giovedì 30 aprile 2015

L'ORTO DI NONNO NUTI - Racconto di Giancarlo Pertici

↖ RACCONTI DALLO SCIOA

di Giancarlo Pertici

L'ORTO DI NONNO NUTI

Doveva essere uno dei primi "Racconti dell'orto". Invece è venuto solo ora, anche se è pronto da un po' di tempo. Dedicato a coloro che gradiscono il mio stile, anche se il racconto non è certo breve. Le foto che lo accompagnano sono proprio dell'orto di “oggi” e alcune di fine anni '40.

Io non li conto mai quei primi scalini. I primi... così alti! li devo scendere, per forza, mano nella mano a nonno, che con estrema prudenza si sorregge alle pareti che “strozzano” quasi quella rampa, talvolta a marcia indietro, mentre con una mano mi guida, scalino per scalino. Nonno Nuti dice che sono più di cento. CENTO!? Sono veramente tanti! Non li so neppure contare io. – Non guardare giù! Stai attento a dove metti i piedi e a questo scalino rotto – Mentre, mi solleva quasi – Stasera lo dico al tu' babbo, che domenica venga con un po' di calcina ad aggiustarlo – Ce n'è sempre qualcuno rotto ed è così che mi introduce nel suo mondo esclusivo, il suo orto, di cui è geloso. Né Corinna, né mia madre osano avventurarcisi senza il suo consenso. Solo mio padre, qualche volta, alla domenica, l'aiuta a vangare o a zappare, il Nuti oramai ben oltre gli 80, come oltre cento sono quegli scalini, che sembrano anche di più, quando si scendono tutti fino in fondo, senza prender fiato.

Così è, quando è la volta di raccogliere “carciofini”, fine primavera o inizio estate, per farne “sottaceti”, iniziando proprio dall'ultimo campetto, ultimo livello prima del muro che separa dalla valle di Gargozzi. Quasi un rito, che si ripete ogni anno, perlustrando ogni terrazza per quei carciofi che crescono sul bordo esterno, sull'orlo del ciglione. Una sottomisura, buona solo per sottaceti, riserva per l'inverno, che Corinna, mamma, Livia e Irma, preparano, un carciofo alla volta, scartando le foglie dure, scorciandone il gambo, mondandoli dei filamenti, tagliandone le punte fino a lasciare solo “anima tenera”, pronta ad un tuffo nell'aceto in ebollizione. Pochi minuti, mentre nell'aria si espande quel profumo, invitante a smuovere l'appetito, che l'aceto emana, in infusione con pepe, chiodi di garofano e altri aromi ancora: ricetta segreta di Corinna. Ce n'è sempre per tutti, in vasi di più grandezze e più misure, compressi e ricoperti in olio o in aceto. Poi tappo in sughero se c'è, o carta oliata fermata a cappio doppio con filo cerato, vanno ad arricchire ogni anno le nostre tavole nei giorni delle feste, iniziando già dai Santi per finire a Natale. E non solo sulla nostra tavola ma anche su quella di Livia, la mia nonna Livia, e su quella di Irma.

Quando si è alla fine di settembre, sono cestini di vimini, piccoli panieri, ma anche secchi e mezzine, colmi di ciocche d'uva, quelli che noi bambini portiamo, uno per volta, su per quelle scale, fino al giardino da dove ci si affaccia, appoggiati ad una ringhiera in ferro, sull'orto di Nonno Nuti. È il contributo di noi bambini di casa – mio, di Berto, di Anna, di Maurizia e di Giancarlone –  ad accompagnare le stesse rituali gesta che, ogni anno, fanno da cornice alla vendemmia. È la raccolta dell'uva da quella pergola che adombra l'intera rampa delle scale, e che costeggia e adorna l'altissimo muro di cinta che separa tra loro, gli orti, quello delle Suore di San Paolo e quello di Casa Vannini: l'orto di Nonno Nuti. Orti generosamente esposti al sole di mezzogiorno, verso la valle di Gargozzi, in quella parte di San Miniato conosciuta come "Sciòa". Catena umana su per quelle scale ripide in mattoni, di cui noi bambini, mai soli, facciamo parte, mentre il mi' babbo, nonno Lillo e nonno Musolino, raccolgono le pigne penzoloni.

