venerdì 14 giugno 2013

IL SIGILLO DEI SIGNORI DODICI DI SAN MINIATO

a cura di Francesco Fiumalbi

In questo post è proposto lo studio operato dall'erudito fiorentino Domenico Maria Manni (Firenze 1690 – 1788) relativo al sigillo dei Signori Dodici del Comune di San Miniato. La dissertazione del Manni si inserisce nel volume n. XIV delle sue Osservazioni Istoriche sopra i sigilli antichi de' secoli bassi (30 volumi, editi fra il 1739 e il 1786), stampato a Firenze, presso la sua stamperia, nel 1743.
Il Sigillo proposto dal Manni sembra fosse conservato nella collezione di Gaetano Antinori, nobile fiorentino. Inoltre egli riferisce di un ulteriore sigillo posseduto dal Canonico Innocenzio Buonamici di Prato, del quale Luigi Passerini (L. Passerini, Le Armi de' Municipj Toscani, Firenze, 1864, pp. 158-159) attribuisce una datazione al 1355, anno in cui San Miniato si pose sotto la protezione dell'Imperatore Carlo IV di Lussemburgo incoronato a Roma nello stesso anno. Lo stesso Luigi Passerini propone come datazione del sigillo pubblicato dal Manni l'anno 1309. In realtà potrebbe essere anche posteriore di alcuni anni.
Occorre precisare che la dissertazione che segue al sigillo è decisamente scarna, incompleta e imprecisa. D'altra parte, al momento in cui scrive il Manni, non erano molte le pubblicazioni che trattavano la storia sanminiatese: le cronache di Giovanni e Matteo Villani, Ricordano Malispini, Niccolò Macchiavelli e le opere di Giovanni Lami (che contiene anche gli annali del Bonincontri) e di Scipione Ammirato il Vecchio con le aggiunte del Giovane. Per cui molte notizie che disponiamo oggi, a quel tempo non erano ancora state riportate alla luce.
Più che altro, sembra che il Manni sia particolarmente interessato all'ambito, Guelfo o Ghibellino, in cui San Miniato si inseriva di volta in volta, all'interno dello scacchiere politico toscano fra il '200 e il '300. E per questo tralascia tutta una serie di informazioni storicamente rilevanti, su tutte la conquista da parte dei Fiorentini del 1370.
Probabilmente questa impostazione deve essere stata suggerita anche dalla presenza nel Sigillo del cosiddetto “Capo d'Angiò”, ovvero un lambello di colore rosso, costituito da quattro pendenti, intervallati da tre gigli d'oro su sfondo azzurro. Questo particolare del Capo d'Angiò contraddistingueva in Italia, e con maggior frequenza in Toscana e in Romagna, la Parte Guelfa, a cui San Miniato aderì in varie occasioni: su tutte nell'ambito della “Pace di Napoli” del 1317, promossa da Roberto d'Angiò e che segnò il ritorno di molti castelli a San Miniato, che si trovavano detenuti dai Pisani, conquistati o fatti ribellare da Uguccione della Faggiuola fra il 1314 e il 1316. E, come giustamente rileva il Manni, San Miniato non mancò di aderire anche alla fazione ghibellina a seconda delle convenienze, come in occasione delle discese di Carlo IV, e che probabilmente portarono anche a modifiche negli Statuti del Comune, come ha osservato Francesco Salvestrini [F. Salvestrini, Il Nido dell'Aquila. San Miniato al Tedesco dai Vicari dell'Impero al Vicariato Fiorentino del Valdarno Inferiore (secc. XI-XIV), in A. Malvolti e G. Pinto, Il Valdarno Inferiore Terra di Confine nel Medioevo (Secoli XI-XV), Atti del Convegno di Studi 30 settembre – 2 ottobre 2005, Leo S. Olschki Editore, Firenze, 2008, p. 262]. E quindi non è da escludere che, assieme ai libri statutari, anche l'emblema comunale non abbia subito modificazioni e aggiornamenti.

