storie, e figure che oggi veggiamo. Fin da quel tempo incominciarono quelle stanze a produrre uomini sempre più grandi, i cui bellissimi lavori sono stati d'ammirazione all'Europa tutta. Voleva il Gran Duca, ad oggetto di mantenere il Cigoli assai più fermo in tale affare, dargli una [031] molto onorata provvisione, ma egli da tale offerta si sottrasse graziosamente allegando suo desiderio d'applicar quel tempo, ch'egli toglieva alla Pittura, a quella sorte di studj, a cui sentivasi più portato dal genio, cioè a dire all'Architettura, e Prospettiva; ne riusciron vani i suoi studj, giacché di queste belle facultadi lasciò egli poi scritto un bel Trattato, intitolato Prospettiva pratica, e distinselo in due Libri. Il primo divise in tre parti, nella prima trattò d'alcuni principi della Geometria pratica, nella seconda dell'oggetto visibile, nella terza delle piante, e profili. Nel secondo Libro assegnò tre parti alla prima, seconda, e terza Regola della Prospettiva, la quarta diede agli avvertimenti al Pittore nell'uso di essa Prospettiva, la quinta volle che contenesse il Trattato degli Strumenti della medesima, e la sesta la Descrizione di essi Strumenti, e finalmente aggiunse la misura generale, e particolare de' cinque ordini dell'Architettura. Ma giacché ne ha portato il discorso a parlare dell'Architettura, che dal Cigoli su in eminente grado professata, pare che si faccia luogo a noi di dire alcuna cosa dell'Opere, che ei condusse con suoi disegni, e modelli per tornar poi a parlare di quelle di Pittura. Vedesi primieramente in Firenze la bellissima Porta dell'Orto de' Gaddi a Piazza Madonna d'ordine Toscano, colle scalinate addiacenti alla medesima, situate a seconda degli angoli, che da quell'Orto a termine delle due vie in sì bel modo, che non solamente, fanno fare alla porta stessa, una maestosa mostra; ma terminano molto leggiadramente il ceppo delle Case fra le medesime vie rimpetto alla Piazza. Dicono anche che fusse fatta con suo disegno la loggetta d'ordine Dorico al canto de' Tornaquinci; similmente l'Altar Maggiore di S. Felicita, mentre il rimanente che vi si vede fatto d'ordine Corintio, ben che architettato da lui, su poi messo in opera nel tempo, che si trattenne in Roma sopra i suoi modelli, ma con qualche diversità; e troviamo ancora che fusser fatte con suo disegno, le due Porte della Cappella de' Serragli, ove sta il Santissimo Sacramento nella Chiesa di S. Marco de Frati Predicatori: furono ornate con suo disegno, le due Cappelle in S. Trinità pretto all'Altar Maggiore, una dalla famiglia de' Doni, e l' altra da quella degli Usirnbardi.
Per ordine dello stesso Gran Duca Ferdinando Primo fece un bel disegno per l'accrescimento, e riduzione a suo fine del Palazzo de' Pitti; in quello espresse suo pensiero, che fu di nulla guastare del fatto sino a quel suo tempo, di mettere a piano la Piazza (che notabilmente pende verso la' via) per tanto spazio, per quanto si fusse potuto comodamente dare il passo e 'l rigiro alle Carrozze, le quali vi si fusser dovute, condurre dal rimanente della Piazza per due branche che dovevan rompere le scalere sopra esso piano, che d' avanti alla Porta faceva assai più largo, ed in figura d'Ellisse. E sotto le scalere faceva graziosamente risedere due belle fontane. Tirava poi da i lati, come due ali, per quanto s'estende la Piazza, fino alla via, del medesimo ordine Toscano, e colle stesse finestre terrene serrate, alle quali acciò che ricorressero al piano di quelle del Palazzo, tirava sotto alcune volte, atte a prestare varj comodi alla gente di servizio della Corte de' Cavalieri, e delle Carrozze medesime; alzava queste ali fino al Ballatojo d'esse seconde finestre, ove terminavano in un bel [032] Terrazzo. Non debbo anche lasciar di notare, ove si parla d'Architetture inventate dal Cigoli per servizio della Sereniss. Casa, come essendosi egli più anni dopo portato a Roma, ove dal Gran Duca Cosimo Secondo era stato deliberato di fabbricare un Palazzo, fu voluto il suo parere, se quello fusse dovuto farsi in Campo Marzo, o a Piazza Madama, ond'egli levate le piante dell'uno, e dell'altro luogo, venne in parere, che a Piazza Madama, e non in Campo Marzo tal fabbrica fare si dovesse, e di questa fece un modello in tal proporzione, che si conduceva il Palazzo colla facciata, fino a mezza essa Piazza, incrostandolo tutto di Bozze di Travertini. Fu fatta ancora con modello del Cigoli la bellissima Base del Cavallo, sopra il quale è la figura d'Enrigo IV. in sul Ponte nuovo di Parigi; fece più disegni per porte, e finestre inginocchiate, e per Cappelle domestiche, tanto per la Città di Firenze, che per fuori, e fra queste, d'una Cappella per la Villa degli Adriani all'Amelia. Ma tornando all'ordine della vita del nostro Artefice, diremo, come regnando in Roma la Santità del Pontefice Clemente Ottavo, fu determinato da' Deputati sopra la fabbrica di S. Pietro, di far dipignere per entro quella Eccelsa Basilica più tavole da Altari da' più eccellenti Maestri, che in quel tempo maneggiassero il pennello; il perché molti ne furono chiamati da diverse parti d'Italia; venuta tal novità all'orecchio del Gran Duca Ferdinando grande amatore della virtù di Lodovico, subito fece opera per mezzo del Cardinal Francesco Maria de' Marchesi dal Monte, che egli fusse colà chiamato a dipignervi anch'esso la sua Tavola; comparve la chiamata, e 'l Gran Duca con Regalo d'una bella Chinèa, che lo dovesse servire per lo viaggio, inviollo alla volta di Roma, ove per ordine del medesimo fu alloggiato, e nobilmente trattato nel suo Palazzo della Trinità de' Monti, e ricevuti gli ordini, diede principio agli studj della famosa Tavola a Olio sopra Pietra di lavagna, che egli poi colorì, rappresentando l'Apostolo S. Pietro, che guarisce lo stroppiato alla Porta del Tempio. Fece poi la bozza di essa Tavola, e d'altre, che gli furono ordinate, e subito gli convenne tornare a Firenze richiamatovi dal Gran Duca, per le nuove occorrenze a cagione delle nozze del Principe Cosimo suo figliuolo, come appresso diremo. Nel tempo che si trattenne in Firenze occupato per lo più nel servizio de' Serenissimi condusse il S. Girolamo in atto di scrivere, e l'altre figure nella Tavola, che mandata a Roma fu posta nella Cappella dello stesso Santo in S. Giovanni de' Fiorentini, la quarta a man destra rimpetto ad altra Tavola colorita dal Passignano, per entro la quale Cappella aveva anche Santi di Tito fatto un quadro di sua mano
Giunto a Firenze s' applicò alla costruzione di tre grandi Archi Trionfali, ed è da sapersi, che quanto era il Cigoli cresciuto di stima, e di credito dopo la chiamata a Roma appresso al Mondo, ed a misura dell'amore, che s' era sino allora guadagnato la sua virtù appresso al Gran Duca era cresciuta altresì negli uomini livorosi, e di minor sapere, che egli non era, una crudele invidia, a cagion della quale non gli mancò da travagliare; poco è il dire, qualmente gli fusse convenuto col proprio danaro mantenere pagato bene spesso gran numero di operanti di pregio, come Pittori e Scultori, ed anche Manuali, come Maestri di Ferro, e Legname, e di diverse [033] altre professioni, conciofussecosache, chi Io vedeva correre al posto d'un ottimo gradimento del Sovrano in quell'onorato impiego, ad esclusione di proprie Creature, e d'uomini di minor talento da sé portati, sapesse operar per modo, che coll'essere talora procrastinate le piagne agli uomini, più e più volte si trovasse il Cigoli in contingenza d'essere da' medesimi abbandonato nel più bello del fare, e finita l'Opera seppero anche gl'invidiosi, e suoi nemici si ben portare a' danni di lui la bisogna, or sottraendo dal buono, e lodevole, or aggiungendo del non apprezzabile, mentre egli, che impattato per così dire di modestia, e non punto avido, o bisognoso di roba, nulla diceva al Padrone a propria difesa, che gli toccò a lasciar l'opera finita, senza altro riportarne, e anche a gran pena, che lo rifacimento dello speso del proprio danaro.