Tutta uva nera o quasi, maturata anzitempo, esposta com'è a “pomatta”, al riparo dai venti di tramontana e dai rigori dell'inverno. Pergola vecchia, che abbisogna di decisa potatuta a ridurre volume e legno, e che, proprio per questo, dona uva in quantità, ma di gradazione minima, buona solo per “acquetta” o per “mezzone”, secondo i gusti delle donne, del Nuti e di noi bambini. Rito, quello della vendemmia, che, da un orto all'altro, da una vigna all'altra, attira e riunisce le braccia disponibili, in un aiuto reciproco che si rinnova di anno in anno come succede per la battitura del grano. Ma per il resto dell'anno, niente intrusioni! Nonno Nuti non lo dice apertamente, ma non ci vuole né nipote, né bisnipote tra i piedi. Nessuna donna a "pesticciare", come invece, in ogni momento e senza limiti, è consentito al suo “puttero”. È così che mi chiama, quando si riferisce a me.

Ed è così che, passata la vendemmia, l'Orto torna libero da intrusioni o invasioni anche se di aiuto. Ma mai soli ci sentiamo. Assistiti, a volte osservati, altre spiati a distanza da sguardi, da ammiccamenti; talvolta raggiunti da commenti, da consigli dispensati attraverso quelle finestre, spesso spalancate, che si affacciano sull'orto.
Tetta, già in su con gli anni, figlia e nipoti che vivono a Roma, non si vede quasi mai. Quando si affaccia alla finestra della cucina, ultimo piano, l'avverti subito quel suo borbottio indistinto. Certamente sta dicendo male di qualcuno! Ma non ti fa capire di chi, neppure quando sputa sentenze o sparge accidenti a destra e a manca. La senti anche se sei in fondo all'orto. Quando poi, alla sera in quelle aiuole del giardino, è il momento di dare l'acqua all'insalata, ai fiori e agli odori, diverso il suo accompagnamento, quel suo... Tata tata tarata, tata tata tarata, tata tata tarata... ben scandito e ripetuto all'infinito, frutto della percussione di un mestolo vecchio, manico lungo a mo' di "bacchetta", sulla vecchia tavola di cucina, chiamata a fungere da "gran cassa". Suono sottolineato e accompagnato da un residuo verso labiale – oramai sdentata – dapprima flebile, poi sempre più sonoro, come a voler sottolineare la giusta tonalità e scandire il tempo, per una melodia che, ignota, frulla solo nella testa di Tetta. "Musica" che può durare anche fino a tarda notte.

A me... lì con l'annaffiatoio in mano... detta i tempi e anche la giusta dose per ogni vaso, per ogni aiuola. A nonno Nuti suggerisce invece accidenti e convenevoli che mi fanno sempre sorridere. Solo il mi' babbo, brandendo un manico di scopa contro il soffitto di cucina, riesce a ridurre Tetta al silenzio, non al primo tentativo ma con pazienza ed insistenza. Altra musica quella di Primetta che si capisce bene contro chi si scaglia ogni giorno, dall'ultimo piano, da quella soffitta, come fosse un pulpito. Ce l'ha con i suoi nipoti maschi. Sembra che abbiano combinato sempre qualcosa di male. Peste e corna per tutti e due: Berto e Giancarlo. E siccome non basta, interviene anche Gina, la zia, a rincarare la dose. Mentre per Anna, la femmina, lodi, benedizioni, e non solo, sempre cercata e invocata... come un disco rotto che gira all'infinito... "Annaaa... Annaaa... Annaaa... ". Richiamo insistito che si interrompe solo quando Anna si fa vedere, alza la testa dal gioco del momento, e saluta o risponde. Iole, invece, dalla finestra posta al mezzanino a ridosso casa Vannini, quando si affaccia lo fa con garbo. Mai alza la voce, sempre gentile, non solo verso Corinna e il Nuti, ma anche verso noi bambini. Io l'ho sempre avuta in simpatia, non solo per la sua altezza minima, ma anche per le ricette che insegna anche a mia madre, e per il suo giardino, che lo si nota per la cura quasi maniacale dei fiori, i suoi gerani sempre in fiore. Livia, dall'altro lato, oltre a chiacchierare con Corinna del più e del meno, evita di rispondere alla cognata (Primetta) mentre si preoccupa invece di sapere e verificare se noi bambini siamo a portata di voce, se stiamo bene o se abbiamo bisogno di qualcosa e se abbiamo fame. E' solo dopo, che scende nell'orto a governare le sue nane.

