domenica 2 settembre 2012

I TABERNACOLI DEL VINO SANMINIATESI

di Francesco Fiumalbi

In Occidente, fin dall'antichità, il vino è un alimento legato alla sfera sacra, tanto nelle religioni pagane, quanto in quelle monoteiste.
Da qui a farne quasi un oggetto di culto ce ne corre, ma in pratica è quello che è accaduto a Firenze a partire dai secoli XV e XVI. Dei veri e propri "Tabernacoli del Vino" si aprivano sulle strade della Firenze rinascimentale, realizzati alla stessa maniera delle edicole sacre.
In realtà si chiamano "Buchette del Vino", ma la tradizione popolare le ha accostate ai tabernacoli proprio per loro forma, presa in prestito dalle edicole religiose.
Costituivano l'apertura degli "spacci" per la vendita del vino e dell'olio, in diretta comunicazione con la cantina, che generalmente si trovava nei piani bassi o interrati degli edifici. Essendo un commercio molto florido, proprio per ripararsi dal rischio delle rapine, queste buchette consentivano a mala pena il passaggio di un "toscanello", il tipico fiasco toscano la cui produzione era concentrata nell'empolese.

 Cantina Capponi, Firenze, via de'Bardi
Foto di Francesco Fiumalbi

A Firenze se ne contano a decine e decine, alla base dei palazzi nobiliari e non, tutte più o meno caratterizzate dalla tipica forma a edicola in pietra, con archetto superiore, con o senza la punta a goccia, e tutte rigorosamente chiuse da una porticina in miniatura. Nacquero fra il '400 e il '500, dopo che la crisi finanziaria aveva quasi messo in ginocchio Firenze (come non ricordare il fallimento dei Bardi e dei Peruzzi, per la mancata restituzione del debito da parte di Edoardo, Re d'Inghilterra). I banchieri cominciarono, così, a diversificare i propri investimenti, concentrandoli sempre di più sul "bene rifugio" per eccellenza: la terra. Divennero proprietari terrieri, e grandi produttori di vino e di olio, che vendevano direttamente dalle proprie cantine per evitare l'intermediazione da parte di osti e vinai, ricavandone un guadagno maggiore. L'avventore lasciava il fiasco vuoto e ne prendeva uno pieno, che poi avrebbe riportato la volta successiva.
Negli anni, moltissime buchette sono state alterate notevolmente: sono diventate cassette per la posta, eleganti porta-campanelli o, più semplicemente, murate. Tante altre sono andate perdute irrimediabilmente.

Cantina, Firenze, via de'Bardi
Foto di Francesco Fiumalbi

A San Miniato i "tabernacoli" sopravvissuti sono soltanto tre, ma un tempo dovevano essere molti di più. Sono elementi "d'importazione", e decisamente più semplici rispetto ai corrispettivi fiorentini.
Dopo la conquista del 1370, e per tutto il '400, i Fiorentini esportarono nel territorio sanminiatese il loro modello di organizzazione territoriale, basato sulle ville-fattoria a controllo del capillare sistema mezzadrile. Dal Catasto fiorentino del 1427 sappiamo che il territorio sanminiatese era coltivato a vigneto per quasi un quarto della superficie produttiva dichiarata (corrispondente a circa 2400 staiora), e ad oliveto per circa il 40 % (circa 4300 staiora) (1). Considerando che lo staio è la quinta parte dell'ettaro, possiamo trasformare le due superfici in 480 e 860 ettari. Approssimativamente un ettaro di vigneto produce circa 80 quintali di uva, dai quali si ricava il vino con una resa del 70 %, quindi da ogni ettaro di vigneto possiamo ottenere 56 quintali di vino, circa 5500 litri. Analogo ragionamento possiamo farlo per gli oliveti: un ettaro di olivi, disposti a sesto d'impianto, produce circa 50 quintali di olive, dai quali si ricava olio con una resa del 12 % circa, ovvero olio per 6 quintali/ettaro, corrispondente a circa 660 litri. Quindi in totale abbiamo circa 2,5 mln di litri di vino e circa 0,5 mln di litri di olio, prodotti nel territorio sanminiatese nel primo Quattrocento (2).

