a
cura di Francesco Fiumalbi
3° Revisione - 6 novembre 2016
Forse
non tutti sanno che il convento sanminiatese di San Francesco
nell'Ottocento ebbe una vita piuttosto travagliata, al pari di quasi tutte
le altre istituzioni monastiche e conventuali. Accadde, infatti, che
Napoleone Bonaparte prima (1810), e Vittorio Emanuele II poi (1866),
con altrettanti provvedimenti legislativi, avevano “soppresso”
buona parte delle comunità religiose del tempo. A motivi di natura
puramente ideologica, si affiancarono certamente altrettante
necessità economiche. D'altra parte sia i nascenti stati
napoleonici, che, successivamente, il neocostituito Regno d'Italia
avevano bisogno di avviare una complessa macchina burocratica, non
senza tralasciare i dispendiosi conflitti bellici. Per cui
necessitavano di risorse, di tante risorse. Per non colpire
direttamente l'autorità pontificia, ma comunque incamerare i
cospicui beni ecclesiastici, la scelta cadde sia sulle compagnie
laicali, che sulle comunità religiose. E il Convento di San
Francesco fu tra queste, assieme, per rimanere nella sola San
Miniato, con S. Chiara, S. Paolo, S. Trinità, S. Agostino, SS.
Annunziata “Nunziatina”, S. Domenico e la SS. Annunziata detta
“San Martino”. Rimasero esclusi i beni legati alla Santa Sede,
alle diocesi, e alle singole unità parrocchiali.
Il
Convento di San Francesco fu confiscato una prima volta, in ordine al decreto
del 25 aprile 1810
promulgato
da Napoleone. La proprietà della grande struttura, a seguito della
Restaurazione post Congresso di Vienna, era passata al Granducato di
Toscana. Il concordato
del 4 dicembre 1815
fra
Toscana e Santa Sede, infatti, non prevedeva il ripristino del
convento francescano di San Miniato.
Della
questione se ne fece carico il canonico sanminiatese Pietro Bagnoli
[vai al post: PIETRO
BAGNOLI →],
sfruttando la grande e personale influenza che poteva vantare
direttamente sul Granduca Ferdinando III. Abbiamo visto infatti che
il religioso, nonché letterato, sanminiatese era il tutore (cioè si
occupava dell'educazione) dei suoi figli, ed in particolare del
futuro Leopoldo II.
Foto
di Francesco Fiumalbi
Queste
le parole del Bagnoli:
«Ora
stando in quello stato di abbandono S. Francesco, accadde un
avvenimento che parve del Santo medesimo mandato, che standomi io un
giorno nella Reale Biblioteca domestica, a cui il principe mi aveva
gratificato l’accesso, ecco che egli entrò; e fermatosi ivi,
perché aspettava il suo maggior Domo per andar fuori, cominciò a
parlare come affabile e […?] e per incidenza del discorso entrato a
dire di San Miniato, dov’Egli non era mai stato, mi domandò di
quella gran fabbrica che lassù si vedeva, passando dalla Scala. Mi
sentii come ispirato la mente a quella domanda, e la risposta andò
dritta al suo scopo.
Lo
informai di quanto sopra ho esposto. Aggiunsi la santità del luogo,
l’essere la Chiesa contigua e non interna alla città, e dominante
l’adiacenza della vasta pianura del Valdarno, grande e comoda, ed
effigiata, richiamava tutta la gente del contado alle Perdonanze, ed
alle altre ritornate di devozione dell’anno, nelle quali alle
confessioni grande sempre era il concorso. Ora i Frati interni nella
città con una piccola Chiesa quasi inutili al Sacro Ministero, col
loro patrimonio, l’uso del quale sarebbe servito anco a conservare
quella dignitosa fabbrica, d’onde era la loro origine che gran
danno veramente era quello di vederla deperire, ed annidarvi animati,
e servire chi si nascondesse, a chi volesse romperne qualche pezzo
per materiali o ad altra più […?] opera. E così, dettemi Egli
alcune cose, e risposto avendo io sempre diretto alla reintegrazione
di quel convento, si venne al punto di dire, che una sola sua parola
poteva restituirlo. Questa parola venne.
