sabato 5 marzo 2016

DALLE PRIME CONGETTURE AL CATALOGO DEI BACINI CERAMICI DELLA FACCIATA DELLA CATTEDRALE DI SAN MINIATO

a cura di Francesco Fiumalbi

INTRODUZIONE
I BACINI POTEVANO ANDARE DISTRUTTI
GIUSEPPE PIOMBANTI E GUIDO CAROCCI TRA SILENZIO E APPROSSIMAZIONE
GAETANO MILANESI E GUSTAVE SOULIER: LE PRIME CONGETTURE
IL GENERICO APPORTO DEL CAN. FRANCESCO M. GALLI ANGELINI
GAETANO BALLARDINI E DILVO LOTTI: IL PRIMO CATALOGO DEL 1938
PIETRO TOESCA, LA CONSERVAZIONE E LA NECESSITA' DI UN CATALOGO
M. L. CRISTIANI-TESTI E LA PRIMA IPOTESI SUL CONTESTO ISLAMICO
G. BERTI E L. TONGIORGI: I PRIMI STUDI SCIENTIFICI
GLI ANNI RECENTI E L'ULTIMO CATALOGO

INTRODUZIONE
La facciata della Cattedrale dei SS. Maria e Genesio di San Miniato offre numerosi spunti d'interesse. Fra questi la presenza dei cosiddetti bacini ceramici in maiolica smaltata, di cui ci siamo occupati, da un punto di vista compositivo, nel post INTERPRETAZIONI CERAMICHE.
Allo stato attuale degli studi, conosciamo molte informazioni su questi manufatti che vanno ad impreziosire il tessuto murario in laterizio del fronte principale della chiesa. Grazie a rilievi chimici e a confronti stilitico-materici gli studiosi sono stati in grado di attribuire la produzione di questi elementi ad una manifattura nordafricana, probabilmente tunisina, della seconda metà del XII secolo, forse dei primi anni del '200. Tuttavia pervenire a questa affermazione non è stato così immediato. In questo post ripercorreremo il percorso, talvolta accidentato, degli studi e delle pubblicazioni che hanno trattato di questi preziosi manufatti a partire dai primissimi anni del '900, epoca delle prime congetture.
Al di là di questo, merita davvero fare una visita al Museo Diocesano d'Arte Sacra, presso il quale sono conservati gli originali (sulla facciata sono collocate delle copie) per apprezzare, da vicino, la bellezza e la preziosità di tali manufatti, provenienti da un mondo lontano nel tempo e distante nello spazio.

I BACINI POTEVANO ANDARE DISTRUTTI
L'interesse per i bacini prese avvio solamente nei primi anni del '900 e attraverso pubblicazioni di autori esterni all'ambito culturale cittadino. Gli studiosi sanminiatesi appassionati di storia “patria” non sembrano aver mostrato, fino a quel momento, quella sensibilità per assegnare a tali manufatti il rango di “opera d'arte”, o comunque di “bene culturale” degno di essere conservato e tutelato. Alla metà dell'800, infatti, il complessivo progetto di ristrutturazione del Duomo – organizzato dal Proposto della Cattedrale Canonico Giuseppe Conti, redatto dall'architetto Pietro Bernardini e posto in opera dal 1858 al 1861 – prevedeva anche il rifacimento della facciata. Il disegno della nuova sistemazione esterna è noto ed è pubblicato a margine dell'articolo di F. Onnis, Biografia di una architettura, in La Cattedrale di San Miniato, a cura di C. G. Romby, CRSM, Pacini Editore, Pisa, 2004, p. 78.