Scala del Vescovado, San Miniato
Foto di Francesco Fiumalbi

Il "tabernacolo" più bello, ma anche molto sciupato, è quello situato ai piedi della vecchia Torre dei Pallaleoni; la torre costruita nel 1310 si ergeva al centro dell'odierno Palazzo Vescovile, di fianco al Palazzo "vecchio" del Popolo (3) e scapitozzata nel 1746 (4). Nel 1489, anno in cui il palazzo fu destinato ai canonici dell'allora Collegiata dei SS. Maria e Genesio (poi dal 1622 Cattedrale), secondo il Piombanti venne realizzato lo sdrucciolo che da Piazza del Seminario conduce a Piazza del Duomo passando sotto al palazzo, chiamato Scala del Vescovado, sopra il quale è collocato uno stemma consunto dal tempo, la cui appartenenza ci è ignota (5). La muratura ai margini non è esattamente sagomata, il che fa pensare alla "buchetta" come elemento aggiunto in un momento successivo. Probabilmente fu realizzata dai Canonici posteriormente al 1489, come punto di vendita del vino prodotto nelle cospicue proprietà ecclesiastiche, anche se non è da escludersi una datazione anteriore.
Questa buchetta è caratterizzata da una edicola in pietra serena, molto consunta, con terminazione a punta. Sul lato sinistro si notano ancora gli alloggi per le cerniere metalliche, che dovevano sostenere la porticina in legno. Negli anni è stata tamponata in muratura.

Buchetta del Vino "dei Canonici"
San Miniato, Scale del Vescovado
Foto di Francesco Fiumalbi

La seconda "buchetta" è quella del Palazzo Roffia, edificato nel '500 a partire da una più antica abitazione risalente per lo meno al '300 (6). Si tratta di un'edicola in pietra arenaria, con terminazione arcuata, e con trattamento superficiale liscio. L'antica porticina è stata tamponata con muratura e poi intonacata.
Esternamente l'apertura è collocata molto in basso, in prossimità del piano stradale. Internamente invece si trova ad una quota di circa 60 cm dal pavimento, essendo il solaio dell'edificio più basso rispetto alla strada. Tale differenza di quota è da attribuirsi al progressivo innalzamento della sede carrabile, avvenuta negli ultimi due secoli.

 Palazzo Roffia, particolare
San Miniato, via Augusto Conti
Foto di Francesco Fiumalbi

La buchetta era collegata direttamente con la cantina del palazzo, situata dove oggi c'è il Circolo "La Cisterna". Lo sdrucciolo, che oggi fa da accesso al circolo, consentiva di trasportare i fiaschi del vino fino al piano terreno, dove venivano venduti al pubblico attraverso l'edicola.
I Roffia avevano consistenti possedimenti proprio a Roffia, nella pianura nei pressi dell'odierna San Miniato Basso, nella valle dell'Ensi (nei pressi di Marzana "bassa"), e in quella del Rio Pilerno (Catasto Generale della Toscana, 1834). Quindi dalla campagna, parte della produzione del vino raggiungeva San Miniato, dove veniva venduta ai cittadini direttamente dal palazzo padronale.

Buchetta del Vino "dei Roffia"
San Miniato, Palazzo Roffia, via Augusto Conti
Foto di Francesco Fiumalbi
 
Analogo discorso, vale per il "tabernacolo" di quello che un tempo era il Palazzo Pini, poi Pini-Maioli, Maioli e infine Viviani, situato in Piazza XX settembre, sul lato opposto rispetto all'ospedale. L'edificio presenta una facciata articolata, evidentemente frutto di ampliamenti e rifacimenti. Tuttavia sappiamo che i Pini, a cui probabilmente si deve il nucleo originario dell'abitazione, erano presenti a San Miniato già nel XIII secolo, e nel '400 vengono indicati come nobili (7). La famiglia continua a sopravvivere fino a tutto l'800, e detiene possedimenti dalle parti di Bucciano, Balconevisi, Agliati e a San Miniato sul fronte settentrionale della contrada di Pancole. Erano quindi proprietari terrieri, e vendevano il vino prodotto.