Finirono le Feste, e 'l Cigoli tanto allegro della grazia del Padrone, quanto scontento de' trattamenti de' Ministri, se ne partì alla volta di Roma; e perché egli è proprio d'una virtù sublime lo scoprire colla sola luce, che risplende in lei stessa, le bruttezze anche più sconosciute degli uomini ignoranti (la qual cosa allora più si fa conoscere, quando ella s'espone nelle Corti, e nelle Città grandi, ove non mancano mai persone, che dotate d'ingegno, benché non ben coltivato in una, o più belle facultadi, aspirano al possesso della prima lode:) maraviglia non fu, che al povero Artefice, che in Patria, ed in ogni altro luogo, ove ei si portò, fu sempre sfortunato, giunto a Roma s'accrescessero i travagli, e le persecuzioni. Aveva egli nel poco tempo, che s' era trattenuto in Roma, fatto procaccio d'entrare nella Compagnia, e Accademia di S. Luca in Campo Vaccino, frequentandola assiduamente, e di più aveva in essa dato saggio di sua buona letteratura col recitamento d'una bella Orazione, nella quale con eloquenza aveva provata la necessità, che hanno i Professori delle belle arti, a fine di bene operare in esse, di possedere in grado eminente la bella facilità del Discorso. Era anche comparsa a vista di Roma in S. Giovanni de' Fiorentini la sua bella Tavola del S. Girolamo, di che poc'anzi parlammo, eransi anche vedute altre opere sue, troppo superiori in bontà a quelle de' suoi contrari, cose tutte che gli suscitarono tanta invidia, quanta abbisognò per far contro di lui ogni malo ufizio, e raccolgali ciò dal presente caso, uno de' molti che potrebbero raccontarsi. Aveva egli fatto il suo palco colla solita chiusa per accomodarvisi a dar fine alla Tavola di S. Pietro, quando v'ebbe persona di si malo entragno, che avendo trovato modo di portarsi sul palco, entrò la chiusa medesima, gli disegnò tutta l'invenzione della Tavola, poi la messe al pulito, e fattala segretamente intagliare in Rame l'impresse sopra carte affatturate per modo, che paressero stampe, non del tutto moderne, e mandolle in giro fra' Professori, con dire , essere quello il grand'uomo, di cui tanto parlava Roma, cioè un Pittore, che copiava le cose sue dalle Stampe, esser quello l'onore, che alla Basilica erano per contribuire gli stranieri Pittori, invece d'arricchirla d'opere magnifiche, l'imbrattarla d'invenzioni avanzate alla curiosità d'ogni meschino Artefice. Aggiungevano, non essere stata maraviglia, che il Pittore preso il pretesto della solennità delle fiorentine nozze, dopo aver dato principio alla sua Pittura, si fusse assentato da Roma, [034] ove era stato solamente quel tempo, che gli abbisognava per imparare un tal poco la situazione de' muscoli, perché troppa paura gli avevan messa l'opere dei Romani Pittori a confronto delle proprie, avendo per avventura riconosciuta in parte quella temerità che l'aveva fatto ardito ad esporre in una Roma per entro una Basilica di S. Pietro, fra l'opere de' più segnalati Artefici, una Pittura cavata da una Stampa, ed altre a queste simiglianti cose aggiungeva la maligna gente a' danni del Cigoli, il quale con una tolleranza senza esempio nulla rispondeva, non ostante che avesse incominciato la cosa a partorire per Roma di mali effetti . Ed è grazioso quanto seguì in tempo, che tali cose occorrevano. Stavasi egli fisso in questi pensieri un giorno d'Inverno, discorrendo con suoi famigliari intorno al fuoco, quando gli venne veduto un Tizzone, che arso da una parte, mandava fuora stridendo dall'altra parte, un certo fumo nero, con umidità; allora egli interrompendo il discorso, voltatosi alla Conversazione applicando a sé stesso con alludere al proprio nome, ed accennando verso il legno, pronunziò quel verso di Dante : E Cigola per vento che va via. Volendo mostrare il poco conto, che e' faceva di sì fatte maledicenze. Poi con gran prudenza pensò a scoprire la verità, e ricomprar l'onore a sé stesso in questo modo; fece egli aprire da ogni banda il serraglio, intorno alla sua Pittura, quindi a vista d'ognuno montato in sul palco, diede di mestica all'abbozzata Istoria, e dopo alcuni giorni senz'altra tenda, o coperta tornò a dar principio con diversa invenzione al suo lavoro. Così sbugiardò, e confuse i suoi contrarj, e fece conoscere a tutta Roma, non solamente, che egli non si valeva delle Stampe per le sue dotte invenzioni: ma che e' possedeva una franchezza nell'operare, che aveva del prodigioso, anche a giudizio de' più esperimentati professori; e chi a noi diede tal notizia, affermò averla avuta già da persona, che allora il vide operare.
In quel tempo medesimo ridusse il Cigoli a buon termine la bellissima Tavola per la Chiesa di S. Paolo fuori delle mura de' Monaci Benedettini, in cui rappresentò l'Istoria della Sepoltura dell'Apostolo, con Angeli, e più figure, che fu posta all' Altar Maggiore; opera, che nel suo non esser
del tutto finita fa mostra maggiore del gran sapere del Cigoli. Per l'Abate dell'istesso Monastero dipinse un Cristo, e S. Brigida, alla quale fu dato luogo nella medesima Chiesa. Dicesi, che mentre il Cigoli conduceva queste opere, dipigneva in Roma un Pittore, che era stato Discepolo di Tiziano, e che fatta amicizia con costui, a otta a otta si portava alla sua stanza per desiderio d'udire il modo, che nel maneggiare i colori teneva quel gran Maestro, e che fra l'altre cose dicevagli il Pittore, che Tiziano era solito di condurre le cose sue con grande accuratezza, ed amore; ma condotte che l'aveva prestò a lor fine, dava loro sopra alcuni colpi, come noi diremmo strapazzati, e questo faceva per coprire la fatica, e farle parere più maestrevoli, la qual cosa essendo piaciuta al Cigoli, se ne fece subito imitatore. Vaglia questo, quanto può valere appresso a chi non n'ha vedute le sue bozze, perché in quelle, che sono venute sotto l'occhio nostro abbiamo riconosciuta tanta franchezza, che nulla più, e mentre il suo bozzare, con tinte sì proprie, e sì a' luoghi loro situate, in mediocre distanza ce l'ha fatte parere del tutto finite, e ben finite, non sappiamo riconoscere, [035] come avesse bisogno il Cigoli di riscoprire nelle sue Pitture quella fatica, che fin da' primi colpi elle non mai dimostrarono.
In questo tempo, era egli stato trattenuto nel Palazzo del Gran Duca alla Trinità de' Monti, quando D. Virginio Orsini ricorse a quell'Altezza, pregandola a compiacersi, ch'egli potesse tirarselo in propria Casa di Monte Giordano, ed avutone il consenso, fecegli assegnare un nobile appartamento, e con esso quanto abbisognava, per potervi lautamente vivere con sua servitù, e fu questo uno de' primi favori, che egli sempre avvezzo a' dispiaceri, ed alle persecuzioni, incominciasse a godere, già avanzato in età.
