sabato 7 novembre 2015

LA DISASTROSA ALLUVIONE DEL 4 NOVEMBRE 1333

a cura di Francesco Fiumalbi

Quando si sente pronunciare la data del 4 novembre, la mente corre immediatamente alla grande alluvione che colpì la Toscana, ed in particolare la città di Firenze, nell’anno 1966. Anche la zona del Valdarno Inferiore fu inondata: l’area empolese, Fucecchio, Santa Croce. Probabilmente il territorio di San Miniato fu interessato solo in modo marginale.
La cosa davvero curiosa è che 633 anni prima, nello stesso identico giorno, la Toscana e la città di Firenze, vennero colpite da una inondazione altrettanto devastante. Anche il territorio sanminiatese venne colpito dalla calamità e non mancarono danni e disagi per la popolazione del tempo. Di questo episodio rimane la straordinaria testimonianza offertaci dalla cronaca del fiorentino Giovanni Villani che riproponiamo di seguito [Croniche di Giovanni, Matteo e Filippo Villani secondo le migliori stampe e corredate di note filologiche e storiche, Vol. I, Trieste, 1857, pp. 374-375].

LA GRANDE PIOGGIA – Il Villani fa iniziare il racconto dell’alluvione con la grandissima pioggia che, incessantemente, cadde per quattro giorni e quattro notti. Una perturbazione molto violenta, caratterizzata anche dalla caduta di molti fulmini. Oggi, forse, si parlerebbe di “bomba d’acqua” o di “piccolo ciclone”.
«Nelli anni di Cristo MCCCXXXIII, il dì di calen di novembre [il primo novembre, n.d.r.], essendo la città di Firenze in grande potenzia, e in felice e buono stato, più che fosse stata dalli anni MCCC in qua, piacque a Dio, come disse per la bocca di Cristo nel suo Evangelio: «Vigilate, che nnon sapete il dìe né l’ora del iudicio Dio», il quale volle mandare sopra la nostra città; onde quello dì de la Tusanti cominciòe a piovere diversamente in Firenze ed intorno al paese e ne l’alpi e montagne, e così seguì al continuo IIII dì e IIII notti, crescendo la piova isformatamente e oltre a modo usato, che pareano aperte le cataratte del cielo, e con la detta pioggia continuando grandi e spessi e spaventevoli tuoni e baleni, e caggendo folgori assai; onde tutta gente vivea in grande paura, sonando al continuo per la città tutte le campane delle chiese, infino che non alzòe l’acqua; e in ciascuna casa bacini o paiuoli, con grandi strida gridandosi a Dio: «Misericordia, misericordia!» per le genti ch’erano in pericolo, fuggendo le genti di casa in casa e di tetto in tetto, faccendo ponti da casa a casa, ond’era sì grande il romore e ’l tumulto, ch’apena si potea udire il suono del tuono

LA ROTTURA DEGLI ARGINI – All’ora nona (le 15 del pomeriggio) del 4 novembre 1333, il livello dell’Arno a Firenze aveva ormai quasi raggiunto il suo massimo. Dopo aver sommerso ampie zone a monte della città, si prospettava il disastro, come in effetti avvenne. Nelle prime ore notturne, verosimilmente intorno alle 20 di quella sera, il fiume ruppe gli argini nella zona di Santa Croce e devastò tutti i quartieri prossimi al corso d’acqua.
«Per la […] quale cosa giuovedì a nona a dì IIII di novembre l’Arno giunse sì grosso a la città di Firenze, ch’elli coperse tutto il piano di San Salvi e di Bisarno fuori di suo corso, in altezza in più parti sopra i campi ove braccia VI e dove VIII e dove più di X braccia; e fue sì grande l’empito de l’acqua, non potendola lo spazio ove corre l’Arno per la città ricevere, e […] nel primo sonno di quella notte ruppe il muro del Comune di sopra al Corso de’ Tintori incontro a la fronte del dormentorio de’ frati minori per ispazio di braccia CXXX; per la quale rottura venne l’Arno più a pieno ne la città, e addusse tanta abondanza d’acqua, che prima ruppe e guastò il luogo de’ frati minori, e poi tutta la città di qua da l’Arno; generalmente le rughe coperse molto, e allagò ove più e ove meno […].»

