sabato 28 maggio 2011

TOPONOMASTICA... PINOCCHINA

di Francesco Fiumalbi

La toponomastica è l’insieme dei nomi attribuiti alle entità geografiche ed il loro studio socio-linguistico (1). Le entità geografiche sono i luoghi, le zone, ma anche i percorsi. Possiamo affermare che la toponomastica è un qualcosa di caratterizzante, un qualcosa che riesce a dare un significato oltre al valore strettamente fisico. I nomi dei luoghi sono una sorta di “indicatori” geografici, ovvero ci forniscono una serie di indicazioni che non sarebbero ricavabili altrimenti, anche perché, spesso, fanno riferimento a situazioni o a circostanze appartenenti a contesti storico-culturali del passato, che noi non abbiamo conosciuto.
In questo post ci occuperemo dei nomi che sono stati attribuiti a luoghi o percorsi dell’odierno centro abitato di San Miniato Basso.

San Miniato Basso è un nome “costruito”. Il suffisso “basso” indica, anche a chi sente pronunciare questo nome per la prima volta, che da qualche parte ci deve pur essere un “San Miniato” collocato in posizione più elevata.
Questo toponimo fu coniato nel 1924 dall’allora Amministrazione Comunale, che vedeva nel centro di pianura il naturale sviluppo del centro storico di San Miniato che per motivi squisitamente orografici era impossibilitato ad espandersi ulteriormente (2). Di questo evento rimane una epigrafe collocata sulla facciata di un edificio situato all’incrocio fra via Tosco-Romagnola Est, via Aldo Moro (già via Stazione) e viale Marconi (già via Stazione).

Epigrafe commemorativa della variazione del nome
San Miniato Basso – Pinocchio
Foto di Francesco Fiumalbi

E’ stata proposta l’identificazione dell’attuale San Miniato Basso nel Pinocclo (3) citato in un documento dell’Archivio dell’Arcidiocesi di Lucca, risalente all’anno 907 (4). Questa circostanza, tuttavia appare inverosimile, in quanto nel documento non si fa menzione ad altre località vicine come punti di riferimento (come invece avviene in tutti gli altri documenti relativi alla nostra zona); in più l’atto è stato redatto a Lucca. Inoltre negli Statuti del 1337 questa località non viene mai menzionata, a differenze di molte altre.
Negli anni il nome riportato nei documenti è stato alternato a quello di Pidocchio. Due le possibilità: se la sua forma corretta è Pinocchio, secondo il Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani, il termine Pinocchio altro non indicherebbe che il diminutivo di pino, e quindi utilizzato per indicare i suoi semi, ovvero i pinoli (c’è anche un’altra località nel territorio del Comune di San Miniato con un nome simile: Pinocchieto, nei pressi di Balconevisi); se invece la forma corretta è Pidocchio è probabile che si riferisca ad una caratteristica particolare di una zona o dei suoi abitanti (era presente il Podere del Pidocchio e lo stesso borgo inizialmente veniva chiamato anche Ponte al Pidocchio). L’interrogativo rimane ancora aperto.
All’interno del centro abitato di San Miniato Basso si riconoscono alcuni toponimi legati a particolari zone: Ponte di Ribecco, al Ponte, le Forche, Biagionato, le Buche, Case Nuove, Fontevivo, Scoccolino.

Si dice al Ponte (oppure sul Ponte) per indicare l’incrocio fra l’attuale via Tosco-Romagnola Est e via Aldo Moro e il viale Guglielmo Marconi. In effetti, sotto alcune decine di centimetri al di sotto del manto stradale, esiste veramente un ponte. Infatti, proprio lì sotto, scorre il cosiddetto rio Pidocchio che poi, verso Ontraino, assume il nome di Rio Casale. Probabilmente un primo ponte fu costruito alla fine del ‘200 quando fu tracciata la Strada Pisana (oggi via Tosco-Romagnola Est). Successivamente ne fu costruito un altro attorno al 1378, quando Firenze impose alle comunità di San Miniato e Cigoli di “restaurare” la strada maestra pisana (5).

Il punto dove il “rio Pidocchio” comincia a scorrere
sotto il centro abitato passando sotto “al Ponte”
Foto di Francesco Fiumalbi

