domenica 20 ottobre 2013

F. SACCHETTI: LE NOVELLE "SANMINIATESI" - 4/4

a cura di Anna Orsi


In questo post è proposta la quarta ed ultima novella di Franco Sacchetti ambientata a San Miniato o nel suo territorio. Franco Sacchetti, come è noto, fu Podestà di San Miniato nel 1392 e Vicario nel 1400. Quindi era ben a conoscenza dell'ambiente sanminiatese dell'epoca.
Il protagonista della novella è Soldo di Ubertino Strozzi, fiorentino dalla personalità vivace e arguta, nonché personaggio storico realmente esistito. Fu infatti Capitano di Colle Val d'Elsa nel 1342, nel periodo in cui, al termine di una serie di lotte intestine, il borgo valdelsano si dette al Duca d'Atene da poco eletto Signore di Firenze (Giornale Storico degli Archivi Toscani che si pubblica dalla Soprintendenza Generale agli Archivi Toscani, vol. VI, Viesseux, 1862, p. 204, 29 ottobre 1342). Troviamo Soldo di Ubaldino anche nell'elenco dei Priori appartenenti al cosiddetto “popolo grasso” nel periodo 1343-1348. Purtroppo, allo stato attuale delle ricerche non è possibile stabilire se effettivamente Soldo Strozzi abbia svolto una qualche carica pubblica anche per il Comune di San Miniato.
Gli altri co-protagonisti sono le due potentissime casate sanminiatesi dei Ciccioni e dei Mangiadori, che per tutto il '300 fecero il bello e il cattivo tempo all'ombra della Rocca. Due famiglie perennemente in conflitto fra loro, come registrato anche da Giovanni Villani nel 1308, ma anche nel 1345 come conseguenza del tentativo di ribellione nel castello di Fucecchio. Ed anche in questa novella appare in tutta la sua evidenza l'elemento di reciproca conflittualità, che in qualche modo dimostra della conoscenza dell'ambiente sanminiatese da parte di Franco Sacchetti.
Lo stesso Bindaccio Mangiadori che compare nella novella è un personaggio realmente esistito. Fu infatti figlio di Geri di Bindaccio di Jacopo Mangiadori. Nel 1340 lo troviamo eletto Podestà a Volterra, mentre nel 1343-44 fu a Perugia in veste di Capitano del Popolo. Rientrato in San Miniato, fu poi Vicario e Conservatore della giurisdizione a Prato nei primi mesi del 1347. Tornò nuovamente come Podestà a Volterra nel 1349 e di nuovo a Prato nel 1350 e ancora Podestà di Perugia nel 1354. Nel 1360 risulta morto (Vieri Mazzoni, Le famiglie del ceto dirigente sanminiatese (secc. XIII-XIV). Seconda Parte, in Miscellanea Storica della Valdelsa, anno CXVII, nn. 2-3 (319-320) 2011, Ed. Polistampa, 2013, pp. 237-238).
Come detto, gli unici due personaggi della novella indicati con nome e cognome, sono persone esistite davvero e vissute nello stesso periodo. Non c'è quindi da stupirsi se anche le vicende descritte nella novella siano state ispirate da fatti realmente accaduti. Anche in questo caso, così come nelle altre novelle, la storia non è altro che è un pretesto per sostenere un insegnamento "morale". Sacchetti, infatti, non fa altro che proporre, seppur in forma di racconti, le meditazioni di carattere morale e religioso, che egli stesso aveva elaborato negli anni '80 del '300.

Franco Sacchetti
Immagine tratta dal libro Novelle di Franco Sacchetti,
Tipografia Borghi e Compagni, Firenze, 1833


NOVELLA
CENTESIMACINQUANTESIMOTTAVA

Soldo di Messer Ubertino degli Strozzi, essendo capitano di santo Miniato, usa certe astuzie con la malizia de' Sanminiatesi; e in fine, sanza tenere la metà de' fanti, vinse le sette loro, ed ebbe onore.