FIRENZE COMPLETAMENTE SOMMERSA – Per dare prova delle proporzioni raggiunte dall’inondazione, il cronista si prodiga nel descrivere la situazione dalle acque misurando il livello in rapporto alle chiese e ai luoghi pubblici, quali punti di riferimento. La sua unità di misura è il braccio fiorentino, corrispondente a circa 58 cm. A Palazzo Vecchio, ad esempio, il livello raggiunse 6 braccia, ovvero più di 3 metri.
«Nella chiesa e Duomo di San Giovanni salì l’acqua infino al piano di sopra de l’altare, più alto che mezze le colonne del profferito dinanzi a la porta. E in Santa Liperata infino a l’arcora de le volte vecchie di sotto al coro; e abbatté in terra la colonna co la croce del segno di san Zanobi ch’era ne la piazza. E al palagio del popolo ove stanno i priori salì il primo grado della scala ove s’entra, incontro a la via di Vacchereccia, ch’è quasi il più alto luogo di Firenze. E al palagio del Comune ove sta la podestà salì nella corte di sotto dove si tiene la ragione braccia VI. Alla Badia di Firenze, infino a piè de l’altare maggiore, e simile salì a Santa Croce al luogo de’ frati minori infino a piè de l’altare maggiore; e in Orto San Michele e in Mercato Nuovo salì braccia II; e in Mercato Vecchio braccia II, per tutta la terra. E Oltrarno salìo ne le rughe lungo l’Arno in grande altezza, spezialmente da San Niccolò, e in borgo Pidiglioso, e in borgo San Friano, e da Camaldoli, con grande disertamento delle povere e minute genti ch’abitavano in terreni. In piazza infino a la via traversa, e in via Maggio infino presso a San Felice. E il detto giuovidì ne l’ora del vespro la forza e empito de l’acqua del corso d’Arno ruppe la pescaia d’Ognesanti e gran parte del muro del Comune, ch’è a lo ’ncontro e dietro al borgo a San Friano, in due parti, per ispazio di braccia più di Vc. E la torre de la guardia, ch’era in capo del detto muro, per due folgori fu quasi tutta abattuta.»

IL CROLLO DEI PONTI – Gravi danni alle abitazioni, agli edifici pubblici, ma anche alle infrastrutture stradali. Ed in particolare ai ponti. Solamente Ponte Vecchio rimase percorribile. I ponti alla Carraia e di Santa Trinita furono spazzati via. Quello di Rubaconte rimase danneggiato alle sponde ed occorsero, probabilmente, consistenti interventi di ripristino. Per dare un’idea dell’importanza dei ponti in quell’epoca, a valle dei quattro attraversamenti fiorentini c’era solamente quello che collegava le due sponde presso Fucecchio (anche se spesso crollava o era impraticabile) e poi c’erano solo barcarole o “navi” fino a Pisa. Quindi il crollo di un ponte era paragonabile alla distruzione di un odierno viadotto autostradale.
«E rotta la detta pescaia d’Ognesanti, incontanente rovinò e cadde il ponte alla Carraia, salvo due archi dal lato di qua. E incontanente apresso per simile modo cadde il ponte da Santa Trinita, salvo una pila e un arco verso la detta chiesa, e poi il ponte Vecchio è stipato per la preda de l’Arno di molto legname, sì che per istrettezza del corso l’Arno che v’è salì e valicò l’arcora del ponte, e per le case e botteghe che v’erano suso, e per soperchio dell’acqua l’abatté e rovinò tutto, che non vi rimase che due pile di mezzo. E al ponte Rubaconte l’Arno valicò l’arcora dal lato, e ruppe le sponde in parte, e intamolò in più luogora; e ruppe e mise in terra il palagio del castello Altafronte, e gran parte de le case del Comune sopr’Arno dal detto castello al ponte Vecchio. E cadde in Arno la statua di Mars, ch’era in sul pilastro a piè del detto ponte Vecchio di qua. E nota di Mars che li antichi diceano e lasciarono in iscritta che quando la statua di Mars cadesse o fosse mossa, la città di Firenze avrebbe gran pericolo o mutazione. E non sanza cagione fu detto, che per isperienza s’è provato, come in questa cronica farà menzione. E caduto Mars, e quante case avea dal ponte Vecchio a quello da la Carraia, e infino alla gora lungo l’Arno rovinato, e in borgo Sa Iacopo, eziandio tutte le vie lung’Arno di qua e di là rovinaro, che a riguardare le dette rovine parea quasi uno caos; e simile rovinaro molte case male fondate per la città in più parti

