mercoledì 6 gennaio 2016

L'ELOGIO FUNEBRE A BINDO FERDINANDO BUONAPARTE PROPOSTO DELLA CATTEDRALE DI SAN MINIATO – DI A. M. VANNUCCHI

a cura di Francesco Fiumalbi

Bindo Filippo Buonaparte, figlio di Mario e di Margherita da Vecchiano, e fratello di Giovanni e di Filippo, nacque a San Miniato il 27 febbraio 1691. Dopo una prima formazione presso il Collegio dei Gesuiti di Prato, proseguì gli studi a Roma, dove rimase per sei anni, fino alla laurea in Diritto Civile e Canonico, ottenuta nel 1712, presso l'Università di Pisa. Fu membro del Capitolo dei Canonici, in cui ricoprì dal 1728 la carica di Proposto della Cattedrale di San Miniato, con dignità di Suddiacono Apostolico. Insegnante di Diritto Canonico presso il Seminario sanminiatese, fu Vicario di Mons. Andrea Luigi Cattani, Vescovo a San Miniato dal 1720 al 1734. Nell'anno 1727 il Granduca Gian Gastone de' Medici lo scelse come Vescovo di Montepulciano, ma il prelato sanminiatese declinò. Successivamente fu destinato alla Propositura di Livorno, ma chiese ed ottenne di essere dispensato. Nel 1746 fu nominato Vescovo di Pescia, ma rinunciò anche a questa carica, sembra per la grande umiltà di cui era animato.
Queste e altre notizie si trovano nell'elogio funebre compilato da Antonio Maria Vannucchi in onore del Canonico Bindo Ferdinando Buonaparte, in occasione della di lui morte, avvenuta il 14 gennaio del 1746. Antonio Maria Vannucchi lo abbiamo già incontrato per la sua pubblicazione storica, il “Ragionamento storico”, dedicato al giovane nobile sanminiatese Giovan Battista Gucci, pubblicato a Firenze nel 1758. Conoscendo dall'interno la curia sanminiatese il Vannucchi poté certamente tratteggiare un ritratto completo ed esaustivo sulla figura del canonico Bindo Buonaparte. Le note polemiche che si rinvengono al principio e alla fine dell'elogio, sembrano manifestare la volontà del Vannucchi di restituire la giusta memoria al defunto Proposto, non curando i rabbiosi gemiti del livore, e ridendomi del poco cervello de' maligni.

Novelle Letterarie, Tomo VIII,
Stamperia della SS. Annunziata, Firenze, 1747
Frontespizio

Di seguito la trascrizione dell'elogio funebre dedicato a Bindo Ferdinando Buonaparte.

Estratto da Novelle Letterarie, Tomo VIII, Stamperia della SS. Annunziata, Firenze, 1747, n. 42 cc.659-668.

[659] SAN MINIATO
Avendomi il Sig. Dottor Anton Maria Vannucchi, Maestro e Professore di Lettere umane nella Città di Sanminiato, indirizzando un Elogio da lui composto al Signor Bindo Ferdinando Buonaparte Proposto di quella Cattedrale, essendo egli stato un Soggetto assai culto ed erudito, e di giudiziosa letteratura, ho stimato conveniente l'inserirlo in queste Novelle.

Elogio del defunto Sig. Bindo Ferdinando Buonaparte Proposto della Chiesa Cattedrale di Samminiato, diretto all'Autore delle Novelle Letterarie Fiorentine.

