venerdì 19 dicembre 2014

LE SOPPRESSIONI E I RIPRISTINI DEL CONVENTO DI SAN FRANCESCO A SAN MINIATO

a cura di Francesco Fiumalbi

3° Revisione - 6 novembre 2016

Forse non tutti sanno che il convento sanminiatese di San Francesco nell'Ottocento ebbe una vita piuttosto travagliata, al pari di quasi tutte le altre istituzioni monastiche e conventuali. Accadde, infatti, che Napoleone Bonaparte prima (1810), e Vittorio Emanuele II poi (1866), con altrettanti provvedimenti legislativi, avevano “soppresso” buona parte delle comunità religiose del tempo. A motivi di natura puramente ideologica, si affiancarono certamente altrettante necessità economiche. D'altra parte sia i nascenti stati napoleonici, che, successivamente, il neocostituito Regno d'Italia avevano bisogno di avviare una complessa macchina burocratica, non senza tralasciare i dispendiosi conflitti bellici. Per cui necessitavano di risorse, di tante risorse. Per non colpire direttamente l'autorità pontificia, ma comunque incamerare i cospicui beni ecclesiastici, la scelta cadde sia sulle compagnie laicali, che sulle comunità religiose. E il Convento di San Francesco fu tra queste, assieme, per rimanere nella sola San Miniato, con S. Chiara, S. Paolo, S. Trinità, S. Agostino, SS. Annunziata “Nunziatina”, S. Domenico e la SS. Annunziata detta “San Martino”. Rimasero esclusi i beni legati alla Santa Sede, alle diocesi, e alle singole unità parrocchiali.

Il Convento di San Francesco fu confiscato una prima volta, in ordine al decreto del 25 aprile 1810 promulgato da Napoleone. La proprietà della grande struttura, a seguito della Restaurazione post Congresso di Vienna, era passata al Granducato di Toscana. Il concordato del 4 dicembre 1815 fra Toscana e Santa Sede, infatti, non prevedeva il ripristino del convento francescano di San Miniato.
Della questione se ne fece carico il canonico sanminiatese Pietro Bagnoli [vai al post: PIETRO BAGNOLI ], sfruttando la grande e personale influenza che poteva vantare direttamente sul Granduca Ferdinando III. Abbiamo visto infatti che il religioso, nonché letterato, sanminiatese era il tutore (cioè si occupava dell'educazione) dei suoi figli, ed in particolare del futuro Leopoldo II.

La chiesa e il convento di San Francesco a San Miniato
Foto di Francesco Fiumalbi

Queste le parole del Bagnoli:
«Ora stando in quello stato di abbandono S. Francesco, accadde un avvenimento che parve del Santo medesimo mandato, che standomi io un giorno nella Reale Biblioteca domestica, a cui il principe mi aveva gratificato l’accesso, ecco che egli entrò; e fermatosi ivi, perché aspettava il suo maggior Domo per andar fuori, cominciò a parlare come affabile e […?] e per incidenza del discorso entrato a dire di San Miniato, dov’Egli non era mai stato, mi domandò di quella gran fabbrica che lassù si vedeva, passando dalla Scala. Mi sentii come ispirato la mente a quella domanda, e la risposta andò dritta al suo scopo.
Lo informai di quanto sopra ho esposto. Aggiunsi la santità del luogo, l’essere la Chiesa contigua e non interna alla città, e dominante l’adiacenza della vasta pianura del Valdarno, grande e comoda, ed effigiata, richiamava tutta la gente del contado alle Perdonanze, ed alle altre ritornate di devozione dell’anno, nelle quali alle confessioni grande sempre era il concorso. Ora i Frati interni nella città con una piccola Chiesa quasi inutili al Sacro Ministero, col loro patrimonio, l’uso del quale sarebbe servito anco a conservare quella dignitosa fabbrica, d’onde era la loro origine che gran danno veramente era quello di vederla deperire, ed annidarvi animati, e servire chi si nascondesse, a chi volesse romperne qualche pezzo per materiali o ad altra più […?] opera. E così, dettemi Egli alcune cose, e risposto avendo io sempre diretto alla reintegrazione di quel convento, si venne al punto di dire, che una sola sua parola poteva restituirlo. Questa parola venne.
Domandai di […?] un Memoriale. L’accettò, fu fatto, e riscritto. E quando si venne ai sussidi per restaurarlo, il io Signore ne dette il primo esempio con settanta zecchini d’elemosina; qualche altra somma dette l’Arciduchessa Luisa, altra il Maggior Domo, ed altre pie persone della corte. E fu in San Miniato una deputazione magistrale all’uopo del rifacimento preposta, fatta giurare una nota, e noi paesani ci prestammo in modo che si fece una somma competente che il convento e la Chiesa restituì in grado che non tale sarà stata quando era nuova. I frati vi tornarono in gran festa, venderono la fabbrica di S. Paolo, su cui fondarono un annuo livello per il mantenimento di S. Francesco».
[Estratto da P. Bagnoli, Autobiografia, trascrizione a cura di Candela Sabina, Comune di San Miniato, 1998, originale conservato presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, c.180r, c.181r, p. 79.]

