domenica 8 giugno 2014

L'ULTIMA DIFESA DEL SS. CROCIFISSO - Racconto di Stefano Bartoli


di Stefano Bartoli

L’ultima difesa del SS. Crocifisso.

Siamo nei primi anni ’60, i bambini giocavano per strada ed il giocattolo più bello di tutti era la nostra fantasia.
Le scalinate del SS. Crocifisso erano uno dei nostri teatri preferiti ed anche quel giorno andò in scena una nuova commedia.
Luigi e Paolo Maestrelli, i figli di Lilia, la signora che gestiva il negozio di cartolibreria accanto alla parrucchiera Loredana, subito dopo la pizzeria di Bati, Giorgio Pannini, avevano ricevuto in dono una bella corazza argentata, uno scudo, una spada ed un elmo piumato.
Tutto ciò che serviva per un temerario cavaliere era a nostra disposizione.
Servivano altre armi e Gigi s’industriò procurandosi una lunga canna, da usare come lancia. Per dare peso e favorire lanci diritti rinforzò la punta con un cilindro di ferro, non a punta, stondato, non doveva far male, poi tirammo fuori un paio di fionde, di quelle fatte in casa con una forcella di legno rubata ad un albero, due tiranti fatti di elastico ricavato da una vecchia camera d’aria di bicicletta, ormai forata e inservibile.
Era stata tagliata in sottili anelli che poi erano stati annodati. Per raccogliere i sassi da lanciare era stato aggiunto un quadretto di pelle robusta.
Del gruppo, oltre me ed i due Maestrelli faceva parte Marcello Viviani.
Il copione prevedeva un assaltatore e tre difensori, disposti su tre livelli. Il guerriero corrazzato, munito di scudo al braccio sinistro e dispada nella mano destra, ben protetto anche dall’elmo avrebbe iniziato a salire le scale, il più velocemente possibile. Dietro il primo colonnino lo attendeva il primo difensore, appena sarebbe stato a tiro avrebbe scagliato la lunga lancia contro lo scudo ed avrebbe ripiegato in cima alle scale. L’attaccante, un po’ scosso, ma determinato ed implacabile avrebbe continuato a salire fino al secondo colonnino, lì lo attendeva il secondo difensore, munito di fionda che avrebbe scagliato un bel sasso indirizzandolo al centro dello scudo. Il secondo difensore ripiega, l’assalitore avanza. Il terzo tenta l’ultima difesa, appostato al colonnino sotto la meridiana, a destra lo spiazzo antistante la chiesa, il nostro castello da difendere e lì ci sarebbe stato il confronto corpo a corpo. Come sempre vinca il migliore ed il più forte.
La scena fu ripetuta molte volte ed ognuno di noi cambiava ogni volta ruolo. Quando giunse il mio turno di attaccante Paolo era armato di lancia, Gigi mi attendeva con la fionda in mano e Marcello era l’ultimo difensore, quello che mi aspettava per la lotta corpo a corpo.
Salgo deciso e convinto, mi prendo la botta della lancia ferrata sullo scudo e vacillo, ritrovo l’equilibrio e continuo a salire.
Mi attende una bella sassata sullo scudo però succede qualcosa, con gli occhi sopra lo scudo che tenevo alto a protezione del viso vedo il volto di Gigi che ha uno strano sogghigno, alza la fionda, pronto a scagliare il sasso diritto e veloce, poi abbassa un po’ le braccia, lascia andare il sasso che finisce dentro la mia pancia, vicino all’ombelico.
Avverto un dolore tremendo che mi fa piegare le ginocchia e poi cadere a terra dolorante. Il colpo è stato forte, direi terribile. Appena posso alzo la maglietta, circondato dagli altri ragazzi, e vedo che la pancia sta gonfiando ed è sempre più rossa, più tardi diverrà di colore grigio e blu, un grosso livido dolente proprio accanto all’ombelico che copre buona parte della pancia.
Gigi la butta sullo scherzo, mi chiama soldato spartano dice che la sofferenza tempra ed aiuta a crescere e che, in ogni caso, non pensava di aver tirato con tanta forza.
Rispondo solo che è un gran bischero. Appena posso smetto di giocare e rientro a casa.
Mia madre avverte subito che c’è qualcosa che non va, di solito non rientro mai prima dell’ora di cena, giusto il tempo di un bicchiere d’acqua o di una corsa al bagno, poi riparto.