La cagione di tale richiesta dell'Orsini, fu perché dilettandosi egli oltremodo delle buone arti, e molto stimando gli eruditi discorsi del Cigoli, aggiunti a gli altri suoi talenti, ne potendo a cagione d'una tale infermità, che quali sempre tenevalo obbligato, quando alla Camera, e quando al Letto, cercò modo d'averlo del continuo attorno. Per questo Principe fece il Cigoli il bei Quadro dell'Annunziazione, e per 'l Sig. Carradino Orsini un S. Giovanni nel Deserto, e una, e l'altra opere bellissime. Dicemmo poc' anzi, che la chiamata dell'Orsino su uno de' primi favori, che gli facesse la sua per altro perversa fortuna, e forse dovevamo dire il primo, e ultimo, atteso il molto, che in cambio di quelle felicitadi, che pare si convenissero ad uomo di tal fatta, gli toccò sempre a patire in ogni luogo, da ogni persona, e quel che è più senza che la mansuetudine, il rispetto, e l'amore di modestia , che ei possedeva in eminente grado, lo lasciasser fare benché minima difesa. Se Pierio Valeriano, che scrisse dell'infelicità de' Letterati, si fosse disteso anche a dire di quella di ogni uomo, che possegga gran virtù, e fusse stato a' tempi di questo Artefice, io non dubito punto che egli non avesse in lui trovata assai materia per lo Libro suo. Fu però sempre la sua sventura d'una tal fatta, che molto si discostava dall'ordinaria della più parte de' Virtuosi, poiché con essere da per tutto conosciuta sua virtù; forse in grado superiore a quella d'ogn'altro del suo tempo, con esser desiderate all'ultimo segno l'opere sue da' grandi (cosa che talora a' più valorosi non accade) egli fu sempre poco chiamato, e male ricompensato; in prova di che non è poco il dire, che quasi nulla mancò che la nostra Città non restasse priva d'una delle più bell'Opere di Pittura dico del Santo Stefano in Montedomini, di cui sopra facemmo menzione, mercè della sollecita premura del Passignano, e di Santi di Tito in procacciare a sé stessi ogni lavoro, che si scopriva in Firenze, la quale contrapposta alla modestia del Cigoli, fu per far sì, ch'ella non toccasse a fare a lui; ma sentasi quest'altro caso. Era egli tuttavia in Roma, quando da un Prelato di gran conto, di cui vuole ogni dovere, che si taccia il nome, gli fu ordinato un Quadro di mediocre grandezza colla Storia di Maria Vergine in atto di ritrovare nel Tempio nella disputa co' Dottori il suo figliuolo Gesù. Fecela egli, e condusse un Quadro di quel gusto, che era suo solito. Comparve alla sua stanza il Prelato, e veduto il Quadro finito, con grande allegrezza disse, volerselo allora, allora portare a Casa, e ordinò a' suoi, che senza indugio il pigliassero, e desserli luogo nella propria Carrozza, il che subito fu eseguito. Poi in atto di partenza con riso in bocca, e con mille indorate parole lasciossi accompagnare fino alla porta di strada, [036] ove pervenuto presentò al Cigoli un involto di monete. Presele egli come ringraziamento, e tornatosene alla sua stanza, in presenza de' suoi Giovani apertolo, in cambio di quaranta doble, che ben meritava a suo parere quell'Opera, vi trovò ben numerati quaranta giuli.
A tal vista poco mancò, che ei non tramortisse, e voltatoti a' suoi Scolari, accompagnando il parlare con lacrime, così parlò: Studiate faticatee miei Giovani, per farvi grandi in queste arti, consumate vostra gioventù, e vostra vita per diventare in essa superiore agli altri, ecco qua le ricompense che sono preparate a' sudori del cuore e del corpo vostro; ed altro disse in tal proposto sempre piangendo, e soleva raccontare a chi oggi questo fatto racconta il Passignano, che ogni volta, che il Cigoli o pensava o ragionava di tal cosa, era forzato a piangere; ed essendogli poi occorso l'aver dal Cardinale Arrigoni in premio d'un' Istoria di Daniele dipintagli a fresco a Frascati, un regalo di cento Zecchini sopra nobile Sottocoppa d' Argento, con accompagnatura di parole di stima, molto si diffuse col mandato in ringraziar quel Principe, particolarmente a questo solo titolo d'avere egli atto verso sua persona, ciò che non mai altri fatto aveva. Per lo stesso Cardinale fece egli poi il Quadro dell'Isac sacrificato, che dagl'intendenti fu giudicato superiore ad ogni prezzo, e dicesi che questo venne poi in mano de' Serenissimi di Toscana, a' quali pure pervenne lo stupendo Quadro dell'Ecce Homo, che è quello stesso che oggi ha luogo in propria Camera del Sereniss. Gran Duca. Aveva il Cigoli fatta quest'Opera per Monig. de' Massimi; il quale desiderando d'avere una simile Saca Istoria di mano d'uno de' maggiori uomini de suo tempo, diedene la commissione a tre Pittori, senza che l'uno nulla sapesse dell'altro, e tali furono il Passignano, il Cigoli e 'l Caravaggio; ma essendo tutti i lor quadri rimasti finiti, riuscì di sì eminente perfezione quel del Cigoli che quel Prelato diede via i due, e questo solo a sua devozione, si riservò. Seguita poi la sua morte fu il Quadro venduto a Giovan Batista Severi celebre Musico del Sereniss. Principe Don Lorenzo di Toscana, e condotte a Firenze e da questo passò nella Sereniss. Casa. Dissesi allora, che il Cigoli tacque questa Pittura con intenzione di condurre un Quadro che ben potesse comparire in confronto d'un'Opera del Coreggio e che egli non punto adulasse sé stesso, l'Opera medesima il dice. Veggonsi in essa tre figure, quanto il naturale fino al ginocchio, il Redentore nel mezzo, dalla sua destra Pilato, che lo fa vedere al Popolo, e dalla sinistra è un Soldato che lo scuopre. Fece anche il Cigoli in Roma per Monsig. Giusti un S. Francesco, che poi fu del Sereniss. Cardinal Leopoldo di Toscana. Ad Alessandro Doni per cui in Firenze aveva Lodovico fatto il Disegno della sua Cappella in S. Trinità, dipinse una Nonziata in Rame, e dove questa capitasse, dopo la morte d'Alessandro, non è a nostra notizia.
Per lo Cardinale Maffeo Barberini poi Urbano Ottavo di G. M. colorii una S. Maria Maddalena; per Monsignor de' Ricci Vescovo di Arezzo un storia di Giosefo, che ebbe poi il Principe Borghese, e per lo Cardinal Montalto, oltre a più Cartoni per Tappezzerie, fece un'Istoria di Giacob, cose tutte, che pure malgrado della sua trista fortuna lo messero in tanto credito appresso a molti Prelati, della Corte, e particolamente [037] del Cardinale Scipione Borghese, per cui egli aveva ornata di sue Pitture, rappresentanti la tavola di Psiche, Una loggetta nel Giardino di suo Palazzo, che venuto in gran concetto appresso Paolo Quinto, gli ordinò il fare un pensiero della facciata, e de' fianchi della Basilica di S. Pietro. Di questa fece più disegni, che son venuti in potere di chi queste cose scrive, donati poi dal medesimo alla G. M. del Cardinale Leopoldo di Toscana. Sopra tali disegni, volle il Cigoli anche il parer d'altri buonissimi Architetti suoi amici, fra' quali uno ve ne fu, che dopo aver veduta, ed ammirata sua bella fatica, gli disse,voi avete fatto un disegno, meglio però sarebbe stato a mio credere il fare un modello, perché da chi è di professione diversa, non sarete inteso, e così non colpirete, perché non son più i tempi de' Leoni Decimi, e de' Clementi Settimi, i quali ove di far cose grandi, e magnifiche si trattasse, solo degli uomini grandi nell'arti si richiedeva, ed approvavate il parere ad esclusione di quello d'ogn'altro, che grande, e caro fusse al Sovrano, ma di mestiere diverso; perché né l'essere altri nobile, o ricco, né l'aver carica eminente, basta a gran segno, per far cosa, che bene stia nell'altrui professione, ed in queste principalmente, in cui, chi vi consumò una ben lunga età, appena fa prova tale, che lodevol sia; soggiunse essere questa là disgrazia, e grandissima, delle buone Arti, il dolore, e la querela degli ottimi Professori, il danno, e la vergogna del pubblico, la sorgente delle gofezze, e degli spropositi, che tuttavia, ne per altro più ragguardevoli e dispendiosi edifici si veggiono apparire, cioè che le belle fatiche, i lunghi studj, le prudentissime avvertenze, che spiccano ne' disegni, e modelli de' valorosi Artefici, han per destino di portarsi a far naufragio, o per usar la parola più volgare e più propria, a rompere il collo nelle Sale, o nell'Anticamere de' Grandi, fra varj innumerabili, e male adattati pareri de' Cortigiani, da' quali sono per ordinario oppresse, e soffogate; e rarj eziaidìo sono i casi, ne' quali al povero Artefice non bisogni cattivare suo eudito intelletto sotto l'ardita tirannide di Sconcertati pensieri, togliendo, all'Opera sua il più bello per dar luogo al più deforme, e per non soggettarrsi a' carichi, de' più potenti, e poco intelligenti, soggettare sua stima, e suo credito ad una eterna censura d'un Mondo intero.