La domenica, quasi sempre, è il mi' babbo, che armato di zappa e vanga prepara il terreno per la semina, rincalza le patate, zappetta cipolle, baccelli, pomodori. Compito questo, quasi esclusivamente suo, mentre mi insegna e lascia che l'aiuti; Nonno Nuti a fare altro. Se è tempo dei pomodori, dopo la messa a dimora delle piante, iniziano i lavori che contano. È il mi' babbo che prepara le canne. "Prendi quei giunchi che sono a bagno in quella conca!" Io eseguo alla lettera, mentre nonno Nuti, lentamente, mi mostra come legare le canne fino a formare una capanna "Vedi come si usano i salci! Non ci sono nodi da fare, bisogna avvolgere le punte di questo salcio, nei due versi opposti utilizzandone l'elasticità: gli estremi si stringono a vicenda" – Quando è la volta di fissare i pomodori alle canne, prende una matassa – "Questa è rafia, me l'ha portata il tuo babbo. L'ha fatta lungo l'Enzi in fondo a Gargozzi. Ci vuole la rafia per legare i pomodori e non danneggiarli". A volte un semplice nodo, altre una sorta di cappio a tenere la pianta stretta alla canna. Quando è la volta della stallatura, un po' ci pensa nonno, un po' la fa fare a me perché impari. "È in questo punto, tra il fusto e il ramo, che spuntano i polloni. Sempre e solo negli stessi punti. Appena sono maneggevoli, vanno tolti, altrimenti la pianta fa solo frasca, magari tanti fiori ma non pomodori." Imparo facile, sono anche svelto, come dice nonno. La prima volta, credo, avrò avuto forse 7 anni, veramente fiero del lavoro imparato e fatto. Il giorno dopo a dare il ramato, preparato apposta in un conchino dove la sera prima nonno Nuti spegne delle zolle di rame, la macchina in spalle e io a seguire come un'ombra, da una proda all'altra, fino anche alla pergola.

Nei pomeriggi d'estate, se non siamo in giro da qualche parte, siamo nell'orto. Se scocca l'ora della merenda, il sole alto nel cielo, troviamo rifugio e refrigerio all'ombra della pergola, a ridosso dell'ultimo campetto, i pomodori già maturi. Un rito il farne "pane & pomodoro", sale ed olio nascosti in un anfratto del muro, la nostra dispensa. Nonno Nuti preferisce i pomodori “imposti”, è così che li chiama, e se li mangia "a salino". Un cantuccio di pane in mano a fare da piatto e sopra un pomodoro, di quelli grinzosi, diviso in due con sopra una spruzzata di sale. Con il coltellino a serramanico, incide un triangolo di pomodoro e pane, per un morso alla volta. Organizzate come sempre, le formiche sembrano darsi appuntamento a quell'ora nel punto che oramai hanno imparato a memoria. In fila indiana a raccogliere anche la più minuta briciola di pane, il granello di sale. Non ricordo di aver mai sprecato nulla. Un peccato solo la tentazione di buttar via anche un solo morso! E le formiche, in quegli anni, fedeli alleate a recuperare anche l'impossibile. Ed è seduti su per le scale, in quel silenzio assordante che sembra sovrastare ogni altro suono, che diamo ascolto al lamento delle cicale. Si nascondono ogni dove! Non riesco mai a vederle. Eppure sono tante! Sentenzia nonno mentre furtive e silenziose le lucertole e i ramarri, sfrecciano tra le crepe del muro di cinta, a rimpiattino tra la vetriola che in estate sembra ornare a festa il muro di cinta. Se le cicale si zittissero per un attimo... A volte succede! potresti anche percepire il lor sfrecciare veloce, il loro scalpiccio sui mattoni a bollore. Quando è il momento di riprendere il cammino, l'impressione è quasi di pestarle.

Ed è sempre sotto la pergola, che ci rifugiamo, quando a fine estate, vogliamo starcene tranquilli lontani da sguardi curiosi e gelosi, seduti sull'ultimo scalino, appena prima di un pianerottolo, muretto basso di lato come piano d'appoggio, con la Scusa di sgranocchiare qualcosa di buono. C'è sempre qualche scalino sconnesso, un pezzo di mattone smurato che non vuole stare al suo posto. A quell'ora fa comodo per schiacciare le noci di quella pianta che sta sul confine di nonno Musolino. Accanto anche un “fico dottato”. Noci e fichi. Nonno, che tiene sempre il suo coltellino in tasca, apre i fichi. Ripieni non smetteresti mai! Ma alla fine quel mattone ritorna scalino, fino alla volta dopo.