Col nome di Ponte di Ribecco viene indicata una zona lungo la via Tosco-Romagnola Est, compresa fra l’incrocio con via dei Mille (svincolo per la Fi-Pi-Li) e via Catena. In realtà il Ponte di Ribecco non sarebbe una zona, bensì un punto preciso, situato nei pressi dell'intersezione fra via Tosco Romagnola Est e via Cavour. Vai al post IL PONTE DI RIBECCO - FRA LEGGENDA E VERITA' STORICA >>
Da non confondere, in ogni caso, col Ponte della Badia, laddove esisteva un ponte che scavalcava l’attuale Rio San Bartolomeo, un tempo chiamato Rio Bacoli. Tornando al Ponte di Ribecco, è tradizione consolidata che il nome di Ribecco derivi dal fatto che i carovanieri provenienti da Firenze e diretti a Pisa e a Livorno, dovessero passare uno per volta dal Ponte di Pidocchio formando un piccolo incolonnamento. Tale situazione si sarebbe ripetuta al successivo ponte per cui i carovanieri anziché salutarsi si dicevano “tanto al prossimo ponte ti ribecco”. Ovviamente non ci sono documenti che possono supportare tale ipotesi. Più ragionevole appare, invece, una spiegazione che ci offre il Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani che, alla voce Ribecchino, indica un albergo di scarso pregio, così chiamato perché al suo interno potevano trovarsi anche piccoli spettacoli di intrattenimento accompagnati dal suono della ribeca, una specie di mandolino. In effetti quel punto si sarebbe ben prestato ad ospitare un edificio adibito a locanda o a ostello, trovandosi lungo una delle principali vie di comunicazione della Toscana. Inoltre la cosa non sarebbe inusuale: a Ponte a Elsa c’era l’Osteria Bianca, a La Scala c’era una Stazione di Posta, a San Miniato Basso l’Osteria della Bilancia.
Marcello de Fazio, da Como, suggerisce anche un'altra ipotesi. Il "Ribecco" sarebbe anche una parte di una tipologia di mulino a ruota verticale chiamata molendinum penzolum, descritto da Vitruvio e caratterizzato dalla particolare sistemazione agganciato sotto le arcate dei ponti (6). Attualmente la portata e il regime idrico del rio San Bartolomeo non consentirebbero un utilizzo di tale ruota, tuttavia non è da escludersi che nei secoli precedenti il regime idrico fosse più abbondante, garantendo al mulino un funzionamento efficiente.

Il “Ponte di Ribecco” al confine
fra La Catena e San Miniato Basso
Foto di Francesco Fiumalbi


Casolare del “Podere Pidocchio”
Via Alfieri, San Miniato Basso
Foto di Francesco Fiumalbi

Il Biagionato è una area situata nei pressi dell’attuale via Fratelli Bandiera, all’altezza di Piazza Sandro Pertini. Il nome deriva dalle numerose proprietà che la famiglia Biagioni possedeva proprio in quella zona. Le Buche indicano una vallata pianeggiante situata fra le attuali via Casine e via Cavour all’inizio della zona denominata Ponte di Ribecco.
Le Case Nuove invece è un’area posta lungo la via Tosco-Romagnola Est, compresa fra via Pozzo e via Fontevivo. Durante l’800, in quella zona ci fu un’espansione edilizia, che provocò anche un distaccamento di territorio dalla chiesa parrocchiale di San Lorenzo a Nocicchio verso la Parrocchia dei SS Martino e Stefano, essendo la chiesa di San Miniato Basso più vicina e facilmente raggiungibile.
Con Fontevivo si indica un’area compresa fra la via Tosco-Romagnola Est e le pendici della collina sanminiatese, in corrispondenza dell’omonima fonte. In località Fontevivo, nel 1934, furono rinvenuti importanti resti archeologici di epoca etrusco-ellenistica, conservati presso il Museo Archeologico Nazionale di Firenze (7).

“Fontevivo”
Foto di Francesco Fiumalbi

Vi sono poi dei nomi di strade che non sono di scrittori, poeti, scienziati, politici, musicisti, etc. Queste hanno un’origine molto antica e portano, insito nel proprio nome, alcune informazioni molto particolari, anche se per noi oggi non hanno nessun significato: via Candiano, via della Vigna, via dei Beccai, via del Piano, via dei Prati, via Pozzo e via Torta.

Via Torta deve il suo nome, probabilmente, al suo particolare tracciato curvo, che dalla via Tosco-Romagnola Est, conduce in via Pozzo. Quest’ultima strada inizia dalla Statale e sale verso San Miniato, passando per Località Pozzo, che indicherebbe la presenza di un manufatto costruito per la raccolta dell’acqua.
Via della Vigna indica inequivocabilmente la presenza di un vigneto. Un tempo aveva il nome di via dei Cento Barili(8) dovuto probabilmente alla particolare produttività del vigneto, tanto da far stimare la resa dell'uva vendemmiata in “cento barili”.
Poco distante da via della Vigna, troviamo via dei Beccai. Il “beccaio”, secondo il Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani, sarebbe un macellaio o venditore di animali quadrupedi. In particolare, il “becco” sarebbe il maschio della capra, la cui carne era commerciata comunemente nel medioevo. Oltre troviamo via del Piano e via dei Prati. La prima indica una zona pianeggiante, la seconda la presenza di aree destinate probabilmente al pascolo (che si tratti di allevamenti di capre che poi venivano macellate e vendute in via dei Beccai?).

