domenica 28 novembre 2010

IL TRASPORTO DI SAN GIACOMO

di Francesco Fiumalbi

La chiesa detta “di San Domenico” è una delle più affascinanti fra quelle presenti a San Miniato. Terza in ordine di grandezza, la chiesa deve il suo appellativo al convento domenicano. In realtà l’edificio di culto è intitolato ai Santi Jacopo e Lucia. Questa doppia dedica deve, probabilmente, la sua origine alla fusione di due chiese distinte, anche se non esistono documenti in merito.
Vista la mole di informazioni e opere artistiche relative a questa chiesa, è praticamente impossibile esaurirne la trattazione in un’unica soluzione. In questo articolo ci occuperemo soltanto di un piccolo aspetto: un dipinto riferito a San Jacopo.

Chiesa dei SS Jacopo e Lucia, facciata

All’interno della chiesa dei Santi Jacopo e Lucia di San Miniato vi è, infatti, un affresco molto particolare. Tale opera pittorica è situata nella controfacciata della chiesa, nella parte destra per chi entra, al di sopra di un piccolo altare, inserito in quello che comunemente viene definito un “arcosolio”, cioè una nicchia culminata da un arco, in cui veniva inserito un sepolcro o un altare. Secondo la tradizione sanminiatese, raffigura il trasporto via mare del corpo di San Giacomo verso le rive della Galizia. Vediamo chi era San Giacomo e quale attinenza ha con la chiesa dei SS. Jacopo e Lucia.

San Jacopo è uno dei nomi con cui, spesso, è conosciuto l’apostolo Giacomo detto “il Maggiore”. Figlio di Zebedeo e Salomé, era il fratello di Giovanni apostolo.

Passando lungo il mare della Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito, lasciate le reti, lo seguirono. Andando un poco oltre, vide sulla barca anche Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello mentre riassettavano le reti. Li chiamò. Ed essi, lasciato il loro padre Zebedèo sulla barca con i garzoni, lo seguirono
Marco, 1, 16-22.


L'affresco raffigurante Il trasporto di San Giacomo
Immagine tratta da Guido Carocci,
Il Valdarno. Da Firenze al mare, p. 86.