Il giorno che piove e che nell'orto è tutto bagnato, appena spunta il sole, si va a fare chiocciole. Un bel paniere con coperchio, e su e giù per i ciglioni dell'orto. Sono tutte lì a prendere il sole abbracciate ai fili di paleo, tra le foglie dei carciofi, tra la scarola e la lattuga, a fare scorta in quella mensa a cielo aperto. Scorribanda veloce la nostra, dapprima per tutto l'orto, poi anche fuori. Passando dalla porticina di fondo che dà in Gargozzi, ci si immette, lungo il muro perimetrale degli orti, nel vicolo Carbonaio che porta allo “sdrucciolo” vicino alle scuole, accanto al comune. Anche se c'è già passato Musolino e non solo, ce ne sono sempre per tutti! Le chiocciole, appena ha smesso di piovere, sono in libera uscita, a famiglie intere. C'è chi fa solo quelle grosse i Martinoni, e chi invece quelle piccole dal guscio chiaro. Noi raccattiamo tutte quelle che troviamo fino a riempire il nostro paniere: destinazione cantina, alla “purga”, almeno tre giorni. Tocca a Nonno o a Corinna farle in umido.

"L'orto vuole l'uomo morto" – ripete spesso nonno, quando “sente” che è il momento del riposino, sotto la pergola, al fresco, magari schiccolando una ciocca d'uva, la prima che comincia a cambiare, mentre ci raccontiamo. È la volta delle storielle di Tonino o dei ricordi di un bambino di nome Adolfo, di tanti anni fa a Firenzuola. Tonino è un vero disastro! combina sempre qualcosa, a volte mi fa anche ridere. Mai mi lascia senza sorriso coi suoi malestri. Non ho mai capito quanti anni abbia. Ma le storie più belle sono quelle vere, che mi proiettano in quel mondo così lontano di fine '800, tra credenze, usanze e superstizioni. Storie talvolta suggestive ripetute a richiesta. A letto, al buio per volare con la fantasia a quei giorni; ripetute sotto la pergola, ad occhi aperti, a riesumare le immagini formatesi la prima volta, per provare identiche sensazioni, mentre Nonno parla di suoni, di rumori, di odori, di gesta che fanno da cornice e da colonna sonora al racconto e ai fatti .

Questo, me lo raccontò la prima volta a letto; non l'ho mai dimenticato. Ripetuto più volte, a richiesta. È Nonno Nuti che narra: " - Quando ero bambino si viveva in paese, in una casa vecchia, in parte disabitata. Quella parte, al piano superiore, era chiusa da anni. Il mio babbo neppure sapeva chi ne aveva le chiavi. La nostra casa era fatta di sole due stanze, oltre ad un sottoscala con una porticina che dava sulla strada. Era la bottega di "Ciabattino" del mio babbo. Io imparavo il mestiere quando tornavo da scuola. La cucina a piano terra, camino e due fornelli per il carbone, la camera di sopra. Per il gabinetto bisognava scendere in campo; proprio accanto allo stanzino del maiale: il gabinetto con la buca, e un tappo di marmo con una maniglia in ferro. La notte si andava a letto tutti assieme, io nel mezzo a babbo e mamma. Dopo le devozioni, si spegneva sempre la candela per dormire. Ma a una certa ora, una notte mi sveglio destato da strani rumori che provengono dal piano di sopra. Rumore come il rotolare di qualcosa di pesante, poi un colpo sordo, lo schianto contro la parete opposta, infine grida di giubilo. Rumori e grida a ripetizione, con ogni variabile come si conviene ad una partita a Bocce. È proprio questa l'impressione che suscitano quei rumori in me, come pure in babbo che li aveva già avvertiti qualche notte prima, anche se deboli. Quella notte invece durano a lungo, confermati anche dal tintinnare dei vetri della finestra. L'impressione è che qualcuno sia tornato di casa in quella stanza che noi crediamo vuota da anni. Solo nei giorni successivi, qualcuno viene ad aprire quella porta al piano di sopra, dopo che anche quella notte avevamo sentito a lungo le bocce rotolare. Ci sono anche io con babbo! entrambi sorpresi e allibiti davanti a quella stanza stracolma di tutto: vecchi letti, materassi, balle piene di cenci e tante fascine, il tutto ricoperto da un dedalo di ragnatele. Sono anni che non c'entra qualcuno. - " Ora che sono più grande mi racconta anche il finale.