L’intersezione fra via dei Beccai (a sinistra)
e via della Vigna (a destra)
Foto di Francesco Fiumalbi

Infine, troviamo via Candiano, dal nome apparentemente inspiegabile. Col nome di Candiano troviamo anche un podere situato fra la Ferrovia e la svolta verso Ontraino. Dal Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani ricaviamo che col termine “candi” veniva indicato lo zucchero di canna, dedotto dall’arabo-persiano qand o qandat. La canna da zucchero venne introdotta in Europa dagli Arabi, prima in Spagna (700 d.C.) e poi in Sicilia (900 d.C.) (9) e successivamente si diffuse un po’ in tutto il continente. Sembrerebbe, quindi, che il termine Candiano indichi un luogo dove si coltivava canne da zucchero. Personalmente, ricordo proprio nei pressi del Podere Candiano (oggi Residence La Magnolia) la presenza, circa 10-15 anni fa, di una coltivazione di barbabietole da zucchero. Che sia un retaggio dell’antica coltivazione della canna da zucchero?


via Candiano in direzione Ontraino
Foto di Francesco Fiumalbi

Ci occuperemo, in seguito, anche degli altri toponimi del Comune di San Miniato. Anche in questa zona ci sono altri luoghi dai nomi molto particolari come Scoccolino o Castellonchio, ma ne parleremo in appositi interventi. Questa analisi, come avrete visto, risulta essere interessante, perché dallo studio dei nomi possiamo ricavare una vera e propria memoria dei luoghi, seppur con le dovute approssimazioni.


NOTE BIBLIOGRAFICHE:
(2) Parentini Manuela, Quando San Miniato Basso si chiamava Il Pinocchio, FM Edizioni, San Miniato, 2002, pag. 15.
(3) Ibidem.
(4) AAVV, Memorie e Documenti per servire all’Istoria del Ducato di Lucca, Tomo V, parte III, Francesco Bertini Tipografo Ducale, Lucca, 1841, Documento MCVII, pag. 44.
(5) Parentini M., Op. Cit. pag. 17.
(6) Cortese Maria Elena, L'acqua, il grano, il ferro. Opifici idraulici medievali nel bacino farma-merse, Edizioni All'insegna del Giglio, Firenze, 1997, pag. 28.
(7) Lotti Dilvo, San Miniato, vita di un’antica città, Sagep, Genova, 1980, pagg. 25-29.
(8) Boldrini Robero, Dizionario dei Toponimi del Comune di San Miniato, Comune di San Miniato, Tipolitografia Bongi, San Miniato, 2004, pag. 142.

domenica 22 maggio 2011

LA MADDALENA PENITENTE

di Francesco Fiumalbi

In questo post parleremo di un bassorilievo molto speciale. Si tratta di un’opera tardo medioevale, collocata sulla facciata dell’ex Monastero, poi Conservatorio, di Santa Chiara a San Miniato.
Il “Santa Chiara” rappresenta uno dei maggiori complessi monastici sanminiatesi, sia per le sue dimensioni monumentali, che per la storia quasi millenaria. E’ situato nella zona occidentale della città, al di fuori dell’antica Porta di Ser Ridolfo oggi distrutta. L’ordine ispirato da San Francesco d’Assisi e da Santa Chiara, fu fondato ai margini della città di San Miniato, su una precedente struttura benedettina e poi cistercense (forse anteriore all’anno 1000), nel 1226 per volontà di Buonincontro Buonincontri (1). Quest’ultimo fu tra coloro che più si adoperarono nel 1211, al passaggio di San Francesco d’Assisi, affinché gli fosse concessa una chiesa sanminiatese; vestì l’abito dei minori e seguì San Francesco in Francia. Al suo ritorno assunse il ruolo di Superiore del Convento di San Francesco, fondò il Monastero di Santa Chiara e morì nel 1230 in concetto di santità (2).

Il Monastero poi Conservatorio di Santa Chiara
Foto di Francesco Fiumalbi

Il Monastero, fu ristrutturato e ampliato a seguito di un cospicuo lascito, quale strumento di espiazione, da parte di Ser Michele di Bindo Portigiani nel 1339 (3), anche se non vi sono documenti che attestano la presenza di luoghi di culto propriamente detti. Solo nel 1352 Lamberto Buonincontri, Segretario Apostolico di Papa Innocenzo VI (4), fece costruire l’Oratorio dedicato a Santa Maria Maddalena Penitente annesso al convento (5). In facciata si notano ancora oggi i segni delle ammorsature murarie fra la chiesa “esteriore” (così chiamata per distinguerla da quella “interiore” utilizzata come coro), dedicata a Santa Chiara e il suddetto oratorio. Sempre in facciata si può osservare anche una specie di zoccolatura, una sorta di basamento in laterizio, che arriva ad una quota di circa un metro e mezzo rispetto al piano della strada.
Solo nel 1466 la Cappella di Santa Maria Penitente passò, tramite lascito, dai fratelli Ruffolo (subentrati ai Buonincontri nella proprietà) al Monastero (6).

La facciata dell’ex Oratorio di Santa Maria Maddalena Penitente
Foto di Francesco Fiumalbi

Fra la seconda metà del ‘400 e la prima metà del ‘500 fu probabilmente costruita l’attuale chiesa dedicata a Santa Chiara, che portò al declassamento dell’antico oratorio in cappella e, successivamente, in sacrestia. La struttura doveva essere abbastanza consolidata già nella seconda metà del ‘500 come risulta evidente dagli atti della “visita” del Visitatore Apostolico Mons. Castelli nel 1575 (7).
L’antico Oratorio è riconoscibile all’interno della imponente facciata in laterizio del complesso claustrale, per la presenza di un arco a sesto acuto al di sopra del portale, nel quale si trova il bassorilievo in marmo a cui abbiamo fatto cenno all’inizio.