Così disse l'amico, ed assennato Artefice, e così su; giacchè non sappiamo, che de' disegni della facciata, de' fianchi, e della Chiesa tutta, condotti dal Cigoli in varie, e bellissime maniere, altro gniene venisse, che la fatica, bene è vero, che avendo già lo stesso Pontefice Paolo Quinto deliberato di far dipignere la Tribuna della sua Cappella in S. Maria Maggiore, rimpetto a quella fabbricata da Sisto Quinto, coll'occasione di tali Disegni, e dell'altre opere, che egli aveva fatte per casa Borghese, volle vedere il suo pensiero per quella Pittura, della qual cosa aveva richiesto pure il Cavalier Gasparo Celio, e Cherubino Alberti dal Borgo a S. Sepolcro: ma al comparire, che fece il Disegno di Lodovico fra quegli degli altri due, comparve altresì in esso sì gran differenza in bontà, che a lui senza indugio l'opera fu data a fare. Cominciò il Cigoli la sua Pittura, a seconda delle sue grandi Idee, alle quali aggiunse il suo mirabile colorito, con tutto quel più, che poteva somministrare a sì degno lavoro il suo gran sapere; [038] ma pur fu vero, che essendo egli voluta stare in sulle regole della Prospettiva, senza mai volere scendere dal palco contro a ciò, che gli persuasero gli amici, egli sì trovò ad un fiero caso, cioè che quelle figure, che vedute nel luogo, ove furono dipinte, come soleva attestare il Passignano, e con esso altri grandi uomini, erano veramente la maraviglia dell'arte, non ostante quello, che abbia scritto Francesco Scannelli Medico nel suo Microcosmo della Pittura, osservate da basso, comparsero nel luogo, ove la Cupola incominciava a voltare con qualche sproporzione di lunghezza, fra 'l mezzo in su, e 'l mezzo in giù. Scoperta che egli ebbe finalmente l'opera, e con esse l' apparente grave difetto, restò come fuori di sé; e fu il suo primo pensiero di mandarla a terra, e farla di nuovo: ma il Papa, a cui per altro era stata fatta nota la preziosità di quel lavora, visto del luogo dove egli l'aveva fatto, non volle permettergliele, onde egli sorte s'accorò, e tale accoramento forse contribuì non poco alle cagioni del suo morire, che indi a non molto tempo accadde.Fece vedere il Cigoli in essa Cupola nella più alta parte l'Eterno Padre, in atto di benedire, e buon numero d'Angioli: circa il mezzo rappresentò Maria Vergine, che col piede calca la Luna, ed intorno ha molti Angeli, e vi sono i dodici Apostoli, tutti in diverse, e vaghissime attitudini. Nel tempo che egli attese a questa Opera, fece anche per il Papa sopra Rame la Natività, e l'Annunziazione di Maria Vergine, e colorì sei Teste dal naturale per istudio delle figure degli Apostoli della Cupola, le quali vennero in potere del Cardinale Serra: ma il Pontefice Paolo, ed il Cardinale Nipote, avendo già da lunga mano conosciuto, quanto il valore del Cigoli, fra gli altri Pittori del suo tempo, fusse venuto in istima, al che s'aggiungeva il merito dell'Opere egregie, che egli aveva fatte per Casa Borghese, avrebbero pure voluto ricompensarlo da grande; dall'altra parte riflettendo alle qualità dell'animo di lui, le quali molto lungi da cupidigia d'oro il portavano, vennero in parere quella essere ricompensa più adeguata per lui, che più l'avesse arricchito d'onore, e di gloria; onde risolserono di trattare col gran Maestro di Malta, che era allora fra Alosio di Wignaicourt, di farlo ricevere per uno de' Cavalieri Militi della Sacra Religione Gerosolimitana; a tale effetto il Pontefice ebbe a sé fra Niccolò della Marra Commendatore di Rieti, e fermo del Priorato di Roma, in quel tempo Ambasciatore, Residente, e Procuratore Generale alla Santa Sede per essa Religione, e conferitogli suo pensiero, volle, che fusse sua incumbenza il dar principio, e fine al trattato. Diedegli l'Apostoliche lettere spedite in 13. di Marzo del 1613. Anno ottavo del suo Pontificato, che sortirono immediatamente loro effetto, col ritorno del Breve d'accettazione speditone nel dì ultimo d' Aprile susseguente, e noi lo copieremo appresso di parola in parola per maggior chiarezza del fatto, giacché nelle poche righe, che scrisse Giovanni Baglione Romano di questo Artefice, non troviamo aver fatta alcuna menzione di cosa tanto segnalata, e che pure ebbe suo effetto in faccia a tutta la Città di Roma.

[039] Dei gratia sacrae Domus hospitalis Sancti Joannis, hierosolimitani magister humilis, pauperumque Jesu Christi custos, religioso in Christo nobis charissimo fratri Nicolao della Marra commendatori nostro de Rieti et Fermo et Buccino, priorat. Urbis et Capuae commendatario, ac pro nostro ordine in romana Curia oratori et procuratori generali, seu cuicumque fratri militi ordinis nostri in Conventu Nostro, salutem in Domino, et diligentiam in commissis.
Serie praesentium tibi significamus, qualiter pro parte dilecti viri LUDOVICI CARDI CIGOLI Florentini fuerunt nobis presentatae litterae apostolicae Sanctissimi Domini Nostri Domini Pauli, divina providentia PP.V. sub data Romae apud Sanctum Petrum sub annulo piscatoris die secunda Martii proximi praeteriti, pontificatus sui Anno VIII. Ea propter nobis exponi fecit dictus Ludovicus Cardus, se magnopere desiderasse, Deo Beataeque Virgini Mariae, ac Domino Joanni patrono nostro sub virtutum regulari habitu ordinis nostri, in gradu Fratrum militum obedientiae magistralis, perpetuo inservire, ac nomen suum militiae nostrae dare, ciusque cervicem Christi iugo supponere, prout in suprascriptis litteris apostolicis continetur. Hinc est quod pium et sanctum eius propositum in Domino collaudantes et amplectentes, intuitu et contemplatione illustrissimi et reverendissimi domini Cardinalis Burghesii praescripti nostri ordinis protectoris, de nobis eodemque ordine quam optime meriti, eum eidem illustrissimo domino Cardinali rem gratam et acceptam facere summopere exoptemus, qui praesentem receptionis gratiam a nobis istantissime petiit, tenore praesentium, authoritate praedicta apostolica, nobis concessa et attributa, tibi committimus et mandamus, quotiescumque pro parte dicti Ludovici Cardi requisitus fueris, non obstante quod obligatus reperiatur in summa in praeinsertis litteris apostolicis mentionata, et tibi constiterit, ipsum honestis parentibus procreatum fuisse et in perpetua Christianorum stirpe, nulla iudeorum aut aliorum a fide nostra alienorum admixtione trahere originem, probeque, et non flagitiose semper vixisse, ac nullam artem seu exercitium sordidum aut [040] mechenicum exercuisse, eundem cingulo militiae nostrae cum caeremoniis et solemnitatibus per statuta nostra requisitis, decores et honores, habitumque per fratres milites obedentiae magistralis homini gestari solitum, induas et insignias, atque ad expressam praesentis nostri ordinis professionem regularem eum votorum emissione, servatis servandis admittas, dantes tibi in praemissis et circa ea authoritatem et facultatem totaliter vices nostras, super quibus omnibus et singulis conscientiam tuam oneramus, omniaque et singula (ut praemittitur) per te gesta et peracta per notarium publicum et legalem in scriptis autenticis redacta, ad nos et ad nostram cancellariam transmittantur. Taliter igitur in praemissis te geras, ut tua apud nos mereatur commendari sedulitas, in cuius rei testimonium bulla nostra magistralis plumbea erit appensa.
Datum Melitae in conventu nostro, die ultima mensis Aprilis, millesimo sexcentesimo decimo tertio.
Fra. Io. OTHO BOSIUS Vicecanc.