"- Sembra che tutti lo sappiano, ma non noi. In quella casa ci "si sente" da quando, tanti anni fa, proprio lì dentro, è successo una disgrazia. Morto un bambino di pochi giorni, sembra soffocato nel sonno, la mamma si è impiccata ad una trave di quel basso soffitto. Nei giorni successivi arriva il prete; sono preghiere e benedizioni per quello spirito “irrequieto”, per quello spirito “senza pace” di mamma - "che mi riportano a quella volta che, nella chiesa dei Cappuccini, io e nonno Nuti, nascosti dietro ad una bussola, assistemmo all'esorcismo di un indemoniato per mano di padre Giorgio.
Ed ecco! si leva come una "voce", succede spesso prima dell'imbrunire quando la luce calante sembra reclamare silenzio, quasi a voler chetare sensazioni sgradite, per riportare la mente al quotidiano. E Nonno si zittisce. È tensione che si allenta perché, ecco! quella “voce”, improvvisa e gradita, invade l'aria. Suono dolce e melodioso, struggente melodia che sale di tono e di volume. La melodia la riconosco; non sempre è la stessa. È una di quelle che Caponero esegue al violino, di nascosto, in camera sua, finestra spalancata sulla valle a inondare di musica il nostro e gli altri orti, adagiati a più livelli fin verso Gargozzi. È così che quel racconto si interrompe, anche se mancano dei “se”, dei “ma” e dei “perché”.

È la Mimosa che, come musica, nell'aiuola centrale del nostro giardino, attira già a fine febbraio non solo api e vespe, ma anche chi vi si affaccia per aspirare a pieni polmoni profumi e fragranze di primavera e per catturare il tepore del sole generoso di quel versante della valle di Gargozzi. Irma se, prima del rientro in servizio ad inizio pomeriggio, non è così impegnata, a “spiare”, a persiana accallata, chi transita per la strada, mentre aspetta che il caffè passi, si affaccia spesso dall'ampia finestra di cucina sul retro. Le stesse chiacchiere con Corinna. Ma se c'è la mimosa in fiore è la scusa per scendere e coglierne un mazzetto per il centro della tavola. È in quell'aiuola che io, “piccino”, passavo tanti pomeriggi, tra giocattoli o bambole, anche se ricordo ancora con terrore quella volta che, di passaggio, troncai un tulipano o forse un gladiolo. Il primo in fiore di quelli piantati dalla mi' mamma. Mi frizza ancora la mano al ricordo! Me la fece nera! Avrò avuto forse due anni, o anche meno.

Solo in seguito imparo ad usare le mani in modo “utile” e aiuto nonno Nuti, come quando è il momento di raccogliere i capperi. Nel muro a mattoni che delimita la prima terrazza e anche in alcune fessure di quello a confine con le monache, dove crescono indisturbate vecchie piante, alcune anche tra i commenti dei muri a secco. Quasi un rito la raccolta, invocata e guidata da Corinna che partecipa all'operazione, quando c'è da arrampicarsi dove a me non è permesso e neppure a nonno Nuti, per l'età. Con un paio di forbicine, eseguo con precisione il taglio, secondo le istruzioni di Corinna, lasciando intatto il “picciolo”, quella sorta di gambo. Capperi destinati ai giorni di festa, quelli solenni attorno a Natale e a Pasqua, ingrediente insostituibile per crostini, assieme ai fegatini di pollo e di coniglio. Le acciughine sotto sale bisogna comprarle a bottega.

È nello stesso periodo che sbocciano le prime rose. Vanno in boccio presto, molto presto quelle rampicanti che fanno pergola alla terrazza. Profumo intenso. La mi' mamma ne coglie sempre e le tiene a centro tavola, dentro ad una vaso di vetro che gli ha regalato zio Magnino per Natale. E intorno alle rose imparo da subito un gioco facile che mi diverte. È la caccia ai “calanzini”; scarabei dal colore verde dorato che si fanno catturare con facilità. Un po' recalcitranti quando lego loro un filo ad una delle zampe, l'altra estremità ad un polso. Il “calanzino” tende il filo, volteggiando in cielo nel suo girotondo. Ronzio come di un elicottero in miniatura, o così me lo immagino mentre vola fin quando, lui stanchissimo, gli rendo la libertà. Il giorno dopo lo riprendo e lui si lascia di nuovo catturare, vuol dire che anche lui si diverte, se è lo stesso calanzino.