L’arco a sesto acuto e il bassorilievo marmoreo
Facciata dell’Oratorio di Santa Maria Maddalena Penitente
Monastero poi Conservatorio di Santa Chiara
Foto di Francesco Fiumalbi

Il colore bianco spicca, come una gemma preziosa, nella possente muratura scarlatta dei laterizi. Il bassorilievo è così candido perché, in realtà, è recente. Si tratta infatti di una copia, realizzata a seguito della caduta dell’originale sul finire degli anni ’80 del secolo scorso. L’antico bassorilievo, restaurato, fa oggi parte della collezione di opere appartenenti al Museo della Fondazione Conservatorio di Santa Chiara. Al centro della pietra si trova, un po’ consumata, la figura di Maria Maddalena Penitente.

Maria Maddalena Penitente
Bassorilievo, Conservatorio di Santa Chiara
Foto di Francesco Fiumalbi

Purtroppo l’usura del tempo non permette di decifrare compiutamente le parole scolpite ai margini del bassorilievo. Tuttavia se ne intuisce il contenuto (se qualcuno vuole proporre nuove letture è il benvenuto!!):

QUESTA CHESA FACTA
FARE DISIM(?) DERAU(?) PP
II MAESTRO LAMBERTO DI STEF-
-ANO DE BONONCONTRI D-
-A SMMINIATO AD MCCCLII
MDICTOCU(?)

Per quale motivo Lamberto Buonincontri avrebbe dovuto costruire una chiesa accanto ad un monastero di clarisse e dedicarla a Santa Maria Maddalena?

Non lo sappiamo con esattezza, tuttavia possiamo fare alcune ipotesi. Proprio in quegli anni erano molto frequenti i lasciti ai conventi come opere di espiazione per ricchezze accumulate peccaminosamente (specialmente  con l’usura), oppure come ex-voto per la protezione ricevuta dalla peste (in particolare quella del 1348). Il fatto poi che si sia scelta la figura di Maria Maddalena Penitente dovrebbe essere molto indicativo.

Maria Maddalena Penitente
Bassorilievo, Conservatorio di Santa Chiara
Foto di Francesco Fiumalbi

Ancora oggi la figura di Maria Maddalena è stata accostata alla Penitente di cui si parla rispettivamente in Luca 7,36-50 e Luca 8,1-2 nonostante che questa associazione sia stata messa in discussione a più riprese. Anche se appartenenti a capitoli diversi, i due brani sono contigui. Nel bassorilievo, così come spesso nell’iconografia, la figura di Maria Maddalena è raffigurata con in mano un contenitore di olio profumato (per i cultori di Dan Brown si tratterebbe invece del Santo Graal, ma chiudiamo qui la questione), esattamente come viene descritta la Peccatrice che, in casa di Simone il Fariseo, si avvicinò a Gesù:

“Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato; e fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi di lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato.

A quella vista il fariseo che l'aveva invitato pensò tra sé. «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice». Gesù allora gli disse: «Simone, ho una cosa da dirti». Ed egli: «Maestro, di' pure». «Un creditore aveva due debitori: l'uno gli doveva cinquecento denari, l'altro cinquanta. Non avendo essi da restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?».Simone rispose: «Suppongo quello a cui ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». E volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non m'hai dato l'acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio, lei invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato, ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi. Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco». Poi disse a lei: «Ti sono perdonati i tuoi peccati». Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è quest'uomo che perdona anche i peccati?».Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va' in pace!».” Lc 7,36-50



Non sappiamo in realtà se la Peccatrice fosse Maria di Magdala (associata spesso anche alla Adultera e a Maria di Betania), tuttavia è diventata una figura simbolo del perdono, dell’amore di Dio nei confronti dell’uomo. "Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!”  Gv 1,29.

Anche se non abbiamo documenti in grado di testimoniarlo, per costruire una chiesa, probabilmente, il nostro Lamberto Buonincontri aveva molto da farsi perdonare.


NOTE BIBLIOGRAFICHE
(1) Matteoli Anna (a cura di) Località ed Istituzioni, in Piombanti Giuseppe, Guida storico-artistica di San Miniato, Bollettino dell’Accademia degli Euteleti, n. 44, 1975, pag. XLVI.
(2) Boldrini Roberto, Dizionario Biografico dei Sanminiatesi, Comune di San Miniato, Pacini Editore, Pisa, 2001, pag. 63, voce: Buonincontri Buonincontro.
(3) Matteoli, Op. Cit., pag. XLVI.
(4) Boldrini, Op. Cit., pag. 63, voce: Lamberto Bonincontri.
(5) Giannoni Rocchi Graziana, Arte e devozione nell’antico Monastero di Santa Chiara, Conservatorio di Santa Chiara di San Miniato, Pacini Editore, Pisa, 1999, pag. 116.
(6) Ibidem.
(7) Coturri Enrico, La “visita” del visitatore Apostolico Mons. Castelli alle Chiese ed ai luoghi pii di San Miniato nell’anno 1575, in Bollettino dell’Accademia degli Euteleti, n. 33, 1960, pag. 14.