Così l'alta virtù del Cigoli, (che in un corso di 52. anni che furono assegnati al suo vivere, rare volte fu bastantemente ricompensata) nell'ultimo de' giorni suoi conseguì premio adattato al suo gran merito, e per cui quando non mai per altro, sarà, ne' Secoli, che verranno , glorioso il suo nome, e la Casa sua. Volle però il Cielo, forse anche, che il nuovo porto d'onorevolezza non iscemasse in lui le belle doti di modestia, e continenza, con che egli fu solito accompagnare sue azioni, che egli, appena giunse le lettere di sua accettazione, gravemente infermasse, e che tale infermità facesse punto al suo vivere, e se vogliamo prestare fede a quatto ne lasciò scritto il soprannominato Gio: Baglione, che non poté cavarlo, sé non da quello, che si diceva per Roma, nel tempo, che egli scrisse quelle pochissime cose di lui, cioè trent'anni dopo il suo passaggio, siccome se vorremo credere a qualche cosa stata detta da altri nel tempo, che io scrivo, diremo, che andasse il fatto nella seguente maniera. Aveva egli dato principio, e fine alla Pittura della Cupola, che non poco disagio, e fatica gli era costata, per non avervi condotto in suo ajuto altri, che due suoi Giovani Scolari, cioè Gismondo Coccapani Fiorentino, e 'l Boccacci, e nel lungo stare fra la calcina fresca, aveva tirata una straordinaria umidità, la quale il ridusse in istato di grande sconcerto di tutta la corporatura, e non mancò chi lo persuadesse a consultare co' Medici, ma quegli a cui poco piacque l'impegnarsi con medicamenti, ne meno ammetteva così facilmente il farlo co' Medici, non mai si lasciò persuadere; ed in quella vece ricorse ad un rimedio per isgravare suo corpo da sé altra volta sperimentato, e furono certi fagioletti Indiani: ma parendogli, che questi in su la [041] bella prima non avessero ben sodisfatto al bisogno, mandò un suo Giovanetto a pigliarne altretanti in Piazza Navona, e questi ben presto gli cagionarono una dissentera, a cui non trovò rimedio; a questa s'aggiunse un'ardente febbre, che in brevi giorni gli tolse la vita. Ma Giovan Batista Cardi Cigoli, uno de' suoi Nipoti di fratello, in una breve notizia, che nel Pontifcato d' Urbano lasciò scritta della vita di lui, appresso al manoscritto del Trattato di Prospettiva di esso Lodovico, e dallo stesso Giovan Batista dedicato al Sereniss. Gran Duca Ferdinando, porta il fatto ne' seguenti termini. Loda in primo luogo il merito del Pittore, che lo portò a conseguir l'onore di Cavalier Milite di quella Sacra Religione, e la generalità, e giustizia del Cardinale Borghese in avere persuaso il Papa a sì fattamente rimunerarlo quasi che fusse presago di ciò, che sovrastava al gran virtuoso, giacché giunte le lettere del Gran Maestro egli informò di febbre maligna, che nel decimoquarto giorno, che su agli otto di Giugno 1613. a ore diciassette, gli tolse la vita. Segue a dire, che nell'infirmità su
egli sempre provvisto di quanto andavagli occorrendo, non solo da' grandi virtuosi amici suoi, ma da' grandi Principi, e Signori, e da' medesimi visitato, o sfato visitare, e che tali furono il Cardinale Borghese, il Cardinale Maffeo Barberini, poi Urbano VIII, che questi volle, che e' fusse visitato da Giulio Mancini, suo Medico molto rinomato, e il Cardinale Montalto da Pompeo Caumo pure suo Medico, il Cardinal Capponi dal suo, e D. Virginio Orsini, oltre a simile dimostrazione, mandava continuamente Niccolò Saverniano suo Gentiluomo, il quale , insieme con Pietro Abati l'uno, e l'altro parzialissimi dell'Arte della Pittura, col Medico ordinario della Casa, servivanlo di loro propria mano, particolarmente nel tempo del cibarsi, aiutando in ciò Vincenzio Boccacci suo spiritosissimo Discepolo, che pure con impareggiabile sollecitudine gli assisteva con Girolamo Buratti, pure Discepolo del Cigoli d'alta aspettazione, e tutti questi, oltre al manuale servigioo, soprintemdevano mirabilmente alla più bassa servitù, acciò ognuno con prestezza, e puntualità facesse l'ufizio suo, e fussero esattamente eseguiti gli ordin e de' Medici, e de' Cavalieri, e gran Signori, che gli stavano a presso. Cioé nell'aggravarti del male volle tutti i Santi Sacramenti, ed in ultimo la Pontificale benedizione, e tutto con modi esemplarmente devoti, e con somma rassegnazione nel Divino beneplacito. Soggiunge anche lo Scrittore: che il P. D. Jacopo Vulponio della Congregazione dell'Oratorio, Confessore di Lodovico, e che sempre stettegli attorno, ebbe a dire dopo la di lui morte, averlo confessato per tutto il tempo, che e' s'era trattenuto in Roma, ed averlo trovato sempre senza colpa grave, zelantissimo dell'onor di Dio, e dell'osservanza de' Divini precetti.
Così ebbe fine la vita temporale di questo grand'uomo fra' mortali, per durare eternamente in cielo: ma anche qua fra noi, ad onta della morte, sarà egli persona della fama, ne' secoli che verranno sempre immortale.
Seguì sua morte nel detto giorno nella Città di Roma in sua Casa, posta nella via della Sapienza, verso Piazza Navona nel Rione di S. Eustachio.
Aveva fatto suo Testamento, nel quale diredando i fratelli Bastiano, e Ulivieri, lasciò suoi Eredi Gio: Batista, Cosimo, e Francesco suoi Nipoti [Rogò Ser. Go: Ferini Nt. della R.Cam. Giug.1613] [042] e dello stesso Ulivieri figliuoli, privativamente quanto ad esso, anche in quanto apparteneva al godimento de' frutti, volle, che dopo costoro avesse luogo una tale primogenitura, ed a Francesco Niccolini Dottor di Legge, ed a Gherardo Gherardi lasciò la cura de' Nipoti con positiva proibizione a' due fratelli d'ingerirsi in quelli affari, per non aver' eglino, come ei disse saputo fare i fatti loro; ordinò sua Sepoltura in S. Felicita di Firenze fra quei di sua famiglia morendo in quella Città, e morendo in Roma, volle che fusse il suo corpo depositato in S. Gio: de' Fiorentini per esser poi a Firenze trasportato. Seguito dunque il caso di sua morte in Roma, fattasene subito spedire con ispesa di quaranta fiorini d'Oro la necessaria Patente, fu vestito il suo Cadavero del Sacro Abito di Cavalier Milite della Religione Gierosolimitana e con quello accompagnato alla Sepoltura, datagli poi, con nobile ma funesto apparato per modo di Deposito, in essa Chiesa di S. Giovanni de' Fiorentini a man sinistra sotto la pila dell' Acqua Santa. Chi avesse vaghezza di vedere il suo Ritratto al vivo, procuri portarsi nella Reale Galleria del Sereniss. Gran Duca, dove per entro la stanza de' Ritratti de' gran Pittori, fatti di loro proprie mani, il vedrà stetti per dire vivo, e parlante. Pervenne questo maraviglioso Quadro che contiene alquanto meno di mezza figura, nel Sereniss. Cardinal Carlo di Toscana, e poi si crede , che fusse da quell'Altezza donato al Sereniss. Cardinal Leopoldo inventore del bellissimo concetto di raccolta sì pellegrina.