Giardino, quello di casa Vannini, palestra per i nostri primi giochi, liberi di gattonare sul mattonato o sopra una coperta. Ci siamo passati tutti, noi bambini di Casa Vannini, in quello spazio “polivalente” a seconda delle stagioni. Pilloni e conche per lavare a mano il bucato, sotto il sole. L'acqua quella piovana della cisterna, a ridosso dei pilloni. Siamo spesso noi bambini chiamati a fare acqua, con la carrucola a tirare su un secchio per volta. Estate anche tempo di un bagno, immersi nella conca, quella più piccola. L'acqua messa a riscaldare al sole. Sapone bianco di quello bono. È un ricordo il mio senza un inizio, come se i primi bagni li avessi fatti sempre in quell'orto, dentro quella conca, non solo io ma anche tutti gli altri bambini di Casa Vannini. Iniziando da piccolissimi, per finire grandicelli, sotto la pergola - senso minimo del pudore – e seduti sul muretto della veranda, ad asciugare al sole rinvolti in un asciugamano. Solo da grande, il sabato prendevo lo zaino in spalla, la salita del Bagagli per andare ai bagni pubblici “sotto i chiostri”: altra storia.

Immancabile ad inizio di pomeriggio, di ogni pomeriggio, come fosse musica, se sono nell'orto, le sento quelle risate. Si rincorrono divertite, gioiose. Erompono dal di là del muro di cinta, provenienti dall'orto delle suore di San Paolo. Sono le giovani “novizie”, se io sono in giardino le vedo anche, saio leggero, capelli al vento che sfuggono da sotto la cuffia, correre e rincorrersi lungo i vialetti, tra filari di viti e di rose in un bellissimo connubio tra utile e futile. Loro che giocano e si rincorrono, le altre a lavorare. Alcune a governare i maiali, altre a cogliere la verdura, chi a zappare, chi al forno per il pane. Quasi sempre un cenno di saluto furtivo scambiato con la moglie di “Polpino”, in giardino a prendersi cura delle rose che fanno da cornice al muricciolo che si affaccia sul loro orto. Per il resto del giorno quell'orto è avvolto dal più completo silenzio. La Notte abbandonato al suo destino invaso da una miriade di lucciole, nessun bambino ad inseguirle sotto lo sguardo vigile di Civette e cuculi. Il giardino accanto invece è sempre spoglio, “occupato” da decine di gatti appollaiati ogni dove, senza regole, un po' selvatici, come le loro padrone le Bricciche.

Di notte, in estate, l'orto di Nonno Nuti, talvolta si anima, se c'è la luna piena, se il mi' babbo ha la “luna storta” e non riesce a dormire. Allora lo senti e lo vedi, pila in mano, scendere alle ore più impensate quegli scalini armato di zappa e falcino. Lo capisci dal rumore in quale lavoro è impegnato, e dal tono delle “resie”, scherzoso o incazzato, se tutto procede come previsto oppure no! Di regola gli dà di zappa o di vanga attorno ai carciofi, alle patate e alle viti. Ma una notte, di quelle con la luna storta, in un pigiama rosso fiamma, con ai piedi un paio di ciabatte di plastica lo si vede e lo si sente scendere “incazzato”, cristi e madonne, colonna sonora, che ti fanno capire in che punto dell'orto è. Il fruscio del falcino e lo sbattere contro i mattoni, come il cono d'ombra formato dalla pila serrata in bocca, ti fanno intuire che sta falciando lungo le scale, forse erba, mentre il cuculo si zittisce e le lucciole fuggono lontane. Sembra che abbiano paura di lui, fino a quel richiamo... "Edaaa Edaaa Edaaa", alle prime luce dell'alba, che costringe mia madre ad affacciarsi e a soccorrere il mi' babbo che non riesce nemmeno a vedere dove mette i piedi. Tutto gonfio, anche gli occhi "Allergia alla vetriola" la diagnosi del dott. Tozzi, accorso dall'ospedale, lui di turno e amico di famiglia: cortisone la cura efficace.

