venerdì 1 novembre 2013

SAN MINIATO NEL “COMPENDIO” DI PANDOLFO COLLENUCCIO – XVI SEC.

a cura di Francesco Fiumalbi

In questo post è proposto un brano estratto da una pubblicazione della prima metà del '500. L'opera in questione è il Compendio delle Historie del Regno di Napoli redatto da Pandolfo Collenuccio, in cui sono riportate notizie interessanti riguardanti San Miniato alla metà del XIII secolo, nel periodo di Federico II. Tra l'altro, ancora una volta, emerge il carattere dei Sanminiatesi e questo aspetto non può far altro che aumentare la verosimiglianza di un episodio in particolare. Sembra destino, infatti, che San Miniato da castello forte e imprendibile quale dà impressione di essere, diventi alla prova dei fatti estremamente vulnerabile per lo scarso acume delle genti che lo popolano. In poche parole, stando a questa narrazione, i Sanminiatesi si fecero prendere per i fondelli dall'Imperatore.

Pandolfo da Coldonese, meglio noto come Pandolfo Collenuccio, fu un diplomatico, umanista, poeta e storico, nato a Pesaro nel 1444 e ivi morto nel 1504. Dopo gli studi in giurisprudenza presso l'Università di Padova, fece ritorno a Pesaro dove si ingraziò la protezione degli Sforza. Tuttavia, a causa di una lite, nel 1489 fu allontanato da Pesaro e i suoi beni confiscati. L'attività di diplomatico gli valse la protezione di Lorenzo il Magnifico che gli consentì, nel 1490, di ricoprire la carica di Podestà a Firenze. Qui entrò in contatto con gli ambienti culturali del tempo, ed in particolare con Angelo Poliziano e Pico della Mirandola. Successivamente si recò a Mantova e a Ferrara dove rimase fino al 1493. Nel novembre di quell'anno partì per la Germania con il corteo di Bianca Maria Sforza destinata a sposare Massimiliano d'Asburgo, dal quale aveva il compito di ottenere l'investitura per il duca Ercole I d'Este. Tornato in Italia, nel 1494 fu ambasciatore a Roma presso Papa Alessandro VI Borgia, dove tra l'altro sostenne la causa di Cesare Borgia. Tornato nuovamente a Ferrara, vi rimase fino al 1504. Morto Cesare Borgia, Giovanni Sforza gli permise di far ritorno in Pesaro. Si trattò di una trappola, in quanto non appena Pandolfo rientrò nella sua città natale, fu catturato, ancora per la lite del 1489. Fu giustiziato l'11 giugno del 1504, all'età di sessant'anni.

Fu autore di molti testi e componimenti in lingua latina e volgare. La sua opera principale è senza dubbio il Compendio delle Historie del Regno di Napoli, che iniziò nel 1498, su sollecitazione del Duca Ercole, che nel 1471 aveva sposato Eleonora d'Aragona. Fino alla sua morte portò avanti la stesura di quest'opera che, incompiuta, fu stampata postuma a Venezia nel 1539. Il Compendio conobbe molte ristampe anche se non fu accolto con benevolenza dalla critica del tempo. La storia del Regno di Napoli, così come descritta da Pandolfo, può essere facilmente riassunta nel continuo tentativo di costituzione di uno Stato, ostacolato da varie circostanze, su tutte l'azione dello Stato Pontificio. In questo senso, Pandolfo sottolinea il ruolo di quelle rare figure che invece sembrano superare le difficoltà e avviare alla costituzione di uno Stato autonomo e ben regolato. Su tutti emerge la figura di Federico II. Proprio all'Imperatore svevo sono legate le notizie e le informazioni riguardanti San Miniato, come l'edificazione della Rocca (circostanza riportata anche da Giovanni Villani e Ricordano Malispini). Sfortunatamente questi episodi rimangono, al momento, privi di riscontri, per cui devono essere considerati con le dovute cautele.


