mercoledì 12 novembre 2014

PIAZZA SANTA CATERINA – Racconto di Giancarlo Pertici

di Giancarlo Pertici


PIAZZA SANTA CATERINA … o piazza dell'Ospedale

Ombelico del (nostro) mondo… da lì tutto partiva e ritornava, per noi bambini degli anni ‘50

E' soprattutto quel profumo penetrante di noce moscata, che impregna l'aria e non solo, ad avvisare che è l'ora di merenda. Saranno le quattro o le cinque, tutto dipende dalla stagione. In inverno è alle quattro spaccate che, dal vano montacarichi a piano terra, si apre lo sportello a saliscendi per far passare un vassoio colmo di polpette, dalla cucina fin sopra la mensola esterna, in quel corridoio di passaggio tra la Cappella delle suore e l'ingresso principale dell'Ospedale. In estate invece l'orario è più approssimativo, tra le cinque e le cinque e mezzo del pomeriggio. Le polpette quelle preparate da suor Maria Letizia, aiutante cuoca di quella cucina, per noi bambini di Piazza Santa Caterina nati, quasi tutti, proprio lì, dentro quell'ospedale, come molti dei nostri genitori e quasi tutti i nostri nonni. Ospedale centro gravitazionale della nostra vita, dei nostri giochi, e del nostro futuro e spesso anche di quello lavorativo. E quelle polpette calde, a bollore, da quella mensola passano velocemente nelle nostre mani, che fanno fatica a tenerle, e nel nostro stomaco dopo aver scottato le papille gustative della lingua. Ma solo una polpetta per ciascuno!! Suor Maria Letizia pare che ci conti!! non ne avanza mai nemmeno una e nessuno ne resta mai senza. E con lo stomaco soddisfatto torniamo ai nostri giochi, mentre cominciamo solo allora a gustare fino in fondo quella polpetta ingurgitata in fretta e furia, ora che le papille gustative si sono raffreddate e che sentiamo tutti i gusti oltre la noce moscata, l'aglio, il prezzemolo, a volte l'uovo assieme all'ingrediente principale che è la patata, e qualche volta anche il lesso. Non ci sono in giro polpette buone come quelle! Ci deve essere qualche ingrediente segreto!!! E ogni volta tentiamo di indovinare quale; ma senza risultati apprezzabili. Solo da grande capirò che l'ingrediente segreto era, e resta, … la fame, semplice fame.

Quello di suor Maria Letizia è un gesto di vicinanza mentre tanti sguardi ci sorvegliano nei nostri giri, nei nostri giochi su e giù per quella piazza, tra il prato pesticciato e le lastre di pietra della strada che circonda tutta quella piazza, la nostra piazza. Sono occhi di genitori, dei parenti che lavorano in ospedale, sbirciano a più riprese, ad intervalli regolari, dalle finestre aperte o socchiuse dei vari piani; verso noi bambini soli, padroni assoluti del campo. Qualche nonno “innocuo” seduto in panchina o sul monumento ai caduti, o sugli scalini della cisterna centrale che sembra dominare la piazza stessa. E noi bambini, spettatori (oggi si direbbe testimoni) di quella vitale quotidianità che ci conduce per mano, ad attraversare quegli anni pieni di euforia e di stupore verso il nuovo che avanza.