Io non posso bastamente lodare il costume, che con tanto ardore si pratica dalle Nazioni più culte: ed è di rendere maggiormente chiara o per mezzo di Marmi, o dei Bronzi, o delle Carte, la sempre pregevole memoria di quei valenti Uomini, che per mille belle prerogative sollevandosi oltre l'insulti della schiera volgare, giunsero al Sacro Tempio della vera Sapienza, dove in compagnia della Verità si dimostrarono derisori della pallida Invidia, e trionfatori della barbara ed ostinata Impostora. Eglino hanno giustamente il diritto di sopravvivere col nome glorioso dopo la morte, per riscuoter non meno gli applausi della posterità, quanto ancora per servire altrui [660] di lucida scorta nel dubbioso sentiero di nostra vita. La tirannia del Tempo divoratore deve distendere la sua feroce possanza sopra coloro, che dannosi alla società, inutili per sé, servi del vizio e della menzogna non vivono per altro, che per piacere del ventre, e per aggravare di un peso nocivo la Terra, che indegnamente calpestano. Di questi la folle rimembranza deve seppellirsi col suono delle campane, ma non già la degna memoria di quegli illustri Soggetti, che servono al Mondo di guida, come la prodigiosa Colonna di fuoco nel deserto agli Ebrei. Vivrà dunque giustamente tra noi, e passerà sull'ale d'onore di secolo in secolo la fama del Proposto Bindo Ferdinando Buonaparte, morto con immenso dispiacere di tutti i buoni il dì 14 Gennaio 1746. Avrei creduto di violare le sante Leggi della Giustizia, non concedendo il necessario tributo a questo illustre Personaggio, e per la santità de' costumi, e per la singolar dottrina venerabilissimo; e defraudando il pubblico d'un ritratto delle più rare virtù. Per questo rilevante motivo non avendo io tutte le necessarie notizie, pregai la somma generosità del gentilissimo e degno Sig. Prior. Buonfanti, che per lo spazio di molti anni godé dell'amore, e della confidenza del defunto Sig. Proposto; ed egli cortesemente comunicammene molte, bramando meco di contribuire alla gloria di questo insigne Ecclesiastico. Io poi in tutto il tempo, che sono [661] stato in questa Città, ho trattato il medesimo quotidianamente; ed avendomi egli dimostrati non piccoli segni dell'amor suo, ho potuto in questa guisa non solamente rintracciare le particolarità più interessanti della sua vita, ma ancora conoscere i pregevolissimi caratteri del suo spirito. Nacque egli pertanto in Samminiato, e fu figliuolo del Sig. Mario Buonaparte Patrizio Samminiatese e Fiorentino, e della Sig. Margherita da Vecchiano, Famiglia delle più antiche, e delle più nobili di Pisa. Ebbe poscia la prima educazione nel Collegio de' Padri Gesuiti di Prato, dove fece gli studi di belle Lettere, nei quali, siccome egli era dotato d'un vivissimo ingegno, fece così nobili progressi, che giunse a superare il merito de' veterani Maestri. Dopo di ciò, passò a fare gli studi maggiori in Roma per impulso della gloriosissima memoria del Gran Principe Ferdinando di Toscana, Mecenate di tutti gl'insigni talenti, il quale si era compiaciuto di farlo tenere in suo nome al Sacro Fonte. In quella gran Metropoli attese l'animoso giovane seriamente agli studi della Filosofia, Mattematica, e Teologia, nelle quali scienze sentì i più dotti Professori di quel tempo. Né indugiò egli molto a far vedere i frutti delle sue continove applicazioni, poiché presso comparve nelle più famose Accademie, e nelle pubbliche dispute, dove riscosse sovente l'ammirazione d'ognuno. In quella Città dimorò per lo spazio di [662] sei anni, due de' quali consumò nella Corte del sempre ragguardevolissimo Cardinale Giuseppe Renato Imperiali, che gli mantenne poi sempre finché visse la sua benignissima Protezione. Ebbe egli allora il comodo di farsi conoscere ai più degni Cardinali, e Prelati, ce lo amavano e lo lodarono singolarmente, ed uno di questi fu il Sig. Cardinal Fabbroni, che aveva per esso una stima particolare. Il principale studio però del medesimo fu quello della Civile e Canonica Giurisprudenza, a cui lo portava l'esempio de' suoi Maggiori, volendo in cià secondare l'illustri vestigia di Niccolò Buonaparte, che ne secolo decimosesto. Come