Generoso e ricco comunque il nostro orto. Tra i primi frutti, quando si è appena affacciata la primavera, i primi che ti danno la sensazione di fresco e che richiedono un lungo periodo di incubazione i Baccelli, arrivano quasi all'improvviso, anche se attesi con ansia. Primizie che nonno Nuti nasconde gelosamente agli altri, per destinarli a me. Un fagotto nascosto sotto il panciotto, una fetta di pane e due fette di prosciutto, anche questo preso di nascosto da "Pietro", per rifugiarsi sotto la pergola, il più lontano possibile, in fondo all'orto, per una merenda esclusiva che manteniamo, come liturgia immutata negli anni. Anche se gli ultimi anni, quelli del mio diploma, non c'è più bisogno di nascondersi. Baccelli che rappresentano, quasi il pegno di un affetto, segno sacro di reciprocità, quale è l'amore sincero tra nonno e nipote. Baccelli che per primi varcano la soglia del Seminario, quasi una gara a chi li porta in anticipo. Il Nuti sempre in vantaggio di alcune settimane con gli altri, con chi ha l'orto in collina a favore di sole, distanziando di settimane quanti l'orto l'hanno in piano. Vantaggio che si riduce sensibilmente con i primi piselli che, a ridosso del muro, quasi bisticciano spazio e aria ai capperi, che crescono sovrani in quell'angolo. Baccelli e piselli, primissimi ricordi dell'orto e dell'inverno, anche se al sole, in compagnia di Nonno Nuti.

Quei primissimi ricordi, sono immagini precise, nitide che accompagnano gesti e “paramenti”, in quel "Santuario a cielo aperto": il mio orto. Il Nuti, come è conosciuto da tutti, “serba” con cura i vestiti da festa, mentre quelli da lavoro sono ben distinguibili nei colori indotti, nella foggia riflessa e negli aromi. Il suo è sempre intero, a tinta unita, scuro o di color grigio tendente in primavera ad assumere i colori della campagna. Prevalente il verde, di tonalità diverse; a richiamare i toni dell'insalata, dei carciofi, dei pomodori, dei baccelli. Quasi una tavolozza al naturale che si forma solo in alcuni punti. Attorno al bavero, a richiamare la forma dei polpastrelli, pollice e indice. Alle tasche dei pantaloni, per un verde sfumato. Il panciotto... non l'ho mai visto una volta senza il suo panciotto, tutti i bottoni ordinatamente abbottonati, la catena ancorata all'occhiello in alto, pendente fin nel taschino di sinistra con dentro la “cipolla”... è quasi lindo. Solo quella porzione attorno al taschino, sghembo verso l'esterno, a forza di mettere e levare quella cipolla, fa la spia quale sia il verde “di moda”, nell'orto, in quel periodo. Non ho mai capito, se vezzo o necessità ad ogni rintocco del Duomo, il bisogno di estrarre la cipolla, di controllarne l'ora, di verificarne il battito, di completarne la carica, per poi riporla nuovamente nel taschino. Il cappello poi, ha tutto un suo carattere espressivo nei colori, dalla tesa al dietro. Colori riprodotti anche nella bombatura, nella sagomatura anteriore, per il ripetuto maneggio ad ogni cambio di vento, ad ogni saluto da vicino o da lontano, ad ogni scappellamento e anche ad ogni gesto a detergere sudore o fronte.

Ed è così abbigliato quando ci apprestiamo alla semina dei baccelli e dei piselli, io a seguire come un ombra mosse e comande di nonno Nuti. - Il seme va fatto sempre usando i baccelli più bassi, quelli della prima “messa”; così la pianta che nascerà comincerà a mettere i primi fiori e quindi i baccelli iniziando dal basso, fino a riempire tutta la pianta – Questo l'insegnamento di cui conservo gelosamente il “segreto”. Intanto lui, lungo un solco ideale appena segnato, a 'buco ritto', armato di una mestolina a punta, accenna appena una buca minima, nella quale io, carponi, pronto, inserisco i semi. – Metticene quattro o cinque – Li riconto mentre nonno leva la punta dal terreno, che si richiude e va a ricoprire i semi. Una buca accanto all'altra, a un palmo di distanza; è così che misura gli intervalli. Pendo dalla sue labbra, non mi perdo una mossa, affascinato da quella liturgia che mi spiega nei dettagli e che io assorbo avido. Siamo ai primi di Novembre, appena passato Ognissanti, a terreno preparato dal mi' babbo, stiamo seminando i Baccelli; seme messo da parte dall'estate, in cantina, in quella vetrina vecchia, piena di barattoli di ogni tipo. Stesse modalità, appena la settimana successiva, per la semina dei Piselli. Diversi gli intervalli tra le buche, due palmi, maggiori i semi da porre nella buca – Almeno 7 o 8 bene ammucchiati - Ed io ad eseguire alla lettera ogni comando, ogni raccomandazione. Ogni tanto una sosta, un riposino sul muretto più vicino o sulle scale; occasione per ciucciarsi una caramella, intatta nel taschino di destra nonno conserva sempre una scorta robusta, di menta o di orzo.