Era quindi un comune pescatore che traeva il proprio sostentamento dalle acque del Lago di Tiberiade. Gesù lo chiamò a diventare, insieme ad altri, “pescatore di uomini”. Seguì, insieme agli altri apostoli, le vicende terrene di Cristo e fu testimone, assieme all’apostolo Pietro, della Trasfigurazione. Giacomo (o Jacopo) assunse un ruolo di spicco all’interno della comunità cristiana di Gerusalemme, tanto che il re Erode Agrippa Primo ne comandò la morte, che avvenne, secondo la tradizione raccolta da Jacopo da Varazze nella “Legenda Aurea”, per decapitazione. Tuttavia non sussistono documenti che attestano questo particolare. Giacomo (o Jacopo) fu quindi il primo martire fra gli apostoli. Sempre secondo la tradizione, i seguaci di Giacomo (o Jacopo) trasportarono il suo corpo in Galizia (anche se non mancano leggende che narrano diversamente), presso l’attuale Santiago de Compostela (Sancti Jacobi, che in spagnolo antico veniva pronunciato Sant Yago, quindi Santiago).
La ricorrenza di San Giacomo, San Jacopo o Sant Yago, viene festeggiata il 25 luglio.
Non è possibile stabilire una datazione esatta per questo affresco. Sappiamo che nel 1324 gli “operai della chiesa” ottennero dai Signori Dodici, ovvero la massima Magistratura del Comune, di poter ingrandire la chiesa nella direzione delle mura cittadine, quindi verso sud (1). Questo avvenne quando la chiesa dei SS. Jacopo e Lucia era una suffraganea della pieve di SS Maria Assunta e Genesio, poi chiesa Cattedrale. Infatti, l’edificio fu concesso ai padri domenicani solo nel 1330 per volontà di Ugone Malpigli, allorquando la parrocchia rimase vacante, a seguito della morte del suo ultimo priore, tale padre Betto (2). In tutto il ‘300 si registrano moltissimi lasciti, specialmente a seguito della peste del 1348. Queste offerte o benefici fondiari, andavano a “dotare” le cappelle che venivano costruite: San Matteo (poi Sant’Urbano), Corpus Domini (poi Grifoni), SS Cosma e Damiano (poi Chellini-Sanminiati-Pazzi), S. Giovanni Battista e della SS. Annunziata (3). Abbiamo notizia che nel 1394 si eseguirono lavori per la facciata, per i quali fu alienata un’abitazione posta in Borgonuovo (4). Nel 1404 fu portata a termine una cappella in onore anche di San Jacopo che il Maestro Giovanni di Maestro Jacopo de’ Bernardi aveva lasciato in sospeso nel 1384 (5), e che furono completate dai figli Ser Jacobus e Magister Hieronymus, come segnalato da una perduta iscrizione sul dipinto (6).
Potrebbe darsi, quindi, che la piccola cappella in questione con il relativo apparato pittorico sia proprio quella dell’affresco in questione. Una conferma potrebbe venire da un punto di vista stilistico, collocando la pittura appunto fra la fine del ‘300 e gli inizi del ‘400, anche se non possiamo escludere successive modifiche. La sorte della cappella dedicata a San Jacopo seguì quella delle altre situate lungo le pareti della navata che furono tamponate lungo tutto il ‘600. Al loro posto, furono disposti altrettanti altari, cosicché non conosciamo le raffigurazioni precedentemente situate all’interno degli arcosolii tre-quattrocenteschi (7). Per esempio, la stessa cappella dedicata a San Jacopo, doveva contenere la tavola con San Gerolamo nello studio, di Cenni di Francesco, oggi al Museo Diocesano di Arte Sacra (8).
Il particolare che inevitabilmente colpisce di questo affresco è rappresentato dal gruppo di pesci che nuota nel mare al di sotto dell’imbarcazione. Queste figure marine sono caratterizzate da corpo di pesce e da teste umane o demoniache. E’ stata ipotizzato un collegamento con la missione di Giacomo, ovvero quella di essere un “pescatore di uomini” e quindi chiamato a discernere fra i demoni e gli uomini “da pescare”, così come un normale pescatore, una volta tirate su le reti, prende il pesce buono e rigetta in mare quello non buono (9). Tuttavia, più plausibile pare la riflessione avanzata da Rossano Nistri: "(...) L’episodio dell’arrivo del corpo di un santo al luogo cui era destinato (come aveva notato il bollandista Hippolyte Delehaye) è un tema topico delle narrazioni agiografiche ed ha la funzione di accreditare la volontà divina e la sua potenza protettiva sul santo stesso. (...) Il fatto che tra gli abitanti degli abissi ci siano soltanto creature mostruose (pluriteriomorfe o antropoteriomorfe: v. Jurgis Baltrusaitis) e neanche un pesce buono mi induce a ritenere che (...) l’intento narrativo sia la descrizione figurata, secondo l’immaginario diffuso all’epoca, dei perigli immani che la navicella ha affrontato nell’aperto mare oceano (...) e che ha potuto superare solo perché protetta dalla volontà divina: tanto più pericolo, tanto maggiore la benevolenza divina di cui il santo è destinatario e che è capace di riversare sull’umanità come intercessore".
Interessante è anche il modo in cui viene raffigurato il vento: un essere molto curioso con la faccia simile a quella umana. E’ evidente il richiamo al passo dei Vangeli Sinottici de “La Tempesta Sedata” (Matteo 8,23-27; Marco 4,35-41; Luca 8,22-25) in cui Gesù “sgrida” i venti. Sembra che il vento sia un’entità vera e propria che, nel caso del trasporto del corpo di San Giacomo, attraverso lo Spirito Santo, conduce la barca sulle rive della Galizia. Il vento quale strumento della volontà divina.
 
