martedì 27 maggio 2014

NONNO NUTI - Racconto di Giancarlo Pertici


di Giancarlo Pertici

Adolfo Nuti, conosciuto da tutto semplicemente come Nuti, non è stato un personaggio "particolare" della San Miniato del Dopoguerra. Ma ha lasciato una sua traccia indelebile in molti, in me sopratutto. Giunto da Firenzuola come profugo dalla figlia, durante l'ultima guerra, non se ne è più andato. I più lo riconoscevano quando per San Miniato girava sempre in compagnia di un bambino, mano per la mano: il sottoscritto. Un rapporto il nostro come quello che si instaura tra nonno e nipote: un rapporto del tutto speciale. Il racconto che ne ho tratto vuole essere solo il resoconto di ..."una quotidianità semplice, essenziale, vera, pervasa dal piacere si esserne responsabili ... dove la regia è affidata ai sentimenti.. " per TRASMETTERE QUELLE EMOZIONI CHE ANCOR OGGI NEL RACCONTARE PROVO.... Buona Lettura

NONNO NUTI – un nonno “di stoppa” tutto speciale.

Per me c’è sempre stato, non è stata una conoscenza o una conquista. Sono nato ed era li che mi aspettava e mi ha condotto per mano fino “da grande” senza abbandonarmi mai. Quando mi ha lasciato nel ’67 e ero alla soglia del diploma, lo ha fatto in punta di piedi con una contagiosa serenità il cui ricordo mi emoziona. “Sono vecchio, ho 96 anni, e sono tanto stanco. Se non è oggi sarà domani e il signore mi chiamerà a se!”. Era questa la sostanza del suo saluto della mattina quando, pronto per andare a scuola, passavo di camera sua per dargli un bacio e per vedere come stava. Dormiva tutto il giorno, apriva gli occhi solo quando sentiva il mio passo di ritorno da scuola. Poi la fine, dopo giorni non di agonia quanto di un costante dormiveglia in attesa cosciente. Era all’inizio del pomeriggio, ero da poco tornato da scuola, vicino al suo letto c’era la figlia Corinna e mia Mamma. ” Eda! Corinna.” Ha chiamato “..ci siamo” ha sussurrato. Ha allungato loro le mani, e le mani strette tra quelle di sua figlia e di mia mamma è spirato.
Quando qualcuno muore non posso non pensare a lui e alle sue ultime parole, e a quei giorni di quaresima. Gli mancava un “uovo benedetto” per completare 8 dozzine e il prete, il Bellaveglia, visto che mancavano troppi giorni a Pasqua, gli benedisse un “Uovo” apposta per lui. Lo ha tenuto alcuni giorni sul comodino e ogni tanto lo guardava, ma non ce la fece neppure ad assaggiarlo. “Mi prenderanno anche se con un uovo in meno”. Mi lasciò anche con una promessa. “Torno per darti i numeri” mi aveva detto più volte e anche in quei giorni me lo ripeté perché non me ne dimenticassi, come il consiglio che mi dava sempre per il LOTTO: “Bisogna giocarli almeno 4/5 volte di seguito”. Fu di parola nonostante un anno particolarmente burrascoso, per la crisi irreversibile del matrimonio dei miei, quando ci trasferimmo a Marina di Pisa. Mi apparve in sogno, mi dettò una quaderna dicendomi “Ora svegliati e segna subito questi numeri e giocali sulla ruota di Firenze”. Mi svegliai di soprassalto, la scrivania a fare da testata al letto alla turca ,e carta e fogli a portata di mano. Unico dubbio nella trascrizione tra il 74 e il 47: optai per il 47. Nel frattempo mio padre ci aveva abbandonato senza sostegno, ma con sacrificio ogni sabato con mia madre andavo a Pisa a giocare la nostra quaderna. Lo facemmo 4 volte di seguito, senza risultato. La quinta settimana, senza una lira in tasca, quando avevamo abbandonato il gioco, sulla Rota di Firenze uscì proprio quella quaderna. Non l’ho più sognato il mi’ Nonno Nuti! Deve essersela presa veramente a male!
Tutto era cominciato con un tutoraggio speciale quando mia madre rimase incinta di me. Le nozze affrettate e il Nuti quale testimone di Nozze. Fu così che la mia famiglia andò ad abitare dalla Signora Corinna, giusta vicina alla quale mia nonna Livia si era raccomandata “Cerchi di aggiustare una camera a questa mia figlia”. Ed una camera all’ultimo piano fu tutta la mia prima casa mentre condividevamo la cucina con Corinna e con gli altri familiari: Nonno Nuti e la sua vera nipote. (Ines - la mia Tata - oggi di 91 anni). Fu quindi un incontro casuale, ma fu anche attrazione reciproca … a tavola, nell’orto, a giro per San Miniato, in Chiesa,….in qualunque momento. Non mi ricordo un momento senza di lui. Ma il momento più coinvolgente fu quando cominciammo a dormire assieme. La mia famiglia cominciò ad abitare un piccolissimo appartamento con cucina e Bagno, mentre era nata anche mia sorella Maurizia e mancava il posto per dormire. Era la nostra camera ..il letto da una piazza e mezzo … le testate di bandoni … il comò con dentro l’orinale, il canterale ai piedi del letto … l’ Uva appesa ad appassire ai correnti del soffitto..