L’ALLUVIONE A VALLE DI FIRENZE. ALLAGATO ANCHE IL PIANO DI SAN MINIATO – Proseguendo con la descrizione dell’inondazione, il Villani cita tutte quelle località e quei territori che furono interessati dal sopraggiungere delle acque. Attraverso la sua testimonianza apprendiamo che Empoli, Pontorme, Santa Croce e Castelfranco finirono sommerse e, addirittura, gran parte delle mura che cingevano questi centri abitati crollarono. Meglio andò a quei nuclei urbani collocati in posizione di collina, come San Miniato, Fucecchio e Montopoli. Le acque coprirono i campi e le infrastrutture stradali, ma gli abitati rimasero praticamente intatti (al netto di frane e smottamenti).
«E seguendo il detto diluvio apresso la città verso ponente, tutto il piano di Legnaia, e d’Ertignano, e di Settimo, d’Ormannoro, Campi, Brozzi, Sammoro, Peretola, e Micciole infino a Signa, e del contado di Prato, coperse l’Arno diversamente in grande altezza, guastando i campi, vigne, menandone masserizie, e le case e molina e molte genti e quasi tutte le bestie; e poi passato Montelupo e Capraia, e per la giunta di più fiumi che di sotto a Firenze mettono in Arno, i quali ciascuno venne rabbiosamente rovinando tutti i loro ponti. Per simile modo e maggiormente coperse l’Arno e guastò il Valdarno di sotto, e Pontormo e Empoli e Santa Croce e Castelfranco, e gran parte de le mura di quelle terre rovinaro, e tutto il piano di San Miniato e di Fucecchio e Montetopoli e di Marti al Ponte ad Era. E giugnendo a Pisa sarebbe tutta sommersa, se non che l’Arno sboccò dal fosso Arnonico e dal borgo a le Capanne nello stagno; il quale stagno poi fece un grande e profondo canale infino in mare, che prima non v’era; e da l’altro lato di Pisa isgorgò ne li Osori e mise nel fiume del Serchio; ma con tutto ciò molto allagò di Pisa, e fecevi gran danno, e guastò tutto ’l piano di Valdiserchio e intorno a Pisa, ma poi vi lasciò tanto terreno, che alzò in più parti due braccia con grande utile del paese.»

LA MEMORIA DELL’ALLUVIONE TRA FONTI SCRITTE E DATI ARCHEOLOGICI – Esattamente come l’alluvione del 1966, anche quella del 1333 ha lasciato tracce di una certa rilevanza. Concentrandosi solamente nel territorio sanminiatese e comprendendo anche la porzione fucecchiese sulla sponda sinistra dell’Arno (San Pierino e Ventignano), abbiamo a disposizione due tipi di testimonianze. Una è documentaria e l’altra è archeologica. Partiamo da quest’ultima.