 Palazzo Pini, poi Pini-Maioli, Maioli, Viviani
San Miniato, piazza XX settembre
Foto di Francesco Fiumalbi

 La "buchetta" del vino dei Pini è quella più semplice delle tre. Costituita da una edicola in pietra arenaria, arcuata, e con la terminazione che presenta una punta accennata. Negli anni è stata murata, ed è situata alla sinistra del portone di ingresso, ad una altezza da terra di circa un metro. Al basamento dell'edificio, esattamente in prossimità della buchetta, si aprono tre finestrelle quadrangolari, una sorta di piccole "bocche di lupo", che servivano per aerare ed illuminare i locali seminterrati, verosimilmente adibiti a cantine.

Buchetta del Vino "dei Pini"
Palazzo Pini, poi Pini-Maioli, Maioli, Viviani
San Miniato, piazza XX settembre
Foto di Francesco Fiumalbi

Quelli che abbiamo visto sono i tre "tabernacoli del vino" superstiti. Probabilmente ogni famiglia nobile, aveva una edicola attraverso la quale vendere vino e olio direttamente dalle proprie cantine. Chiunque abbia notizia di altre "buchette", è invitato a segnalarcele!
 
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NOTE BIBLIOGRAFICHE
(1) Salvestrini Francesco, San Miniato al Tedesco. Le risorse economiche di una città minore della Toscana fra XIV e XV secolo, in Rivista di Storia dell'Agricoltura, n. 1, 1992, pp. 111-118.
(2) E' bene precisare che i valori considerati non sono quelli odierni, ma cautelativamente più bassi, e sempre arrotondati per difetto, tenendo conto della minore produttività dell'epoca. Non vanno intesi come dati effettivi e certi, ma solo come indicazione quantitativa. E lo stesso dicasi per le superfici, sicuramente inferiori a quelle effettive: nel computo non è considerato il seminativo alborato vitato, e poi essendo il catasto basato su accertamenti che non prevedevano la misurazione scientifica del terreno, è ragionevole ipotizzare una consistente approssimazione al ribasso. Inoltre il territorio sanminiatese non era quello attuale. Buona parte della Valdegola ricadeva nei comuni di Barbialla, Cigoli, Stibbio e Montebicchieri, ma di San Miniato erano i territori di Marcignana, Ponte a Elsa, Monteprandi e Brusciana, poi riordinati con la riforma comunitativa del 1774. Si veda il Regolamento Generale per le Comunità del Distretto Fiorentini del 29 settembre 1774 e il Regolamento Locale per la Comunità di Samminiato del 14 Novembre 1774. Quindi la superficie del territorio sanminiatese dell'epoca è da considerarsi circa l'60-70 % di quella attuale.
(3) "Pulienses et Malederate de sancto Miniate fecerunt simul consortium, et se invicem ad cartam ligaverunt et obligaverunt de manutenendo guerram et pacem simul etc, sub anno predicto et indictione, die XXVIII novembris. Postea anno MCCCX, de mense agusti , fecerunt fieri turrim de lateribus prope palatium, et vocabatur <<La torre dei Pallaleoni>>", Giovanni di Lemmo da Comugnori (ed. a cura di Vieri Mazzoni), Diario (1299-1319), Leo S. Olschki Editore, Firenze, 2008, c. 18r, p. 22.
(4) Piombanti Giuseppe, Guida della Città di San Miniato al Tedesco con notizie storiche antiche e moderne, Tipografia di Massimo Ristori, San Miniato, 1894, rist. anast. Matteoli Anna (a cura di), Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di San Miniaro al Tedesco, n. 44, 1975, p. 79; cfr. Cristiani Testi Maria Laura, San Miniato al Tedesco. Saggio di storia urbanistica e architettonica, Marchi & Bertolli, Firenze, 1967, pp. 101-102.
(5) Piombanti, Op. Cit., p. 79.
(6) Cristiani Testi, Op. Cit., p. 123.
(7) Boldrini Roberto (a cura di), Dizionario Biografico dei Sanminiatesi (secoli X-XX), Comune di San Miniato, Pacini Editore, Pisa, 2001, p. 229.

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