Quotidianità che inizia ogni giorno presto, molto presto su quella piazza. E' ancora buio quando avviene il primo cambio di turno dell'ospedale. La città che ancora dorme e deve avviarsi….le botteghe, le prime che aprono, poi le officine degli artigiani, quindi gli uffici. E alla spicciolata le potresti contare e riconoscere le infermiere, quando firmano il cartellino d'ingresso, sia che vadano in medicina, sia che salgano in chirurgia, sia che vadano lassù in psichiatria o scendano al padiglione Montegrappa adibito a Sanatorio. Col buio e, se d'inverno, tutte intabarrate, non sempre è facile riconoscerle… Gina Ferlin di turno al Sanatorio, Maria Rugiati addetta al “bastardaio” (nome infame, ma era chiamato così in quegli anni '50), Maria di' Caciagli diretta in Medicina sempre all'ultimo rintocco lei che abita lì a due passi, accanto all'Alimentari di Pietro. Talvolta dal Poggio, arriva anche se perennemente in ritardo quando è di mattina, Cesarina di' Schiacciola che di cognome fa Badalassi. Puntuale invece come un orologio, a tutte le ore, Adriana… la mia zia Adriana, scortata sempre dalla Chira e dalla Simona, due splendidi barboni neri giganti ai quali sono particolarmente affezionato. Poi alla spicciolata quasi in fila indiana, qualcuno te lo perdi. Fai in tempo a riconoscere Anna la Botti, Adelina di' Dainelli, la prima da via Maioli e la seconda da Sotto il Ponte. Mentre il Lastrucci dal Poggio e lo Zeffiri da piazza Buonaparte quando arrivano sembrano due Dottori… almeno quella è l'aria si danno! anche se sono due infermieri. Borsetto sotto il braccio, tenuto come se fosse la borsetta di pronto soccorso di un dottore, sempre prodighi per chiunque di consigli, quasi fossero terapie. Per ultime le monache, non perché arrivano dopo tutti gli altri, ma perché non arrivano affatto, non ne hanno bisogno. Loro ci sono e basta! in ogni momento. Mi ricordo con affetto di suor Giuseppina, sempre in sala operatoria, di Suor Vincenza addetta al guardaroba e di suor Maria Letizia addetta alle cucine… le altre non ne ricordo il nome.

Quando piombiamo in piazza, appena mangiato, di ritorno da scuola, all'inizio del pomeriggio, la lezione da fare… Quanta voglia di giocare e di correre!!!!! In tempo a diventare spettatori del cambio di turno, i movimenti quasi sempre gli stessi che ci affascinano e attirano la nostra attenzione. Ci fermiamo quando arriva Lillo, ad inizio pomeriggio. La sua bicicletta da donna di un color celestino sbiadito, la catena rumorosa e lente. La sua pedalata lanciata a superare quella cunetta, che a piedi non senti, quella di fronte alla Ragnaia, prima del falso piano davanti l'ospedale. E lui, il Lillo, supera quella cunetta di slancio e continua a pedalare fitto fitto fin davanti al portone di ingresso... (e noi ad ammirare la manovra) e passato il portone, a pedali fermi, la gamba destra levata in volo… si prepara ad atterrare all'altezza dell'ingresso di servizio, lato Cappella... e lo fa saltando a terra, mentre con la mano destra afferra il sellino, e con la sinistra il manubrio, per una manovra al volo a girare e depositare la bicicletta in posizione di partenza, muso rivolto verso la piazza. E noi a bocca aperta, ogni giorno, a meravigliarci di nonno Lillo e soprattutto dei suoi anni, ben oltre i 60.

Ed io unico spettatore “super partes”, lassù più in alto di tutti. E' infatti a quell'ora d'estate, in cerca di aria, di refrigerio dalla calura del pomeriggio, che mi rifugio nel mio nascondiglio segreto da dove posso vedere e dominare tutto, non visto. E' su quell'abete (che ancor oggi domina tutta la piazza) la cui chioma adombra la strada fino a lambire le persiane di casa Nardini, che salgo con estrema facilità. Un esercizio quasi quotidiano, ripetuto ed imparato a memoria, eseguito con la complicità dell'abete stesso che mi da una mano. La mano... la sua, sotto forma di un ramo che sembra allungarsi per tirarmi su, per quella curvatura che, nel dondolarmi leggermente, quasi mi accarezza fino a lasciarsi abbracciare dalle mie gambe. Esercizio facile, nonostante i calzoni corti. E su per il tronco, oltre la forcella, adornato ed attrezzato da tanti rami simmetrici, ben distribuiti per larghezza e per altezza. E' come salire su una scala, c'è anche il passamano a mantenere il dovuto equilibrio benché una mano occupata a portare con me quel tesoretto che tengo gelosamente dentro una sporta di paglia: i giornalini preferiti di Tex Willer e quelli del Vittorioso. Quando mi seggo nel mio scranno esclusivo, poggio i piedi comodamente a scelta su due diverse pedane, per leggio una forcella a quattro dita, due rami equidistanti a sorreggermi la schiena all'altezza della vita e all'altezza delle scapole...