Nel corso degli ultimi due-tre decenni, per varie ragioni, sono state effettuate alcune campagne archeologiche, nel territorio del Comune di Fucecchio, sulla strada che mette in comunicazione gli attuali centri abitati di San Miniato Basso e San Pierino. Si tratta del percorso, realizzato a metà tra Fucecchiesi e Sanminiatesi, in un periodo compreso fra il 1288 e il 1294 per collegare le due comunità. Degli ultimi scavi, effettuati 2011, ce ne siamo occupati anche in questo post ABUSO DI FRANCIGENA?
Le indagini archeologiche hanno permesso di studiare le varie stratigrafie, giungendo fino alla pavimentazione stradale primigenia. Uno degli aspetti interessanti evidenziati dagli scavi è proprio l’aver individuato uno strato, dello spessore di circa 30 cm, immediatamente sopra il selciato tardo duecentesco. Si tratta di un consistente deposito alluvionale, dovuto evidentemente ad un’inondazione davvero considerevole, che dovette interessare tutto il piano più prossimo all’Arno, da Isola fino a San Donato. Forse proprio a quell’alluvione del 1333. Una bella fetta di territorio sommersa sotto uno strato limaccioso alto alcuni decimetri. Campi e fosse da ritracciare, strade da rifare o da rendere nuovamente percorribili. Insomma, un vero e proprio disastro.
Per chi desidera approfondire questo aspetto si segnalano le seguenti pubblicazioni:
A. Vanni Desideri, Saggi archeologici ed osservazioni storiche su manufatti stradali presso Fucecchio (Fi), in «Archeologia Medievale», n. XXI, 1994, pp. 469-486.
L. Alderighi, A. Vanni Desideri, V. Cabiale, M. Filippi, S. Leporatti, Fucecchio (Fi). Strade d’età medievale e moderna nel Valdarno Inferiore. Le indagini archeologiche del 2011, in «Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana», n. 7, All’Insegna del Giglio, 2011, pp. 21-35.

La fonte documentaria è rappresentata dagli Statuti trecenteschi del Comune di San Miniato, datati 1337 (1336) [Statuti del Comune di San Miniato al Tedesco (1337), a cura di F. Salvestrini, Comune di San Miniato, Edizioni ETS, Pisa, 1994]. Nel libro IV, alla rubrica 80 <83> [p. 372 della pubblicazione], si parla del ponte de Marcignana, […] super flumine Else, che doveva essere rifatto, ricostruito.
Secondo Paolo Morelli, un tale richiamo statutario al ponte fra Isola e Marcignana, può significare un riferimento ad una tradizione remota, mantenuta viva, però, da rovine ancora ben visibili nel letto del fiume [P. Morelli, Borgo San Genesio, la Strata Pisana e la Via Francigena, in Vico Wallari – San Genesio. Ricerca storica e indagini archeologiche su una comunità del Medio Valdarno Inferiore fra Alto e Pieno Medioevo, a cura di F. Cantini e F. Salvestrini, Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo San Miniato, Firenze University Press, Firenze, 2010, p. 134]
Tuttavia, alla luce di quanto già detto, come non associare il grave danneggiamento, forse addirittura la distruzione del ponte, all’alluvione del 1333?
Si tratta davvero del riferimento ad una memoria remota o, rispetto alla stesura degli Statuti, di una circostanza più recente?
Di fatto il ponte non fu mai ricostruito. Il collegamento fra Isola e Marcignana fu garantito solamente attraverso una barcarola, fino agli anni ’50 del ‘900. Ma di questo abbiamo già parlato nel post  L’ULTIMO TRAGHETTO A ISOLA.

La storia ci insegna che con i corsi d’acqua c’è poco da scherzare. Che si pensi all’alluvione del 1966 o a quella del 1333, anche il territorio sanminiatese è stato interessato da inondazioni di una certa rilevanza. Senza dimenticare le più recenti esondazioni dell’Egola (l’ultima nel 1993).
Non tutto il territorio pianeggiante è a rischio, ma lo è buona parte di esso. Efficiente regimazione delle acque e politiche urbanistiche intelligenti sono le uniche strategie possibili, quanto meno per ridurre l’impatto (in termini economici e di vite umane) che possono arrecare eventi naturali come questi. Calamità che ci sono state in passato e che ci saranno anche in futuro.

L’Arno in piena alcuni anni fa, nei pressi di Santa Croce sull’Arno
Foto di Francesco Fiumalbi

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