Di seguito l'estratto: Domenico Maria Manni, Osservazioni Istoriche sopra i sigilli antichi de' secoli bassi, Vol. XIV, Firenze, 1743, Sigillo n. IX, pp. 95-103.

Il Sigillo dei Signori Dodici del Comune di San Miniato


OSSERVAZIONI
ISTORICHE
SOPRA IL SIGILLO IX.

«Dal Sig. Abate Gio. Paolo Ombrosi, giovane di ottima aspettazione, sono stato favorito d'alcune reflessioni d'Amico suo sopra il Sigillo de' Dodici del Popolo della nobile Terra, ed ora Città, di S. Miniato, alle quali alcun'altra cosa di mio mi è paruto di dovere aggiungnere, come in appresso; il tutto per dar luce, e chiarezza al Sigillo stesso.
L'antica Repubblica di Samminiato faceva per Arme come fa anco di presente una Leonessa con stocco (un tipo di spada a lama lunga e sottile, adatta ai colpi di punta, n.d.r.), come si vede appunto nell'impresso sigillo.
In un altro Sigillo posseduto dal Sig. Canonico Innocenzio Buonamici di Prato la Leonessa sembra essere senza lo stocco, bensì coronata, avente attorno le parole SIGILLUM · IMPERIALIS · CASTRI SANCTI · MINIATIS.
Ciò premesso, chiaramente si vede, ch'esso non era Sigillo particolare d'alcun Magistrato, ma proprio del Comune, il qual era governato a vicenda, e secondo l'estrazioni, da dodici Persone, chiamati i dodici Difensori del Popolo, e dipoi vi aggiunsero CAPITAN PARTIS GUELFE.
Il governo di quella allora Repubblica fu or di Parte Guelfa, ed or di Ghibellina, secondo che l'una prevaleva all'altra, o che cos' richiedevano i reflessi politici: Comecchè Samminiato era residenza de' Vicari Imperiali, che vi aprirono il lor Tribunale fino al tempo d'Ottone I, come attestano i Bonincontri, Malespini, Boninsegni, Villani, Ammirati ec. E de fatto per esser così benemerito dell'Imperio, a principio inclinò il governo a Parte Ghibellina.
Del 1202. lo dice chiaramento il Bonincontri nel Lib. 4 de' suoi Annali.
Del 1240. attesta Giovanni Villani, che Federigo II. molti prigioni Guelfi mandò a Samminiato.
Cosa simile riferisce nel suo Viaggio il chiarissimo Sig. Giovanni Lami sotto l'anno 1249 di alcuni Fiorentini Guelfi da Federigo messi in progione in S. Miniato, ove i più morirono di miseria; e ciò coll'autorità degli Annali del Bonincontri.
E nel 1281 il medesimo Villani, poiché riceverono il Vicario Imperiale, che venne in Toscana in favore de' Ghibellini.
Nel 1320 i Samminiatesi erano uniti con Castruccio contro i Fiorentini; eccoli Ghibellini. Nel 1324 in lega co' Fiorentini contro Castruccio; ed eccoli Guelfi.
Contro la volontà dei Fiorentini si dettero all'Imperator Carlo IV da cui riceverono cortesie straordinarie, come racconta Matteo Villani nel Libro 4 Cap. 63 ed accettarono il Vicario Imperiale, che iusdicebat in tutta la Toscana, ed a lui, ed alla sua Curia si devolvevano le Cause d'appello anco criminali, come si riconosce dal fatto riferito dal medesimo Matteo Villani al Libro 5 Cap. 26 che quei tre Cittadini di Firenze, accusati di offesa maestà, benchè di essi noino sospetto cadesse nel petto dell'Imperatore, nondimeno convenne, che si appresentassero in giudicio a Samminiato, ove furono dichiarati non colpevoli.
In altri tempi non mi pare, che il Governo di Samminiato fosse Ghibellino, con tutto che questo paese fosse per antico la Residenza degli Imperatori, e de' loro Vicari nel luogo sopraccitato: vedo bene, che in molte congiunture favorì i Guelfi, e prima.