osserva il Chesi Interp. Iur. Cap. 47 & c. fu di sommo decoro all'Università Pisana discacciandone egli il primo la vecchia barbarie; e del famoso Bulgaro, che fino nel secolo XII fece risplendere la nobilissima famiglia da Vecchiano, secondo il parere del P. Abate Grandi, in Not. ad Epistulam. de Pandect. In questa guisa continuò sempre a coltivare il suo studio colla scorta de' lumi a lui comunicati da molti chiarissimi valentuomini, fra i quali basti per tutti nominare Monsignore Ansaldo Ansaldi notissimo al Mondo Letterario, il quale ebbe per lui un amor distinto; Monsig. Giusto Fontanini, che carteggiò seco frequentemente, ed il celebre Giuseppe Averani, che tenne seco una particolare amicizia fin dall'anno 1712, in cui gli fece la Laurea nell'Università [663] di Pisa, avendo il Buonaparte ottenuta la grazia dal Granduca di potervisi addottorare dopo il suo ritorno da Roma. La necessità di assistere ad alcune liti domestiche di gran rilievo lo costrinse a dimorare per qualche anno in Toscana; ma non gli tolse il pensiero di ritornare a Roma, dove veniva richiamato da molti, e spezialmente dal mentovato Cardinale Imperiali. Ma allettato dalla benignità di Monsignor Andrea Luigi Cattani, che mostrò genio sommo di averlo per suo Vicario Generale, allorché nell'anno 1719 da Clemente XI fu promosso al Vescovado di Samminiato, egli destinò di trattenersi nella sua Patria, per seguitare in parte le inclinazioni de' suoi domestici, che a ciò fare lo stimolavano. Egli accettò questo impiego, e per gli addotti reflessi, e per i consigli di tre insigni Cardinali Ulisse Gozzadini, Agostino Fabbroni, e Giuseppe Vallemani, i quali tutti erano suoi amorevoli Protettori, e conoscevano l'utilità che poteva ricavare la Diogesi di Samminiato dall'assistenza di questo soggetto. Con tale zelo, con tale fervore, con tal fedeltà si applicò il nuovo Vicario al servizio della Chiesa, e di quel Prelato, che non volle dar più orecchio a qualunque alla offerta di maggior grado, conforme avvenne nell'anno 1727 che essendo nominato dalla gloriosa memoria del Granduca Gio. Gastone al Vescovado di Montepulciano, egli fece prevenire... più calorose premure per [664] non esser prescelto a tal dignità... Una simil repugnanza non poteva esser se non cara a Monsignor Cattani, a cui era sommamente a cuor di bene, che ne ridondava nel suo gregge dalla vigilanza d'un così degno Vicario; ma non però gl'impediva i suoi avanzamenti, avendo fatto dire una volta all'istesso Cardinale Gozzadini per bocca di Monsignor Rondoni, che stimava il suo Vicario capace di esercitare un tal ministero egregiamente non solo in Imola, ma ancora in Milano. Quindi per meggiormente obblicarlo al servizio della sua Cattedrale per mezzo del sopraddetto Cardinale Imperiali gli fece ottenere dalla clemenza del Pontefice Benedetto XIII la prima dignità che venne appunto a vacare nell'anno 1728 quantumque il suo Vicario non volesse aderirvi. Questa dignità ha il titolo di Proposto, con privilegio di Suddiacono Apostolico, che già godeva l'uso de' Pontificali, e la facoltà di conferire gli Ordini minori colla giurisdizione quasi Episcopale, benché senza territorio separato. Da quel tempo in poi egli ebbe un lungo campo di rigorosamente fatigare nel suo doppio ministero, e particolarmente negli ultimi anni della vita del suo Vescovo, che per accidenti epilettici era divenuto inabile al governo, il qual però fu sempre quieto e tranquillo fino alla sua morte. Io non saprei assolutamente spiegare [665] le penose fatiche, che in simili circostanze furono con eroica intrepidezza sofferte dal Sig. Buonaparte. Allora fu che la disciplina del Clero si vide libera da quelle misere tenebre, che qualche volta sogliono accompagnare corruttezza del Pretismo. Allora fu che la turba de' laici pensò a migliorare il costume, stimolata dallo zelo minacciante, e dalla dolcezza allettatrice, de suo caro Pastore. Poiché destinato egli come Proposto alla cura delle anime, non tralasciava mai di adempiere da per se stesso i pesi di Curato, assistendo indefessamente a le confessioni, e predicando la divina parola, ed insegnando ogni giorno festivo la dottrina