Al tempo che 'l Comune di santo Miniato in Toscana era in sua libertà, come avea per usanza, mandava quasi continuo la elezione del capitano a uno Fiorentino, e per la diversità degli uomini di quello, e per lo male reggimento de' rettori, che là andavano, rade volte interveniva che alli più di questi rettori non fosse fatta vergogna, e talora tanta, che talora se ne veniamo in camicia, e talora erano presso che morti. Soldo di messer Ubertino degli Strozzi, uomo piacevolissimo e saputo e non abbiente, ed era forte gottoso, e quasi di ciò perduto. Avendo costui la elezione, cominciò a pensare, e dall'una parte il tirava il bisogno, e dicea: Io voglio andare; dall'altra dicea; Io non voglio andare a morire; io son vecchio, e sono attratto di gotte; li Sanminiatesi hanno fatto sì e sì al tale, e così all'altrettale; egli è meglio ch'io rifiuti. Alla per fine, combattendo molte cose nella sua mente, deliberò d'andare, per sovvenire alla sua necessità, e con una sottile astuzia, per riparare alle furie e alle sette de' Sanminiatesi; e così accettoe. E venuto il tempo, andò nel detto oficio. Nel quale stando, apparì una gran mortalità, la quale fu molto prosperevole al detto Soldo, come appiede di questa novella si dimostrerà. Ora stando costui nel principio del suo capitanato, apparve un caso, che uno da Coligarli (Collegalli, n.d.r.), o di quello paese, fu preso per alcuno eccesso, del quale, essendo colpevole, meritava d'essere dicapitato. Come la setta di messer Bindaccio Mangiadori il seppe, subito furono a lui, protestando, che 'l detto non morisse; e per opposito la setta de' Ciccioni con ogni loro forza e argomento voleano che 'l preso non campasse. E questa era un'aspra contesa, come spesso interviene tra due sette. Veggendo Soldo questo, fra sé medesimo comincia a dire: Io non debbo essere venuto qui per farmi uccidere, e sono poco adatto a combattere con costoro, perocchè io sono vecchio e infetto; a me conviene aver senno per la loro follia, e portermene quello che io avanzerò, che n'ho bisogno. E così pensato, disse una mattina all'una setta e all'altra, che la sera andassono al banco a lui, e che piglierebbe lodo tale su' fatti del preso, che l'una parte e l'altra doverebbe rimanere per contenta; e così si partirono. E venuto poi l'ora del vespro, essendo Soldo al banco, l'una e l'altra setta comparirono alla difesa e all'offesa, dicendo ciascuna parte ciò che voleano. Disse Soldo: Io v'ho intesi, e serei molto contento della vostra pace, e della vostra concordia, perocchè unitamente credo, se ciò fosse, consigliereste che io facesse giustizia, la quale ho giurato di fare, facendo ragione a ciascheduno; e di questo non me ne storrei, se già per voi non si facesse una cosa. Udendo questo quelli che voleano che 'l preso campasse, dissono fare ciò che comandasse loro. Allora disse Soldo: Ogni parola che voi fate, è vana, altro che quello che io vi dirò. Audate, e deliberate tra voi quello che voi volete, che io faccia di costui, e di concordia tornate a me; se mi direte che egli muoia, serà fatto; se mi direte che io lo lasci, subito sia lasciato. Detto questo, ciascuno guarda l'un l'altro, e chi soffiava di qua e chi di là, alla fine si partirono, e dissono di tornare l'altra mattina. Elle furono tavole, che non che s'accordassono, ma elli non s'accozzarono mai insieme, che ne ragionassero. Tornati la mattina e l'una parte, e l'altra procurando chi pro, e chi contro, disse Soldo: Io voglio spacciare questo fatto; che mi rispondete voi a quello che io vi dissi ieri? Rispose l'uno dell'una parte: Messer lo capitano, noi ne seremo mai in concordia, perocchè noi vogliamo che campi, che ci pare che non meriti morte; e costoro vogliono che muoia. Gli altri rispondeano: E' dice il vero che noi vogliamo che muoia, come il peggiore uomo che mai fosse in questo paese, e merita mille morti; e sapete, messer lo capitano, che la iustizia è quella che conserva, non che questa terra, ma il mondo; e però vi preghiamo che facciate ragione; e voi volete che io faccia ragione, o no? A costoro parve essere nelle pastoie, e dissono: E anco noi vi preghiamo che voi facciate ragione. Disse Soldo. Voi diciavate poco fa che non eravate di concordia; in questa parte voi siete uniti e in concordia, cioè che io faccia ragione, e io così farò; e ancora vi dico così, ciò che prima vi dissi, che se di qui a tre dì verrete di concordia l'una parte e l'altra, o che io il salvi, o che io il danni, quello seguirò, se bene direte, quanto che no, io farò ragione, come di concordia m'avete detto. Così tutti si partirono, non sapendo che si dire, e ma' s'accordarono. Di che Soldo seguì il suo corso, e fece morire il preso, facendolo dicapitare. E così fece sanza fare alcuna …... o morto, o torto. E così il buon rettore quivi vuolle fare quello che dee …. non è mai cosa non abbia se non per l'altrui follia, e rade volte, anzi non è mai, che se vuole fare ragione, che non possa. Essendo dicapitato costui, la parte che n'era stata malcontenta, alcuna volta pensava di nimicarlo in certe cattivanzuole, come nel rassegnare la famiglia che non dovea, tenea quando sei, e quando otto gonnelle in una sala dei fanti sopra una stanza. Venendo il rassegnatore, il detto Soldo dicea; Rassegnate, come vi piace; e mostrando loro le gonnelle, dicea: Io ne faci sotterrare istanotte quelli che voi vedete; andate giuso alle letta, e troverete assai che hanno il gavocciolo, e qual sta male, e qual si muore. Come il notaio della rassegna vede e ode queste cose, parea cacciato da mille diavoli, e turandosi il naso, si fuggia fuori del palagio, e andavasi con Dio. Quelli che aspettavano che 'l detto Soldo fosse condennato, udendo il rassegnatore, si segnavano, e non che gli mandassono il rassegnatore, ma non passavano dal suo palagio per la pestilenza, la quale udivano, v'era appresa.
E così e di questo e d'altro si passò questo avveduto capitano con l'altrui divisione e follìa, trattando li sudditi suoi, come meritavano; e tornossi a Firenze sano e salvo e gottoso, come v'andò, e forse con la borsa piena, e con molto onore, lasciando loro e con le loro sette, e con le loro divisioni; le quali ciascuno, che le segue, fanno venire a ultima e finale destruzione, come per sempre per antico e per moderno s'è veduto nel mondo. 

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