sabato 1 marzo 2014

L’IDILLIO DELLA MADONNA DI CIGOLI

a cura di Francesco Fiumalbi

Su segnalazione dell’amico Alexander Di Bartolo, a cui va un sentito e sincero ringraziamento, di seguito è proposta un’interessante pubblicazione sotto forma di idillio. E’ dedicata alla “Madonna di Cigoli”, la venerata immagine medievale che si conserva nel Santuario di Maria Madre dei Bimbi.
Il testo, almeno nella sua prima stesura del 1837, risulta anonimo, non firmato. Una seconda edizione (non datata!), è stata erroneamente attribuita alla baronessa Elena Morozzo della Rocca (1852-1923), moglie di Giorgio Sonnino (il fratello di Sidney), che aveva fissato la propria dimora nella Villa di Castelvecchio attorno al 1880. La baronessa non fu, dunque, l’autrice della composizione, ma il suo nome compare nella riedizione come una "dedica" per un non meglio specificato "merito singolare".
Il marito della baronessa, Giorgio Sonnino, era di famiglia ebraica e la stessa figlia della coppia, Margherita, nata a Firenze nel 1873, abbracciò inizialmente la religione ebraica, per poi diventare valdese ed infine cattolica. Non è quindi da escludere che Elena Morozzo della Rocca, si fosse particolarmente distinta nell'ambito della parrocchia cigolese, rivendicando in qualche modo la sua appartenenza alla fede Cattolica e, molto probabilmente, era anche sinceramente devota alla “Madonna di Cigoli”. Purtroppo, allo stato attuale degli studi non possiamo affermarlo con certezza, ma proprio nella seconda metà dell'800 la chiesa di Cigoli venne allungata di una campata e fu realizzata la nuova facciata che ancora oggi si vede. E' assai probabile che la facoltosa baronessa avesse destinato una somma consistente per l'operazione edilizia, tanto da muovere la gratitudine del popolo cigolese, che le dedicò la ristampa dell'opuscolo. Questa è soltanto un'ipotesi, ma sappiamo che in quegli stessi anni si verificò la "scissione" della chiesa di Ponte a Egola e il grosso dei parrocchiani venne a mancare. Quindi l'allungamento della chiesa e la nuova facciata dovettero godere di introiti "straordinari", che solo una persona davvero benestante poteva sostenere.
Questa seconda edizione è visibile anche sul sito del Santuario di Cigoli.




[01] NARRAZIONE POETICA
D’UN INSIGNE MIRACOLO
OPERATO DALLA SANTISSIMA
VERGINE DEL ROSARIO
CHE SI VENERA
NELLA
CHIESA PIEVANIA DI S. GIOVANNI
A CIGOLI

SAMMINIATO
PRESSO ANTONIO CANESI
1837

[03] I.
Donde al turbato spirito
Improvvisa brillò fulgida luce?
Chi guida il piè sul florido
Sentier beato che a sperar conduce?
Sei tu, Maria, la bella
Di pace apportatrice amica stella.

II.
Di tua pietade un raggio
Sperde la nebbia dell’incerta mente,
E sotto la gran’egida
Mi guida, cui sostien tua man possente,
E all’ombra sua gradita
I tuoi portenti a celebrar m’invita.

III.
Si sciolga all’ara un cantico
Che della tua pietà le laudi suoni,
Onde la speme, i miseri
Figli del pianto mai non abbandoni,
E vivo in ogni petto
Per la Vergine pia sorga l’affetto.

[04] IV.
Nel suol che nome all’inclito
Artista diè, che con ardito ingegno
Destò le menti languide
A più sublime, e glorioso segno (1),
Si venerava un sacro
Della Dica del Ciel pio simulacro.

V.
Pietosa era l’Immagine
E quale un dì comparve al pro’ Gusmano:
Avea le cinque Decadi
Di rose inteste nella destra mano,
E sui labbri il sorriso
Che rallegra i celesti in Paradiso.

VI.
Devoto antico Tempio (2)
All’Imago fornìa fido ricetto:
Ivi la mesta vedova
Si consolava del cambiato affetto,
E al Cielo ognuor propizio
Generoso del cor fea sacrifizio.

VII.
Offriva i primi palpiti
La donzelletta, e il verginal candore;
E dall’immondo spirito
Maria ne serba immacolato il fiore,
Che cresce intatto in seno
Siccome rosa nel natìo terreno.

[05] VIII.
Di tenerezza lacrime
Versa dal ciglio il vecchiarel canuto,
Mentre con voce tremula
Scioglie dai labbri il verginal saluto,
E con man pure inserti
Di dieci rose offre odorati serti.

IX.
Se nelle cupe viscere
Della terrestre mole anima, e incita
L’ira del Ciel terribile
Dei zolfi ardenti la virtù sopita;
Se lue maligna apporte
Sulla tomba del padre al figlio morte;

X.
Se tempestosa grandine
Urta le messi, e i grappoli flagella;
Se i nembi aduna, e suscita
Lo spirito animator della procella,
Corre a Maria, smarrita
La fedel turba a domandarle aìta.