di Gesù Cristo, senza che queste incombenze tutte impedissero un minimo di quei negozi, che come Vicario Generale doveva trattare. Il tempo era da esso riguardato come una cosa preziosa, di cui non si serviva se non con lodevole usura, destinando a ciascuno affare l'ora determinata, e togliendo a se fino quello spazio, che era necessario nel suo onorato divertimento. Anzi era egli così infervorato pel pubblico avanzamento, che non soleva giammai sortire dalla propria casa, se non per giovare e provvedere agli altrui bisogni. Che dirò poi de' copiosi vantaggi, che da esso ne ridondarono nel Seminario di Samminiato? La sua attenzione verso de' giovani Ecclesiastici era ammirabile, mentre egli non solamente diede a loro buoni Rettori che furono i Signori Matteo Rosati e Agostino Lami, ma colla propria [666] bocca volle spessissimo illuminarli nelle lettere, e nei doveri Cristiani, facendo ai medesimi ogni Sabato una fervorosa esortazione, per mezzo di cui dolcemente legava gli animi degli uditori, e riusciva in ciò così bene, che talora colla sua sola amabile presenza inspirava negli altri i più sublimi sentimenti di perfezione. Egli fu che avendo a cuore la purità della Morale Teologia, scelse per Lettore di quel Seminario il Sig. Canonico Gregorio Buonaparte, Soggetto che oltre le varie sue belle qualità, è dotato di una profonda cognizione in queste materie. Troppo io prolungherei il mio ragionare se volessi tessere un Catalogo degl'illustri allievi usciti dal detto Seminario; con tutto ciò non posso dispensarmi dal nominare due solamente, i quali sono il Sig. Priore Giuseppe Buonfanti di sopra mentovato, per ogni riguardo stimabile, ed il Sig. Piovano Gorini, che con la sua dottrina ben nota si fece distinguere in varie congiunture, ed ammaestrò nelle scienze più recondite un degno Soggetto, e questo è il Sig. Cavalier Fabio Orlandini, che col suo sapere, colla sua modestia, e coll'amore, che generosamente dimostra verso le persone dotte e dabbene, fa moltissimo onore alla nobiltà della sua Patria. Mentre l'illustre Proposto così liberamente faticava in benefizio di tutto, non mancò quella forte, che è nemica degli uomini di merito, di far sentire al medesimo i colpi del suo tirannico rigore. Proh superi! Quantum moralia [667] pectora caecae Noctis habent! Poteva egli con ragione ripetere l'espressioni del Profeta: Zelus domus tuae comedie me, & opprobria exprubrantium tibi ceciderunt super me. Ma che? A bastanza era grande la sua carità: alle ingiurie de' persecutori, egli rispondeva con San Paolo: Omnia postum in ep, qui me conforrat. E già fin dal principio del suo governo aveva egli vittoriosamente combattuto contro i pregiudizi del noto Probabilismo, che dopo il Piovano Giannetti, e i suoi seguaci, si diffuse impetuosamente nei nostri paesi; ma poi pensò di voler da per se nelle Congregazioni de' Casi ammaestrare i Curati della sua Diogesi. Perciò in ogni adunanza recitava una dottissima Dissertazione sopra qualche dubbio Telogico Morale, in cui si stabiliva con somma erudizione la dottrina de' Santi Padri, e si sbandivano i sofismi del Caramuel, del Tambirino, del Busembaum.... Considerava egli, che la dottrina sana e non fallace è necessarissima per gli Ecclesiastici, e particolarmente per quelli, che devono dirigere gli altri per la strada della salute; ma però non la voleva disgiunta dalla Cristiana Pietà. Appoggiato ai sentimenti di un gran Santo Padre ei risguardava queste due pregevoli qualità con un paro di occhi egualmente necessari per la vista, ma più utile pe' Curati [668] credeva l'occhio della Scienza. La ragione più potente lo persuade; chi deve additare altrui le sorti, e gli scogli, fa suopo che egli sappia ove si nascondono le insidie nemiche. Amava è vero la divozione, ma la più pura e la più semplice, biasimando costantemente l'esterna apparenza d'un folle bigottismo, che squallido in faccia riveste alla presenza del Mondo con vane e mentite figure l'interna malizia del cuore. Colla scorta degli oracoli del santo Vangelo, non credeva a quest'ingordissimi Lupi ricoperti della pelle d'un innocente Agnellino. Il resto si darà in altra Novella.