Nella medesima pagina, nella nota n. 75, viene riportato anche un piccolo passaggio della lettera che il Can. Conti inviò al Bernardini nel 1863 [originale conservato presso l'Archivio dell'Accademia degli Euteleti, n. 96, ins. 7], in cui pregava l'architetto affinché la facciata venisse rifatta «del carattere Bizantino (cioè del Duomo di Pisa) che confina col Gotico. Così avremo la facciata in armonia con l'interno del Duomo, e non ci stancheremo di tanto dal primo concetto, e dalla prima costruzione». Queste parole sono quanto mai significative della sensibilità dell'epoca. Insomma, per il Proposto Conti – personalità pure attiva e attenta anche alle vicende storiche sanminiatesi – la facciata della Cattedrale, e dunque anche il suo apparato decorativo, ancorché rimaneggiato da numerosi interventi nel corso dei secoli, era un qualcosa di cui c'era il rischio di “stancarsi”. Se l'alacre impegno del Conti fosse stato premiato, oggi non sarebbero note queste testimonianze medievali in ceramica che, da circa otto secoli, adornano la facciata della chiesa dei SS. Maria e Genesio di San Miniato. La storia, tuttavia, andò diversamente.

La facciata della Cattedrale dei SS. Maria e Genesio di San Miniato
Foto di Francesco Fiumalbi

GIUSEPPE PIOMBANTI E GUIDO CAROCCI TRA SILENZIO E APPROSSIMAZIONE
Gli studiosi più accorti, prima di pronunciare inesattezze, preferiscono tacere o sorvolare brillantemente l'argomento. E' il caso, ad esempio, di Giuseppe Piombanti che nella sua Guida della Città di San Miniato al Tedesco [Tipografia M. Ristori, San Miniato, 1894, VAI AL LIBRO] non profferì parola alcuna, come se i “bacini” non esistessero. D'altra parte i manufatti sanminiatesi non sembrano aver ancora catturato l'attenzione degli studiosi. Ad esempio, C. Drury Fortum nell'articolo Notes on the “Bacini” or Dishes of Enamelled Earthenware introduced as Ornaments to the Architecture of some of the Churches in Italy, pubblicato nella rivista «Archaeologica», periodico della Society of Antiquaries of London (numero 42, 1870, n. XVII, pp. 379-386) propose lo studio degli esempi pisani nelle chiese di San Sisto, San Francesco, Sant'Andrea, Santa Cecilia e San Martino. Cercò corrispondenze a Bologna, Rimini, Pesaro e Urbino, ma non si “accorse” dei bacini sanminiatesi.

Solo nei primi anni del XX secolo, Guido Carocci si “accorse” della presenza dei manufatti in maiolica, di cui dette notizia nell'articolo Gli edifizi monumentali di San Miniato pubblicato nella Miscellanea Storica della Valdelsa, n. 32 del 1904, a p. 76, senza tuttavia approfondire: «[...] la chiesa maggiore di San Miniato, dedicata a S. Maria ed a S. Genesio, serba solo nella parte esterna, e soprattutto nella facciata, le tracce della sua antichità remota e della sua forma primitiva. Sorta attorno al mille, fu rifatta nel XIII secolo di stile lombardesco con paramento a cortina di mattoni, decorata di piatti di maiolica e di fregi di terracotta stampata».
Un paio d'anni dopo, ancora Guido Carocci nel volume Il Valdarno. Da Firenze al mare”, edito a cura dell'Istituto Italiano d'Arti Grafiche di Bergamo, nel 1906 [VAI AL POST] rimase comunque sul generico: «La facciata della chiesa, a cortina di mattoni, serba le tracce delle trasformazioni e degli ampliamenti succedutisi dal XII al XVII secolo. Degli ornamenti di terracotta stampata, delle scodelle di majolica infisse nella cortina sono i resti della primitiva facciata. Nell'interno la chiesa è stata modernamente rifatta.»

GAETANO MILANESI E GUSTAVE SOULIER: LE PRIME CONGETTURE
Gustave Soulier (1872-1937), già direttore dell'Istituto Francese di Firenze, nel volume Les influences orientales dans la peinture toscane pubblicato a Parigi nel 1924, analizzando in dettaglio, anche attraverso riproduzioni grafiche, le “scodelle” di San Pietro a Grado (Pisa) e della Cattedrale di San Miniato (pp. 91-98) concluse: «Il est infiniment probable que les scodelle que nous avons relêvees sur des églises de la rêgion proviennent d'un centre unique et voisin, Montelupo».
Lo studioso francese, tuttavia non fu il primo ad attribuire alla manifattura montelupina le maioliche smaltate della Cattedrale di San Miniato. Prima di lui aveva trattato l'argomento Gaetano Milanesi (Siena, 1813 – Firenze, 1895), storico e storico dell'arte, fra i massimi esperti del tempo. A quest'ultimo va riconosciuto anche un altro primato assoluto, quello di essersi occupato per la prima volta, attraverso una pubblicazione a stampa, dei bacini sanminiatesi.