Disegno tratto da  T. A. Arcer e C. L. Kingsford, The Crusades. The story of the Latin Kingdom of Jerusalem, New York, 1894, p. 289. A sua volta tratto dal manoscritto De arte venandi cum avibus, conservato nella Biblioteca Vaticana (Pal. Lat. 1071)

Stando alla narrazione di Pandolfo, nel 1249 la Toscana vide un periodo favorevole alla Parte Guelfa con le città e i castelli impegnati nel conquistarsi l'autonomia dall'autorità imperiale. Fra questi c'era anche San Miniato. Federico II, sceso in Toscana, era deciso a riprendersi l'antica roccaforte, e lo fece con un espediente particolarmente arguto. Fece vestire alcuni dei suoi soldati migliori come se fossero prigionieri. Inoltre caricò i muli con grossi forzieri, riempiti di armi, ma nascosti sotto a delle coperte, come se si trattasse di materiale personale dell'Imperatore. Inviò i prigionieri e i materiali a San Miniato chiedendone la custodia temporanea, in attesa di riprenderne possesso, avendo intenzione di tornare al più presto. I Sanminiatesi, dal canto loro, vedendo l'Imperatore chiedere loro questo favore, pensarono di aver tutto da guadagnare. Magari proprio liberando i prigionieri e impossessandosi del prezioso carico. Fecero buon viso a cattivo gioco e acconsentirono alla richiesta di Federico II facendo entrare gli uomini e il carico. Ben presto dovettero pentirsene. I prigionieri si rivelarono per quello che erano, uomini bene armati, e in breve tempo presero il controllo delle porte cittadine. Uccisero diversi uomini e fecero entrare l'esercito imperiale, che stabilì il controllo sul castello.
Ma ancor più significativa è la notizia, probabilmente qui per la prima volta pubblicata, dell'accecamento del Cancelliere che aveva tradito Federico II, il celebre Pier delle Vigne, il quale poco dopo si sarebbe suicidato. Secondo Panfoldo tali episodi sarebbero avvenuti a San Miniato.
Come detto precedentemente, i fatti narrati rimangono privi di riscontri documentari oggettivi. Anche sulle ultime vicende terrene di Pier delle Vigne il dibattito è ancora aperto e, nonostante permanga la forte la tradizione sanminiatese, il luogo del suo accecamento e del suo suicidio, rimangono ad oggi sconosciuti. Essendo la prima pubblicazione che ne parla, forse la tradizione sanminiatese legata a Pier delle Vigne potrebbe essere stata avviata proprio da questo testo. Al momento non lo sappiamo. Approfondiremo.

Pandolfo Collenuccio,
Compendio delle Historie del Regno di Napoli,
Venezia, 1541, frontespizio

Di seguito è proposto l'estratto con le notizie sanminiatesi: Pandolfo Collenuccio, Compendio delle Historie del Regno di Napoli, Venezia, 1541, Libro IV, pp. 91-94.