E' cambio di turno. Infermiere quasi tutte donne, mai le stesse. Noi bambini non ci fermiamo, d'abitudine, ad osservare il cambio. Io sempre invece da lassù, quando arriva nonna Livia , la mia nonna, partita da là, da Via Pietro Bagnoli, appena due passi. Quando esce di casa, da quell'uscio, largo e tutto a vetri, già sporto di una bottega nel passato, non si incammina subito, ma si siede su quella seggiolina che se ne sta lì, fissa, appoggiata al muro, e che serve soprattutto la sera per osservare il passeggio e il passaggio per l'ospedale. E su quella seggiolina si siede, per aspettare le compagne di turno, quelle che da anni insieme a lei condividono le mansioni del reparto di chirurgia: Ottorina e Quirina. Ottorina arriva già col fiatone, tutto quel saliscendi lei che abita alle Colline. Quirina invece... anzi! anche lei, nonostante abiti a metà di Via Paolo Maioli, giusto davanti a casa Taviani, ma per ragioni diverse, arriva anch'essa col fiatone. La ragione è evidente quando sbuca all'altezza di Pancole. Ondeggia quasi, per riuscire a trasportare tutto il suo peso distribuito soprattutto in larghezza, le gambe che, forse solo per scommessa, continuano a sorreggerla. Si aspettano tutte le volte quando sono di turno nel pomeriggio, per fare ingresso insieme, quasi una passerella. Ed è questa che ammiro mentre arrivano vestite di tutto punto con i loro camici bianchi, spesso a braccetto, ordine casuale, mentre noi le rimettiamo mentalmente in ordine di grandezza. Prima Quirina, seconda Ottorina e terza Livia... ordine di grandezza di culi e di fianchi. Formazione che occupa ben oltre la metà della sede stradale, e che si scioglie all'ingresso, all'altezza della guardiola del custode, che a turno è o il Cucchi o il Turini, per firmare il cartellino d'ingresso.

Da lassù, dal mio nascondiglio personale dove i rumori arrivano prima, come la sirena dell'ambulanza in lontananza, quando è per la salita del Poggio o ancora “di là”, in San Miniato, basta un minimo cenno e tutto si ferma. Nessuno in istrada e tutti ai bordi della piazza davanti all'ingresso dell'ospedale pronti per non perdersi nulla, silenzio assoluto quasi a voler accompagnare quella sirena lungo tutto il percorso, dal Riposo fino in Sant'Andrea e giù in Piazza dei Polli, attorno al monumento di Canapone passando davanti al Bar di' Micheletti, su per Via Paolo Maioli prima, e Via Pietro Bagnoli poi, senza soste, per sbucare, alla vista oltre che all'udito, all'altezza della bottega di Olimpia. E lì già si capisce dall'ambulanza, di città o di campagna, cosa può essere successo e dove. Di lassù un via vai di infermieri, di dottori per le prime cure, quelle urgenti se si tratta di un incidente… allora sangue, grida di dolore ad allontanare i curiosi, i più piccoli strattonati per mano da mamma o da nonna. Tra gli infermieri spesso noti il Mascagni o il Corri, con suor Giuseppina seguita dal dottor Nardini a coordinare la macchina di primo soccorso. Talvolta facce conosciute, amici, conoscenti… magari per banali incidenti o malesseri passeggeri, e alla fine, quando riparte l'ambulanza vuota, tutti di nuovo al gioco, ai nostri passatempi consueti, mentre i nonni riconquistano le posizioni precedenti.

Ogni tanto arriva il camion carico di carbon fossile, credo si tratti di antracite, e scarica all'angolo della Chiesa fin quasi davanti al suo portone. Massa che, alla vista, sembra emanare tanfi rancidi e che invade la piazza, mentre subdola penetra e corrode le mani, e ricopre le lastre di un velo di polvere nera. E' allora che arriva in piazza Paolino Matteucci a presiedere lo scarico e le operazioni conseguenti. Lavoro il suo che porta a termine con l'aiuto di qualche ragazzo più grande, …lo sgombero della piazza, ...la messa in deposito dell'antracite, giù nel seminterrato a magazzino, attraverso due finestrelle ovali che si affacciano all'altezza del marciapiede. Lavoro faticoso, senza guanti, …le sole mani a spostare i pezzi più grossi e badili dal corto manico a raccogliere i detriti per gettarli giù in quella specie di imbuto in muratura, fino al deposito accanto alle caldaie. Operazione che si conclude dopo una solerte spazzatura di tutto quell'angolo di piazza. Per i ragazzi volontari in premio una “misera” polpetta ciascuno, delusi nel ricordo, anche a distanza di anni, delle mani sanguinanti e di quel misero premio.

