mercoledì 30 luglio 2014

L'ACQUA SANTA - Racconto di Giancarlo Pertici


di Giancarlo Pertici

L'ACQUA SANTA... CORREVA L'ANNO 1956 O FORSE 1957

Raramente in Canonica ci trovavi un cane… qualche gatto sì! Forse …perché utile contro i topi, ma raramente un cane. Quando ce lo trovavi allora ti potevi immaginare un prete amante degli animali e siccome c'è un detto per cui “se non ami gli animali non ami neppure le persone” ti facevi anche l'idea di trovarti nel posto adatto e… bussavi a quella porta, alla porta di quella canonica. La Chiesa sempre aperta a tutte le ore… ma non la porta di casa, dominio assoluto del prete, il Bellaveglia, di suo cugino Duilio e della Perpetua in compagnia del cane. In quella canonica c’è sempre stato un pastore tedesco … libero di girare in tutte le stanze e in giardino… mai in sacrestia. Deterrente contro qualsiasi tentativo di intrusione, pronto ad affacciarsi alla finestra al suono del campanello.

Per noi bambini… confinati in sacrestia e nelle stanze adiacenti per la “dottrina” o in Chiesa durante la messa, bastava il solo pensiero a fugare qualsiasi fantasia di intromissione… avevamo paura. Quando vedevamo Duilio scendere e aprire il portone a chi aveva avuto la ventura di suonare, il guinzaglio corto stretto al polso a tenere a bada quel popò di “lupo” sempre in tensione, sempre pronto all'attacco …noi stavamo pronti a ritirarci ancora di più all’interno della sacrestia... se in piazza, ad allontanarci il più possibile e a scomparire se a giocare a pallone davanti all'arco d'accesso di quella canonica, che fungeva da “porta”.

Non correva certo buon sangue tra noi bambini e quel cane, e quella canonica e quel prete... anche se era il nostro, il prete. Ci facemmo istintivamente l’illusione di un'apertura, anche mentale, quando… (sarà stato il '56 o il '57) arrivò la televisione e fu piazzata in quell’androne enorme che separava la sacrestia dalla canonica … “zona neutra” quasi “porto franco”… finalmente!! la Tv dei Ragazzi e “Rintintin”!! Ci eravamo fatti l’illusione e tale rimase, come chiusa rimase quella porta per noi bambini… sempre… in ogni occasione. Porta che si apriva solo la sera .. per Lascia e Raddoppia, per il Musichiere ma solo per i grandi, non per noi.
E a quell'ora, quella della Tv dei ragazzi, si apriva il portone della maestra Rossi e uno stuolo di bambine si accovacciava a terra, quasi ad incorniciare la maestra stessa assisa sulla sua poltrona come fosse un trono, davanti alla sua Televisione… e noi bambini, destinati a guardarci la TV nelle retrovie, alle spalle delle bambine, e con la sensazione di non essere ben visti… non sempre ma spesso prendevamo altre strade.

C’era prete e prete anche allora, come c’è prete e prete anche oggi. Se ti allontanavi da Santa Caterina e ti fermavi in Santo Stefano notavi subito, senza bisogno di farti tante domande, la differenza… In quel portone sulla piazzetta di Santo Stefano, quello che nell'angolo conduceva in Canonica, quel portone che sembrava quasi rimosso… completamente aperto... tutti e due gli sporti, ben fissati alle pareti da una catenella a far intendere a chiunque che così doveva restare. E nessun cane... ma gatti sì! Liberi di girare in canonica, in sacrestia, in giardino e qualche volta anche in Chiesa. E ti imbattevi nel prete... il suo vocione… la sua imponenza che incuteva rispetto. Quando lo avevi imparato a conoscere… era come un nonno... ti dava tutto, poi il momento del dovere… senza battere ciglio, senza apparente sacrificio, quasi con piacere. Era il momento della messa, del vespro, della dottrina, del rosario, del canto. Monsignor Balducci, il nome di quel prete, neppure giovane e amante del bel canto… ci lasciava liberi dei nostri giochi per tutto il tempo che volevamo… due Biliardini piazzati nello studio… tavoli da Ping Pong in giardino… Biliardo per le “boccette” nell’ingresso e la TV. Non ci negava mai “Rintintin”. Io ogni tanto, seguito come un'ombra da Nonno Nuti, mi avventuravo lontano dal mio territorio, fino in Piazza dei Polli, per arrivare lassù sulla piazzetta di Santo Stefano in cerca di quegli amici comuni, viatico gradito per entrare e giocare con gli altri. E Monsignor Balducci che non faceva storie anche se sapeva che eri di un'altra parrocchia, ti salutava con il più bel saluto possibile… ti chiamava per nome.