L'anno in cui la semina dei piselli, forse per il maltempo, viene rimandata più volte, io sono oramai al penultimo anno delle superiori. Nell'orto talvolta in aiuto a nonno Nuti, ben più che novantenne, c'è Vestro, un “giovane appena 80enne” già contadino in un podere nei pressi dei Cappuccini. Io accorro in aiuto solo se c'è bisogno di forze giovani. Con Rosario, compagno fisso di scuola e di studi, scendiamo nell'orto per portare in casa ceste varie di verdure, o per pesi o lavori faticosi, secondo necessità. Forse, anche per l'aiuto di Vestro, quell'anno i piselli trovano spazio anche nelle terrazze più basse, a ridosso del ciglione. Produzione eccezionale quell'anno. – Quando avete tempo, dovreste levare le piante dei piselli assieme alla frasche e farne un mucchio. A bruciarle ci pensiamo noi. – È questo il messaggio preciso, a inizio estate, al quale non possiamo dare seguito immediato, a causa degli impegni di scuola. – Nonno, nell'orto ci andiamo sabato! – la nostra promessa mentre facciamo la solita partita a 21.

Il venerdì torniamo da scuola come al solito verso le 14, forse un po' prima. Troviamo nonno Nuti a letto. C'è già stato anche il dott. Braschi. – Non dovrebbe essere nulla di grave, anche se alla sua età è pur sempre una caduta – Impaziente, in attesa del nostro intervento, quella mattina girottolando per l'orto, inizia a sbarbare le piante di piselli. Poche, forse due o tre di quelle a ridosso del ciglione nel penultimo campetto, invisibile da casa. – Ho cercato di sbarbare una pianta ma ho perso l'equilibrio andando a rifinire a capo in giù nel campetto sottostante (forse meno di 2 metri), tra il ciglione e il filare delle viti, restando a capo in giù e a gambe ritte, senza possibilità di muovermi. Ho provato a chiamare. Forse mi sono addormentato, perché non ho sentito subito Vestro che mi ha aiutato a rizzarmi. Poi sono rimasto seduto finché non sono arrivate Eda e Corinna che mi hanno aiutato a tornare su – Lucido il suo ricordo, mentre col passare dei giorni sembra non recuperare le forze, accusando dolori e malanni nuovi ogni giorno. Con l'arrivo dell'autunno e dell'inverno, l'alzarsi da letto quasi un rituale... solo ogni tanto, il venir meno delle forze. A volte riesce a stare alzato fino a mezzogiorno, per poi ritornare a letto stanchissimo. Solo voglia di chiacchierare, sempre interessato ai miei risultati a scuola. Non chiede solo dei voti, ma di cosa ho scritto se è un tema, il perché dei risultati scadenti. Degli insegnanti chiede nomi ed età, come se li potesse conoscere, per sentirsi vicino a me comunque. Fino alla primavera e alle ultime settimane trascorse a letto, in attesa... consapevole della fine, in quelle settimane di Quaresima del '67, fino a quel giorno...

"...era all'inizio del pomeriggio, ero da poco tornato da scuola, vicino al suo letto c'era la figlia Corinna e mia madre. – “Eda! Corinna!” – ha chiamato. – “Ci siamo” – ha sussurrato. Ha allungato loro le mani, e le mani strette tra quelle di sua figlia e di mia mamma, è spirato" *
(* dai Racconti dell'Orto – 'Nonno Nuti, un nonno di 'stoppa' tutto speciale)

L'orto che fu di Nonno Nuti
Foto di Giancarlo Pertici

L'orto che fu di Nonno Nuti
Foto di Giancarlo Pertici

Le scale per scendere all'orto
Foto di Giancarlo Pertici

Giancarlo Pertici da piccolo nei pressi dell'orto
Foto Collezione di Giancarlo Pertici

Giancarlo Pertici da piccolo nei pressi dell'orto
Foto Collezione di Giancarlo Pertici

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