Ben altra ricompensa è quella di nonna Livia, se gli riempio la conca dell'orto tutta d'acqua piovana per il bucato. Di regola è una schiacciola, quel gelato racchiuso tra due Cialde, a scelta crema e limone o crema e cioccolato, che Cionce fa uscire quasi per magia da un'arnese con dentro una molla, …ma costa 10 lire! Gli altri giorni, e non tutti, mi accontento di un cono da 5 lire, un gusto, una leccata e via. Quando è il giorno di bucato, sembra che tutte le donne si diano appuntamento. Basta che cominci una e viene a mente anche all'altra, per una catena umana che parte dalla piazza fin dentro gli anditi di casa. D'estate, le cisterne di casa oramai prosciugate, e quella cisterna al centro di Piazza Santa Caterina che sembra non finire mai, scorta per i giorni difficili d'estate. Io mi sono attrezzato con due piccole mezzine di stagno. Se la pompa è carica, allora è abbastanza semplice, anche se duro l'avvio. Facciamo a turno a chi pompa; a volte anche in due, se l'acqua è laggiù in fondo alla cisterna ed è così pesa da farla salire. Ma se la pompa, pompa a vuoto, allora abbiamo bisogno dell'aiuto di un grande ...un nonno basta!! …che ricarichi la pompa dopo aver attinto acqua con un secchio legato ad una corda. Le riempio tutte e due e riesco a portarle senza farle fregare per terra, anche se il manico mi sega le dita. Conto i viaggi, facendo il conto alla rovescia… almeno 15 viaggi… 14… 13... 12… A volte è un conto che non accontenta nonna. Devo riempirle anche il pillone accanto, per il risciacquo… altri 10 viaggi. Con Berto che deve riempire la conca della sua nonna Primetta, nell'orto accanto, ci diamo una mano a vicenda, sia nel pompare che nel portare le mezzine, lui che ce n'ha una sola ma più grande. E che è giorno che preannuncia il bucato, te ne accorgi anche dalle inevitabili scie d'acqua sulle lastre, ad indicare tragitti e destinatari. A volte ti domandi perché il Mazzetti o il Geri non facciano il bucato quella settimana… nessuna scia da e verso il loro andito.

E d'estate, sia la domenica che i giorni feriali, preciso come un orologio Cionce a dispensare gelati e sorrisi, assieme al buonumore… non me lo ricordo una volta arrabbiato o scortese verso noi bambini invadenti e appiccicosi. Ogni domenica in estate, anche a servire i malati sia dell'ospedale sia del sanatorio e con una sosta fissa davanti al ricovero. Non sarebbe domenica senza il gelato o i duri di menta di Cionce, che noi aspettiamo su quel prato, tra quelle siepi, sopra quegli alberi piantati li apposta per noi intenti ai nostri soliti giochi. E cambia poco tra giorni feriali e giorni festivi. L'ora non è sempre la stessa. Può essere ad inizio pomeriggio, come a fine o tarda serata, ma da quando gli è arrivato il 1100 Fiat nuovo, ogni giorno il dott. Nardini, o a turno il suo figlio Giuliano, ci caricano tutti quelli che siamo in piazza e ci fanno fare un giro, a volte anche due. Se non ci entriamo tutti, allora a turno!! Gli altri in fila sul marciapiede a salutare come si trattasse di un lungo viaggio. Io cerco sempre di non salire per primo per sedermi accanto al finestrino e guardare fuori il prato, le siepi e le panchine che, pare, fuggano veloci… un po' come, quando per la fiera il mi' babbo mi monta sull'autoscontro.

A una certa ora della sera, appena fatto buio, è l'ora d'uscita di Duilio, che porta a spasso il cane del prete. Un giro veloce della piazza da un albero all'altro. Non ci degna neppure di uno sguardo quel cane, sembra la controfigura di quella bestia che quando si affaccia alla finestra, quasi si mangerebbe chi ha avuto l'ardire di suonare a quella porta. Poi giù verso il Sanatorio seguito come un'ombra da Duilio fino in fondo a Pian delle Fornaci e ritorno. E noi bambini, non del tutto tranquillizzati, intenti, sì al gioco del momento, ma lo sguardo vigile verso l'uscita di Via Ferrucci, in attesa del ritorno e del passaggio di quel cane, evitando anche movimenti bruschi, nonostante le rassicurazioni ripetute ad ogni giro dal Prete e da Duilio.