I tempi era Nonno Nuti a dettarli, a rammentare mese e ricorrenze. “Siamo in Avvento” e c'era l'ora del vespro.. “è ottobre.. mese mariano” e la funzione iniziava con la recita del rosario… in quei giorni prima di Natale “è il momento della Novena” e si andava dalle Monache di San Paolo alla funzione. “E' il momento del Maggio”... quante volte la madonnina di Fatima faceva il giro delle nostre case, una casa diversa ogni sera… si allestiva un piccolo altare per accogliere quell'immagine e subito dopo cena, tutti assieme, anche nel corridoio, …sulla strada per coloro che non potevano entrare… a recitare il rosario e cantare le litanie. Era Nonno Nuti che mi comunicava le preghiere da fare, le funzioni da seguire, quelle in parrocchia, quelle in Cattedrale come le Rogazioni. Arrivava poi la Quaresima… penitenza… digiuno… astinenza. Il viola liturgico a rammentare il clima, lontano da lussi, da sfarzi, da divertimenti chiassosi... tempo dedicato soprattutto alla preghiera. Con Nonno Nuti non te lo potevi dimenticare... cambiavano anche le preghiere del mattino e quelle della sera si facevano più lunghe.

Con la Quaresima giungeva il momento anche dell'Acqua Santa, in giro per le case a spargere benedizioni e preghiere… E con l'Acqua Santa SCOPPIAVA all'improvviso LA PACE. Cominciava un periodo di particolare, intensa, vera collaborazione tra noi bambini, noi chierichetti e il nostro priore, ma anche con Duilio e con la Perpetua che avevano il compito di rifornirci di panieri per le uova, secchiello per l’acqua benedetta ed acqua benedetta di scorta… “non si sa mai”. Liberi di circolare eccezionalmente anche in canonica da dove partivamo e dove ritornavamo carichi di “benefici”, “pensierini”, “omaggi”, “doni” ...titolo col quale le “famiglie benedette” ce li porgevano, mentre il cane in quei momenti o era in giardino o veniva rinchiuso in una stanza in fondo al corridoio... da dove lo si sentiva grattare alla porta e guaire in cerca di aiuto... Si trattava spesso di uova, di olio, di vin santo, formaggio, ...tutto quello che la terra sapeva offrire.

Che il tempo dell’Acqua Santa si stava avvicinando lo si poteva capire e vivere... in casa, dagli amici, in qualunque famiglia e non solo. A scuola, all'asilo di San Paolo, al Ricovero ma anche “Da Mandorlino” come da Pietro nella sua Bottega di Commestibili. Era nell'aria quasi fosse un profumo quel clima di preparazione. Lo si vedeva già dalle finestre che generose si aprivano a ore insolite a far prendere aria alle stanze quasi si dovessero ossigenare… dall'ostensione di coltroni al sole come fossero reliquie…. dalla fila in piazza a pompare acqua piovana e farne scorta nelle case per il Bucato… dai lenzuoli, dalle federe, dai teli, dagli asciugamani, prima a bollire e poi a fare mostra di sé negli orti sia quelli a solatio della valle di Gargozzi, sia quelli a merizzo sul Valdarno. Quasi una gara contro il tempo che iniziava appena poco dopo la Befana …ancora in clima di carnevale. Era un fermento che in ogni casa aveva un suo rituale scandito e ripetuto nel tempo, per certi versi quasi immutabile per abitudine come in casa di Nonna Livia. In vista dell’acqua santa, con l’aiuto del mi’ nonno Musolino che diressolava tutto il camino e metteva a pulito il focolare, Livia, quasi fosse un vezzo, imbellettava l'architrave in legno del camino stesso con un festone.