Il ripristino ufficiale avvenne nel 1817 e i francescani poterono farvi ritorno solo nel 1827, dopo che la chiesa e il convento furono restaurati. Ma l'epilogo definitivo non era ancora stato scritto.
Alcuni anni dopo l'Italia era stata finalmente unificata e il nuovo stato aveva bisogno di spazi ed edifici per poter dare avvio alla macchina organizzativa e amministrativa. Fra i vari provvedimenti di questo periodo troviamo la Legge n. 384 del 22 dicembre 1861 con cui il Governo aveva la possibilità di "occupare" temporaneamente gli edifici conventuali per esigenze civili o militari, previa apposito decreto reale.
E fu proprio sfruttando questa legge che il 28 giugno 1863 il Re Vittorio Emanuele II emanò il decreto affinché il convento di San Francesco venisse occupato in forza ad esigenze militari. D'altra parte a San Miniato, essendo sede di Circondario, era stato assegnato il 74° Battaglione del Regio Esercito e mancava una caserma all'uopo.


Estratto dalla Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia n. 175 del 25 luglio 1863:

Il N. 1339 della Raccolta Ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d'Italia contiene il seguente Decreto:

VITTORIO EMANUELE II
Per grazia di Dio e per volontà della Nazione
RE D'ITALIA

Vista la Legge in data 22 dicembre 1861 sull'occupazione temporaria di Case religiose per cause di pubblico servizio sì militare che civile;
Sulla proporzione del Nostro Ministro Segretario di Stato per gli Affari della Guerra,
Abbiamo decretato e decretiamo quanto segue:

Articolo unico.

E' fatta facoltà al Ministero della Guerra di occupare temporariamente ad uso militare il Convento di S. Francesco in S. Miniato, provvedendo a termini dell'articolo 1 della legge suddetta a ciò che può riguardare il culto, la conservazione delle opere d'arte e l'alloggiamento dei Monaci ivi esistenti.
Ordiniamo che il presente Decreto, munito del Sigillo dello Stato, sia inserito nella Raccolta ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d'Italia, mandato a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

Dato a Torino, addì 28 giugno 1863

VITTORIO EMANUELE


A. Della Rovere


Il convento di San Francesco fu "occupato", ma non "confiscato", per cui la proprietà era rimasta ai Francescani, almeno formalmente. Inoltre lo Stato doveva farsi carico del mantenimento della struttura, della conservazione delle opere d'arte, di provvedere ai frati del convento, nonché di rispettare le esigenze legate al culto. A fronte di queste "limitazioni" possiamo ipotizzare che non venisse occupato l'intero complesso, ma solamente una sua buona parte, quella necessaria alle esigenze "militari", lasciando ai Francescani l'uso della chiesa e una porzione del convento.
Tale situazione durò per circa 3 anni, quando nel 1866 il Regno d'Italia, con la Legge del 28 giugno 1866, n. 2987, sancì una nuova “soppressione” dei conventi e delle case religiose, alla stessa stregua delle soppressioni Leopoldine e Napoleoniche. I beni furono poi “incamerati” con il provvedimento fissato nella Legge del 15 agosto 1867, n. 3848.
Siamo negli anni della “Questione Romana”, con la futura città Capitale che ancora mancava a completare la definitiva unità nazionale, basti ricordare che la breccia di Porta Pia avvenne nel 1870. Inoltre, proprio nell'estate del 1866 (dal 20 giugno al 12 agosto) l'Italia si trovò a combattere la sua Terza Guerra di Indipendenza contro l'Impero Austro-Ungarico. In tutto questo c'erano comunque le difficoltà del neonato Stato italiano nel dover avviare la propria macchina burocratica. Dunque c'era bisogno di spazi e di risorse economiche fresche.
I beni incamerati furono per buona parte ceduti ai Comuni e alle Province che li adoperarono per le necessità del tempo. Ad esempio, per rimanere a San Miniato, il Convento di S. Trinità divenne la sede delle scuole pubbliche, il Convento di San Domenico fu ridotto ad uffici comunali e il Monastero della SS. Annunziata in “San Martino” divenne il carcere mandamentale.

Della questione del Convento di San Francesco se ne occupò anche il Proposto Giuseppe Conti, il quale inviò una supplica all'Imperatore Napoleone III, nipote di Napoleone Bonaparte, affinché una parte del convento rimanesse nella disponibilità dei frati e la chiesa fosse officiata. Il Conti giocò sul fatto che la chiesa di San Francesco ospitava le tombe di alcuni Buonaparte, ovvero gli antenati dell'Imperatore stesso. Di questo episodio è fatta memoria nell'Elogio funebre a Mons. Giuseppe Conti detto dal Prof. Ab. Massimo Taddei di Samminiato nelle solenni esequie fattegli celebrare a' 16 gennaio 1867, stampate nel medesimo anno in Firenze, dalla Tipografica Galileiana di M. Cellini. Di seguito il testo, contenuto nella nota 12 a pagina 26:

«Nell'anno 1863 un decreto reale dava facoltà al Governo di occupare per servizio militare il Convento di S. Francesco di questa Città. Il Proposto Conti s'impegnò generosamente a che parte del Convento medesimo fosse rilasciata ad abitazione dei Religiosi. Egli oltre ad avere ragionate memorie dimostrate al governo del re la convenienza di procedere con riguardi speciali in quell'affare, rivolse più in alto le sue buone pratiche. Diresse al Trono Imperiale di Francia una memoria, nella quale, ricordando al Siro francese come nella chiesa di S. Francesco in Samminiato fossero tombe de0 Suoi Antenati, invocato perciò il suo alto ed efficace intervento, perché in essa il culto venisse continuato con tutto lo splendore. La memoria era accompagnata dal dono per l'Imperatore, la Imperatrice, ed il Principe Imperiale della Bucolica di Virgilio, e della Storia della Immagine del Crocifisso. Il Conti non solo ebbe dal Gabinetto Imperiale lettere esprimenti il gradimento delle Auguste Persone, ma ottenne anche pienissimo appagamento dei suoi desideri.».

La chiesa e il convento di San Francesco a San Miniato
Foto di Francesco Fiumalbi

Non conosciamo le sorti esatte del grande convento di San Francesco in questo frangente, utilizzato formalmente "per scopi militari", ed impegnativo dal punto di vista della gestione e/o definitiva trasformazione. Le risorse economiche necessarie per ridurlo ad uffici pubblici, a spazi per l'istruzione o ad altre funzioni governative avrebbero richiesto uno sforzo finanziario ingentissimo, che né il Comune di San Miniato, né la Provincia di Firenze (a cui San Miniato faceva capo all'epoca), e neppure lo stesso Regno d'Italia intendevano farsi carico. Il convento allora fu messo sul mercato per essere venduto al miglior offerente.
Sembra che nessuno si fosse fatto avanti. Una “speculazione” edilizia su un edificio del genere, in un centro di provincia come San Miniato, era assolutamente impensabile. Nessun imprenditore avrebbe mai tentato un “affare” del genere. Fu la popolazione, invece, che, raccolta in un apposito “comitato”, riuscì a mettere insieme la cifra di 10.000 lire del tempo. Per dare un'idea, l'ISTAT stabilisce per quegli anni un coefficiente di rivalutazione monetaria pari a 9000, cioè alle 10.000 lire del tempo corrispondono 90mln di lire attuali, ovvero circa 45.000 euro. Era una cifra che, certamente, era irrisoria per comprare a pieno valore l'interno complesso monumentale francescano. Ma, di fronte ad un enorme edificio praticamente inservibile, un edificio che in ogni caso avrebbe richiesto almeno di essere manutenuto, il rischio per il Regno d'Italia era quello di trasformare una risorsa in una rimessa. Quindi, seppur “simbolica”, la somma fu accettata e il convento riacquistato. Della serie, meglio che niente.
Dunque, nel 1872, a 6 anni dalla seconda soppressione, i Francescani poterono far ritorno al convento. Il “ripristino” avvenne con una solenne celebrazione che si tenne nel giorno dell'Immacolata Concezione di Maria, ovvero l'8 dicembre del 1872.

Di questa secondo episodio travagliato, ci fornisce un resoconto Giuseppe Piombanti:

«Ripristinati nel 1817 i benemeriti religiosi, che alle vicende dell’antico castello avevan preso parte quasi messaggeri di concordia e di pace, per dieci anni dimorarono nell’abbandonato monastero di S. Paolo. Nel 1827 all’amata loro dimora tornarono, dopo che e chiesa e convento coll’aiuto dei benefattori furono restaurati. Di nuovo soppressi nel 1866, provvisoriamente lasciarono aperta la chiesa con due custodi. Ma quell’antico ricordo di S. Francesco d’Assisi, che fu il santo più popolare dei suoi tempi; quel tempio dedicato al patrono della città, dove pur riposano le ceneri di tanti illustri concittadini; quel monumentale avanzo di architettura toscana non poteva essere dimenticato e abbandonato dai samminiatesi. Per toglierlo dalle mani del demanio, che lo poneva in vendita, un comitato di cittadini si formò, il quale raccolse circa diecimila lire; ed efficacemente i religiosi, nel 1872 venne riacquistato. Il dì 8 dicembre dell’anno stesso fu solennissima festa. Riaperta la chiesa, mirabile per la sua magnificenza e per la sveltezza degli archi, cantato il Te Deum dal vescovo, dal clero, dal popolo, i figli di S. Francesco tornarono al possesso di quel grandioso sacro monumento, che piccolo e umile, sette secoli prima, al loro santo patriarca era stato donato. Prendendone un’altra volta possesso, i minori conventuali ne fecero un collegio di studenti per inviarli poi, fatti sacerdoti, alle missioni estere.»
Estratto da G. Piombanti, Guida della Città di San Miniato al Tedesco con notizie storiche antiche e moderne, Tipografia Ristori, San Miniato, 1894, pp. 107-108.

3° Revisione - 6 novembre 2016

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