Nel 1251 i Fiorentini convennero co' Lucchesi, che si sarebbero adoprati di tirar dalla loro i Samminiatesi, così l'Ammirato il giovane: tal promessa mi fa credere, che i Samminiatesi o fussero, od inclinassero a Parte Guelfa, perché se fossero stati pretti Ghibellini, a tanto non si sarebbe avanzato il Comune di Firenze.
Nel 1260 è chiaro, che di quivi li mandò le genti all'Arbia, e fu di gran giovamento ai fuggitivi.
Nel 1276 nella pace conclusa alla Fossa Arnonica i Samminiatesi erano collegati co' Fiorentini, che si governavano a Parte Guelfa; così l'Ammirato il giovane.
Nel 1289 i Samminiatesi spedirono soccorso contro i Ghibellini d'Arezzo, dove il franco ed esperto valore d'un Cavaliere Samminiatese fu causa della vittoria di Campaldino: così raccontano le Croniche di Dino Compagni.
Nel 1297 racconta il sopraccitato Scipione, che nell'esercito spedito in favor del papa non solo vi erano le milizie di quivi, ma di più era Capitan Generale di tutto l'esercito Bertoldo Malpigli da Samminiato.
Nel 1301 il medesimo Scipione afferma che si confermò la taglia de' Guelfi in Toscana, alla quale comandava come Generale Barone de' Mangiadori da Samminiato.
Nel 1308 nelle Croniche del nostro Ser Giovanni di Lelmo si narra, che i Fiorentini, Sanesi, Samminiatesi, Lucchesi, ed altri Gulefi andarono coll'esercito contro gli Aretini.
Nel 1313 nelle suddette Croniche si fa menzione che, perché i Pisani ruppero guerra a' Samminiatesi, furono confinat nelle loro Ville molti Samminiatesi di Parte Ghibellina.
Nel 1318 nelle dette Croniche si narra che nella pace fatta in Napoli colla mediazione del Re Ruberto, i Samminiatesi come Guelfi ec.
Nel 1325 dopo la rotta d'Altopascio dice il Villani Libro 9 Cap. 303 che da nullo Guelfo ebbono subito aiuto, se non da Samminiato.
Nel 1343 raccontano l'Ammirato, ed il Boninsegni, che vedendosi alle strette i Fiorentini al tempo della cacciata del Duca d'Atene, chiesero aiuto ai Samminiatesi, i quali in meno di ventiquattro ore sperirono loro duemila uomini in soccorso, che molto ricreò, ed incoraggì lo sbigottito popolo di quella Città, la quale governandosi a Parte Guelfa, è credibile, che ricorresse agli amici, che se in Samminiato fosse stato governo Ghibellino, certamente non gli si sarebbe spedito così valido soccorso.
Nel 1347 mi do a credere, che in questo tempo visi vivesse a Parte Guelfa, per la lega fatta tra i Fiorentini, e' Samminiatesi, nella quale fra l'altre convenzioni si legge, che i Grandi di Samminiato fossero Grandi di Firenze, ed i Grandi di Firenze fossero Grandi di Samminiato. Vi è lo strumento riferito anco dall'Ammirato, e da altri. Ed in questo anno, io poco dopo vado pensando, che fatto il Sigillo, di che si discorre, perché quei Gigli pare, che denotino la stretta unione, che si fece in quest'anno tra i due Comuni, e poteasi dare che anco in Firenze si facesse un Sigillo coll'Arme propria del Comune di Firenze, con accanto, o sopra la Leonessa di Samminiato (lo che per altro non si crede) per denotare, che si viveva fra loro in concordia, ed aleanza.
Mè qui disdice l'aggiungere per maggiore schiarimento del Sigillo, come si trovano alcuni Ricordi MSS, circa gli affari di Samminiato, che nominano opportunamente i Dodici del Sigillo stesso; l'uno sotto l'anno 1309 ed è che: Piglio di Mess. Ridolfo Ciccioni feì nel viso Ser Fredi di Ser Ruggieri Bertacci della Contrada di Pancoli con un coltellaccio il dì primo di Maggio, il quale Ser Fredi usciva detto dì de0 Signori Dodici del Popolo di S. Miniato, e tutti i giurati per tal cosa con il Gonfalone incontanente consero alla Casa di detto Piglio, e quella per la parte li toccava spianarono fino a' fondamenti, essendo Capitano del Popolo Mess. Leuccio de' Guazzalotri da Prato, il quale dipoi condannò detto Piglio per detta ferita, e maleficio commesso in l. 1500 i suoi beni applicando alla Camera del Comune la metà, ed all'offeso il resto.