Ricavato da carta colorata, la stessa che usavamo noi bambini per fare gli aquiloni quando c'erano i soldi, e bordato e rifinito a mo' di trina o come fosse un origami, e lo fissava torno torno, con religiosa precisione e attenzione quasi fosse un tappetino di quelli che si mettono alla finestra per la processione del Corpus Domini. E con lo stesso materiale e lo stesso sistema interveniva Berta ad abbellire la Vetrina del salottino, quello buio dove in due lettini dormivano i maschi di casa Rodolfo e Alberto, la svuotava prima del “servito bono” che si usava solo a Natale e a Pasqua, per riporvelo dopo aver rinnovato i tappetini in carta così rifatti ed aver ripassato in acqua piovana chiara tutti i pezzi del servito. Se salivi lo scalino che portava in camera dei vecchi, ti accorgevi che era stata cambiata la grande tenda verde oro con quella delle feste. Tenda che divideva in due la stanza, per farne camera a Berta, dopo che si era separata, e alle sue bambine con quel letto a una piazza e mezzo…due da capo e una da piedi.

Se ti spostavi da Via Pietro Bagnoli alla Piazza Santa Caterina allora era ben visibile il grande tramestio nel palazzo del marchese Migliorati, cominciando anche dalle stalle, divenute oramai garage, fino all'ultimo piano. E personale extra a rifare tutti i vetri …giardinieri in Ragnaia a modellare le siepi …donne a cambiare cuscini, lavare e cambiare tende, rifare e cambiare camere anche se in disuso da anni… Sapevi che eravamo vicini all’Acqua Santa. Io lo potevo vedere anche dal bugigattolo del Cecconi, il ciabattino amico di Nonno Nuti, …quando Marisa, la figlia maestra elementare, gli cambiava la tenda alla porta a vetri dopo aver riportato il vetro alla sua naturale funzione… e anche da un altro particolare… da quel catino di terracotta, sotto il deschetto, usato per mettere a molle il cuoio, ritornato al suo colore naturale verde chiazzato di bianco, dal marrone scuro che era stato il resto dell’anno. Tutti a prepararsi tranne poche eccezioni …come Tetta, vecchia e oramai non più in cervello insieme al suo Micheli, lassù all'ultimo piano di palazzo Vannini... che aspettava sì, il prete per l'acqua santa, l'aspettava in cucina … quel suo tavolone di legno con al centro un'enorme sveglia tenuta a bada da una altrettanto inquietante campana di vetro, ma non lo faceva salire in camera. E li accanto alla cucina di Tetta la nostra camera con il nostro, mio e di Nonno Nuti, letto a una piazza e mezzo che nessun prete è venuto mai a benedire.

Quando scatta poi l’ora scandita dal suono delle campane, un doppio che Duilio avvia sempre con il nostro aiuto, ogni casa è tornata a regime normale… in abito da festa se rientra nel giro di quel giorno. Me ne ricordo diverse di queste “Acque Sante” ma una in particolare, doveva essere il ’57 quando io avevo quasi 10 anni di età. Al primo “doppio” di quel primo lunedì di Quaresima ….il giro di piazza… il Dott. Nardini e la maestra Rossi come inizio ...il Latini in chiusura all'altro lato quasi a scaldare i motori. Poi a scendere in Via Pietro Bagnoli a destra con i numeri dispari per risalire a sinistra con i numeri pari. E' la volta di casa mia e di quella di mia nonna, io costretto ad aspettare il passaggio del prete per ricevere la benedizione. Solo dopo mi posso accodare al seguito, tonaca nera e cotta bianca d'ordinanza per andare… in missione fuori in campagna. Alla sera, al ritorno, ma più delle volte è a letto, che con Nonno Nuti ripercorro la giornata, rispondo alle sue domande come volesse riappropriarsi di un momento che non ha potuto condividere con me.