[p.91v] «[…] Partito poi dal Borgo S. Donino Federico, tuttavia provvedendo al rimettere de l'esercito, si ridusse a Cremona l'anno 1249 del mese di settembre, ove ebbe avviso il re di Sardegna aver espugnato un castello di Regio chiamato Arolo & haver impiccato innanzi a le porte d'esso novantasette ribelli de l'imperio, quali dentro li avea trovati; nondimeno vedendo tutta la Lombardia volta a rebellione e la difficoltá grande in quelle parti e tra alcuni de li suoi qualche spirito di prodizione, & intra li altri in Piero da le Vigne, il quale era giudice de la corte e secretario, e fu il primo uomo che appresso di sé avesse, lo fece pigliare, e del mese di aprile sequente si partì di Lombardia con intenzione di andare in Puglia e poi tornarvi l'Agosto sequente.
Passando adunque per Toscana trovò il principe di Antiochia suo figliuolo con li fiorentini a campo a Caprara ove si erano ridotti li guelfi suoi ribelli, i quali si ingegnavano di far rebellare tutta Toscana e massime il castello S. Miniato li fece dar la battaglia et espugnarlo e li guelfi fatti prigioni ordinò si menassino con seco nel reame.
E perché quelli di S. Miniato corrotti da' guelfi avevano già preso il veneno della rebellione e titubavano [p.92r] in modo che non era da aver fede in loro, e non voleva l'imperatore perderli tempo attorno, deliberò con astuzia haverli, la qual fu in questo modo. Imperocché dissimulando la perfidia loro, tolse buon numero de li suoi migliori soldati fedeli, & animosi, & feceli chatenare in modo che parea fussino prigioni lombardi, e fece cargare li muli di molti forzieri pieni d'arme d'ogni sorte e coprire le some de tapeti, e coperte, in modo che pareva la camera e la salva robba sua; e quelli simulati prigioni con Piero da le Vigne innanzi, il quale era veramente prigione e ben legato, e tutte dette some di forzieri le mandò con suoi messi fidati a S. Miniato, che dicessino a quelli uomini da parte sua, che non havendo in Toscana l'imperatore la piú fidele terra di S. Miniato né in che piú si fidassi, volendo andar con prestezza senza impedimento nel reame con intenzione di tornar presto, li mandava questi prigioni che erano di importantia e la più chara roba sua, e li pregava volessino conservarli ogni cosa con diligenza sino a la sua tornata. I Samniatesi vedendosi l'Imperatore armato appresso, anchora che si sentissino sospetti, estimando, che non poteano perdere in tutto, partendo lo Imperatore e lasciandoli quella robba e quelli prigioni, dissimulorono anche loro e dimontrandosi molto fedeli acceptorono ogni cosa con buon volto, e in la terra li intromiseno. Li buoni soldati, quando li parse il tempo secondo l'ordine dato, in un momento buttorono in terra le chatene, le quali erano in modo aconcie che subito si scioglierno, e preseno l'arme virilmente gridando imperio imperio, ammazando homini e pigliando le porte [p.92v] & intromettendo l'essercito, presono subito il castello, e li traditori morti e le lor case ruinate, fu stabilito quel loco al dominio de l'Imperatore.
Fatto questo nel medesimo castello S. Miniato fece cavare gli occhi à Piero da le vigne, el quale essendo stato il primo huomo di corte, e notissimo a tutto il mondo, non potendo sostenere di vivere più senza occhi, e stimolandolo la coscientia del haver tradito il suo signore, se medesimo in conspetto pubblico ammazzò. Questo fine ebbe Piero da le vigne, iurista di molta dottrina & esperientia, tra li pochi di quelli tempi nominato grandemente e avuto in gran reputazione.
Lasciando S. Miniato Federico per il camin dritto, senza toccare il territorio Fiorentino, se ne andò a Siena, e di lì in Puglia a Foggia l'anno 1250, ove intese il re di Sardegna suo figliuolo, essendo stato chiamato da' modenesi per sussidio contra bolognesi, due miglia lontano da Modena virilmente combattendo esser stato preso e menato a Bologna in prigione il mese di maggio. E per questo il legato apostolico e l'altre genti ecclesiastiche e guelfe per Lombardia e per Romagna e per Toscana, come libere per l'assenza sua e prigionia di Entio, scorrevano il paese e per prodizione e per forza e per accordo tutti li stati imperiali ribellando, e voltando, onde Federico con piú animo che mai si diede a far denari, e gente d'arme per tornare potentissimo in Lombardia e far aspra vendetta de' suoi nemici.
[…] [p94v] Magnifico, liberale e magnanimo, grandissimo rimuneratore de' benefici e di uomini fedeli, severissimo vendicatore de la perfidia; per tutte le nobili cittá del regno di Puglia e de l'isola di Sicilia fece fare nobilissimi edifici che saria superfluo a raccontarli: ma tra li altri in Abruzzo la cittá de l'Aquila, in Napoli il castello di Capuana, la torre e il ponte di Capua, il castello di Trani, in Toscana il castello di Prato e la rocca di S. Miniato, in Romagna la rocca di Cesena, di Bertinoro, di Faenza e di Cervia, palazzi e chiese per tutto.»



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