Domandai
di […?] un Memoriale. L’accettò, fu fatto, e riscritto. E quando
si venne ai sussidi per restaurarlo, il io Signore ne dette il primo
esempio con settanta zecchini d’elemosina; qualche altra somma
dette l’Arciduchessa Luisa, altra il Maggior Domo, ed altre pie
persone della corte. E fu in San Miniato una deputazione magistrale
all’uopo del rifacimento preposta, fatta giurare una nota, e noi
paesani ci prestammo in modo che si fece una somma competente che il
convento e la Chiesa restituì in grado che non tale sarà stata
quando era nuova. I frati vi tornarono in gran festa, venderono la
fabbrica di S. Paolo, su cui fondarono un annuo livello per il
mantenimento di S. Francesco».
[Estratto da P. Bagnoli, Autobiografia, trascrizione a cura di Candela Sabina, Comune di San Miniato, 1998, originale conservato presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, c.180r, c.181r, p. 79.]
[Estratto da P. Bagnoli, Autobiografia, trascrizione a cura di Candela Sabina, Comune di San Miniato, 1998, originale conservato presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, c.180r, c.181r, p. 79.]
Il
ripristino ufficiale avvenne nel 1817 e i francescani poterono farvi
ritorno solo nel 1827, dopo che la chiesa e il convento furono
restaurati. Ma
l'epilogo definitivo non era ancora stato scritto.
Alcuni anni dopo l'Italia era stata finalmente unificata e il nuovo stato aveva bisogno di spazi ed edifici per poter dare avvio alla macchina organizzativa e amministrativa. Fra i vari provvedimenti di questo periodo troviamo la Legge n. 384 del 22 dicembre 1861 con cui il Governo aveva la possibilità di "occupare" temporaneamente gli edifici conventuali per esigenze civili o militari, previa apposito decreto reale.
E fu proprio sfruttando questa legge che il 28 giugno 1863 il Re Vittorio Emanuele II emanò il decreto affinché il convento di San Francesco venisse occupato in forza ad esigenze militari. D'altra parte a San Miniato, essendo sede di Circondario, era stato assegnato il 74° Battaglione del Regio Esercito e mancava una caserma all'uopo.
Estratto
dalla Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia n. 175 del 25 luglio
1863:
Il
N. 1339 della Raccolta Ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno
d'Italia contiene il seguente Decreto:
VITTORIO
EMANUELE II
Per
grazia di Dio e per volontà della Nazione
RE
D'ITALIA
Vista
la Legge in data 22 dicembre 1861 sull'occupazione temporaria di Case
religiose per cause di pubblico servizio sì militare che civile;
Sulla
proporzione del Nostro Ministro Segretario di Stato per gli Affari
della Guerra,
Abbiamo
decretato e decretiamo quanto segue:
Articolo
unico.
E'
fatta facoltà al Ministero della Guerra di occupare temporariamente
ad uso militare il Convento di S. Francesco in S. Miniato,
provvedendo a termini dell'articolo 1 della legge suddetta a ciò che
può riguardare il culto, la conservazione delle opere d'arte e
l'alloggiamento dei Monaci ivi esistenti.
Ordiniamo
che il presente Decreto, munito del Sigillo dello Stato, sia inserito
nella Raccolta ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno
d'Italia, mandato a chiunque spetti di osservarlo e di farlo
osservare.
Dato
a Torino, addì 28 giugno 1863
VITTORIO
EMANUELE
A.
Della Rovere
Il convento di San Francesco fu "occupato", ma non "confiscato", per cui la proprietà era rimasta ai Francescani, almeno formalmente. Inoltre lo Stato doveva farsi carico del mantenimento della struttura, della conservazione delle opere d'arte, di provvedere ai frati del convento, nonché di rispettare le esigenze legate al culto. A fronte di queste "limitazioni" possiamo ipotizzare che non venisse occupato l'intero complesso, ma solamente una sua buona parte, quella necessaria alle esigenze "militari", lasciando ai Francescani l'uso della chiesa e una porzione del convento.
Tale situazione durò per circa 3 anni, quando nel 1866 il Regno d'Italia, con la Legge del 28 giugno 1866, n. 2987, sancì una nuova “soppressione” dei conventi e delle case religiose, alla stessa stregua delle soppressioni Leopoldine e Napoleoniche. I beni furono poi “incamerati” con il provvedimento fissato nella Legge del 15 agosto 1867, n. 3848.
