venerdì 5 luglio 2013

VEDUTA DELLA CITTA' DI SAN MINIATO

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Di seguito è proposta la Veduta della Città di San Miniato, in Francesco Fontani, Viaggio Pittorico della Toscana, Tomo IV, Firenze, 1817, pp. 229-236.

VEDUTA
DELLA
CITTA' DI S. MINIATO


Nobile ed assai ragguardevole Terra fu un tempo S. Miniato, oggi Città Vescovile, non inferiore a molte altre della Toscana. Se dovessimo prestar fede alle strane chimere d'Annio Viterbese, converrebbe credere che questa Terra avesse avuta la sua origine da Desiderio Re de' Longobardi, e che fin d'allora la denominasse S. Miniato al Tedesco, perché eretta apposta per ivi situare, quasi come una Colonia, quei popoli di Germania che ad esso lui obbedivano. Sono troppo ormai note le imposture di questo Scrittore per non si dover trattenere a impugnarle, onde più volentieri, lasciata da parte ogni discussione, adotteremo il sentimento di Lorenzo Bonincontri, il quale, sì nella storia che egli scrisse della Sicilia, come ne' suoi Annali, attribuisce la fondazione della sua patria ad Ottone I, Imperatore, il quale, secondo il Villani, scese in Italia nel 962, e quivi appunto costituì, come in luogo opportunissimo, il Tribunale degli Appelli, lasciando giudice dei medesimi un Tedesco di nome Arnolfo. Non dee fare specie perciò se in breve tempo questa Terra crebbe e in onore, e in grandezza, poiché risiedendovi i Vicarj Imperiali, e molte e frequenti essendo le cagioni che là vi chiamavano i popoli, facilmente comprendesi la necessità che ci dovette essere di accrescervi le abitazioni, e i comodi pei ricorrenti. Fu probabilmente per loro vantaggio appunto che i Samminiatesi nel 1197, siccome come racconta l'Ammirato “venne voglia, disfatto la Terra loro, che avevano nel poggio, per accostarsi ad Arno e all'Elsa, di farne una di nuovo nel piano”; ma considerato poscia che più agevol cosa sarebbe stata per loro il difendersi in sull'alto delle nemiche incursioni, nel 1200 tornarono ad abitare là donde se n'erano partiti, e temendo le forze dei Fiorentini distrussero, al riferire dello stesso Ammirato, onninamente il Borgo di S. Genesio. Il Lami nel suo Odeporico tratta a lungo di cotal Borgo, della sua situazione, e delle istoriche particolarità che lo riguardano, e adducendo l'autorità di varj autentici diplomi, i quali rammentano come esistente ancora la Terra di S. Genesio nel 1240 conchiude, che nel 1200 quei di S. Miniato probabilmente diroccarono o smantellarono, ma non la ridussero a nulla prima del 1248, dopo il qual tempo non se ne trova più memoria ulteriore negli Scrittori.
Quando poi la Terra di S. Miniato cominciasse a governarsi con proprie sue leggi, ed in forma di Repubblica, non potrà agevolmente accertarsi finché non si discuopra alcun sicuro documento: e se può qualche cosa arguirsi con probabilità, pare che verso la metà del Secolo XII essa già fosse in liberà, e che dodici suoi Terrazzani a vicenda, ed in forza della sorte, rappresentassero l'autorità suprema, privilegiati del titolo di Difensori del Popolo. Nelle circostanze delle divisioni dei partiti in Itali, essendo eglino stati così beneficati dall'Impero, a principio spesso inclinarono alla fazione Ghibellina: ed infatti la loro Terra non una sol volta servì come di luogo destinato per la custodia dei prigioni Guelfi, al quale oggetto Federico II munì a guisa di fortezza la chiesa di S. Michele, come racconta il Bonincontri ne' suoi Annali, o, come narra il Villani, vi fece erigere la Rocca, dove furono guardati nel 1248 gli ostaggi che e' prese da tutte le Città della Toscana; e nell'anno dopo qua miseramente morirono quei Fiorentini, ed altri della parte Guelfa che v'erano stati imprigionati per sospetto di opposizioni, secondoché gli storici ci vanno riferendo. Comunque ciò siasi però, non è da revocarsi in dubbio che questa Repubblica in diversi tempi (secondo che portavano i riguardi politici, o che l'una delle fazioni prevaleva contro l'altra) non favorisse talvolta ancora il partito dei Guelfi: ansi sappiamo che nel 1260 i Samminiatesi si collegarono coi Fiorentini mandando le loro genti all'Arbia contro i Senesi, come nel 1289 spedirono soccorso contro i Ghibellini di Arezzo; e l'Ammirato, ed il Boninsegni raccontano come nel 1343 i Fiorentini Guelfi, vedendoni in grave cimento per l'espulsione del Duca d'Atene, chiesero ajuto ai Samminiatesi, i quali in meno di ventiquattro ore spedirono loro due mila uomini in soccorso, lo che molto ricreò, ed incoraggì sommamente lo sbigottito popolo di Firenze. Un ajuto d'uomini sì rispettabile manifesta ben la potenza della Repubblica di S. Miniato in quel tempo, e la di lei grandezza sarebbe ancora cresciuta di più se ne suo seno medesimo non fossero cominciate a nascere delle dissensioni, le quali andarono degenerando appoco appoco progressivamente in guerre civili, funeste sempre, e cagione malnata di atroci, e pessime conseguenze. I Grandi, ed il popolo, secondo l'uso del tempo, erano di continuo alle prese fra di loro, ed ogni incidente faceva nascere dei tumulti, che terminavano in