lunedì 27 ottobre 2014

SAN MINIATO NELLA CRONICA DI MATTEO VILLANI

a cura di Francesco Fiumalbi


REGESTO

L'AUTORE E L'OPERA
Matteo Villani, fratello minore di Giovanni, nacque a Firenze nei primi anni '80 del XIII secolo. Come il fratello, fu dedito alla mercatura presso la compagnia dei Buonaccorsi, della quale fu rappresentante presso Napoli seguendone le alterne vicende fino al fallimento, avvenuto nel 1342.
Matteo, a partire dal 1348, proseguì la Cronica del fratello Giovanni morto di peste in quell'anno. Nel 1362 subì un processo per “ghibellinismo”, ma fu assolto dall'accusa. Denunciato nuovamente l'anno successivo, fu dichiarato ineleggibile nelle magistrature pubbliche. Morì anch'egli di peste nel 1363.
La Cronica di Matteo Villani si compone di 11 libri, formulati come prosieguo di quella del fratello. Coprono un arco temporale di quindici anni, che va dal 1348 fino al 1363. La narrazione fu ulteriormente continuata da suo figlio Filippo.
Una prima edizione dell'opera, composta solamente dei primi 4 libri, fu data alle stampe in Firenze, da Lorenzo Torrentino nel 1554. Complete invece le edizioni Giunti del 1562 e del 1581, quest'ultima con i riscontri di un nuovo manoscritto, rinvenuto nel frattempo, ovvero il cosiddetto “Codice Ricci”, e già pubblicato, sempre dai Giunti nel 1577. L'ulteriore ristampa Giunti del 1597 contiene anche i capitoli compilati dal figlio Filippo. La Cronica conobbe nuova fortuna con l'edizione muratoriana del 1729 (nella “collana” Rerum Italicarum Scriptores). Il codice Ricci fu ulteriormente riprodotto nell'edizione curata da Moutier e stampata in Firenze da Magheri nel 1825-26, integrata con alcune varianti desunte anche da altri manoscritti. Quest'ultima versione fu poi riprodotta nell'edizione di Sansone Coen (Firenze, 1846) e nella Lloyd Austriaco (Trieste, 1857). Ed è proprio da quest'ultima edizione che è tratto il nostro regesto in chiave sanminiatese.

L'edizione giuntina del 1581
Frontespizio

SAN MINIATO NELLA “CRONICA” DI MATTEO VILLANI
Le notizie “sanminiatesi” contenute negli undici libri della Cronica di Matteo Villani sono di varia natura anche se circoscritte agli anni 1355 e 1363.
Carlo IV di Lussemburgo, ancor prima di essere incoronato imperatore (Roma, 5 aprile 1355), dette inizio ad una politica volta a rafforzare la posizione della corona all'interno del complesso scacchiere toscano, dominato ormai dalla città di Firenze. La strategia di Carlo IV fu volta a garantirsi il consenso e il sostegno da parte dei centri toscani, a scapito di Firenze, che sarebbe dovuta rimanere isolata. In questo contesto, anche i Sanminiatesi giurarono la propria fedeltà all'Impero [01]. A tal proposito, Matteo Villani chiarisce anche il retroscena venutosi a creare all'interno della comunità sanminiatese, divisa dalle due casate magnatizie dei Malpigli e dei Mangiadori che, affinché nessuna delle due prendesse il sopravvento sull'altra, di comune accordo inviarono gli ambasciatori al cospetto dell'Imperatore. Quest’ultimo nel frattempo si trovava a Pisa, e l'8 marzo 1355 raccolse l’atto di sottomissione dai Sanminiatesi [02]. Le trattative tra l'Imperatore e i Fiorentini, affinché anche quest'ultimi riconoscessero l’autorità regia e quindi facessero atto di sottomissione, presero avvio con l’iniziale posizione di forza da parte della corona, forte della signoria che Carlo IV poteva vantare sui centri di Pisa, Siena, Volterra e San Miniato [03] [04]. Rotte le trattative con i Fiorentini, Carlo IV da Pisa partì alla volta di Roma dove lo attendeva la cerimonia di incoronazione, l’ultimo atto formale della sua ascesa al trono imperiale. Dopo aver visitato Volterra, il 23 marzo 1355 passò anche da San Miniato dove fu accolto come signore [05]. Carlo IV transitò una seconda volta da San Miniato il 5 maggio successivo, mentre era in viaggio da Siena a Pisa, di ritorno da Roma [06].
Una volta rientrato in Pisa, l’Imperatore trovò una situazione pronta ad infiammarsi. Il Conte Iacopo della Della Gherardesca (detto “Paffetta”) e Ludovico Della Rocca soffocarono nel sangue la rivolta contro l’Imperatore scoppiata il 21 maggio successivo, dopo che era stato incendiato il palazzo degli Anziani. Pochi giorni dopo, tre esponenti della famiglia dei Gambacorta, costretti sotto tortura a dichiarare ogni tipo di colpevolezza, furono decapitati. Uno di essi, aveva fatto il nome di tre cittadini fiorentini con cui la fazione dei rivoltosi avrebbe stretto trattative e ottenuto aiuti dall’esterno. I tre fiorentini furono condotti a San Miniato, dove l’Imperatore aveva ricevuto la signoria. Qui furono processati, ma, vista l’inconsistenza delle accuse mosse contro di loro, furono completamente assolti e quindi rilasciati [07].
Alcuni anni dopo, nel 1363, i mercenari al soldo dei fiorentini che dovevano prendere servizio presso Peccioli ebbero da lamentarsi a causa della paga, giudicata troppo bassa anche se non va escluso un tentativo di estorsione da parte dei militari. Quest’ultimi si ribellarono e costituirono una vera e propria “compagnia” di ventura (chiamata Compagnia del Cappelletto) a cui si aggiunsero molte alte soldatesche, fino a contare più di 1000 uomini. Sul momento fu una vera e propria scheggia impazzita in seno all’esercito fiorentino che, in quel momento, stava combattendo fra Marti e Castel del Bosco contro i Pisani. Il capitano, messer Bonifacio Lupi, decise così di interrompere le operazioni belliche in atto e di ritirare le truppe a San Miniato [08].
Infine, riporta l’avvenuta morte di Pietro Farnese, Capitano Generale dell’esercito fiorentino, mentre si trovava a San Miniato [09]. In quel periodo la Toscana era nella morsa di una nuova ondata di peste, dopo quella drammatica del 1348. La stessa ondata che, poco dopo, avrebbe colpito lo stesso Matteo Villani.


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