Di quel primo giorno passando da casa di Pellegrina verso la campagna aperta, territorio mio anche di giochi, iniziando dalla scorciatoia che taglia di lato a quella casa verso Pian delle Fornaci ...si parla di “Marianna”. Di quella sua viareggina ai piedi della salita, tutta madonne e santini attorno all'immagine incensata del figlio morto da seminarista. Si parla della Benedizione e dell'orazione... “Dominus vobiscum” – “ Et cum spirito tuo”…, dell'aspersione a stanze ed immaginette. Poi le prime uova nel paniere e su per la salita passando davanti alla Madonnina, dove il pensiero indugia al ricordo della vigilia di San Giovanni, lì a “bruciare la mosca” e noi ragazzi a saltare con le fiamme alte al cielo, ...e dopo la Madonnina ...a sinistra verso il podere che fu della famiglia Latini, Vestro il capoccia, proprio di sopra alla “casa bruciata”.

Della Casa di Vergella, casa Taddei, lassù in vetta allo scollinamento prima della discesa che porta diretta ai Cappuccini, …il Nuti mi ricorda di quell'aia tra casa e strada, di quando ci fu grande festa con musica e balli fino a notte fonda per un matrimonio (forse il suo?). Sì, Sì… io c'ero con la mi' mamma e il mi' babbo. “Raccontami! Chi c’era ad aspettare il prete?” è la domanda indagatrice intesa a capire, quasi volesse lui essere presente. Io che non conosco tutti i nomi, ricordo solo del vecchio, un nonno vestito di tutto punto in maniera quasi innaturale con le scarpe lucide ed il panciotto strippato sotto la giacca del vestito della festa, fazzoletto nel taschino e Cappello Nuovo rigorosamente in mano in atteggiamento di reverenza. Gli altri uomini presenti …in attesa ansiosa. Più naturali e meno impacciate le donne di casa, la mamma, la nonna e alcune ragazzine sedute in disparte gli occhi bassi, il velo in testa a prendere la benedizione. Poi cantuccini per noi chierichetti e vin santo per il prete, e una boccia da portare via rinvolta nel giornale che è quasi mezzogiorno.

Breve sosta proprio prima dei Cappuccini a casa delle Fabbrizzine, tre sorelle tutte e tre bionde, oramai intente a preparare il pranzo e di poche parole per noi chierichetti affamati ed assetati.
La sera che Nonno Nuti mi chiede delle sorelle Cei, siamo a letto … luce spenta dopo l'ultima di Tonino. “Tanti saluti da tutti e due, e ‘Torna col tu nonno’ mi hanno ripetuto”… non ho avuto il coraggio di dirgli che erano così indaffarate intorno al prete... quasi mi sembrava che in disparte si stessero addirittura a confessare... mi hanno appena salutato e che per quell'ora, tarda serata, avevano appena versato un vin santo al prete prima della benedizione. In compenso mi sono dilungato sulla casa di contadini, famiglia Ceci, che si trova appena prima, a destra su quel ciglione incorniciato di cipressi, tutte le volte… ogni “acqua santa” ci puoi contare sulla loro accoglienza. Tavola apparecchiata con tanto di tovaglia, quella delle occasioni, imbandita di prosciutto, salame e rigatino... anche baccelli questa volta, cantuccini e zuccherini accompagnati da una ciambella a fette (deve essere una di quelle di Nonna Rina del Perondi) e sottaceti misti quelli fatti da loro come peperoncini e cetriolini. Da bere Vino della loro vigna e acqua … “quella di fonte alle fate” precisano “l'acqua del nostro pozzo è terrosa”.