Alla sera, quando si accendono i lampioni in piazza, ad inizio di primavera, appena avanti cena, di rientro dai nostri giri… da Sotto il Ponte, da Gargozzi, da Pian delle Fornaci, ci ritroviamo spesso a godere di quegli scampoli ultimi di gioco e di libertà, mentre aspettiamo il ritorno dal lavoro del babbo. Ad orari diversi ognuno aspetta il ritorno del proprio, in bici, a piedi, a completare tragitto fatto con treno o autobus. E' un rientro alla spicciolata che col tempo potresti anche memorizzare… ora arriva il tale... tra poco il mio… ora è la volta di… Fra i primi ecco Natale Sani, lui che lavora da Silo di' Testi in San Miniato, arriva fino in piazza a richiamare Lisetta a casa, c'è da apparecchiare. A ruota arriva il suo cognato il Moncalvini che si ferma subito a casa. Intanto la Maestra Rossi Noemi, zia della famosa Eleonora Rossi Drago, è l'imbrunire, chiude il portone ben dopo la fine della TV dei Ragazzi. Portone rimasto aperto tutto il pomeriggio per noi bambini, soprattutto per le bambine. I Fratelli Capecchi, Vittorio e Amedeo, sono sempre gli ultimi ad arrivare, spesso dopo le 8, loro che abitano in via Ferrucci subito dopo la piazza. Anche Magnino da Firenze arriva tardi, quando io ho già cenato e le mia cugine Ginina e Daniela già richiamate da Livia in casa da tempo, per apparecchiare. Barnaghino arriva appena un pò prima di Magnino. Lui torna da Empoli con la “Danti & Biagioni” , lui che ha messo società con il Giunti e il Centi. Beppe Zingoni l'arrotino, che abita agli ultimi numeri di via Pietro Bagnoli, lo vedi arrivare ma non si affaccia in piazza. Se ha bisogno, arriva fino dal Giorgi, quando gli manca qualcosa per bottega. Per ultimi transitano Gino di' Dainelli che ha chiuso la sua merceria, Enrico Latini dal suo calzaturificio, l'Altini tipografo. E' un ritiro alla spicciolata, che non sembra concludersi mai. Qualche luce che non si spenge mai, qualche portone sempre aperto come quello dell'Ospedale e il turno di notte della sorveglianza. Mentre qualcuno esce… si va a veglia!! da Pietro, da Mandorlino, al Circolino, o in piazza dal Micheletti. La vita che continua e sembra non fermarsi mai, nemmeno di notte.

Poi c'è il dì di festa, e la Piazza si trasforma. Tutti col vestito bono, le scarpe tirate a lucido, il fiocco lavato e stirato tra i capelli di Maurizia, i fiori in mano, il velo a coprire la permanente appena fatta delle donne. A capo nudo gli uomini, che in coda, appena dietro all'immagine della Madonna, ...quelli della congregazione del SS. Sacramento, …cappa d'ordinanza, a portare a turno il simulacro. E' festa solenne, solennità della Madonna, che in Santa Caterina porta il titolo di “Divina Pastora”. E noi bambini tutti in processione! Candela accesa in mano, i primi dietro la croce uscendo di chiesa verso Pancole per tornare di nuovo in piazza Santa Caterina, diretti “fuori porta” fino al Padiglione Montegrappa, al Sanatorio. Festa solenne! La banda a suonare per accompagnare gli inni alla Madonna che risuonano su tutta la piazza, …la strada in festa, lumini accesi alle finestre e tappeti ad ogni davanzale. Chi si affaccia alla finestra. I malati in fila davanti l'ingresso dell'ospedale. Nessuno assente. Le serrande del Bar di Mandorlino abbassate a mezza aria, sembrano quasi genuflesse in segno di rispetto. Le finestre delle suore di San Paolo, aperte a far entrare musica e canto in quell'ambiente di clausura. E sulla piazzetta di Pancole, il terrazzino del Ricovero adorno di fiori, lumini, festoni e tappeti lungo il parapetto a dare il benvenuto e ad accompagnare la processione in quell'ultimo giro. E ai lati della strada i passanti in rispettosa attesa, cappello in mano gli uomini, pezzola in capo le donne anche genuflesse. Nessuno sulla piazza, sul prato o sulle panchine ad oziare …è dì di festa, e anche solenne in Santa Caterina.