G. Milanesi, Di Cafaggiolo e d'altre fabbriche di ceramica in Toscana,
Tipografia di G. Barbera, Firenze, 1902, frontespizio.

Le primissime analisi del Milanesi, all'interno di un volume più ampio uscito postumo solamente nel 1902, non ebbero tuttavia riscontro nella letteratura sanminiatese. Sull'argomento, Milanesi si confrontò anche con Umberto Rossi (1869-1896), allora Conservatore del Museo Nazionale di Firenze (oggi conosciuto come Museo Nazionale del Bargello) e prese contatto col Canonico Emilio Marrucci di San Miniato. Dopo aver visionato i manufatti della facciata della Cattedrale dal vivo, seppur dal livello della piazza, lì attribuì erroneamente al contesto delle manifatture di Montelupo. Queste le sue parole, pubblicate in Di Cafaggiolo e d'altre fabbriche di ceramica in Toscana, ed. a cura di Gaetano Guasti, Tipografia di G. Barbera, Firenze, 1902, alle pp. 30-31:
«[30] Ma alla mancanza o quasi di esemplari, che la fragilità loro, le turbolenze, il gusto e la moda e soprattutto la noncuranza contribuirono a distruggere, possiamo in qualche modo, sebbene in piccolissima parte, supplire. E' noto che le antiche opere d'arte ci hanno conservato ricordo delle foggie, dei costumi, delle suppellettili, degli utensili, degli ornamenti usati in tempi lontani dai nostri; e per non m' allontanar troppo dall'argomento, ricorderò, parlando dell'architettura, come nei secoli XII o XIII si cominciò ad adornare le facciate e le torri di alcune chiese con bacini e scodelle di terra invetriati e a colori, detti piatti votivi, che, secondo il Passeri, «posson chiamarsi le primizie dell' arte della Majolica, la quale ha un carattere differente dall'antica figulinaria, poiché in questa s'introdusse una nuova maniera di verniciare, non conosciuta nei tempi antichi». Se alcune delle prime chiese fiorentine avessero di questi poveri ornamenti non posso asserirlo, ma è probabile; e forse ne ebbe la vecchia Santa Reparata, che il cronista Villani disse di «molta grossa forma». Certamente non ne furono prive alcune chiese dell'antico dominio fiorentino; e anch'oggi ne rimangono venticinque tra piatti e scodelle con fregi, stemmi e testine di non rozza esecuzione, nella facciata della cattedrale di Sanminiato, e precisamente [31] nella parte superiore, che conserva fregi architettonici della prima costruzione (1). (1) Si congettura che la costruzione della chiesa rimonti al secolo XI, ma è certo che nel seguente era già ufiziata da sacerdoti nominati direttamente dalla Santa Sede, come sappiamo da una bolla di Celestino III del 1194. Del suo ingrandimento non è noto il tempo, e forse ebbe allora la facciata, che dalle più antiche parti pare possa appartenere al secolo XIII. Di questi piatti, e della figulina di Sanminiato dirò in altro capitolo.»