morti ed in stragi. Nel 1347 adunque “non avendo (al riferire dell'Ammirato) i popolani potuto patir l'orgoglio de' Malpigli, e de' Mangiadori, famiglie nobili di quella terra, i quali avevano tolto certi malfattori, loro masnadieri a Guglielmo Rucellai cittadino Fiorentino, e Podestà di S. Miniato, et levate il rumore, volevano anco disfare gli ordini del popolo. Avrebbero essi ciò facilmente conseguito, se non vi fossero sopraggiunte le masnade, che il comune di Firenze tenea nel Valdarno di sotto, et quasi nel medesimo tempo gli Ambasciatori Fiorentini, i quali si posono di mezzo per mettergli in pace; onde il popolo non volle essergli ingrato del beneficio ricevuto, pensando anche con questo modo poter meglio difendersi dall'ingiurie dei grandi” e prese il partito di darsi ai Fiorentini per cinque anni.
La Signoria di Firenze fu ben lieta di questo forse impensato avvenimento, e non mancò sulle prime di manifestare le migliori disposizioni verso di un popolo tanto di se benemerito: ma usata, com'era, a dilatare in qualunque maniera il suo dominio, e facile nell'occasioni ad aggravare i popoli che se le erano dati in accomandigia, non istette molto a far piombare il poso della sua mano sopra i Samminiatesi, favorendo i suoi fuoriusciti, e mostrando di disapprovare la loro parziale adesione alle mire dell'Imperatore Carlo IV, che vi avea lasciato il suo Vicario Imperiale affinché a lui, ed alla sua Curia spettasse la cognizione di tutte le cause di Toscana, ancorché criminali. Partito Carlo d'Italia i Fiorentini tentarono di richiamare con la dolcezza alla loro grazia quei di San Miniato, ma fomentati questi dal Cardinal Guido di Monforte, restato in Lucca per l'Imperatore, invece di dimostrarsi compiacenti parve che dispregiassero anzi gli inviti ed i buoni ufizj; di che forte adirato il Comune di Firenze, mosse le sue genti contro la Terra, confidando di superarla agevolmente per essere ella divisa nel suo interno, nonostanteché Bernabò Visconti si protestasse di volerla difendere con ogni vigore in qualità di Vicario Imperiale. Era in quei dì generale dell'armi Fiorentine il Conte Ruberto di Battifolle, il quale, come ansioso di gloria, volentieri assunse il carico di tale impresa, e sul terminare dell'anno 1369 vedendo di non indurre i Terrazzano a patti, gli cinse strettamente d'assedio. Confidati questi nel numero, e nella conosciuta bravura dei difensori, non meno che nella fortezza delle mura Castellane, e della Rocca, parea che non volessero ceder punto, benché non poco fossero angustiati dalla scarsezza dei viveri, e sembrava anzi che insultassero i nemici; onde il Conte cominciava a dubitare d'un facile riuscimento: senonché, al riferire di Pietro Boninsegni, nel Gennaio del 1370 di notte tempo “venne a lui segretamente un Samminiatese di bassa mano nominato Luparello, dicendo volergli dare S. Miniato: ed udito da lui il modo, e parendo al Conte cosa fattibile, gli commise che seguitasse, e lui si metterebbe in punto con le genti a dare esecuzione al fatto, e fecegli grandi promesse, se il fatto riuscisse, e di denari, e d'altro. Luparello rispose che non desiderava denari, ma solamente che S. Miniato fosse del Comune di Firenze, e con grande ardire prese alquanti compagni, coi quali di notte segretamente andò a cera parte delle mura, dove sapeva che era un muro di pietre murate a terra, e dove non si faceva alcuna guardia, e colle coltella dal lato ne smurarono tanto che feciono una larga entrata, et allora mandò a dire al Conte che in sul fare del dì afferrasse la Terra dalla parte contraria, cioè alla porta, che era verso la Bastìa, acciocché allora le genti di S. Miniato con quelle di Mess. Bernabò, ch'erano dentro, tutte corressono da quello lato della Terra alla difesa; e così seguì, che fatto l'assalto di fuori, tutte le genti dentro conrsono da quella parte, e badando quivi, intanto Luparello entro dentro con gran gente d'arme per quella buca, e presono la piazza, e quivi fu una grande ed animosa zuffa con molti morti e feriti da ogni parte, ed in fine le genti del nostro Comune rimasono vincitori”. Le frodi e gli inganni ebbero bene spesso il vantaggio delle vittorie più che la prodezza ed il valor militare, per il quale forse S. Miniato avrebbe probabilmente goduto della sua libertà per più lungo tempo. Egli è vero però che venuto questo sotto il dominio di Firenze così in riguardo della docil natura dei Terrazzani come dell'interesse che ne ritraevano i Fiorentini, questi riguardarono sempre la Terra acquistata con occhio di parzialità, e di benevoglienza, ammettendo altresì alla Cittadinanza di Firenze non pochi degli abitatori di S. Miniato. Maria Maddalena d'Austria, moglie di Cosimo II de' Medici, fu quella poi la quale volle che fosse dichiarata Città. E dal Pontefice Gregorio XV nel 1622 essa altresì ottenne che fosse insignita della Cattedra Vescovile con un competente distretto di Diocesi, smembrato in parte dall'Arcivescovado di Pisa, da quel di Lucca, e da più altre Chiese Vescovili, che oggi confinano con questa.

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