Quale sia stato il Cigoli nell'arte sua, non occorre che da noi si racconti, giacché, oltre a quanto ne dice la fama, a bastanza lo palesano l'opere sue, le quali lo mostrano ora una stessa cosa col grande Antonio da Coreggio, ed ora similissimo a Tiziano, come ben riconoscono tutti gli intelligenti
dell'arte, di cui egli forse più d'ogni altro Pittore de' suoi tempi possedè l'ottimo gusto, del quale fu sì geloso, che raccontano di lui che nell'andare, che e' faceva alla Santiss. Nonziata di Firenze, non passava mai per la Via de' Servi, ma voltava al Canto detto del Castellaccio, solamente per non vedere la quantità de' Boti di cartone, che in essa Via stanno esposti in su le Botteghe alla vendita; perché diceva, che il solo vedere quelle goffe, e sconcertate parti del corpo umano, come teste, braccia, gambe, ed altre simili, gli alteravano l'Idee, e confondevangli la fantasia. Disegnò senza termine, o misura, ed hanno i suoi Disegni fatti d'una maniera, che fu sua propria, oltre alla simetrìa delle parti, oltre alla dolcezza e morbidezza del tocco, oltre alla perfezione del dintorno, e intelligenza de' Muscoli, una certa vivacità, e spirito, che io non seppi mai ravvisare se non in quegli del Gran Michelagnolo; non dico già, che la maniera del disegnare del Cigoli sia la stessa, con quella di Michelagnolo, giacché è molto diversa, ma che lo spirito degli uni, e degli altri, particolarmente nelli schizzi, è tale, che a primo aspetto scuopre una vivacità resultante dal tutto, e non dalle parti, che mette terrore a chi gli mira. Fu ottimo prospettivo, e nell'Architettura molto singulare. Se delle doti dell'animo suo volessimo parlare, troppo cosa lunga sarebbe, ed al detto fin qui aggiunghiamo, che egli ebbe da natura qualità d'animo più da gran Cavaliere che da semplice Gentiluomo; dico però per quello, che s'aspetta [043] a' bei costumi, perché per altro egli fu lontanissimo da ogni superbia, e ambizione, vestì nobilmente ma senza lusso, stimò la nobiltà dell'Arte sua a segno, che in riguardo di questa, quanto per altro, si tenne sempre lontano da ogn'inezia, o altra cosa 'l che tenesse del basso, o del plebeo; praticò poco o punto; contento solo della convenzione di sé stesso, e de' suoi studj, se non quanto la comitiva di Nobili, e di gran Letterati, che particolarmente in Firenze frequentavano sua stanza; bene spesso l'accompagnava. Non dee già tacersi, come cosa lodatissrma in lui in genere di condescendenza, l' essersi talvolta contentato di trovarsi nella Città di Roma a Taverna coi Passignano, e col Caravaggio, e questo solamente per non condannare l'azione del primo, e per non cadere sotto le censure, e persecuzioni dello stranissimo cervello del secondo. La stessa ritiratezza persuadeva a' suoi Giovani, mostrando loro con vive ragioni, che la pratica troppo larga, necessita al perdimento del miglior tempo, che è quello della gioventù; siccome egli s'ingegnò al possibile di mantener casto suo pennello, così esortò sempre i suoi Scolari a far lo stesso, dicendo doversi amare la bellezza dei corpi per trarne il più bello a benefizio, e perfezione dell'arte, non per imbrattarne l'animo, e farli fare effetti in su le tele, che colla modestia, e col decoro, poco si confacciano.
Rimasero gli detti suoi Nipoti Eredi, e gli due fratelli, Bastiano, e Ulivieri; Bastiano intagliò in Rame le figure del Trattato di Prospettiva, o d'Architettura, lasciato dallo stesso Lodovico, e queste vennero in mano di Lessandra dal Borgo, che fa' moglie di quel Gio: Batista Cigoli suo Nipote, che ne lasciò scritte le notizie, di che sopra facemmo menzione, quali appresso al Trattato medesimo si conservano oggi nella Librerìa del Sereniss. Principe Cardinale Francesco Maria di Toscana, e non è da tacere, come fino l'anno 1628. doveasi dare quest'Opera alle Stampe, onde si vede, essere stata nel giorno 6. di febbrajo dello stesso anno rivista da fra Clemente Egidj Generale Inquisitore, e da un Canonico della Metropolitana per l'Arcivescovo di Firenze, e finalmente nel giorno 15. dello stesso mese, e Anno, dal Senator Niccolò dell'Antella per lo Sereniss. Gran Duca.
Restarono alla morte di Lodovico molte opere, non del tutto finite, e fra queste la gran Tavola dell'Entrata del Signore in Gerusalemme, che veggiamo in S. Croce all'Altar della Cappella de' Serristori, finita poi da Giovanni Biliverti stato suo Discepolo, il quale la finì tutta, eccettuata la bellissima Testa del vecchio senza barba, quella del giovanetto, che coglie i rami dell'Ulivo, e quella del Signor Nostro, che cavalca la Giumenta, con parte delle vesti della medesima figura, le quali furono cominciate, ed interamente finite, dal Cigoli, come abbiamo per notizia, stataci lasciata dal medesimo Biliverti. Rimase anche imperfetto il bellissimo Quadro del miracolo operato dal Signore Dio, alle preghiere di S. Jacinto Pollacco dell'Ordine de' Predicatori, nel Villaggio di Coseler nelle Campagne di Cracovia, la quale Opera aveva il Cigoli incominciata per Giuliano Serragli Nobile Fiorentino, e pervenne poi nella nobilissima Casa de' Magalotti, ed oggi è posseduta dal Conte Lorenzo Magalotti, Cavaliere di quel valore, bontà, ed erudizione, che è nota. Vedesì la figura del Santo stare in piedi colla faccia in atto devoto rivolta al Cielo, quali implorando il [044] desiderato soccorso, mentre una Nobil Matrona genuflesia accompagna le sue preghiere, dietro al Santo, apparisce una Testa vivissima del Frate suo compagno, ed appresso gli siede in terra una bellissima, Giovane, la quale con volto ridente mostra parlare con un'antica femmina, che le è vicina, e in tanto la donzella fa gesto di stringere un bel fanciullo, che si rifugge nel suo seno per timore d'un Cagnolino, che scherzando se gli allancia alla vita, ed è cosa in tutto bella il vedere nel fanciullo, unito insieme il gusto, e 'l timore, perché con un piacevol riso mostra, che gli diletti lo scherzo di quell'Animale, e col rifuggirli, e strignersi al seno della Giovane, fa credere chiara la sua paura. Vedevisi una Testa di un Paggio con berretta in capo, che non può essere, né più bello, né più vivo. In lontananza in una vaga Campagna, sono alcuni uomini in atto d'ammirazione, tocchi d'ottimo gusto. La testa, e forse tutta la figura del Santo, e del Compagno, quella del Paggio, e le figure lontane, sono a mio credere di mano del Cigoli, il restante del Biliverti. Ancora restò imperfetta la gran Tavola per la Chiesa di S. Paolo di Roma, per la quale sconfessò il Cigoli nel suo Testamento, aver ricevuto Ducati quattrocento, metà del prezzo convenuto con quei Religiosi; ed un Quadro per Luigi, Cosimo, e Ristoro Serristori, del quale pure trovai fatta memoria in esso Testamento, che forse fu la Tavola, di che sopra facemmo menzione, rimettendoci ad ogni più certa notizia.