sabato 14 maggio 2011

L'ANTICA PORTA DI SER RIDOLFO

di Alessio Guardini


Nel centro storico di San Miniato è presente un tratto di strada di circa 60 metri denominata “via Ser Ridolfo” che fronteggia il loggiato di San Domenico. Nella toponomastica del centro storico è forse la denominazione più antica: non ha mai cambiato nome fin dalla sua origine.


via Ser Ridolfo - San Miniato
foto di Alessio Guardini

Incuriositi da questo particolare, è partita la nostra ricerca volta a trovare la risposta a queste due semplici domande:
- Perché questa strada si chiama Ser Ridolfo?
- Chi era il personaggio Ser Ridolfo?
Alla prima domanda la risposta è piuttosto semplice: si tratta della strada che, unita alla contigua via IV Novembre, conduce dalla piazza di San Domenico fino a quella che fu la Porta Ser Ridolfo, ubicata lungo la discesa della Nunziatina (via Giosuè Carducci) a circa 20 metri dall’angolo sud-ovest di Piazza Grifoni e completamente distrutta dai tedeschi in ritirata durante la Seconda Guerra Mondiale nel luglio del 1944.

.
Città di San Miniato - Porta Ser Ridolfo
e Casa ove abitò Giosuè Carducci
Ed. e Foto Catarcioni, 1939
(Utilizzo ai sensi art. 70, comma 1-bis, Legge 22 aprile 1941 n. 633)


Veduta odierna da via Giosuè Carducci – San Miniato
foto Alessio Guardini

Non siamo a conoscenza di disegni architettonici raffigurativi di questa costruzione, pertanto abbiamo cercato di ricavare le sue dimensioni dall’analisi della documentazione fotografica e dalla mappa catastale d’impianto nella quale risulta ben geometricamente rappresentata in quanto disegnata nel 1939.
Secondo le nostre stime, l’apertura doveva avere una larghezza di circa 4,00 metri e un’altezza di circa 6,00 metri dal piano stradale al punto più alto dell’arco a tutto sesto, la profondità della volta a botte doveva essere di circa 3,00 metri. Al di sopra del varco, si ergeva una costruzione a torre a pianta rettangolare (6,50 x 3,00 metri) sviluppata su tre piani, ciascuno con piccole finestre verso la strada.
In tutto la costruzione doveva essere alta circa 15 metri dal piano stradale.

Planimetria situazione preesistente
Ricostruzione di Alessio Guardini

L’epoca di costruzione della porta di Ser Ridolfo risale probabilmente all’inizio del Trecento, in concomitanza con la costruzione del giro di mura castellane che comprendeva anche la porta di San Martino in Faognana e che “racchiuse” il terziere di Fuoriporta. La costruzione di questo organismo difensivo faceva dunque seguito ad un espansione della città nella quale fino a quel momento la contrada di Fuoriporta era realmente “fuori porta”, ovvero una sorta di periferia della città di scarso pregio posta al di fuori della Porta Toppariorum nella quale, fino al XIV secolo, trovavano accoglienza gli abitanti delle campagne adiacenti.



Ricostruzione del prospetto da via Giosuè Carducci
Ricostruzione di Alessio Guardini

Se ricostruire l’aspetto della porta Ser Ridolfo prima della sua infausta distruzione è relativamente semplice, ben più arduo è fornire una risposta alla seconda domanda che ci siamo posti all’inizio della mia ricerca: chi era Ser Ridolfo?

