a
cura di Francesco Fiumalbi
“Dalla
Rocca si vede il Mondo”.
E' questa una delle frasi ricorrenti quando un sanminiatese, con
occhi illuminati, invita qualcuno a salire sul punto più alto della
propria Città. Ed è, probabilmente, anche uno degli aspetti che
suggerirono agli imperatori germanici di eleggere San Miniato quale
propria sede. Tutti i popoli toscani vedevano (e vedono) San Miniato
e il suo castello imperiale, e da San Miniato i regnanti, o i loro
vicari, potevano gettare gli occhi sulla Toscana e controllare,
almeno visivamente, le altre città.
Foto di Francesco
Fiumalbi
L'alta
torre è uno dei principali motivi di orgoglio nei sanminiatesi,
oggi, così come nei tempi passati. Ce ne fornisce prova Augusto Conti,
celebre filosofo nonché Patriota d'Italia, nel suo Evidenza,
Amore e Fede e Criterj della Filosofia – Discorsi e Dialoghi,
Ranieri Guasti, Prato, 3° Edizione 1872 (1° Edizione, Firenze, 1862).
«Già
i Samminiatesi son tutti a quel modo, né stanno bene che all'ombra
della rocca; e si tengono tanto della lor terra, che presso i vicini
destano gelosia».
[A. Conti, Evidenza... cit., p. 546]
[A. Conti, Evidenza... cit., p. 546]
Senza
entrare troppo nei dettagli, con questo suo lavoro egli propone una
serie riflessioni di filosofia su tutti i campi del sapere, dalla
religione alla scienza, fino alla politica e all'arte, sotto forma di
dissertazioni o di dialoghi. A conclusione dell'opera, divisa in due
volumi, lascia spazio ad una “Lieta
Brigata”
composta
da un Romano, un Napoletano, un Siciliano, un Piemontese, un Lombardo
e un Toscano. A primo acchito potrebbe sembrare una barzelletta, ma
non lo è affatto. Guarda caso il Toscano è un Sanminiatese ed è un
po' il capoccio della compagnia, che egli conduce a fare un
“Viaggetto”
di cinque giorni passando per le Pizzorne, Empoli, Vinci,
Castelfiorentino, Certaldo, Gambassi, San Vivaldo giungendo, infine,
a Cigoli e a San Miniato, che è la tappa conclusiva. E, al termine
dei cinque giorni, proprio lassù, sulla cima della Rocca, i sei
protagonisti si soffermano ad ammirare il panorama. Il discorso cade
su un tema assai caro ad Augusto Conti: l'Unità d'Italia, non solo
politico-amministrativa, ma anche culturale, e il difficile rapporto
fra Stato e Chiesa. «Deh!
Pensiamo e amiamo fortemente, operosamente; camminiamo col buon senso
del popolo e con la sapienza degli avi; abbiamo cara la fede; e
l'Italia è fatta. Ed è fatta pure la scienza e l'arte, non
possibili senz'evidenza del vero, senz'amore del bene, e senza fede.»
Per
risolvere quello che all'epoca era davvero una problema nazionale (il Conti scrive nel 1862, ma la
Legge delle Guarentigie
è del 1871!), Augusto Conti, intrinsecamente, suggerisce di guardare
la questione dall'alto, per dominare il mondo che ci circonda, per
meglio poter apprezzare la ricchezza e l'intensità culturale,
religiosa e scientifica dell'Italia. Aveva bisogno, quindi, di una
ambientazione in posizione d'altura. Ed egli scelse un punto preciso,
la Rocca di San Miniato, situata al centro della Toscana, quella
terra, culla del Rinascimento, considerata dal Conti un po' come il
cuore d'Italia. Quindi al centro della Penisola e del mondo caro alla
brigata.
Foto di Francesco
Fiumalbi
Ecco le parole di
Augusto Conti:
«Già
il sole s'avvicinava al tramonto, e, nunzio della sera, si levò un
venticello, per cui sussurravano leggermente le foglie odorate degli
allori. In tutta l'ampiezza del cielo non vedevasi che dolce
serenità; però il Samminiatese invitò i giovani a seguirlo, ché
gli avrebbe condotti sul vertice del monticello, ove s'inalza la
rôcca.