Cercheremo ora di capire l’ambito artistico entro cui si colloca il nostro affresco.  Non è assolutamente facile e per questo occorre precisare che quanto si dirà è frutto di considerazioni logiche fortemente suscettibili d’errore.
L’ambito pittorico in cui si colloca è da ricercarsi nei pittori della cosiddetta “Scuola Giottesca”, vale a dire quel movimento pittorico del XIV secolo, al quale fecero parte un gran numero di artisti legati dall'insegnamento e dall'imitazione dei modelli di Giotto (10).
Per prima cosa dobbiamo notare che l’affresco è stato, molto probabilmente, realizzato se non in due tempi, da due mani diverse. Osserviamo, infatti, che mentre l’imbarcazione con la salma di San Giacomo è caratterizzata da una buona dovizia di particolari, le figure dei pesci risultano invece semplificate e lo stesso moto ondoso nella parte superiore è decisamente più definito rispetto alla porzione inferiore; senza dimenticare una certa variazione cromatica, che però potrebbe essere dovuta ad un diverso stato di conservazione. Le due figure, poste nelle pareti laterali della nicchia, potrebbero essere state dipinte da un’altra mano ancora. I colori sono decisamente diversi (per esempio i capelli delle figure, ma anche le vesti), mentre abbastanza simili paiono le aureole. La cosa è abbastanza plausibile, in quanto la cappella è stata realizzata in fasi successive. Poi era molto frequente che il maestro pittore realizzasse solo la parte principale, l’elemento cardine degli affreschi (ma anche delle altre pitture in genere), lasciando agli allievi le porzioni secondarie. Lo stesso maestro potrebbe aver realizzato le figure di San Pietro e San Paolo, rispettivamente alla sinistra e alla destra dell’altare, e le figure all’intradosso dell’arco che corona la cappella, che dovrebbero ritrarre i medesimi santi (11).
Mentre i soggetti marini sono sostanzialmente inediti nel panorama pittorico del tempo, è lecito chiederci a chi si potrebbe essere ispirato il nostro pittore per la raffigurazione della scena principale, ovvero del trasporto su nave del corpo di San Giacomo. E’ bene precisare che quanto si affermerà è soltanto un’ipotesi e come tale va considerata, in quanto non sussistono approfonditi studi in questo senso e chi scrive non è assolutamente esperto di pittura.
Gli storici dell’arte su questo affresco paiono divisi: da una parte Bernard Berenson (12), Van Marle (13) concordano sull’attribuirne la paternità a Rossello di Jacopo Franchi, proponendo come datazione il secondo decennio del ‘400 e ipotizzando la medesima mano anche per l’altra cappella situata nella parte sinistra, per chi entra, della controfacciata; di diverso avviso Federico Zeri (14) che avvicina la paternità dell’opera a Pseudo-Ambrogio di Baldese, ipotesi inizialmente avanzata da Serena Padovani (15) che però rimane prudente, chiamando l’autore Maestro del trasporto di San Giacomo.
Appare evidente come nessuna delle ipotesi sopracitate soddisfi in pieno il problema dell’attribuzione dell’affresco in questione. E allora chi potrebbe essere stato?

Non è possibile rispondere alla domanda. Tuttavia chi scrive vuole proporre una nuova traccia da seguire. Il soggetto dell’imbarcazione ricorda molto da vicino un affresco realizzato da Andrea di Bonaiuto nel Cappellone degli Spagnoli presso il convento di Santa Maria Novella a Firenze. La pittura raffigura "La navicella degli apostoli nel mare di Galilea".

Clicca qui per vedere l’affresco di Andrea di Bonaiuto in Santa Maria Novella:

E’ evidente che l’opera di Andrea di Bonaiuto sia di una fattura decisamente più raffinata, però sembrerebbe costituire il modello a cui il nostro artista potrebbe essersi ispirato. In particolare per la sistemazione della poppa della nave, l’albero, la vela e le funi atte al governo della vela sembrano avere una matrice comune. Andrea di Bonaiuto affrescò il Cappellone degli Spagnoli attorno al 1365, mentre lo ritroviamo attivo al Camposanto di Pisa attorno al 1377.
Il nostro affresco è, con ogni probabilità, posteriore di alcuni anni, ma sia l’ambito geografico in cui opera Andrea di Bonaiuto e la stesso Ordine domenicano del convento di Santa Maria Novella e della chiesa dei SS. Jacopo e Lucia di San Miniato avvalorano quella che comunque rimane un’ipotesi e cioè che il nostro artista doveva conoscere l’opera di Andrea di Bonaiuto. Il nome del nostro artista è sicuramente da ricercarsi nell’ambito fiorentino, fra coloro che lavorarono per i Domenicani, tenendo conto che la cappella di San Jacopo fu ultimata nel 1404. Questo termine temporale non farebbe cadere le ipotesi avanzate dagli storici, che comunque ci sembrano parzialmente erronee.
Mentre per Pseudo-Ambrogio di Baldese sembra corretta la vicinanza con le figure laterali di San Pietro e San Paolo, vedi la Madonna col Bambino custodita al Museo d’Arte Sacra di Certaldo, lo stesso non può dirsi della parte alta dell’affresco, ovvero dell’imbarcazione col corpo di San Giacomo. Federico Zeri nota che uno dei tratti caratteristici di Pseudo-Ambrogio di Baldese è il naso ben dritto. Circostanza che ritroviamo nelle figure laterali, ma non nei personaggi che stanno sulla barca. Di questo e delle figure dei pesci, l’autore per il momento rimane ignoto.