Una prima indicazione sulla sua paternità ce la fornisce Emanuele Repetti nel suo Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana (1831) il quale, rifacendosi a quanto riportato nel Diario di Ser Giovanni di Lemmo, individua il personaggio in Ser Ridolfo (o Rodolfo) appartenente alla famiglia dei Ciccioni-Malpigli, menzionato nel Diario per essere stato nominato Cavaliere dal magistrato civico di San Miniato il 7 maggio 1308. In questa epoca, San Miniato è un libero comune ad ordinamento guelfo e popolare, ispirato al modello di Firenze con cui s’era alleata, e nel quale il potere esecutivo è affidato al Capitano del Popolo, una sorta di Sindaco, e al Consiglio dei Signori Dodici, una sorta di Giunta.
Al potere guelfo e populista si opponeva quello ghibellino e filo-imperiale dei Magnati, ovvero di ricche famiglie nobiliari organizzati in consorterie, una sorta di aggregazioni di nuclei familiari legati da vincoli di parentela. Tra i magnati di spicco di San Miniato, c’erano appunto i Ciccioni-Malpigli, capeggiati da Ser Ridolfo, e i Mangiadori capeggiati da Barone.
I Ciccioni e i Malpigli erano due famiglie magnatizie molto ricche e potenti la cui consorteria era ubicata della contrada di Santo Stefano, i cui membri sono spesso riportati nelle fonti documentarie con l’uno o con l’altro cognome, tanto è vero che più genericamente sono indicati come Ciccioni-Malpigli.
Anche nel Dizionario Biografico dei Sanminiatesi di Roberto Boldrini è menzionato un Ser Ridolfo Ciccioni come colui al quale è intestata la via cittadina, e nel medesimo testo è menzionato anche un Ser Rodolfo Malpigli ricordato quale acerrimo avversario di Barone de’ Mangiadori. È mia opinione che le notizie fornite sui due personaggi siano in realtà da riferirsi alla stessa persona oppure può essere che nella casata Ciccioni-Malpigli siano esistiti sia un Ridolfo che un Rodolfo e che probabilmente si tratti di padre e figlio.
Posto dunque che il Ser Ridolfo della porta sia proprio il Ser Ridolfo Ciccioni nominato cavaliere nel 1308, dal Diario di Giovanni di Lemmo apprendiamo ulteriori importanti vicende occorse nella città di San Miniato nell’anno 1308 e in qualche modo legate a Ser Ridolfo Ciccioni. Il 31 maggio del 1308 Piglio Ciccioni, figlio di Ser Ridolfo, probabilmente a seguito di una decisione dell’esecutivo ostile ai privilegi magnatizi, si rende protagonista di un gesto provocatorio eclatante: ferisce al volto con un coltello uno dei Signori Dodici, Ser Fredi della contrada di Pancoli. La reazione popolare non si fa attendere: com’era previsto dallo Statuto del Comune, la casa di Piglio viene rasa al suolo ed egli viene condannato a pagare una multa di 1500 Lire. Inoltre, dopo questo episodio, viene imposto ai magnati sanminatesi il versamento di una cauzione di 1000 Lire presso il Capitano del Popolo a garanzia del risarcimento di future offese. Ma i magnati non ci stanno e, forti della loro ricchezza, mettono in atto un vero e proprio Golpe: il 4 agosto 1309, Ciccioni-Malpigli e Mangiadori alleatisi con le altre famiglie magnatizie, occuparono il palazzo comunale bruciarono gli statuti e cacciarono il Capitano del Popolo e i Signori Dodici bruciando pure il loro palazzo. Dettero alle fiamme inoltre le case di molti popolani e fecero sotterrare la campana con cui veniva adunato il popolo.
La sera del giorno dopo i Ciccioni-Malpigli e i Mangiadori nominarono quale nuovo Podestà Messer Betto dei Gaglianelli da Lucca e danno incarico di capitani riformatori a Barone de’ Mangiadori e Teodaldo de’ Ciccioni, i quali si insediarono nel nuovo palazzo del popolo corrispondente all’attuale palazzo comunale che evidentemente in quel periodo doveva essere in corso di completamento della sua costruzione.
La “dittatura” durò poco, forse addirittura pochi mesi, comunque fino a quando i Ciccioni e i Malpigli non entrarono tra loro in discordia, sicuramente prima del 1337 quando il potere era già in mano ad un governo popolare con nuovi statuti.

Città si S. Miniato - Porta Ser Ridolfo
Ed. Ubaldo Ubaldi - S. Miniato, 1943
(Utilizzo ai sensi art. 70, comma 1-bis, Legge 22 aprile 1941 n. 633)

La cronaca di queste vicende, pur non essendo strettamente inerente all’argomento di questo articolo, ci è parsa significativa per sottolineare la notevole potenza economica e politica che ha goduto la famiglia magnatizia di cui fa parte Ser Ridolfo. In ogni caso, nessuna fonte documentaria chiarisce se l’intitolazione della porta a Ser Ridolfo sia avvenuta per un fatto d’armi o perché fu costruita a sue spese, come ipotizza Dilvo Lotti nella sua vita di un’antica città.
La porta Ser Ridolfo è citata anche nella famosa prosa Le risorse di San Miniato di Giosuè Carducci. Il poeta, che dimorò nel 1857 nella casa adiacente alla porta stessa, nella sua prosa racconta d’aver abitato “subito fuori Porta Fiorentina” in evidente difetto di memoria in quanto la porta avrebbe dovuto semmai esser indicata come “Porta Pisana” poiché posta ad ovest rispetto alla città.
L’errore fu dovuto probabilmente agli oltre venti anni trascorsi dal suo soggiorno saniminiatese rispetto all’epoca in cui scrisse le Risorse, ma dà anche modo di formulare un’ipotesi meritevole di considerazione legata al periodo di costruzione della porta.
È ragionevole ipotizzare, infatti, che la porta possa essere stata costruita dai fiorentini, all’epoca alleati con San Miniato, e che successivamente sia stata da loro così chiamata in onore di quel sanminiatese Ser Ridolfo Ciccioni che aveva perso la vita nella battaglia di Montecatini del 1316 combattendo valorosamente a loro fianco. E chissà mai se l’erudito Carducci, che nelle sue Risorse ci ha dato dimostrazione di conoscere almeno in parte la storia di San Miniato citando personaggi come Federico II e Pier della Vigna, non avesse formulato la stessa ipotesi chiamando la Porta Ser Ridolfo come “fiorentina” nel senso di “costruita dai fiorentini”?


Si ringrazia l’Arch. Lucia Catarcioni per il prezioso contributo nella realizzazione di questo post.