Ben più lunga e faticosa la sera precedente conclusa in maniera tragicomica in San Maiano al podere Mancini. La partenza scandita dal Doppio ad inizio pomeriggio... tempo incerto, dopo una mattinata di sole conclusa dalle Fabbrizzine. Svoltati a destra lungo il muro di cinta del convento dei Cappuccini il cambiamento del tempo, dapprima pioggia leggera, poi aumento di intensità quando siamo a casa Bertucci… per finire... una tregua temporanea. E’ proprio allora che prendiamo la discesa, quella discesa di “mattaione”, terrore di noi chierichetti… memori dei risultati... almeno di stabilità… degli anni precedenti. La pioggia ha reso viscido tutto il percorso che ha ingoiato subito la poca ghiaia gettata dal Comune. Come una marionetta piomba per primo col culo a terra il prete che dopo una risata istintiva si rialza, senza curarsi della tonaca e di quello strato oleoso di color blu elettrico. Quando sta a me mi sono appena perso le cadute di Serpentone e di Patita. La mia è una caduta con scivolo che dura alcuni metri fin dentro la fossa... secchiello dell'acqua santa svuotato irrimediabilmente, la bottiglietta di scorta arrovesciata anche quella. E' per me un mesto viaggio all'indietro a recuperare acqua benedetta... dovrei andare in parrocchia e chiederla a Duilio. Mi viene incontro e in soccorso la sorte e Marianna, sempre provvista di buon senso e anche di acqua santa... così conciato mi dona buona parte della sua scorta. La sera al ritorno non ho neppure bisogno di raccontare l'accaduto a Nonno Nuti, lo capisce ad occhio nudo.. il colore indica esattamente anche il punto.

Una sera mi domanda di Cesare, che sarebbe il fratello del mio nonno Virgilio, che tutti conoscono come Lillo. Mi chiede soprattutto come sta, anche se lo vede transitare spesso in San Miniato e anche “da Mandorlino’” Sta nel podere giusto sotto il Bar e sotto l’Ospedale, la cui strada, quella che costeggia il Sanatorio, tagliata nel ciglione sopra la Via Del Sasso, muore sull'aia di Cesare. E' stata la prima tappa ad inizio pomeriggio. Ad aspettare il prete e la benedizione quasi tutti di casa... oltre a Cesare, Graziella di appena due anni maggiore a me, la bella di casa, e il suo fratello piccolo. “Saluta nonno” mi fa Cesare. Dopo aver offerto il caffè al Prete, che si è preso anche un ammazzacaffè, … rinvolto un fiasco di “verdea” in un giornale, lo consegna a Serpentone con l'ordine di portarlo subito in canonica – “E che avete fatto nell’attesa?” – “Ci siamo avviati... dopo un po', senza correre e l'abbiamo aspettato in cima alla strada finché non è sbucato dalla curva davanti al Sanatorio”.

Si è fatto tardi.. la luce già spenta.. mi sembra di essere ancora là sull'aia di Cesare a guardare verso il Sanatorio, su quel ciglione incorniciato da un lato da un Fico “dottato” e dall'altro da un ciliegio. Quante volte ci siamo avventurati o a fine estate o in primavera, sfruttando l'ora del giorno in cui il sole scollinando andava ad illuminare l'aia e la casa di Cesare, lasciando in un cono d'ombra il ciglione, con il fico o il ciliegio a seconda della stagione. Difficile con il sole negli occhi accorgersi di quella masnada di bimbetti intenti a saccheggiare il fico o il ciliegio... ma qualche volta ci sentiva ed iniziava il fugone… quante volte!! -- “Dormi già?” mi fa il Nuti. “Non ancora Nonno”. “Diciamo le devozioni, questa settimana comincia la settimana di passione” – “Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo – Giuseppe rimirate la povera anima mia, nella diletta via fate ch'io ponga il pié. E quando sarà l'ora del mio fatal periglio, chiedete al caro figlio amor, pietà e mercé” – “Buona Notte Nini” – “Buona Notte Nonno”.

La chiesa di Santa Caterina dove risiedeva il Canonico Don Bellaveglia
Foto di Francesco Fiumalbi



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