Invece vado in camera mia e di mia nonna e mi stendo sul letto.
Racconto cosa è successo, alzo la maglietta e faccio vedere in che condizioni. Mia madre inizia a piangere poi s’arrabbiai di brutto, vuole uscire ed andare a dirgliene quattro, riesco a fermarla non senza difficoltà.
Sono cose mie, fra ragazzi e non voglio intromissioni di adulti.
Quando rientra mio padre lo informa, Lui viene a trovarmi in camera, mi fa alzare la maglietta, scuote la testa, mi guarda, poi sorride e mi lascia andare un scappellotto amichevole: La prossima volta stai più attento. Non Ti preoccupare sono cose che succedono giocando fra ragazzi. Una volta, più o meno alla Tua età, ho tirato un sasso a Luciano Petralli e gli ho aperto la zucca, quanto sangue ha perso da quel taglio.
Nella seconda metà degli anni ’80 mio padre era sempre più ammalato e ancor di più semi paralizzato. La malattia si era manifestata nel febbraio del 1975 ed andava avanti da quasi quindici anni. Nessuno era riuscito a dare un nome preciso alla malattia e neppure trovato una cura efficace. Per anni si era andati avanti per tentativi o esperimenti, poi mio padre aveva deciso di lasciar perdere. Mi aveva comunicato: Stefano ora basta, non voglio fare più niente, vorrà dire che se nessuno ha trovato la malattia morirò guarito, è una soddisfazione anche questa.
Nessuno, in casa, si rassegnava ciò allora le due sorelle di mio padre fecero i due ultimi tentativi, la prima chiamo per un consulto un medico di S. Miniato che da decenni svolgeva la Sua attività a Montelupo, la seconda invitò Luciano Petralli.
La prima visita non diede alcun riscontro positivo. Quando venne Luciano ero in casa.
Mio padre e Lui si salutarono da vecchi amici ed iniziò la visita, mio padre disteso nel letto con mutande e maglietta e Luciano che girava intorno a Lui, faceva domande, consultava reperti, poi toccava ed ascoltava il corpo, lo percuoteva in tanti punti con un martelletto di gomma e intercalava tutto con alcune battute: Ti ricordi Mauro ecc….. La risposta era Ti ricordi Luciano….. così conobbi diversi aneddoti della vita di mio padre bambino e del gruppetto dei Suoi amici.
Alla fine Luciano espresse le Sue valutazioni, frutto della lunga, paziente e competente analisi fatta.
Cara Mauro, hai fatto bene a non farti strapazzare più, la situazione è seria e non vedo rimedi, puoi solo sperare che la malattia duri il più a lungo possibile, che proceda cioè molto lentamente.
Mio padre chiese di essere vestito e di essere aiutato a rialzarti.
Dopo un po’ era comodamente seduto sulla Sua poltrona, in salotto.
Invitò Luciano a sedersi accanto a Lui e gli disse:
Caro Luciano devo scusarmi con Te per una vecchia questione, Ti ricordi? Quando eravamo bambini Ti ho tirato un sasso, Ti ho colpito in testa e Ti ho fatto sanguinare-
Luciano sorrise: Me lo ricordo sì, ho ancora la cicatrice. Ed iniziò a frugare fra i capelli per mettere a nudo il segno sul cuoio capelluto-
Mio padre proseguì: All’epoca Ti dissi che era successo per sbaglio, ma mentivo, volevo proprio colpirti; non ricordo perché ero arrabbiato con Te però sappi che Ti devo le mie scuse per averlo fatto volontariamente.
Luciano sorrise e disse. Mauro, sono trascorsi ben più di cinquanta anni, Ti ringrazio per le scuse ma non c’era bisogno.
Questa è stata una delle ultime lezioni che mi ha dato mio padre ed è stato anche un bel modo di conoscere un po’ uno dei Suoi amici d’infanzia, lo squisito Dottor Luciano Petralli.
Ritornando a Luigi Mestrelli, l’ho rivisto di recente, in Lucca, nonno felice e ci siamo fermati a parlare di omenti vissuti, di piacevoli ricordi, quasi tutti appartenenti al mondo del basket. Il mitico Magilla non si ricorda più dell’ultimo assalto al “castello” del S. S. Crocifisso e della “meridiana” che non ho mai raggiunto.

Va bene così!

San Miniato, Santuario del SS. Crocifisso
Foto di Francesco Fiumalbi


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