La lieta brigata sorse in piede, rientrò in Samminiato, e per un
viottolino scosceso salì su quella cima, che serba dell'antico una
torre sfasciata e pochi rudere, ma di lassù che veduta! A ponente il
mare, a levante il Casentino e i monti senesi, a tramontana gli
appennini di Pistoia, a mezzogiorno i poggi di Volterra e della
maremma toscana! Chi sta su quella punta, gli pare come il centro
d'un circolo, la cui periferia non chiude la vista, ma n'è termine
naturale che la riposa. Da una parte fan semicerchio i selvosi
appennini che dall'Alpi apuane su pe' monti di San Marcello, di
Firenze, del Casentino e di Siena, girano a' colli maremmani; e si
distende nel mezzo la Valdinievole, seminata di castelli, e il
Valdarno, e il pian di Lucca e di Pisa, e la lontano il mare che
brilla al sole cadente. Dall'altra parte è un ondeggiare di colli,
com'onde marine, fin a Volterra ed a Montenero, sicché lì diresti
una pianura solcata in valli dal diluvio, fuggendo l'acque
all'oceano. Ed ogni cima di colle ha la sua chiesetta, ed ogni
pendice le sue case rusticali o ville signorili, ed ogni valle il suo
fiumicello; e tutte le convalli si girano verso la valle dell'Arno
che specchia in sé fitti, e, quasi direi gremiti, castelli e
villaggi senza numero. Oh che be' luoghi! Oh luoghi divini!»
Foto di Francesco
Fiumalbi
«Mirate,
diceva il Samminiatese, siam quasi nel mezzo d'Italia. Sotto quel
monte aguzzo che si chiama la Verruca, giace Pisa, terra natale di
Galileo, antica signora del mare; lungo i monti più là è Genova,
patria del Colombo; varcate que' monti si va nel Monferrato, e poi a
Torino, la piccola nostra Macedonia, fatta grande dalla pietà e dal
costume guerriero dei suoi re e del suo popolo. Quelle son le
montagne del Pistoiese ove la lingua è sì pura ed armoniosa; e là
è San Marcello e Gavinana ove Francesco Ferruccio prodigò l'anima
grande alla patria. Indi si valica in Lombardia bella, che ha
scontate a sì caro prezzo le discordie di sue cento città, un dì
sì potenti e fiorite; e là vive il Manzoni e là nacquero Virgilio
e l'Ariosto. Su quel nodo di monti sorge Fiesole, città etrusca,
ond'ebbe Roma tanta parte di civiltà; e più sotto è Firenze, che
vide le spalle d'Arrigo imperatore e di Carlo re, patria
dell'Alighieri, Atene d'Italia. Su' gioghi più lontani 'l poverello
d'Assisi rinnovò l'immagine di Cristo e s'offerse a Dio per questa
patria sua piena di peccato e di discordia. Di là si scorge
l'Adriatico sposo infedele alla cara Venezia, che fiaccò la superbia
ottomana e fu novella Roma; e giù per que' monti da un lato discende
l'Arno, presso ad Arezzo, cuna di mecenate del Petrarca, del
Cesalpino e del Redi; e dall'altro si muove il Tevere per la città
di Quirino e di San Pietro, per la sublime Roma di cui negli antichi
e ne' nuovi tempi, dopo quello di Dio, non sonò mai nome più grande
sotto la volta de' cieli. Volgetevi in qua; vedete nel sereno
dell'orizzonte le torri dell'etrusca Volterra, e, movendo l'occhio
per la cerchia de' colli, mirate, noi andiamo a terminare in quella
punta ch'è Montenero; e là sorge Livorno. Da quel porto movendo le
navi, e costeggiando le piaggie di Roselle e di Populonia, rasentano
poi Fiumicino. Il navigante salutata di lontano la cupola di San
Pietro, dopo non molto vede le colline di Posilippo e di Mergellina,
e il biforcuto Vesuvio e ricorda gli antichi popoli de' quali non
ebbe Roma più valorosi soldati e le glorie della Magna Grecia, e la
battaglia di Velletri, e la divina musa del Tasso, e l'Aristotile
santo d'Aquino. Fuggono poi d'innanzi agli occhi 'l capo Miseno,
baia, Cuma e Sorrento, e sorgonsi i monti di Sicilia, sprone
d'Italia, margherita del mare, tesoro di stupende rovine, patria
d'Empedocle e d'Archimede, la quale aspetta glorie novelle quando
noi, fatti migliori, placheremo lo sdegno di Dio.»
Augusto
Conti, Evidenza,
Amore e Fede e Criterj della Filosofia – Discorsi e Dialoghi,
Ranieri Guasti, Prato, 1872, Volume II, pp. 582-584.
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