Rimase altresì la bellissima sua Notomia, che formata, è gettata più volte in gesso, e cera è stata uno de' più esquisiti studj, che abbia avuti la gioventù inclinata alla bell'arte del Disegno nel nostro Secolo, e tale ancora sarà ne' Secoli futuri, sintanto, che ne resterà un'esemplare nel Mondo. L'Originale fatto dalla propria mano del Cigoli fu, dopo la morte di Lessandra dal Borgo, insieme con ogni altro mobile rimaso nella di lei eredità, portato al Magistrato de' Pupilli per esporsi in pubblico incanto a pro dell'Orfano figlio di ella Lessandra, e di Gio: Batista; quivi stettesene sconosciuto per qualche tempo, senza che da veruno, fussene veduto, né cercato, non senza pericolo d'andare in pezzi per ogni piccol colpo, fin, che adocchiato da Rimbotto Rimbotti Cavaliere di S. Stefano Provveditore dell'Accademia del Disegno, e grande amatore di quest'Arte, fu per venire in sua mano, sé non, che speranza di poterlo con pazienza di poco indugio avere a miglior mercato, fece sì che egli non fu suo, ma bensì di Monsù Giovanni Brangiò, Ajutante di Camera del Duca di Giuisa; che allora si trovava in Firenze, e non più gli costò che quattro misserabili scudi. Fatto, che egli ebbe a gran ragione il da sé stimatissimo acquisto, subito diedelo a custodire al R. Prete Gio: Buonajuti Priore dello Spedale di Bonifazio, fra altre belle cose, che in materia di Disegno, e Pittura, egli andavasi alla giornata procacciando, e dando in serbo al medesimo, a fine di condursele poi alla sua partenza di Firenze a Parigi; ciò seguì in tempo, che il Buonajuti facevasi fare alcuni Quadri al Furino, de' quali viveva molto impaziente, che però eran pochi quei giorni, che per fare al Pittore cosa grata ed inanimirlo alla spedizione, e' non lo volesse con seco a desinare o cena, e una volta occorse, che il Furino passeggiando per quelle stanze diede d'occhio al bel Modello, e riconosciutolo per quel che egli era, informato, [045] che fu dal Priore del seguito, e che quella bell'opera era per cercarsi altro Cielo, diede in escandescenze troppo strane. Scoperse allora il Priore l'ardente brama, che aveva di possedere quel tesoro dell'arte il Furino, ed ebbela per buona congiuntura d'accalorare la sollecitudine nella spedizione de' suoi Quadri, e sapendo all'incontro, quanto e' poteva far sicurtà col Franzese, per la stretta amicizia, che passava fra loro nata in quelle parti della Francia un giorno mandò esso Modello al Furino, e fecegli dire, che se lo tenesse pure, e che a nessuno ne parlasse, lasciando a lui medesimo la cura di Saldar questa partita col Franzese, il quale nell'accorgersi, che fece della mancanza del Modello, giacché non lo vedeva più nel solito luogo, domandò al Priore, ove l'avesse riposto; e 'l Priore a lui; sappiate Signor Giovanni, che l' Anotomia non è più in mia mano, ne è così facile, che ci ritorni, però condannatemi in quanto vi piace, che io, son qua per ristorarvi a più doppi del perduto. A queste parole s'acquietò il franzese, e passò la cosa in cirimonia, mentre il Furino allegro dell'acquisto il portò la Notomìa alla sua Chiesa in Mugello. Tennela sei anni interi, cioè fino alla sua morte, che essendosi seguita in Firenze, cioè fuori di sua cura, fece sì, che la sua supellettile, mediante lo spoglio, se ne passò nella Nonziatura, e fu venduta per la seconda volta al publico incanto per otto scudi a Domenico Peruzzi, Discepolo dello stesso Furino; saputasi la cosa, subito il Priore di Bonifazio, e Monsù Giovanni fecero ogni forza a Domenico per riaverla ad ogni prezzo, né mai fu loro possibile l'ottenerla, ma ciò che a costoro non riuscì, venne fatto a Francesco Fontani, che serviva in Corte della Gran Duchessa Vittoria, che fu molto amico di queste arti, e diligente altresì nel ricercare Opere, e Disegni del Cigoli, de' quali aveva fatta una molto bella raccolta; questi dunque avendo interessi col Peruzzi, che molto il premevano, si portò a segno, dopo le molte replicate instanze, che la Notomìa gli fu mandata a Casa in dono, benché egli poi al donatore donasse per gratitudine buona somma di denaro. Morì il Fontani, e la Notomìa finalmente, co' molti Disegni di mano del Cigoli, fu da' suoi Eredi venduta alla G. M. del Cardinal Leopoldo di Toscana, il quale fatta fare al Modello una bella Custodia di Cristalli, lo lasciò alla sua morte ne' suoi appartamenti fra le cose in tal genere più preziose, e tuttavia si trova nel Palazzo Sereniss. degno riposo d'opera tanto singulare.
Di questo nobile lavoro rimase anche un tale sbozzo, fra gli altri molti, che si dice ne facesse il Cigoli, e questo venne in mano al Cavalier Rimbotti soprannominato. Egli è della stessa grandezza, e attitudine dell'opera finita; non ha braccia, perché dalle clavicole in là, ha un fil di ferro, che doveva servire per l'ossatura del Modello; la testa è abbozzata, ha lo scheletro, e dentro sono l'interiora. L'anche fino al gallone son vestite de' lor muscoli; il femore dal rotatore alla rotula è nudo, e la Tibia, e la Tibula sono nella stessa maniera. Perdomini ora il mio Lettore, se io a fine di mostrare a quali segni di pericolo rimangano l'opere de' grandi uomini, dopo che eglino più vivi non sono, in un racconto, che forse apparirà troppo minuto, mi sono sì lungamente diffuso.
Ebbe il Cigoli molti Discepoli nella Pittura, e nell'Architettura, tali [046] furono Gismondo Coccapani, del quale in altro luogo particolarmente converrà parlare. Vincenzio Boccacci, che fu Pittore, ed in tirar linee fu valoroso, e diede saggio di tanto spirito, che dopo la morte del Maestro portatosi in Alemagna a servire d' Architetto, e d'Ingegnere la Maestà dell'Imperadore, ne' tempi di Urbano Ottavo, già vi sosteneva il posto di Capitano, fu poi chiamato in Toscana per le guerre del 1643. e nelle fortificazioni di Pitigliano, e Sorano diede gran saggi di suo sapere, finalmente nella Città del Borgo a S. Sepolcro finì il corso di sua vita, né altro sappiamo di lui. Girolamo Buratti, che in sua gioventù diede segni di futuro avanzamento nella Pittura. Fu anche suo Discepolo Domenico Fetti Romano Pittore di bravo pennello, ed assai spiritoso nell'invenzioni. Costui in gioventù colorì in S. Lorenzo in Damaso una Tavola a olio, poi rappresentò Maria Vergine sostenuta da quattro puttini, poi condottosi a stare appresso a Ferdinando Gonzaga Cardinale, poi Duca di Mantova, fece gli studj grandi, e tanto per lo Principe suo, quanto per la Città stessa colorì molte cose degne di stima. Ha di mano di quest'Artefice nel suo Palazzo di Parione di Firenze il Marchese Filippo del Marchese Bartolommeo Corsini quattro Quadri di braccio; e quarto, di Misterj della Passione del Signore, tocchi con tanta bravura, che più non può desiderarsi.
Rappresentasi in essi l'Orazion dell'Orto, la Coronazione di Spine il Signore in atto di esser condotto da' Soldati, dopo la flagellazione, coronazione, al luogo, ove volle Pilato mostrarlo al Popolo, e finalmente la Sepoltura del medesimo, ed in questo risplende particolarmente, un non so che dell'ottimo gusto di Paolo Veronese, e veramente è opera bellissima ed in ciascheduno di essi è scritta la Cifra del suo nome, D. F. Questo Domenico ebbe una Sorella, alla quale aveva insegnato a dipignere per modo, che il Duca di Mantova intesa sua abilità, la volle a sé colla Madre, e con tutta altra sua famiglia, alla quale sempre provvide con gran liberalità, e la fanciulla finalmente fece Monaca in un Convento di quella Città, nel quale è stata con lode perseverando, e ne' tempi avanzati sempre applicava a dipignere, conduce molt'opere per lo Monastero suo quanto per altri della medesima Città; seguì la morte di Domenico nella Città di Venezia in sul più bello del suo operare, cioè nella sua età d'anni 35-.
Uno de' più rinomati Discepoli del Cigoli su Giovanni Biliverti fiorentino, a cui toccarono a finire l'opere rimase imperfette, di che sopra facemmo menzione, perché nel suo primo fare imitò sì bene la maniera del Maestro, che quasi poteansi cambiare l'opere dell'uno, con quelle dell'altro, ma tale maniera poi, non del tutto mantenne. Studiò appresso al Cigoli il nostro celebre Pittore Cristofano Allori, e ad esempio suo cercò l'ottima maniera del colorire, e diede nel segno, come mostrano l'opere sue singularissime: ma tanto di questo, quanto del Biliverti, parleremo a lungo a luogo suo. Siccome d' Aurelio Lomi Pittore Pisano stato pure anch' esso Scolare del Cigoli.