Estratto da Novelle Letterarie, Tomo VIII, Stamperia della SS. Annunziata, Firenze, 1747, n. 44 cc.692-700.

[692] SAN MINIATO.
Continuazione dell'Elogio del defunto Signor Bindo Ferdinando Buonaparte, composto dal Signor Dottore Anton Maria Vannucchi.
Fin qui gloriosamente fatigò nella cultura della Vigna evangelica, vivendo ancora Monsignor Cattani, il quale venne a morte nell'Ottobre del 1734. Vacata pertanto quella Sede egli fu eletto Vicario Capitolare con unanime Consenso di tutti i suoi Colleghi , e fu altresì non molto lontano da occuparla per la clementissima propensione di S.A.R. che per fino una sera fece portarsi il di lui nome sul tavolino , quantunque egli allora, con tutti gli stimoli più forti degli amici, ricusasse [693] di scrivere una sola Lettera in tal proposito, ben sapendo non esser da cercarsi un peso, che sarebbe formidabile agli Angeli. Anzi aveva egli destinato di ritirarsi affatto da qualunque impiego, e lo averebbe sicuramente eseguito, se non fosse stato indotto alla continuazione dalle persuasioni di gravi persone, che gli mettevano a scrupolo di coscienza il rifiuto. In questo tempo eletto Vescovo di Samminiato Monsignor Giuseppe Suarez, intraprese il nostro Proposto più vigorosamente la sua carriera, animato da mille felicissimi auspici, co' quali poté accompagnato dal fervoroso zelo del Vescovo successore accingersi a diverse ragguardevoli imprese. Crebbe in simili circostanze di tal maniera il suo fervore nel promuovere il bene, e gli avanzamenti della sua Patria, e della Diogesi, che venendogli destinata l'insigne Propositura di Livorno, supplicò S. A. R. a dispensarlo, non volendo abbandonare i cari frutti della sua singolare vigilanza. Il nome di un Ecclesiastico, che così degnamente operava non poteva esser se non mentovato con sommo rispetto per tutta l'Italia. E allora fu che il Signore Iddio, che risguarda sempre con occhio benigno tutto quello, che i suoi servi operano per la sua gloria, fece sì, che egli, senza punto cercare, fosse nominato in primo luogo dalla somma clemenza di S. A. R. e poi prescelto da Sua Santità al sostegno della Chiesa di Pescia con universale applauso, e con contento [694] speciale di quelli, che desideravano finalmente di non vedere il Buonaparte nel posto di semplice Vicario; ma godevano di rimirarlo elevato a maggiori, e più cospicue dignità. Egli però ripieno di santa umiltà considerando di gran pericolo l'incarico, benché onorevolissimo, che venivagli offerto, volle prima implorare l'infallibile aiuto del Padre de' lumi; perloché portossi nel Convento dell'Ambrogiana per fare i Santi Esercizi, dove spessissimo era solito andare per le sue spirituali occupazioni: e dopo aver implorata la Divina assistenza, finalmente supplicò Sua Santità ad esimerlo da sì gran cimento, come costa dalla sua Lettura per tale effetto scritta al Cardinal Passari, e benignamente dall'A. R. di Gio. Gastone ne ottenne graziosa licenza con un particolare encomio dell'istesso suo Principe, il quale giudicò il Buonaparte doppiamente degno di un Vescovado per la magnanimità nel renunziarlo. Veramente le dignità Ecclesiastiche non dovrebbero cercarsi con tanta sollecitudine, e molto meno per mezzo di strade improprie, e repugnanti talora alle determinazione de' Sacri Canoni. Intendeva il nostro insigne Proposto sì bella verità, e credeva sicuramente, che la più facile via per salvarsi fusse quella di non aver a render conto all'eterno tribunale delle anime altrui. Su tal riflesso ripensando seco stesso alle moleste inquietudini, ed alle tragiche conseguenze, che ordinariamente accompagnano [695] il sistema della cose umane, determinò di ritirarsi da ogni impiego, ed ancora da quello di Vicario Generale della sua Patria mosso dal desiderio di vivere a se, e di provvedere alla necessità di sua salute, che dalle lunghissime fatiche rifinita scorgeva. Se finora fu a noi permesso di contemplare le ragguardevoli azioni del nostro Proposto nel tempo del suo ministero, dovremo ora necessariamente ammirare il prudentissimo tenore della sua vita in uno stato, che tutto sembrava esser destinato a un convenvol riposo. Uno Spirito desto e benefico di sua natura desidera talora la quiete, ma non sa trovare la strada di possederla; tutto intraprende per comune vantaggio, né mai si stanza. Lontano però da quella, che la sua fullìa de' mortali colorò con nome di fama, non ricerca altro premio del suo onorato operare, che la pira bontà delle medesime azioni; sapendo ottimamente quel che fu scritto:

Ipsa quidem virtus sibimet pulcherrima merces,
Non opis externae cupiens, non idiga laudis,
Divitii operosa suis.

Tale era per dir lo vero il Buonaparte, che quantunque non fosse più Vicario, non però trovavasi meno carico di affari. Oh come bene sapeva egli soddisfare ai doveri della Società! Sempre desideroso di giovare altrui, ora si occupava per ammaestramento di molti nel ragionare delle [696] Scienze più Sante e più profonde; ora nel somministrare savi consigli ai dubbiosi; ora nello scrivere dottamente sopra le più difficili questioni del Gius Civile e Canonico, ora nello sbrogliare per carità i più intrigati negozi, che a lui venivano spesso raccomandati. Non negava egli come padre benigno ad alcuno la sua assistenza, e sapeva dolcemente compatire la sbadataggine, ed ignoranza. Ma ciò che p più ammirabile, tutto era da lui fatto senza interesse, e senza guadagno; né mai si ritrovò alcun coso, in cui egli ricevesse la mercede delle sue fatiche: esempio è questo veramente degno di esse imitato da coloro, che devono, o possono, compartir grazie in benefizio comune. Con tutte queste incombenze non mai però poté lasciare la diligente cura di quelle anime, che dalla Divina onnipotenza gli era stata commessa. Custode d'un gregge diletto trascelse tutti quei pascoli vitali, che alla vera felicità ne conducono. Oh che degno operare! Pure la morte, che con legge di un universale uguaglianza tratta chicchessia degli uomini, lo rapì barbaramente a noi in età di anni 54 in un tempo, in cui sempre più utile rendevasi la sua vita. Assalito per tanto da un'angina amorale, che accompagnata veniva da una gravissima offesa nel petto, si riconobbe vicino agli estremi fatali momenti. L'assistenza del Sig. Dottor Barzanti celebre Professore Pisano non fu valevole a porger alcun soccorso alla gravezza del [697] male, che precipitosamente in meno di due giorni lo estinse. Né qui tacerò il gran valore, con cui si dispose il magnanimo Proposto al viaggio dell'Eternità. Con faccia ridente, con atti pietosi, serviva ai circostanti di dolce consolazione fra il pianto. Conoscendo il suo pericolosissimo stato chiese d'esser munito de' Santi Sagramenti, fecesi rivestire degli abiti sagri, ed alzatosi alquanto sul letto coi più vivi sentimenti di cuore veramente Ecclesiastico ricevé il preziosissimo Corpo del Salvatore, e successivamente l'Estrema Unzione, dopo di che fece egli le più cortesi, le più amabili dipartenze da' suoi cari amici, i quali non potevano se non piangere a un tale aspetto. Quindi accrescendosi a momenti l'acerbità del male, licenziò tutti della sua camera fuori che alcuni Ecclesiastici, in mezzo de' quali tenendo un Crocifisso in mano, e rimirando l'imagine della Vergine, che dirimpetto a lui ritrovavasi, rese lo Spirito a Dio. Se la morte non fu sovente spettacolo di terrore per un cuor di Filosofo, molto meno lo sarà per il cuore di un Cristiano. Ella finalmente non ha così la faccia squallida, e deforme, come comparisse agli occhi del volgo. Se ella ci priva di alcuni comodi del nostro vivere, ci toglie ancora gl'immensi disgusti, che in esso si scorgono; e ci conduce spesse volte a uno stato di bella felicità, che sempre intatta e durevole ci mantiene la tranquillissima pace. Ah che è