XI.
E in Lei fidando, sorgere
Sente nell’alma la novella speme,
Vede sparire il turbine,
E il rio presagio di miserie estreme,
E con serena fronte
Ricomparire il Sol sull’orizzonte.

[06] XII.
Della pietosa Vergine
Si diffondean così gli alti favori,
Tal per la Madre amabile
Crescea l’amor negli infiammati cori,
Che dei portenti al grido
Accorrea d’ogni banda il popol fido (3)

XIII.
E chi porgeva suppliche
Pei dì felici dell’antico padre;
E qual colmo di giubilo
Grazie rendea per la salvata madre;
E chi con cuor devoto
Sciogliea fedele a piè dell’ara il voto.

XIV.
Ma chi maggior di grazie
Di quel che a te donò, cumulo ottenne,
Donna, dalle cui lacrime
Della gioja verace il dì provenne?
E chi più grato sia
Alla bella d’amor Madre Maria?

XV.
Presso le rive floride
Cui bagna il Roglio colle placide onde,
Ove tranquilla, e limpida
L’Era le accoglie, e colle sue confonde,
Soggiorno avea di morte
Moglie infelice di crudel consorte.

[07] XVI.
Due volte al sen la misera
Delle viscere sue si strinse il frutto;
Due volte, ahimè! Funerea
N’ebbe cagion d’interminabil lutto;
Che freddi i figli accanto
Sull’alba si trovò sordi al suo pianto.

XVII.
E invan d’amari gemiti
Empie ogni loco, e al Ciel si lagna invano:
E già s’insinua tacito
Crudel sospetto nel marito insano,
Che a lei sperar non giova
Conforto in terra, se su in ciel nol trova.

XVIII.
Ma intanto oh Dio! La misera
Ha grave il grembo di novello pondo;
E le minaccia il barbaro
Consorte in suon di sdegno furibondo,
Se il figlio avvien che mora
Avrà tomba con lui la madre ancora.

XIX. Geme al seral annunzio
Né trova la meschina al duol conforto:
Talor nel sonno sembrale
Nel silenzio di morte il figlio assorto,
E un rio presentimento
Pianger la fa qual se già fosse spento.

[08] XX.
Alfin l’amaro termine
Della nona si compie infausta luna,
E l’innocente pargolo
Gelosamente custodito in cuno
Respira l’aure prime
E in languidi vagiti il pianto esprime.

XXI.
Ma pochi appena scorsero
Incerti giorni, che la madre amante,
Mentre s’affretta a porgere
L’alimento del petto al caro infante,
Lo trova inutil peso
Sulla gelida culla esangue steso.

XXII.
E invan d’amare lacrime
Lo bagna, e tenta richiamarlo in vita,
Che sordo ai lunghi gemiti
Non sente il figlio la materna aita;
E dalla fredda salma
Ben chiaro appar ce dipartita è l’alma.

XXIII.
Lo lascia, e il crin si lacera
Forsennata la madre, e al ciel sospira,
E fugge inconsolabile
Disperata nel duol che la martira;
E correa furibonda
Il suo cordoglio a seppellir nell’onda.

[09] XXIV.
Quando s’avvenne in giovane
Donna di venerando e vago aspetto,
Che la cagion del flebile
Plorar le chiese con pietoso affetto,
Ma sorda ai dolci accenti
Raddoppia la meschina i suoi lamenti.

XXV.
Pur la dolente istoria
Di sue sventure a raccontar s’induce;
E come detestabile
Le comparìa così del Sol la luce,
Che alla crudel sua sorte
Non rimanea conforto altro che morte.

XXVI.
Allor con amorevoli
Voci la distogliea dal rio consiglio,
E le dicea che barbaro
Il Ciel non è quando percuote un figlio;
E come il ben sovente
In sen della sventura ha la sorgente.

XXVII.
Così dicendo, riedere
La fea men trista a riveder la spoglia
Del caro estinto pargolo;
Ma giunta appena sull’infausta soglia,
L’idea del dolce pegno
L’arresta, e del marito il crudo sdegno.

[10] XXVIII.
Pur singhiozzando ascendere
Con violento piè le soglie puote,
E riveder l’esanime
Figlio giù steso colle labbra immote
In braccio alla vezzosa
Consolatrice del suo duol pietosa

XIX.
Che al sen lo stringe, e l’alito
Gli infonde in petto che mantien la vita,
E nella salma immemore
L’alma richiama ch’era dipartita,
E il figlio in lieta faccia
Rende risorto alle materne braccia.

XXX.
Or di quell’alma il giubilo
Ridir mi sappia chi di madre ha il senso;
Miracol fu che all’impeto
Regger poté di quel piacere immenso;
Che alla rara dolcezza
Di vera gioja il cor non mai s’avvezza.