Tale situazione durò per circa 3 anni, quando nel 1866 il Regno d'Italia, con la Legge del 28 giugno 1866, n. 2987, sancì una nuova “soppressione” dei conventi e delle case religiose, alla stessa stregua delle soppressioni Leopoldine e Napoleoniche. I beni furono poi “incamerati” con il provvedimento fissato nella Legge del 15 agosto 1867, n. 3848.
Siamo
negli anni della “Questione Romana”, con la futura città
Capitale che ancora mancava a completare la definitiva unità
nazionale, basti ricordare che la breccia di Porta Pia avvenne nel
1870. Inoltre, proprio nell'estate del 1866 (dal 20 giugno al 12
agosto) l'Italia si trovò a combattere la sua Terza Guerra di
Indipendenza contro l'Impero Austro-Ungarico. In tutto questo c'erano
comunque le difficoltà del neonato Stato italiano nel dover avviare
la propria macchina burocratica. Dunque c'era bisogno di spazi e di
risorse economiche fresche.
I
beni incamerati furono per buona parte ceduti ai Comuni e alle
Province che li adoperarono per le necessità del tempo. Ad esempio,
per rimanere a San Miniato, il Convento di S. Trinità divenne la
sede delle scuole pubbliche, il Convento di San Domenico fu ridotto
ad uffici comunali e il Monastero della SS. Annunziata in “San
Martino” divenne il carcere mandamentale.
Della questione del Convento di San Francesco se ne occupò anche il Proposto Giuseppe Conti, il quale inviò una supplica all'Imperatore Napoleone III, nipote di Napoleone Bonaparte, affinché una parte del convento rimanesse nella disponibilità dei frati e la chiesa fosse officiata. Il Conti giocò sul fatto che la chiesa di San Francesco ospitava le tombe di alcuni Buonaparte, ovvero gli antenati dell'Imperatore stesso. Di questo episodio è fatta memoria nell'Elogio funebre a Mons. Giuseppe Conti detto dal Prof. Ab. Massimo Taddei di Samminiato nelle solenni esequie fattegli celebrare a' 16 gennaio 1867, stampate nel medesimo anno in Firenze, dalla Tipografica Galileiana di M. Cellini. Di seguito il testo, contenuto nella nota 12 a pagina 26:
Della questione del Convento di San Francesco se ne occupò anche il Proposto Giuseppe Conti, il quale inviò una supplica all'Imperatore Napoleone III, nipote di Napoleone Bonaparte, affinché una parte del convento rimanesse nella disponibilità dei frati e la chiesa fosse officiata. Il Conti giocò sul fatto che la chiesa di San Francesco ospitava le tombe di alcuni Buonaparte, ovvero gli antenati dell'Imperatore stesso. Di questo episodio è fatta memoria nell'Elogio funebre a Mons. Giuseppe Conti detto dal Prof. Ab. Massimo Taddei di Samminiato nelle solenni esequie fattegli celebrare a' 16 gennaio 1867, stampate nel medesimo anno in Firenze, dalla Tipografica Galileiana di M. Cellini. Di seguito il testo, contenuto nella nota 12 a pagina 26:
«Nell'anno
1863 un decreto reale dava facoltà al Governo di occupare per
servizio militare il Convento di S. Francesco di questa Città. Il
Proposto Conti s'impegnò generosamente a che parte del Convento
medesimo fosse rilasciata ad abitazione dei Religiosi. Egli oltre ad
avere ragionate memorie dimostrate al governo del re la convenienza
di procedere con riguardi speciali in quell'affare, rivolse più in
alto le sue buone pratiche. Diresse al Trono Imperiale di Francia una
memoria, nella quale, ricordando al Siro francese come nella chiesa
di S. Francesco in Samminiato fossero tombe de0 Suoi Antenati,
invocato perciò il suo alto ed efficace intervento, perché in essa
il culto venisse continuato con tutto lo splendore. La memoria era
accompagnata dal dono per l'Imperatore, la Imperatrice, ed il
Principe Imperiale della Bucolica di Virgilio, e della Storia della
Immagine del Crocifisso. Il Conti non solo ebbe dal Gabinetto
Imperiale lettere esprimenti il gradimento delle Auguste Persone, ma
ottenne anche pienissimo appagamento dei suoi desideri.».