pur troppo vero quel che [698] si legge nelle Sacre Lettere: Iustarum animae in manu Dei sunt, & non tanget illos tormentatum mortis. Visi sunt oculis insipientium mori, illi autem sunt in pace. Chi non ammirerà un personaggio arricchito dalla Natura d'una copia di doni così preziosi! Se si risguarda la presenza del corpo, era egli alto di statura, ben proporzionato di membra, vago, avvenente, spiritosi, amabile a tal segno, che traeva a se il suore di chiccessia. Amante della fatica, generoso, intraprendente delle cose più ardue, costante nelle avversità e nelle tribolazioni, modestissimo ne' suoi desideri, racchiudeva in se tutte quelle parti, che divise in vari soggetti son valevoli a distinguerne il pregio di ciascheduno. La sua Morale era per ogni ragione perfetta, e il suo sapere era forte, e universale. In esso lampeggiavano pomposamente quei nobili caratteri, che l'Apostolo S. Paolo giudicava propri di un Vescovo. Laonde non è maraviglia se la Toscana tutta meritatamente lo risguardava come l'esempio e lo specchio del Clero. Per mezzo di queste bellissime doti egli fu sempre caro ai nostri più insigni, e più venerabili Prelati dell'Italia nostra. Tra gli altri, che principalmente lo amarono nominar mi giova Monsignor Guidi Arcivescovo di Pisa, Monsignor Martelli già Arcivescovo di Firenze, Monsignor Ginori Vescovo di Fiesole, Ninzio Archinto, e Monsignor Stoppani Presidente di Pesero e Urbino, Prelati, [699] per la probità, pietà, e dottrina ragguardevolissimi; Monsignore Argenvilier degnissimo Auditore del presente Sommo Pontefice, Monsignor Rondoni già Vescovo di Assisi, Monsignor Scarafantoni Vicario Generale di Pistoia, e il Sig. Andrea Buonaparte Abate di Sesto, Soggetti tutti meritevolissimi di singolare applauso. Non è però dovere, che io tra questi non annoveri un altro gran Prelato, che tenne seco una più particolar amicizia, il quale è Monsignor Litta Vescovo di Cremona, che per le sue ecclese azioni si rese degno più d'ammirazione, che di lode. Io non porrei giammai il fine a queste Istoriche Memorie, se dovessi rammemorare ad uno ad uno i Personaggi di gran qualità, sì Ecclesiastici, che Secolari, che lo venerarono. E' da osservarsi in ultimo, che l'amore del nostro Proposto verso la sua Chiesa volle segnalarsi fin dopo la morte, lasciando alla Cattedrale di questa Città diversi preziosissimi Arredi Sacri di prezzo non ordinario. Questo è quanto mi riuscì di raccogliere intorno alla Vita del defunto Proposto nella di cui Libreria da me rivista ho ritrovati vari lavori scientifici degni di somma stima. Questi sono una Raccolta abbondante di poetici Componimenti sì Latini, come Italiani; una numerosa Serie di Teologiche Dissertazioni sopra punti importantissimi; un Corso di Teologia Morale non compito, ed un Corso d'Istruzioni Canoniche quasi perfetto. Vi [700] sono ancora vari discorsi di materie ascetiche, e molte Lettere di diverso argomento tutte commendevolissime, sì per la chiarezza dello stile, come per la forza delle ragioni. Io goderò che questi miei fogli sieno pubblicati per render la dovuta gloria al merito, e alla virtù, non curando i rabbiosi gemiti del livore, e ridendomi del poco cervello de' maligni.


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