L'altro: i Ciccioni, e Mangiadori, e gli altri Nobili di S. Miniato adì 14 agosto 1309 roppero il Popolo di detta Terra, ed arsero tutti i Libri, e Statuti del Comune, e cacciarono li Signori Dodici del Palazzo, e così il Capitano del Popolo, e questo fecero perché s'era fatto uno Statuto, che i Nobili fossero tenuti sodare dinanzi al Capitano di lire 1000 di non offendere nessuno popolare, la qual cosa i Nobuli recusando, furono forzati combattere insieme. Vincendo i Nobili, come s'è detto di sopra molte Case de' Populari abbruciarono, e guastarono, e specialmente quelle di Bindo Vannucci, di Ser Matteo di Ser Arrigo Malederrate, e di Ser Giunta da Brusciana, e molte altre messe a scacco. E dopo questo il giorno seguente ad ora di Vespro detti Ciccioni, e Mangiadori con altro Nobili fecero consiglio per riformare la Terra, e dettero autorità, e potestà, e balia a Mess. Betto Tagliameli da Lucca in quel tempo Podestà di S. Miniato; e Mess. Barone de0 Mangiadori, e Mess. Tedaldo de' Ciccioni furono eletti Capitani, e Riformatori a riformar la Terra; i quali abitavano, e facevano residenza nel Palazzo nuovo del Popolo, dove elessero li Signori Dodici; dipoi con detti Signori s'elesse il Consiglio del Popolo, e della Guardia, e così d'accordo fu riformata la Terra, ed il Podestà per vigor dell'arbitro datoli fortemente puniva con aspezza, e specialmente Cinello di Bardo Bonfigli della Contrada di Pancoli, il quale avea morto Vanni di Ser Piero il Giovedì a' 22 d'Agosto, e volendolo ricomprare gli amici suoi lir. 1500 non ottenne la grazia, ma il dì seguente gli fu mozza la testa. Molte cose di Samminiato sono riferite dal soprallodarto Sig. Dottor Giovanni Lami nel suo Viaggio.
Ma per dire qualche cosa della Divisa di tal Luogo, ella, come è stato accennato di sopra, si è una Leonessa bianca in campo rosso avente uno stocco nella branca destra, sebbene poco nel Sigillo si conosce. In altro Sigillo parimente antico della Terra, oggi Città medesima, si legge attorno: SANTUS · MINIATUS · FUGURAM · DAT · LEONINAM.
Notar quindi si vuole, come il Comune di Samminiato l'anno 1491 concedè a Matteo di Manetto Carnesecchi, e suoi figliuoli, e discendenti di poter portare l'Arme stessa della Leonessa, in riguardo de' buoni portamenti fatti da esso Matteo stato Vicario ivi l'anno 1410 e di quelli ancora di Maneto padre di esso Matteo statone Vicario l'anno 1440. Ciò, che in varj luoghi in altri tempi a diverse Famiglie è stato fatto, full'esempio di quel che ha praticato talvolta il Comune di Firenze verso gli Ufficiali loro forestieri, che hanno fra noi amministrato la giustizia.»

2 commenti:

  1. Ma come da leonessa divenne leone qui non si dice nulla pur accennando a quel Carlo IV che pare sia stato la causa del mutamento di sesso.

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    1. L'ho scritto nell'introduzione, fu il Passerini a dire che mutò da leonessa a leone, nel suo libro sugli stemmi dei comuni toscani, stampato nel 1864. L'ipotesi (si può parlare sono di ipotesi) del Passerini è stata poi ripresa da tutti quelli che sono venuti dopo.

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