Clicca qui per vedere la Madonna col Bambino di Pseudo-Ambrogio di Baldese:


 
 NOTE BIBLIOGRAFICHE:
(1) Cronaca di San Jacopo, c. 34, in T.S. Centi, P. Morelli, L. Tognetti, “SS. Jacopo e Lucia: una chiesa, un convento”, Accademia degli Euteleti, San Miniato, 1995, pag. 84.
(2) Cronaca di San Jacopo, c. 3, in T.S. Centi, P. Morelli, L. Tognetti, Op. Cit., pag. 86.
(3) T.S. Centi, P. Morelli, L. Tognetti, Op. Cit., pagg. 89-101.
(4) Cronaca di San Jacopo, c. 3, in T.S. Centi, P. Morelli, L. Tognetti, Op. Cit., pag. 86.
(5) Ibidem.
(6) Pasquinucci Simona, “Dipinti Trecenteschi: ricostruzione di un arredo”, in D’Aniello Antonia (a cura di), “Pittura e Scultura nella chiesa di San Domenico a San Miniato”, CRSM, Pacini Editore, San Miniato, 1998, pag. 31.
(7) Casini Claudio, “La scultura: ritrovamenti dell’arredo liturgico”, in D’Aniello Op. Cit., pag. 21.
(8) Pasquinucci Simona, Op. Cit., pag 31.
(9) Cronaca di San Jacopo, c. 3, in T.S. Centi, P. Morelli, L. Tognetti, Op. Cit., pag. 135.
(10) http://it.wikipedia.org/wiki/Scuola_giottesca
(11) Pasquinucci Simona, Op. Cit., pag 31.
(12) Berenson Bernard, “Due illustratori italiani dello Speculum Salvationis”, in Bollettino d’Arte, V, 1926, pagg. 289-320.
(13) Van Marle, “The Development of the Italian School of Painting”, IX, 1927, L’Aja.
(14) notizia riportata da Linda Pisani in “Pittura Tardogotica a Firenze negli anni trenta del Quattrocento: il caso dello Pseudo Ambrogio di Baldese” in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, 45. Bd., H. 1/2 (2001), pp. 1-36.
(15) Padovani Serena, in “Tesori d’Arte Antica a San Miniato”, a cura di P. Torriti, Genova, 1979.

5 commenti:

  1. Questo è il commento scritto su Facebook da Rossano Nistri.

    Sono molto legato all’affresco della "Traslazione del corpo di sant’Jacopo in Galizia", davanti al quale ho passato, da ragazzo, molto tempo con la matita e l’album da disegno tra le mani. La notevole sproporzione tra lo spazio occupato dalla descrizione del mare con i suoi mostri e quello riservato all’illustrazione dell’episodio agiografico vero e proprio ha sempre stimolato la mia fantasia. Non entro nel merito delle ipotesi attributive, non essendo il mio campo di ricerca. Mi lascia perplesso invece qualche parte della tua lettura dell’immagine. Non mi pare ci sia molta corrispondenza, né iconografica né narrativa tra il naviglio dipinto da Andrea nel Cappellone fiorentino e questo di san Domenico. Le analogie strutturali tra le due imbarcazione mi paiono inerenti alla riproduzione delle forme reali delle imbarcazioni dell’epoca; mentre del tutto diversa è la loro funzione narrativa: là una solida imbarcazione capace di trasportare molte persone su un mare quieto; qui una nave più fragile (il contesto la fa apparire tale) in battaglia con i marosi. L’episodio dell’arrivo del corpo di un santo al luogo cui era destinato (come aveva notato il bollandista Hippolyte Delehaye) è un tema topico delle narrazioni agiografiche ed ha la funzione di accreditare la volontà divina e la sua potenza protettiva sul santo stesso. Più che alla missione di Giacomo Maggiore di pescare e di scegliere tra i pesci buoni e quelli non buoni, il fatto che tra gli abitanti degli abissi ci siano soltanto creature mostruose (pluriteriomorfe o antropoteriomorfe: v. Jurgis Baltrusaitis) e neanche un pesce buono mi induce a ritenere che l’intento narrativo non si riferisca tanto a qualche passo evangelico, ma che sia più semplicemente la descrizione figurata, secondo l’immaginario diffuso all’epoca, dei perigli immani che la navicella ha affrontato nell’aperto mare oceano, molto diverso dal mare chiuso di Galilea, e che ha potuto superare solo per ché protetta dalla volontà divina: tanto più pericolo, tanto maggiore la benevolenza divina di cui il santo è destinatario e che è capace di riversare sull’umanità come intercessore. Stessa cosa per il vento. Non posso escludere che ci siano riferimenti evangelici; la personificazione del vento come figura soffiante, dall’antichità greca (Eolo, Tifeo, Borea) fa però parte dell’immaginario comune proprio a rappresentare la negatività che il vento può assumere in determinate contingenze.
    Rossano Nistri