Ci sono delle figure fisse che compaiono sempre tutti i giorni e che istintivamente talvolta ignoriamo per motivi diversi anche se simili. Almeno a me fanno una certa e identica impressione. Sono il Barbiere (Baggiacco), il Cappellano (un frate Cappuccino dalla fluente barba bianca) e il Rosi, che vende anche mobili, ma all'Ospedale gira quando c'è il morto, perché lui vende anche le bare. E qui ancor oggi me li rivedo; Baggiacco a fare la barba ai morti, anche se la faceva pure ai vivi, ...il Frate a dare l'estrema unzione e il Rosi a fare il suo mestiere, spesso chiamato a proposito da mia madre che si occupava di vestire i morti.

Quando poi la festa è grande, come il Natale, e quando dopo ancora, tutti si ritrovano a festeggiare l'ultimo dell'anno, due sono le possibilità in quella San Miniato degli anni '50: o il Circolino della Sciòa o il Circolo dei Signori “di là”. Qualunque sia la scelta o la possibilità per quelle giovani coppie, …sono giovani coppie tutti i nostri genitori… noi bambini siamo talvolta di inciampo e veniamo lasciati in custodia ai nonni. Ma nello Sciòa c'è l'Ultimo dell'Anno anche per noi bambini. Grande festa a giocare a tombola, con gradite sorprese in palio, in una di quelle ultime casa di Via Ferrucci, prima della casa di Pellegrina. Autore, regista, attore, presentatore unico e inimitabile Marino Taccini. Come non ricordarsi di Marino!! Sono stati i miei primi “veglioni”, tra coriandoli, spuma e spumante, vincite a tombola e tante risate fino alla mezzanotte a buttare piatti vecchi dalle finestre… mai divertito così tanto!! Marino anche nonno, anche appassionato partecipe del coro parrocchiale e di quello della Cattedrale.

C'è poi un momento del tutto particolare che noi bambini e ragazzi aspettiamo con trepidazione. Sono i giorni della settimana di Passione. Al termine della messa del Giovedì Santo, “si legano le campane” che vengono sciolte solo nella notte di Pasqua. In quei due giorni la piazza e la città, orfana del suono consueto delle campane ad accompagnare le varie fasi delle giornata… dal Mattutino, all'Ave Maria, all'annuncio di morti e matrimoni, e delle diverse celebrazioni. Privati del rintocco delle ore coloro che lavorano nei campi, viene in soccorso uno strumento nuovo, inatteso, entrato già nella tradizione locale sia per le modalità di uso sia per gli orari: la “raganella”. Strumento artigianale di legno, piuttosto pesante, da portare anche a tracolla, il cui suono nulla ha a che fare con qualsiasi altro strumento musicale. E' un gracidare sordo, rumore quasi metallico, frutto del martellamento ripetuto, quasi fosse un batacchio, su una specie di campana, questa la forma approssimativa della cella acustica, ma di legno. Risultato! Un vibrato triste e prolungato, quasi un lamento, in tinta e in linea con l'atmosfera di questi giorni tristi, i giorni della Passione. E noi bambini, incaricati a pieno titolo da Duilio stesso, della gestione della raganella, salvo seguire le istruzioni sui luoghi e sugli orari da rispettare, partiamo in gruppo per turni, i compiti ben scanditi. Chi a trasportare e chi a girare la manovella partendo dal portone stesso della Chiesa, prima “raganellata” che facciamo durare anche ben oltre ogni bisogno. Altra sosta e altra suonata all'altezza del monumento ai caduti. Poi di filata, fino in piazzetta di Pancole per far sentire il suo lugubre richiamo anche nella vallata che guarda La Scala, per fermarsi quasi sempre, anche se non dovuto, davanti all'asilo di San Paolo. C'è poi il compito da eseguire “fuori porta” quel richiamo rivolti verso la valle del Sasso, fermi davanti al Sanatorio ultima suonata. Si comincia la mattina di prima ora e si finisce la sera dopo l'imbrunire, ...in quella Piazza, la nostra piazza come lo era per i nostri genitori e per i nostri nonni, la raganella sempre la stessa.

Piazza XX Settembre oggi
Foto di Francesco Fiumalbi

Persone in Piazza XX Settembre (Santa Caterina) in occasione della Festa della Divina Pastora
Foto della collezione di Giancarlo Pertici

Bambine nel prato di Piazza XX Settembre
Foto della collezione di Giancarlo Pertici

1 commento:

  1. Un fiume in piena che ci fa rivivere vecchie atmosfere più volte sentite in famiglia....grazie Giancarlo. Ci vedremo sabato prossimo

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