Io mi coricavo ben prima, appena dopo cena. Mio Nonno mi raggiungeva dopo aver giocato la sua partita a carte e mi portava sempre la sua “vincita”. Ero convinto che non perdesse mai. Con lui era tutto un gioco, quasi una recita dove c’erano vari personaggi, ma non molti poi! La notte era “La Vecchina”. “E’ passata la vecchina” mi diceva “ dormivi e ti ha lasciato un cavalluccio”. L’odore distintivo dell’orinale, come pure quello della tintura di iodio che spesso gli spennellavo sulla schiena, facendoci anche dei disegni, contro i dolori non mi davano fastidio. Facevano parte di lui e di me come la sua l’ernia inguinale di cui soffriva, che quando gli usciva e da solo non riusciva a rimetterla a posto l’aiutavo anche con coscienza. Di giorno, quando mi prendeva in collo e mi faceva “staccia Buratta” mi raccontava le avventure e le disavventure di Tonino, del quale mi ricordo solo il nome. Storie che mi affascinavano, e delle quali ne chiedevo sempre di nuove. E lui mi accontentava narrandomi tante situazioni diverse.. sul lavoro, al mercato, alla mescita, a scuola, in treno… . Oggi sono convinto che per lo più parlava di se. Ma poi c’erano dei momenti seri nei quali mi parlava effettivamente della sua vita: lui ragazzo del 1871. Nella mia mente avevo più volte immaginato la sua Firenzuola e la sua bottega di Calzolaio assieme al babbo ed anche la Trattoria che da grande tirava avanti con la moglie. Mi raccontava dello “Scoppio del Carro” a Firenze, per il quale si faceva a piedi tutto il passo.. non so quale se quello della Futa o quello del Giogo. Me lo raccontava nei particolari, dall’addobbo del carro, al percorso della Colombina, dalle persone presenti, al tempo, agli amici, alle previsioni per il nuovo raccolto etc... Infine i bombardamenti della guerra e la casa con la trattoria rasa al suolo con la morte della moglie e il suo trasferimento a San Miniato dalla figlia Corinna, vedova di un carabiniere.
Quando poi ci si alzava da letto la giornata cominciava con le “devozioni”, come lui le chiamava, preghiere che solo lui mi ha insegnato, dalla Ave Maria al Padre Nostro, all’Angelo Custode. Ma la sera prima di dormire era il momento di una preghiera particolare a San Giuseppe, del quale era particolarmente devoto, forse proprio perché anche lui “Di Stoppa” come Padre, come pure lui di “Stoppa” come nonno. E’ una preghiera che anche sua nipote, quella di cui era Nonno vero, Ines rammenta ancora e che abbiamo recitato assieme uno di questi giorni: “Giuseppe rimirate la povera anima mia, nella diletta via fate ch’io ponga in piè, e quando sarà l’ora del mio fatal periglio, chiedete al caro figlio amor pietà e mercé”.
E’ lui che mi ha sempre condotto a messa, al maggio, al vespro, alla novena di natale, a volte anche al “Pontificale” delle 11 in Duomo, crescendomi come cristiano. Aveva sempre il sorriso sulle labbra e non disdegnava lo scherzo, la “celia” come diceva lui. A volte faceva finta di “segnarsi” scherzando sul suo essere Nonno dicendo ed eseguendo il segno di croce. “ Nel nome del Palco, dei Fichi Secchi, La Nonna di Stoppa la fila pennecchi” , e concludendo con una risata che si tirava dietro anche la mia.
Poi c’erano momenti di grande festa per noi, quando ci sentivamo effettivamente liberi del nostro tempo e dei nostri spazi: l’Estate. Corinna con figlia e nipote partiva per il mare: un lungo periodo a Torre del Lago. Pochi potevano permetterselo in quegli anni 50. La mattina era dedicata soprattutto alla cura dell’orto: c’era da annaffiare, c’era da togliere le erbacce, da cogliere la verdura, da dare il bottino su e giù in un orto di oltre 100 scalini, proprio contiguo a quello delle suore di San Paolo. Poi veniva il momento del pranzo: spesso uova delle galline, oppure conigli che lui allevava e tutta la verdura che volevamo. Il pomeriggio in giro a piedi fino a Cadenzano o fino alla Scala, altre volte al Camposanto …. e sempre il momento della merenda …ospiti di qualche amico, di qualche contadino o conoscente.