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  2. Innanzitutto grazie del contributo. L'obiettivo di questo blog non è soltanto quello di "informare", ma anche quello di creare dibattito!
    Riguardo alla lettura iconografica ho semplicemente riportato quella "ufficiale", che si può ritrovare nella nota in bibliografia. Anche a me pare più plausibile un significato demoniaco/fantasioso volto a rafforzare l'idea di "impresa" (o di "odissea"), che il corpo di San Giacomo avrebbe compiuto secondo la tradizione.
    E' vero che quella raffigurazione del vento fa parte dell'immaginario comune. E il Vangelo, o la Bibbia in generale, fa largo uso di questi elementi. Tuttavia la corrispondenza fra questa scena e quella riportata della "Tempesta sedata" (tra l'altro proprio questa è una delle ipotesi interpretative di questo affresco, ma che ho omesso perchè palesemente errata) suggerisce un legame fra questi due episodi.
    L'iconografia della barca? I due affreschi propongono la stessa direzione dell'imbarcazione, stesso verso d'inclinazione del traverso con la vela sull'albero, la poppa dello stesso tipo, la figura che governa una fune della vela molto simile. Troppi particolari simili per non pensare che l'una potrebbe aver fatto da modello per l'altra. E' ovvio che l'artista che ha operato a San Miniato non fosse di primissimo piano. Lavorò in provincia, rielaborando i temi formali e iconografici che ebbe modo di vedere nelle maggiori produzioni, fra cui, certamente, il Cappellone degli Spagnoli.

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  3. Il bello di un blog è che gli utenti della rete possono interagire fra loro, scambiarsi opinioni, etc.
    In questo caso, l'intervento di Rossano Nistri è andato ad integrare una parte del post.
    Ricordo che gli articoli non sono entità chiuse e immodificabili. Anzi, è auspicabile una continua evoluzione, alla luce di nuove scoperte, nuove interpretazioni, etc.
    Anche Wikipedia funziona così: è costantemente aggiornata, e questa è una delle sue caratteristiche migliori.
    Quindi siete tutti invitati a contribuire! Anche criticando! Solo così questo piccolo blog potrà costituire, nel tempo, un valido punto di riferimento per la conoscenza del territorio del Comune di San Miniato.

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  4. Manca l'immagine per cui si suppone che ci sia conoscenza dell'oggetto. Ho trovato che siete molto bravi ma non posso arguire niente su questo. Stavo cercando su l'altro articolo che riguarda il torrente Egola o Evola le possibili connessioni con il "mio" torrente Nievole che il Repetti nomina come Nevola (= in evola) pertanto fratello parallelo in Valdinievole

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  5. Le immagini presenti originariamente sono state tolte perchè prive dell'autorizzazione necessaria. Interessante davvero questo parallelo fra Evola (Egola) e Nevola (Nievole), chiederemo in giro!!
    Ha provato per caso a controllare sul testo di Silvio Pieri, "Toponomastica della Valle dell'Arno", Roma, 1919?
    Sul testo di Boldrini Roberto, "Dizionario dei Toponimi del Comune di San Miniato", si indica come origine il nome etrusco "Helvula". Ulteriori informazioni le può trovare anche qua:
    http://www.ilrestodelcremlino.it/irdc/numeri/15/15fronte.pdf
    Comunque abbiamo in cantiere un apposito post con la toponomastica "pontaegolese" e dintorni.
    Magari ci invii una e-mail all'indirizzo smartarc.blogspot@gmail.com che ci teniamo in contatto! grazie

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