Riuscì anche fra gli Allievi del Cigoli lodato Pittore Gio: Antonio Lelli Romano, che oltre al capitale, che e' fece degli ottimi precetti del Maestro molto anche s'approfittò negli studj delle bellissime cose di Roma, onde [047] fu adoperato da private persone, e da private persone , e da' Grandi della stessa Città, oltre a quanto gli convenne fare per altre Città d'Europa. Essendosi dilettato di far Ritratti, tanti ne fece, che lunga cosa è il raccontare, sono anche in Roma sue opere in pubblico, fralle quali è l'Imagine di Maria Vergine con Gesù Bambino nella Chiesa di Gesù Maria da S. Jacopo degl'Incurabili dentro il coro, e sta la Vergine in atto di porgere un Cuore a S. Agostino. Lavorò a fresco nella volta di S. Lucia in Selce, dipinse alcuni fregi nelle stanze del Palazzo del Gran Duca in Piazza Madama, e doveva ancora dipignere certe Storie, se non che morte vi s'interpose. Nella Chiesa di S. Matteo in Merulana fra S. Gio: Laterano, e S. Maria Maggiore, dipinse a fresco un'Angelo Gabbriele, che annunzia Maria Vergine, ed in S. Salvadore delle Cipolle è di sua mano la Tavola del Maggiore Altare, in cui è il Salvator Nostro Gesù Cristo, sostenuto in aria da una Nuvola; sonovi alcuni putti, e nella parte più bassa veggonsi Apostoli, ed altri Santi; fece finalmente Gio: Antonio Lelli molti Disegni per Intagliatori in rame, e particolarmente per le Conclusioni, che nel suo tempo dagli studienti si davano alle Stampe in Roma. Seguì la morte di questo Artefice nella sua età d' anni 49. agli 3. d'Agosto dell'anno 1640.
E qui resta terminato quel poco, che è potuto a nostra notizia pervenire de' fatti, e dell'opere d'un singolarissimo uomo, quale fu il Cigoli. Conviene ora, che da me si paghi alcun debito di gratitudine, a chi, benché non volendo, e non pensando, ne ajutò alla maggiore cognizione dell'opere di tal Maestro. Diremo dunque, come viveva agli anni addietro in questa nostra Città di Firenze Giovan Batista Brocchi, Sacerdote venerando, di poi Abate, il quale per esser nato di Cosimo Brocchi, uomo affezionato all'arte, ed a' Professori del Disegno, e che nel formare di gesso, o naturali artificiali cose, e quelle poi gettate, o con cera, o col medesimo gesso, fu singulare, onde grandi ajuti diede agli studenti di tal'arte, potè fino nella prima età, sotto la custodia di lui, agevolmente guadagnarsi un simile amore.
Questo Giovan Batista dunque, nell'avanzarsi negli anni, sempre applicato alli studj dell'umane lettere, (nelle quali fece tal profitto, che meritò di diventar Maestro di Grammatica, e d'Umanità del Sereniss. Principe Francesco Maria, oggi Cardinale de' Medici) dando tuttavia luogo nel suo cuore all'affetto delle buone Arti di Disegno, e Pittura, venne in desiderio di porsi a scrivere le Vite de' Pittori, e Scultori Fiorentini, ed avendo inteso, che Lionardo Dati di felice memoria nostro Gentiluomo, Canonico della Metropolitana, qualche anno prima di sua morte, seguita l'anno 1652. il di 18. Aprile, mosso da un simil desiderio s'era impegnato con sua lettera scritta agli Accademici del Disegno di scrivere esse vite, incominciandosi d'onde aveva lasciato il Vasari, e perciò ogniun di loro pregava a somministrargli notizie, 'l diede il Brocchi a credere, che il Dati al tempo, di sua morte, già se ne trovane aver fatta qualche buona raccolta, onde non so come ebbe modo, per quanto si disse, di avere in sua mano ciò che si trovò in tal proposito fra gli scritti di quel Prelato, che in sustanza altro non fu, che la minuta di essa lettera scritta agli Accademici, ed una mano di biglietti fatti per mandarli in volta a' Professori, [048] ne' quali era notato qual sorte di notizie egli da loro ricercante di quei Maestri, de' quali fusse stata appresso di loro qualche cognizione. E la cagione del non essersi trovata alcuna cosa fatta in tal maceria, si fu, che nel tempo stesso, che il Dati s' era offerto agli Accademici d'applicarsi a quest'opera, egli fu fatto Vicario di Firenze, poi eletto Vescovo di Montepulciano, e pochissimo dopo era egli stato chiamato, come ne promette la da noi molto ben conosciuta ed esperimentata bontà d'un tanto Prelato a' Celesti riposi. Allora Giovan Batista vedutosi sprovvisto dell'aspettato ajuto, seguitò non ostante a nutrire in sé stesso il desiderio di scrivere, e a tale oggetto diedesi a cercare di notizie, particolarmente della Vita, e dell'Opere del Cigoli da sé, come da ogni altro virtuoso di nostra Patria, giudicato della più alta riga de' Professori di quest'Arte. Facil cosa gli fu primieramente l'aver dalla Libreria dello stesso Sereniss. Principe il racconto breve, e sucinto, lasciatone scritto da Giovan Batista Cardi Cigoli, di cui sopra facemno menzione, e come quegli che era solito frequentare le stanze de' nostri Artefici più vecchi, da loro altre notizie ricavò, onde poté applicarsi e formare, come un'Embrione della vita, che e' destinava poi di scrivere, e lo stesso fece delle notizie di Giovanni da S. Giovanni, di cui gli era riuscito avere qualche cognizione, e noi vogliamo credere, che se altri suoi studj, e forsè gli affari della Corte, non l' avessero ritenuto, egli con altro modo, e con altra erudizione averebbe onorata la memoria di questi grand'uomini, di quello, che sarà riuscito il fare a me, il quale voglio ora, che si sappia, come occorso l'Anno 1683. del mese di Giugno il caso della sua morte, essendomi dato a credere ancor'io, che gli fusse venuto fatto l'acquistar molte notizie, dalle quali avete potuto ricevere accrescimento l'Opera mia, che io già da molti anni avanti m'ero posto a compilare, e della quale già aveva stampata buona parte, feci per mezzo di mie lettere dirette a Siena a Consiglio della nobilissima famiglia de' Cerchi Camerier Segreto dello stesso Sereniss. Principe Francesco, porger preghiere a S. A. che quelle mi fusser date in mano, e si degnò la molta clemenza dell'A. S. d'ordinare qua all'eruditissimo Sacerdote Vincenzio Ciani Maestro allora de' Cherici del Duomo, stato amicissimo del Brocchi, che quando a ciò le disposizioni testamentarie del Defunto non avessero contravvenuto, fatta scelta delle domandate cose, a me le consegnasse, il che fu puntualmente di subito eseguito. Ma volle la trista sorte, che altro non si trovasse, che le dette due incominciate vite del Cigoli, e di Giovanni, certe poche memorie in carte volanti, che dopo i discorsi avuti con qualche nostro Professore, aveva egli talvolta con matita rossa per sua memoria accennate, eravi una cartuccia d'alcune poche cose del Bernino, del quale già da noi un'anno innanzi era stata Stampata la Vita, e dedicata alla Maestà della Regina di Svezia, alcune notizie sciolte di quattro nostri Artefici damne credute di lor propria mano, e di più quelle di sette Pittori Genovesi state mandate al Brocchi da Raffaello Soprani Scrittore delle Vite de' Pittori di quella Città, le quali pure già erano state Stampate fra l'altre. Di queste cose ritrovate fra gli scritti del Brocchi fu da me fatta nota in altra lettera, che prima fatta vedere al Ciani, inviai al già nominato Cavaliere per informazione del Sereniss. Principe, ed acciò le ne [049] fussero rendute per me le dovute umilissime grazie. Ne qui voglio tacere, che l'avere il Brocchi fatto chieder per mezzo d'amici l'anno 1668. al Soprani le Notizie de 7 Liguri pittori, su cagione, che le stesso Soprani ne affrettasse la correzione, per darle prontamente in luce, il che però non fu eseguito, se non, dopo sua morte occorsa di Gennajo 1672. Vedasi il quinto Libro nella vita dello stesso autore Raffaello Soprani.
Quello dunque è quanto è stato possibile a me di Rivenire intorno al disegno, e progetto dell'Opera meditata dal diligente affetto del Brocchi, ma non è già per questo, che egli non meriti d'esser avuto dagli amatori delle belle arti in perpetua ricordanza e che, in quanto riguarda lo scrivere la vita del singularissimo Lodovico Cigoli, a cagione di quello, o poco, o assai, che egli ne ha potuto lasciare di maggior lume, non abbia, anche obbligato me a farne questa espressione di gradimento, e così io, che non mai volli far bello me stesso dell'altrui fatiche, ma bensì desiderai sempre di dare al merito della virtù il dover suo, non ostante, che tutto il seguito, e da me ora notato, fusse fatto chiaro a quella sereniss. Corte, onde mia testimonianza non abbisogni, per renderne più stabile la memoria, mi sono messo a farne il presente racconto.

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