Ancora il Milanesi, nella stessa pubblicazione, alle pp. 263-264:
«[263] […] Ho già accennato all'antichità della figulina di Montelupo e di Sanminiatello, pur avvertendo che le memorie scritte non risalgono oltre la metà del Trecento. Ma io credo che vi s'esercitasse da tempo [264] immemorabile, molto prima che la Repubblica fiorentina facesse costruire, nel 1203, il castello da cui il borgo già formato prese nome di Montelupo. Una prova, non certo molto sicura, che almeno circa un secolo innanzi alla più antica memoria, l'arte di lavorar le terre colte vi fosse, si può avere da quelli scodelliti e piatti murati nella facciata della cattedrale di Sanminiato, detto al Tedesco per la residenza dei Vicari imperiali, sulla quale rimangono ancora tracce della sua prima costruzione, probabilmente del secolo XIII.
Di essi fu dato un cenno nel capitolo secondo; ed ora considerando che Montelupo è distante pochi chilometri da Sanminiato, dove, come dirò, una fabbrica di maioliche ebbe principio soltanto intorno alla seconda metà del Seicento, suppongo quelli scodellotti e piatti delle fornaci di Montelupo. Fu pure di questa opinione il defunto dott. Umberto Rossi, intelligente e zelante Conservatore del Museo Nazionale fiorentino: avutane poi particolare notizia dal canonico Emilio Marrucci di Sanminiato, studioso delle memorie storiche della sua città, ed esaminatili com'è possibile a tanta distanza, maggiormente credo fondata quella congettura. Pare che su fondo di smalto bianco (una sola scodella l' ha verde chiaro) vi sieno dipinti in turchino cupo fregi o stemmi, piccole teste e forse animali fantastici. Fra i quali stemmi sarebbe significativo, ma potrei ingannarmi, quello bipartito d'una scodella rappresentante un pesce e parte d' un castello, o ponte con torri.»

F. M. Galli Angelini, San Miniato. La Sveva Città del Valdarno,
Casa Editrice Sonzogno, Milano, 1928?, frontespizio.

IL GENERICO APPORTO DEL CAN. FRANCESCO M. GALLI ANGELINI
Tuttavia la supposizione di Gaetano Milanesi (ripresa dal Soulier) rimase sconosciuta nell'ambiente sanminiatese, oppure non accolta. Ancora sul finire degli anni '20 il Canonico Francesco Maria Galli Angelini, nel testo di San Miniato. La Sveva Città del Valdarno per la Casa Editrice Sonzogno di Milano, parlando della Cattedrale sanminiatese, ebbe prudentemente a scrivere: «Conserva però molte opere d'arte: sono pregevoli per antichità le terrecotte che adornano la facciata infisse nella cortina». Pare davvero strano, infatti, che il Canonico Galli Angelini – personalità estremamente vivace nel panorama culturale cittadino, da anni attento alle vicende storiche sanminiatesi nonché delle testimonianze artistiche dei secoli passati – avesse potuto trattare l'argomento senza scendere in ulteriori dettagli.
Più o meno negli stessi anni il primo studioso di Storia dell'Architettura che fece un breve accenno ai bacini ceramici sanminiatesi, fu Mario Salmi, nel suo volume L'Architettura Romanica in Toscana, Milano-Roma, 1928, a p. 41 n. 30, anch'egli senza scendere in dettagli.

GAETANO BALLARDINI E DILVO LOTTI: IL PRIMO CATALOGO DEL 1938
Di ben altro livello Gaetano Ballardini (1878-1953), già Direttore del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, che sulla rivista «Faenza», trattò per la prima volta la questione in un contesto specialistico. Avvalendosi del contributo grafico di un giovanissimo Dilvo Lotti, propose anche una prima catalogazione delle maioliche smaltate della Cattedrale di San Miniato.
Il Ballardini, molto probabilmente, ebbe modo di conoscere la facciata sanminiatese grazie all'intervento di Piero Sampaolesi (1904-1980) al II Convegno Nazionale di Storia dell'Archiettura di Assisi nel 1937, con una relazione dal titolo Alcuni edifici romanici in cotto in Toscana (i cui atti furono pubblicati nel 1939) e i cui contenuti ebbero un risalto nel panorama culturale italiano del tempo. Anche Ballardini, infatti, aveva inviato un contributo al medesimo convegno.
Da un punto di vista scientifico, Ballardini si limitò ad osservare i manufatti compiendone una precisa descrizione stilistica, ma senza entrare nel merito della provenienza. Solo per un “bacino” si risolse con sembra di origine orientale. Queste le sue parole complete:

«I BACINI DI SAN MINIATO - Da Firenze a Pisa, costeggiando l'Amo, si giunge alla cittadina di San Miniato, che si protende come da un balcone sulla vallata. Il duomo, nella sua facciata romanica, alterata coi rimaneggiamenti imposti dalla varia vicenda che subì nei secoli l'edificio, è decorato oltre che di elementi decorativi (la rosa, la croce, le losanghe) di carattere costruttivo, da molti bacini inseriti in muratura, dei quali venticinque sono supertisti. La tavola I ci dispensa da più lungo
discorso: essi sono sparsi con un certo ritmo, al di qua e al di là dell'asse della facciata, in gruppi di due file oblique, che seguono all'incirca, in due piani diversi, gli spioventi del tetto.
Le scodelle, le cui figure qui si pubblicano, hanno diversa sagoma e dimensione. La maggior parte è a fondo non troppo concavo. Quanto a gli ornati, conviene subito dire, in generale, che i bacini impostati a sinistra dell'archetto superiore della facciata sono adorni di un motivo di nastro con foglie o tratti verdi; il gruppo a destra abbonda più degli altri di figurazioni animali, mentre i due raggruppamenti decorativi in basso sono formati esclusivamente da bacini dipinti con la stilizzazione fantastica di una foglia. I soli piatti diversi da questo tipo comune sono due: lo scodellino con decorazione a tratteggi rosso e blu (n. 10) e quello con arabesco centrale in verde (n. 12). Anche le due losanghe incassate nel muro portano nel fondo una scodella con dipinta la foglia dei gruppi inferiori. Oltre agli ornamenti che potrebbero avere un significato nella simbologia medievale (il cervo, il pesce preso all'amo, il drago (tav. 11), altre ve n'ha di carattere fitomorfo e geometrico; i più sono di senso astratto, linee parallele, quasi a marezzatura, come vediamo nelle tavole III, IV e V. Un bacino verde, a contorno di pesci nuotanti, sembra di origine orientale. Anche la dentellatura in turchino che diversi bacini ci mostrano sull’orlo ci dà facilmente un’eco di arte esotica. La quasi totalità è a fondo bianco: se ne escludono quello in verde già ricordato, i due col drago (nn. 2 e 3) e i due ultimi (nn. 15 e 16), il cui fondo risulta di un verdognolo-gialliccio. Il disegno è in bruno nella prima serie, in verde per quelli «marezzati», in turchino per la rosetta (n. 9), alternativamente bruno e turchino per la scodella n. I0. Le linee circolari che racchiudono il campo sono di vario colore: brunomarrone (manganese oppure ferro?) e verde in 2, 7, 11, 13, I 4, 16: solo verde in 3, 12 e 15: solo turchino in 8; il n, 13 porta anche un grigio-celeste nell’ornato «a cordiglio ritorto» del contorno.
Non ci fermiamo ad accentuare l’alto valore decorativo, ricchissimo, di queste ceramiche. Vogliamo, invece, ringraziare l’egregio artista Dilvo Lotti che ne ha tratto dei chiari acquarelli e che io addito alla riconoscenza degli studiosi per la sua opera volonterosa ed efficace. Questo bravo giovane, segnalatomi dal direttore del R. Istituto d’Arte di Firenze, ha dovuto vincere non poche difficoltà per l’interpretazione dei cimeli di San Miniato, collocati in alto e non sempre facilmente leggibili per le loro condizioni. Anche gli ornati in cotto dei due archetti originari sano particolarmente notevoli.»
G. Ballardini, I bacini di San Miniato, in «Faenza», Bollettino del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, anno XXVI, 1938, fasc. I, pp. 17-18.

