giovedì 25 dicembre 2014

G. PIOMBANTI – GUIDA DI SAN MINIATO – PIAZZA DEL DUOMO E ROCCA



Estratto da G. Piombanti, Guida della Città di San Miniato al Tedesco. Con notizie storiche antiche e moderne, Tipografia M. Ristori, San Miniato, 1894, pp. 80-84.

[080] PIAZZA DEL DUOMO E ROCCA

Era questa piazza con tutto il colle da forti mura circondata, le quali chiudevano e difendevano l’antica citadella. Da quattro parti si poteva andare. Dalla porta alle cornacchie, o porticciola, munita di torre, che era sulla via, ora scendente al nuovo passeggio, demolita nel 1847, allorché quel passeggio fu fatto; dalla porta dello sdrucciolo, al palazzo della Signoria sottostante, oggi del vescovo; da quella accanto alla torre, ridotta poi a campanile, e dalla porta che sottostava al palazzo dei vicari. L’illustre naturalista mons. Michele Mercati, verso la fine del secolo XVI, acquistava dal governo l’area abbandonata dell’antica fortezza su cui sorgeva la rocca. Ridottala a coltivazione, dov’era la cadente chiesa di S. Michele, edificò una villa, oggi Donati, ottenuto che ebbe di poterla dissacrare e di trasportarne il titolo a S. Stefano. Dalla opposta [081] parte, dove ora tu vedi una casa colonica, sopra S. Francesco, fu l’altra chiesetta di S. Biagio. Il più alto fortilizio intorno alla rocca, e le mura circondanti la piazza del duomo, per inalzare la chiesa del Crocifisso vennero smantellati. La torre o rocca, dal municipio e dal governo restaurata nel 1890 e 91, sebbene in sei secoli sia stata dai fulmini scoronata, si eleva ancora incrollabile dalla cima del colle per metri trentasette. «Ma di lassù che stupenda veduta! A ponente il mare, a levante il Casentino e i monti senesi, a tramontana gli appennini di Pistoia, a mezzogiorno i poggi di Volterra e della maremma toscana! Chi sta su quella punta, gli par d’essere come nel centro d’un circolo, la cui periferia non chiude la vista, ma n’è quasi termine naturale, che la riposa. Da una parte fanno semicerchio i selvosi appennini, che dalle Alpi apuane, giù giù pei monti di S. Marcello, di Firenze, del Casentino e di Siena, vengono ai colli maremmani, e sotto le Alpi vedi lontano il mare, che brilla d’una lunga striscia di luce al sole cadente, e il pian di Pisa e di Lucca e la Valdinievole con cento castelli sulla china dei monti, e il Valdarno, che par tutto una città. Dall’altra parte è un ondeggiare di colli, proprio come onde marine, fino a Volterra e a Montenero, sicché li diresti una grande pianura solcata in valli dal diluvio, quando ritiravansi l’acque verso l’oceano. Ed ogni [082] cima di colle ha la sua chiesetta, ed ogni pendice le sue case rusticali o ville signorili, ed ogni valle il suo fiumicello; e tutte le convalli si girano verso la valle dell'Arno, e d'ogni lato l'occhio ritorna a questo paradiso, nel cui seno serpeggia il fiume reale, specchiando in sé fitte, e, quasi direi, gremite, le belle terre, i castelli, le chiese, le ville, e case innumerevoli e candide d'agricoltori. Oh che bei luoghi! oh luoghi divini! – Mirate, noi siamo quasi nel mezzo d'Italia. Sotto quel monte aguzzo, che si chiama Verruca, giace Pisa, la terra natale di Galileo, l'antica signora del mare; e lungo i monti più là è Genova, la patria del Colombo; varcati quei monti, si va nel Monferrato, e poi a Torino, nella piccola nostra Macedonia, fatta grande dalla pietà e dal costume guerriero de' suoi re e del suo popolo. Quelle sono le montagne del Pistoiese, ove la nostra favella suona sì pura ed armoniosa nei canti dei montanari; e là è S. Marcello e Gavinana, ove Francesco Ferruccio fu prodigo dell'anima grande alla patria. Indi si valica in Lombardia bella, che ha scontate a sì caro prezzo le discordie di sue città, un dì sì potenti e fiorite; e là vive il Cantù, e là nacquero Virgilio e l'Ariosto. Su quel nodo di monti in fondo sorge Fiesole, la città etrusca, una di quelle città, onde Roma trasse tanta parte del suo vivere civile; e più sotto è Firenze, che vide le spalle d'Arrigo imperatore e di Carlo [083] re, patria dell'Alighieri, Atene d'Italia. Sui gioghi più lontani il poverello d'Assisi rinnovò in sé l'immagine della passione di Cristo e si offerse a Dio per questa sua misera terra piena di peccato e di discordia. Di là si scorge l'Adriatico, sposo infedele della cara Venezia, che fiaccò tante volte l'orgoglio ottomanno, e parve al mondo quasi Roma novella; e giù per quei monti da una parte discende l'Arno, che corre presso ad Arezzo, cuna di Mecenate, del Petrarca, del Cesalpino e del Redi; e dall'altra si muove il Tevere, che affrettasi verso la città di Quirino e di S. Pietro, alla sublime Roma, di cui negli antichi e nei nuovi tempi, dopo quello di Dio, non suonò mai nome più grande sotto la volta de' cieli. Volgetevi in qua; vedete come nel sereno dell'orizzonte si distinguono nettamente le torri dell'etrusca Volterra, onde le copie in alabastro delle statue greche e nostre vanno per tutte le parti del mondo; e movendo l'occhio per la cerchia de' colli, mirate, noi andiamo a terminare in quella punta, che è Montenero, ove d'inalza il Santuario della Madonna; e là, quando leva e quando getta l'ancora, volge lo sguardo il nocchiero. Dal porto di Livorno sciolgono le navi, che passando vicine al lido sottostante a quella lunga a quella lunga fila di poggi, rasentano poi Fiumicino. Il navigante, salutata da lungi la cupola di S. Pietro, dopo non molto, vede le deliziose colline di Posilipo e di Mergellina, e il biforcuto Vesuvio; e ricorda gli antichi [084] popoli, de' quali non ebbe Roma più valorosi soldati, e le glorie della Magnagrecia, e la battaglia di Velletri, e la divina musa del Tasso, e l'Aristotile santo d'Aquino. Fuggono poi dinanzi agli occhi il Capo Miseno, Baia, Cuma e Sorrento, e in breve ora scorgersi i monti di Sicilia, sprone d'Italia, margherita del mare, tesoro di stupende rovine, patria d'Empedocle e d'Archimede, la quale aspetta glorie novelle, quando noi, fatti migliori, placheremo lo sdegno di Dio. (21) [VAI ALLE NOTE

La Rocca vista dal Campanile del Duomo
Foto di Francesco Fiumalbi

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