XXXI.
Voci non ha che esprimano
Suoi grati sensi, e quel non più sentito
Del sen tenero palpito
Che al duol succede ond’era il cor sopito:
Deh dimmi, alfine esclama
Chi da morte col figlio or mi richiama?

[11] XXXII.
Il suol che Ceuli appellano
Ho il mio soggiorno, e me noman Maria:
Disse; e qual nube candida
Che si dilegua per l’eterea via
Le scomparì dal ciglio
Colei che la salvò dal rio periglio.

XXXIII.
Muta rimase, immobile
La donna allor col fanciullin risorto,
Che d’infantili grazie
Alla madre porgea novel conforto:
Riscossa alfin, giuliva
Esaltò la pietà della sua Diva.

XXXIV.
E l’alba appena sorgere
Vide dell’altro dì, che in traccia volse
Di Lei che dalle squallide
Fauci di morte il figlio suo ritolse:
Nell’ansiosa mente
Lieta di rivederla, e impaziente.

XXXV.
Giunge al Castello; interroga
Ove sia donna che Maria si appella (4)
Né mai sì venerabile
Trovo sembiante, né pieta sì bella
Che traluca dai cigli
Né volto sì gentil che a Lei somigli.

[12] XXXVI.
Intanto in folla il popolo
D’intorno accoglie di saper desìo:
E al pio Pastor l’annunzio
Ne giunge, che i lpensier rapito in Dio,
La vide… e a te chi sia
Io io gridava additerò Maria.

XXXVII
Così dicendo al Tempio
Seco la trasse, e genuflessa all’ara,
porgi devota supplica
A Lei che consolò tua vita amara;
Sì dicce, e il sacro velo
Tolse alla Bella che innamora il Cielo.

XXXVIII.
Al folgorar del vivido
Propizio sguardo, alla pietà del viso
La donna, ah! non più misera
Sei tu, gridò, sei tu, ben ti ravviso
Madre del bello amore,
Che porgesti conforto al mio dolore.

XXXIX.
Deh! tu la lingua accendimi
Di tua pietade a celebrar la gloria,
Onde le genti imparino
De’ tuoi portenti la pietosa istoria;
Ma pria m’infiamma il petto
Augusta Diva di celeste affetto.

[13] XL.
Proteggi, o bella Vergine,
La madre, e il figlio che al mio sen rendesti;
Tu che su questo popolo
Copia diffondi di favor celesti,
Tu ch’ogni freddo core
Scaldi alla fiamma del divino amore.

XLI.
Molle di calde lacrime
Tornò l’avventurata al patrio lido,
Che la verace istoria
Ne tramandò dei figli alla memoria.

XLII.
Deh! se propizia o Vergine
Tu fosti ai prieghi dei devoti figli,
Ci salva or dai terribili
Dello spirto d’abisso orridi artigli,
E sciolto il mortal velo,
Ci guida, o Madre, a benedirti in Cielo.

[14] NOTE:

(1) Da Cigoli ove sortì i natali, prese il cognome l’insigne Pittore Lodovico Cardi di famiglia Samminiatese. Egli fu il primo che nell’infievolimento in cui l’entusiasmo pei grandi modelli aveva ridotto la Scuola Pittorica di Firenze, nel XVI secolo troppo ligia di servili imitazioni, destò la Nazione a uno stile più nobile, e originale. (Almanac. Degli Erud. Tosc.)

(2) La Chiesa di S. Giovanni a Fabbrica prossima a quella attualmente distrutta di S. Andrea a Bacoli, rammentata nella Bolla del Pontefice Celestino III spedita li 1194 al Preposto di S. Genesio, mentre la Parrocchia di Castelvecchio (S. Michele del Castello de Ceulis) faceva parte fino da quella età del Piviere di Fabbrica. (Repetti Dizion. di Toscana)

(3) Nel Secolo XIV l’immagine della Venerata Annunziata divenne pei Fiorentini l’oggetto più caro della loro devozione. Innanzi ad Essa riscosso aveano un culto speciale l’Immagine di S. Maria da Cigoli ec. (Sacchetti Lett. A Jac. del Conte)
E il medesimo scrivendo di certo Tommaso di [15] Luigi de Mozzi andato per voto a Cigoli, così si esprime «E fu un tempo che a S. Maria da Cigoli ognuno accorrea». (Osservatore Fiorentino)

(4) Richiesta la S. Vergine qual fosse il suo nome, e qual Paese abitasse; io mi chiamo, rispose, Maria, ed abito a Cigoli accanto a Rocco, e Michele: i due titoli delle due Chiese in mezzo a cui è posta la Chiesa di S. Giovanni a Fabbrica, ove a riconoscere la sua Benefattrice condusse il Parroco quella Madre fortunata, e a render grazie a Maria per quelle molto maggiori che da Essa avea ricevute. (Tradizione Popolare)

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