Tav. II - Bacini ceramici sulla facciata del Duomo di San Miniato.
(dagli acquarelli originali di Dilvo Lotti)
a corredo di G. Ballardini, I bacini di San Miniato,
in «Faenza», Bollettino del Museo Internazionale
delle Ceramiche di Faenza, anno XXVI, 1938, fasc. I, pp. 17-18.
Utilizzo ai sensi dell'art. 70 c. 1-bis della Legge 22 aprile 1942 n. 633

Tav. III - Bacini ceramici sulla facciata del Duomo di San Miniato.
(dagli acquarelli originali di Dilvo Lotti)
a corredo di G. Ballardini, I bacini di San Miniato,
in «Faenza», Bollettino del Museo Internazionale
delle Ceramiche di Faenza, anno XXVI, 1938, fasc. I, pp. 17-18.
Utilizzo ai sensi dell'art. 70 c. 1-bis della Legge 22 aprile 1942 n. 633

Tav. IV - Bacini ceramici sulla facciata del Duomo di San Miniato.
(dagli acquarelli originali di Dilvo Lotti)
a corredo di G. Ballardini, I bacini di San Miniato,
in «Faenza», Bollettino del Museo Internazionale
delle Ceramiche di Faenza, anno XXVI, 1938, fasc. I, pp. 17-18.
Utilizzo ai sensi dell'art. 70 c. 1-bis Legge 22 aprile 1942 n. 633

Tav. V - Bacini ceramici sulla facciata del Duomo di San Miniato.
(dagli acquarelli originali di Dilvo Lotti)
a corredo di G. Ballardini, I bacini di San Miniato,
in «Faenza», Bollettino del Museo Internazionale
delle Ceramiche di Faenza, anno XXVI, 1938, fasc. I, pp. 17-18.
Utilizzo ai sensi dell'art. 70 c. 1-bis Legge 22 aprile 1942 n. 633

TOESCA, LA CONSERVAZIONE E LA NECESSITA' DI UN CATALOGO
Le problematiche di individuazione, catalogazione e studio dei manufatti ceramici si protrassero ancora per molto tempo nel generale contesto italiano del Dopoguerra. Ed erano ben note a Pietro Toesca, il quale nel 1951 affermava:
«La ceramica medioevale ha in Italia i suoi incunabuli in un vastissimo museo aii’aperto: in antichi campanili e nell’esterno di antiche chiese. E’ un museo insidiato assai meno dalle intemperie che dalle sassaiole; trascurato dalle autorità se pur non intervengano, inconsapevoli o no, a menomarlo. […] in quanto poi al catalogo, esso è appena abbozzato per qualche insieme ormai celebre, com'è quello dei bacini di S. Piero a Grado e di altre chiese pisane, ma chi si è preso, o si prenderà, la briga di elencare le maioliche di S. Miniato in Toscana, di S. Paragorio di Noli, delle chiese di Pavia e di tanti altri luoghi minori? Certo non è agevole comporre codesto catalogo, sia pure sommario; e non è facile dargli ordine perchè i dati cronologici e topografici che si potrebbero indurre dall’età e dal luogo delle costruzioni sono malsicuri essendo, le maioliche, merce di facile trasporto e qualche volta messa in mostra come rarità piuttosto che - e sembra questo il caso più frequente - come prodotto locale.» [P. Toesca, Maioliche decorative nel Duomo di Lucca, in «Faenza», Bollettino del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, n XXXVII, 1951, fasc. V-VI, p. 94]

M. L. CRISTIANI-TESTI E LA PRIMA IPOTESI SUL CONTESTO ISLAMICO
La prima ipotesi sull'origine “d'importazione” da un contesto non italiano, a proposito dei manufatti in maiolica della Cattedrale di San Miniato, sembra debba attribuirsi a Maria Laura Cristiani Testi. Già nel 1967, infatti, propose di inquadrare la produzione in un generico ambito islamico, comprendente Egitto, Arabia e Persia e giunti a San Miniato tramite i floridi scambi dei vicini commercianti Pisani [M. L. Cristiani-Testi, San Miniato al Tedesco, Marchi e Bertolli, Firenze, 1967, pag. 42].
La studiosa si produsse anche nell'elaborare una teoria geometrica a proposito della composizione formale dei bacini sulla facciata della chiesa. L'analisi fu aspramente criticata da Dilvo Lotti alcuni anni dopo, e di cui abbiamo proposto la disamina nel post INTERPRETAZIONI CERAMICHE.