Bibliografia
- Ciulli Alice, Il diario di Giovanni di Lemmo Armaleoni da Comugnori, Tesi di Laurea Università degli Studi di Pisa, facoltà di lettere, A.A. 2008/2009
- Repetti Emanuele, Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana, Firenze, 1831, Libro V, v. San Miniato, pag.74
- Lotti Dilvo, Vita di un’antica città, Sagep, Genova, 1979
- Boldrini Roberto, Dizionario Biografico dei Sanminiatesi, Pacini Editore, San Miniato 2002 v. Ciccioni-Malpigli Ridolfo
- Cristiani Testi Laura, San Miniato al Tedesco, Firenze, 1968

lunedì 9 maggio 2011

ABUSO DI FRANCIGENA?

di Francesco Fiumalbi


La notizia apparsa lo scorso 16 aprile 2011 sui quotidiani “La Nazione”, “Il Tirreno” e “GoNews” del ritrovamento di un piccolo tratto di Via Francigena nei pressi di San Pierino nel Comune di Fucecchio ci ha dato lo spunto anche per una riflessione più ampia sul tema della famosa strada.
Segnaliamo inoltre che il 1 maggio di quest’anno si è tenuta la Terza Giornata Nazionale dei Cammini Francigeni, quindi l’argomento è di primissima attualità.

Tutti noi sappiamo cos’è la “Via Francigena”, o quanto meno ne abbiamo un’idea più o meno precisa. Tuttavia, dobbiamo ammettere che ci sia un po’ di disinformazione, a partire proprio da molti organi istituzionali.

Un’indicazione del percorso “ufficiale” della Via Francigena
Loc. Capo di Vacca, San Quintino, Comune di San Miniato
Foto di Francesco Fiumalbi

Partiamo dalla definizione che viene fornita all’interno del sito internet della Associazione Europea delle Vie Francigene, progetto di cui fanno parte la Regione Valle d'Aosta, la Regione Piemonte, la Regione Lombardia, la Regione Emilia-Romagna, la Regione Liguria, la Regione Toscana e la Regione Lazio. Ebbene nella Home Page del sito troviamo la seguente definizione:

“Sigerico, Arcivescovo di Canterbury, recandosi a Roma in visita al Papa Giovanni XV nel 990 d.c., segnò l'inizio della Via Francigena.
Il percorso ufficiale, fedele a quello narrato dall'Arcivescono nei suoi Diari, è articolato in 79 tappe e da Canterbury, attraversando la Francia e la Svizzera, entra in Italia per giungere a Roma. Ha una lunghezza di 1800 Km e, nel tratto italiano, attraversa sette regioni - Valle d'Aosta, Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Liguria , Toscana, Lazio - e 140 Comuni, per un totale di 44 tappe.”

Analizziamo queste due frasi perché sono estremamente indicative del sentire comune, costituendo una definizione suscettibile di interpretazione che potrebbe portare ad un “abuso” del termine via Francigena.
Sembrerebbe, dalle parole ufficiali, che l’Arcivescovo di Canterbury abbia costruito una strada, oppure che abbia “lanciato una moda”. Niente di più sbagliato. Sigeric (o Sigerico) intraprese un viaggio percorrendo strade, valichi, attraversamenti, che già esistevano da diversi secoli prima di lui e che prima di lui erano stati continuamente utilizzati per gli spostamenti a media e lunga percorrenza in direzione nord-sud nella penisola italiana. E, cosa importante, egli seguì un percorso che non era il più breve possibile, bensì quello più confortevole, in relazione alla situazione delle strade, alle circostanze politiche delle zone attraversate, alle condizioni metereologiche, alle strutture d’accoglienza che avrebbe potuto incontrare. Esiste un percorso “ufficiale”, rispetto alle “Vie Francigene” che danno anche il nome alla sopracitata Associazione. E questo perché i percorsi che dall’Europa Centrale verso Roma (e viceversa) erano tantissimi, e sono cambiati continuamente durante il corso dei secoli, ma anche a seconda delle stagioni o del contesto politico locale. Quindi, non esiste una Via Francigena vera e propria: tale definizione è un artificio, una convenzione per cui è stato scelto quale percorso “ufficiale” quello di Sigerico semplicemente perché lui ci ha raccontato quello, oltre 1000 anni fa. In realtà ci sono anche altri illustri personaggi che dall’Europa Centrale sono arrivati a Roma, però è stato scelto quello di Sigerico perché è effettivamente completo e dettagliato ed anche perché è il più antico che ci è arrivato a noi.

Indicazioni sul percorso “ufficiale” della Via Francigena
San Pierino, Comune di Fucecchio
Foto di Francesco Fiumalbi

Significative, a tal proposito, sono le parole del Prof. Renato Stopani (1):
In ogni caso non riteniamo scientificamente corretto presumere di individuare il vero percorso medioevale di una strada, a meno che non lo si voglia precisare entro un ambito temporale ben circoscritto e sulla base di reperti definibili cronologicamente, la strada essendo in un certo senso assimilabile a un organismo vivente e, come tale, se usata, non può non essere andata incontro, col tempo, a continue modifiche del suo tracciato. Per questo motivo le ricostruzioni dei percorsi della via Francigena in Toscana (…) vanno intese semplicemente come ipotesi di direttrici viarie seguite dalla strada nel collegare quei luoghi di tappa attestati dalle fonti documentarie”.