Foto
di Francesco Fiumalbi
Non conosciamo le sorti esatte del grande convento di San Francesco in questo frangente, utilizzato formalmente "per scopi militari", ed impegnativo dal punto di vista della gestione e/o definitiva trasformazione. Le risorse economiche
necessarie per ridurlo ad uffici pubblici, a spazi per l'istruzione o
ad altre funzioni governative avrebbero richiesto uno sforzo
finanziario ingentissimo, che né il Comune di San Miniato, né la
Provincia di Firenze (a cui San Miniato faceva capo all'epoca), e
neppure lo stesso Regno d'Italia intendevano farsi carico. Il
convento allora fu messo sul mercato per essere venduto al miglior
offerente.
Sembra
che nessuno si fosse fatto avanti. Una “speculazione” edilizia su
un edificio del genere, in un centro di provincia come San Miniato,
era assolutamente impensabile. Nessun imprenditore avrebbe mai
tentato un “affare” del genere. Fu la popolazione, invece, che,
raccolta in un apposito “comitato”, riuscì a mettere insieme la
cifra di 10.000 lire del tempo. Per dare un'idea, l'ISTAT stabilisce
per quegli anni un coefficiente di rivalutazione monetaria pari a
9000, cioè alle 10.000 lire del tempo corrispondono 90mln di lire
attuali, ovvero circa 45.000 euro. Era una cifra che, certamente, era
irrisoria per comprare a pieno valore l'interno complesso monumentale
francescano. Ma, di fronte ad un enorme edificio praticamente
inservibile, un edificio che in ogni caso avrebbe richiesto almeno di
essere manutenuto, il rischio per il Regno d'Italia era quello di
trasformare una risorsa in una rimessa. Quindi, seppur “simbolica”,
la somma fu accettata e il convento riacquistato. Della serie, meglio
che niente.
Dunque,
nel 1872, a 6 anni dalla seconda soppressione, i Francescani poterono
far ritorno al convento. Il “ripristino” avvenne con una solenne
celebrazione che si tenne nel giorno dell'Immacolata Concezione di
Maria, ovvero l'8 dicembre del 1872.
Di
questa secondo episodio travagliato, ci fornisce un resoconto
Giuseppe Piombanti:
«Ripristinati
nel 1817 i benemeriti religiosi, che alle vicende dell’antico
castello avevan preso parte quasi messaggeri di concordia e di pace,
per dieci anni dimorarono nell’abbandonato monastero di S. Paolo.
Nel 1827 all’amata loro dimora tornarono, dopo che e chiesa e
convento coll’aiuto dei benefattori furono restaurati. Di nuovo
soppressi nel 1866, provvisoriamente lasciarono aperta la chiesa con
due custodi. Ma quell’antico
ricordo di S. Francesco d’Assisi, che fu il santo più popolare dei
suoi tempi; quel tempio dedicato al patrono della città, dove pur
riposano le ceneri di tanti illustri concittadini; quel monumentale
avanzo di architettura toscana non poteva essere dimenticato e
abbandonato dai samminiatesi. Per toglierlo dalle mani del demanio,
che lo poneva in vendita, un comitato di cittadini si formò, il
quale raccolse circa diecimila lire; ed efficacemente i religiosi,
nel 1872 venne riacquistato. Il dì 8 dicembre dell’anno stesso fu
solennissima festa. Riaperta la chiesa, mirabile per la sua
magnificenza e per la sveltezza degli archi, cantato il Te Deum dal
vescovo, dal clero, dal popolo, i figli di S. Francesco tornarono al
possesso di quel grandioso sacro monumento, che piccolo e umile,
sette secoli prima, al loro santo patriarca era stato donato.
Prendendone un’altra volta possesso, i minori conventuali ne fecero
un collegio di studenti per inviarli poi, fatti sacerdoti, alle
missioni estere.»
Estratto
da G. Piombanti, Guida
della Città di San Miniato al Tedesco con notizie storiche antiche e
moderne,
Tipografia Ristori, San Miniato, 1894, pp. 107-108.
3° Revisione - 6 novembre 2016
3° Revisione - 6 novembre 2016
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