La domenica cominciava con il consueto rituale del vestito della domenica. “Cambiami il puttero!”. E mia mamma mi agghindava a festa e per mano a nonno Nuti andavamo per prima cosa alla messa delle 9: prima panca. Poi si andava “di là”, in centro per la “salita del Bagagli” con qualche sosta forzata per via dell’ernia e degli anni. Una piccola sosta per una prece alla chiesa della Misericordia e quindi in piazza San Domenico. Nel momento in cui usciva la messa e tutta la piazza era occupata soprattutto da contadini venuti allo scopo in città, per perfezionare gli affari avviati il martedì precedente al mercato, ma anche da chi vi incontrava amici e conoscenti, i quali a loro volta si fermavano andando ad ingrossare un ingorgo senza soluzione. In questa confusione io coglievo l’occasione per salutare il mio Zio Romanello, barbiere in piazza insieme al Visino. Zio che mi allungava sempre qualche moneta, anche 50 lire a volte. Poi il nostro Giro arrivava al Bar del Corri, l’unico che ci dava, invece di un gelato da 10, due gelati da 5 lire. Quindi seduti sugli scalini consunti di palazzo Roffia, ora sede della banca, un cono in mano mia e l’altro in attesa nella mani di mio nonno mi gustavo i miei gelati sotto lo sguardo e i saluti dei passanti. Rito che si ripeteva ogni domenica mattina. Il pomeriggio poi ritornavamo insieme “di là”. Al circolo della Misericordia nonno Nuti si fermava a giocare a carte. Io andavo invece al Cinema Italia sotto i chiostri dove incontravo sempre mia cugina. Al termine ripassavo dalla Misericordia per fare ritorno a casa all’ora di cena. Una volta riuscì, nonostante le perplessità dei miei zii, a portarmi con se in un suo viaggio a Firenze, con la Corriera. Arrivo in Piazza Santa Maria Novella e colazione con trippa ad una botteghina vicino alla fermata, poi ad un ristorante per il pranzo dove si fermava spesso fino a prima della guerra nei suoi viaggi da Firenzuola. Mi ricordo la sua delusione nel trovare cambiata la gestione, i camerieri, il menù …nessuno che si ricordasse di lui e di quelli di cui mi aveva raccontato. Io quasi quasi avevo speravo di conoscere Tonino.
Quando venne per me il momento delle decisioni (abbastanza presto con i miei 11 anni) ed entrai in Seminario per studiare e diventare prete, terminò forzatamente questa piacevole “convivenza” e mi dovetti adattare al lettino alla turca a una piazza del Seminario. Ma mai si interruppe il nostro rapporto. Sabato e Domenica pomeriggio, nel momento del passo, trascorrevamo quell’ora a raccontarci tutte le ultime novità, lui di casa e dell’orto e io del Seminario, degli amici, dello studio. Non mancava mai di portarmi o farmi avere i primi baccelli dell’orto. Ogni pomeriggio faceva la posta durante l’ora del passeggio per capire se era il mio gruppo che sarebbe passato. Allora andava in camera sua e mi attendeva con un suo fagottino di dolci o di primizie dell’orto. Alle 10 di ogni domenica mattina arrivava in Duomo in tempo per il mattutino e per il successivo Pontificale. Non ne ha perso uno in 5 anni sedendo sulla prima panca per vedermi direttamente mentre pregavo e cantavo. Quando a 17 anni uscii di seminario e portai a termine gli studi per il diploma, avevamo un incontro fisso tutti i giorni. Bar Tabacchi di Mandolino ci giocavamo il caffè con una partita a “Ventuno”, lui in coppia con Eliseo ed io in coppia con Rosario mio compagno di studi. Mentre si mantenne come rito il saluto di ogni mattino prima di andare a scuola e la buona notte prima di andare a letto: oramai dormivo da solo. Ma non sarei quello che sono se non lo avessi incontrato, fiero di essere conosciuto e additato come suo nipote anche se “di stoppa”.
Mi rammento con struggente emozione e malinconia quella volta, l’unica, che ho potuto riportarlo nella sua Firenzuola appena avuto la patente. Era la primavera del 1966 ed un timido sole ci accolse sulla piazza centrale di Firenzuola che mi apparve molto simile all’immaginata. Addirittura la vecchia trattoria, ricavata nelle medioevali mura, era identica a quella pensata mentre seguivo i suoi racconti, come spesso me li proponeva la notte nel nostro letto, a occhi chiusi e a luce spenta. Tutto inamidato dentro le sua scarpe buone dalle suola parlanti e cigolanti, così rigide che sembrava impedito nel camminare. Era anche l’emozione di trovarsi sulla sua piazza e addirittura sentirsi chiamare “Ma quello è il Nuti”, e un altro “Non è possibile che sia sempre vivo” e così via fin dentro il Bar e poi nel Ristorante per emozioni irripetibili ed impagabili. E lui, il Nuti, a chiedere notizie di amici e conoscenti i più sconosciuti e da tempo scomparsi.
Capisco bene quello che può provare un nonno e muoio dalla voglia di provarlo di persona. Quando penso all’aldilà mi immagino comunque mio Nonno Nuti in attesa ….e quanto deve far confondere San Pietro perché non riesce a stare al suo posto! un po’ come Epulone che voleva per forza tornare ad avvisare i fratelli sull’esistenza dell’inferno. Mi immagino quanto avremo ancora da raccontarci di questi ultimi 50 anni anche se io non ho particolare fretta e sono anzi felice di accumulare altro materiale da raccontargli. Prometto che lo farò …. spero che me lo facciano fare…… se quello è il paradiso!


Adolfo Nuti
Collezione di Giancarlo Pertici



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