Torniamo alla “scoperta” che abbiamo ricordato all’inizio di questo post: il ritrovamento di un tratto di una strada selciata nei pressi di San Pierino nel Comune di Fucecchio. Fortunatamente il selciato si trova proprio a margine del cantiere, per cui è stato sufficiente arrivare fino alla zona transennata senza dover entrare all’interno dell’area dove si svolgono i lavori.
La scoperta, come detto, consiste in un tracciato in pietra che era già venuto alla luce ad alcune centinaia di metri di distanza, al di sotto dell’attuale via Vecchia Sanminiatese. Durante alcuni scavi, condotti dall’archeologo Andrea Vanni Desideri nei primi anni ‘90, erano emersi due distinti tracciati: uno ad una profondità di circa 60 cm (risalente al XVI secolo), l’altro ad una profondità di 100-110 cm (datato alla fine del XIII secolo). Tale situazione è attribuibile alla necessità di ricostruire un nuovo tracciato più alto, a seguito di esondazioni del Fiume Arno, documentate all’inizio del ‘500 e che avevano danneggiato il selciato originario (2). Ecco, il percorso originario potrebbe essere un tratto della cosiddetta via Francigena “ufficiale” percorsa da Sigeric, l’Arcivescovo di Canterbury?
Per rispondere alla domanda dobbiamo “indagare” attraverso le fonti documentarie, che riescono a delineare un quadro abbastanza chiaro.

Il cantiere stradale presso San Pierino dove 
è stata rinvenuto un tratto di strada selciata

Negli Statuti del Comune di San Miniato (3), datati 1337, al libro IV, rubrica 106 (111) troviamo l’elenco delle strade principali, la cui manutenzione era a carico della comunità. Fra queste, troviamo la Strata vie nove qua itur Ficecchium, che dalla Stratam Pisanam conduceva fino al ponticello sul flumen Arni.
C’è da dire che nella medesima rubrica esiste anche una Strata Franginea che iniziava all’altezza della fornacem olim Corradini de Pagnana e conduceva fino a Castrum Florentinum.
Queste poche parole ci dicono un sacco di cose: la strada per Fucecchio era “nova”, quindi fatta in un’epoca relativamente recente rispetto alla data di compilazione della rubrica, e che essa non era riconducibile alla Strata Franginea per Castelfiorentino, in quanto se fosse stata la medesima strada sarebbe stato specificato. Invece vengono trattate come due strade distinte. Il ponte doveva sorgere laddove nel 984 era menzionato un guado, Vadocigni, nei pressi di Borgonuovo dove nel 1002 era attestato un pons Bonfilii che fu probabilmente distrutto durante la piena del 1106 e sostituito provvisoriamente da una navicella; a questo periodo risale l’onere da parte degli Ospedalieri di Altopascio di mantenere il ponte o comunque di garantire un attraversamento dell’Arno via nave (4).
Torniamo alla strada. Questa potrebbe essere stata costruita a seguito della concessione da parte di Federico II prima (1217) e della distruzione poi (1236) del Borgo di San Genesio ad opera dei sanminiatesi con conseguente deviazione della strada; nel 1289 la Comunità di Fucecchio delibera la costruzione di una nuova strada verso il Comune di San Miniato, probabilmente per ricongiungersi alla strada che i sanminiatesi avevano costruito ex-novo (5).

La strada selciata rinvenuta nei pressi di San Pierino

La strada selciata ritrovata non sarebbe quindi un tratto della “via Francigena” percorsa da Sigeric, bensì la strada ricostruita nel ‘600 su quella che era la nuova strada costruita dai sanminiatesi alla metà del ‘200. Sicuramente anche questo percorso fu utilizzato da pellegrini diretti a Roma, quindi potrebbe levarsi al rango di “via Francigena”, ma non “ufficiale”. Da rilevare poi, che quello che si vede non doveva essere la superficie vera e propria della strada: gli animali e i carri avrebbero fatto molta fatica a passarvi sopra. E’ ragionevole pensare che questo selciato costituisse il supporto, oggi si direbbe il sottofondo, sopra al quale ci doveva essere uno strato di terra battuta che avrebbe garantito un'andatura più comoda agli animali e un minor attrito per le ruote dei carri.
Il tema dell’attraversamento dell’Arno è, invece, molto più complesso tanto che gli storici sono molto prudenti al riguardo. Tratteremo di questo più approfonditamente in altri post.



NOTE BIBLIOGRAFICHE:
(1) Stopani Renato, Guida ai percorsi della Via Francigena in Toscana, Le Lettere, Firenze, 2003, pag. 17.
(2) Malvolti Alberto, Vanni Desideri Andrea, La strada Romea e la viabilità fucecchiese nel Medioevo, Comune di Fucecchio, Edizioni dell’Erba, Fucecchio, 1995, pag. 44.
(3) Salvestrini Francesco, Statuti del Comune di San Miniato al Tedesco, 1337, Edizioni ETS, Pisa, 1994, pagg. 397-398.
(4) Malvolti – Vanni Desideri, Op. Cit., pagg. 16-17.
(5) Morelli Paolo, Borgo San Genesio, la strada pisana e la via Francigena, in Cantini e Morelli (a cura di), Vico Wallari – San Genesio, Firenze University Press, Firenze, 2010, pagg. 137-139.