G. BERTI E L. TONGIORGI: I PRIMI RILIEVI SCIENTIFICI
Risposero all'appello di Pietro Toesca, almeno per quanto riguarda il territorio pisano, Graziella Berti e Liana Tongiorgi. Furono le due studiose, infatti, le prime a collocare i manuatti sanminiatesi all'interno di un contesto più ampio nell'articolo Ceramiche a cobalto e manganese su smalto bianco (fine XII – inizio XIII secolo), in Atti del V° Convegno Internazionale della Ceramica - Aibisola 1972, Savona, 1972. E' in questa pubblicazione che viene avanzata, per la prima volta, l'ipotesi della provenienza magrebina.
Gli studi di G. Berti e L. Tongiorgi proseguirono anche negli anni seguenti, come dimostra la pubblicazione dal titolo I bacini ceramici delle chiese della Provincia di Pisa con nuove proposte per la datazione della ceramica spagnola «Tipo Pula», in «Faenza», Bollettino del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, n. LX, 1974, fasc. IV-VI, di cui proponiamo un estratto alle pp. 70-71:

«S. MINIATO - Chiesa di S. Maria - Ventiquattro bacini superstiti dei trentuno che costituivano la decorazione originale della facciata della chiesa appartengono al gruppo a cobalto e manganese su smalto bianco (Berti e Tongiorgi, 1972b, 157, 169, fig. 4, tav, X/1, XI, XII), due sono di tipo diverso: quello della posizione n. 7 (tav. XLIV, c) è decorato in bruno su fondo verde, mentre quello della posizione n. 17 (tav. XLIV, d), di cui rimane solo un minuscolo frammento è a decorazione policroma su fondo chiaro. Per quanto riguarda il n. 7 l’associazione di questo tipo con bacini a cobalto e manganese ci riporta alla chiesa di S. Michele degli Scalzi in Pisa, dove, insieme ad altri tipi di ceramica, troviamo appunto il cobalto e manganese su smalto bianco unito ad esemplari in bruno su smalto verde.
Sebbene per il momento un’analisi non sia possibile, anche il bacino n. 7 di S. Maria sembra eseguito con la stessa tecnica di quelli di S. Michele. Tutto il complesso ceramico di S. Maria di S. Miniato fu certamente inserito al momento della edificazione della facciata e cioè tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo; se si considera inoltre che fra il materiale raccolto negli scavi di Pisa (Ferron e Pinard, 1954, 1955) si trovano sia esemplari a cobalto e manganese che decorati in bruno
su smalto verde non sembra troppo azzardato ritenere tutti i bacini del duomo di S. Miniato provenienti da un unico centro, probabilmente magrebino.»

Il primo studio “scientifico”, completo e complessivo, sull'apparato dei bacini ceramici fu compiuto solamente nel 1979, allorché la facciata della Cattedrale venne interessata da una generale operazione di restauro. In quell'occasione i manufatti di maiolica furono smurati dalle loro sedi e, una volta analizzati e restaurati, furono collocati nell'ambito del Museo Diocesano d'Arte Sacra. Al loro posto vennero inserite delle copie. Di tutto ciò fu fatta una pubblicazione curata ancora da G. Berti e L. Tongiorgi, I bacini ceramici del Duomo di S. Miniato (ultimo quarto del XII secolo), CRSM, Sagep Editore, Genova, 1981. Questa pubblicazione ha rappresentato per oltre trent'anni il punto di riferimento per ogni altra analisi e pubblicazione.

ALTRE PUBBLICAZIONI A MARGINE
Ai manufatti in maiolica venne dedicata anche una scheda, curata da Mario Luccarelli, dal titolo I bacini del Duomo. Secoli XI-XII nel più ampio volume AA.VV., Tesori d'Arte Antica a San Miniato, CRSM, Sagep Editrice, Genova, 1979, alle pp. 16-18, facendo il punto degli studi fino a quel momento noti, ma senza tuttavia aggiungere novità.
L'anno seguente, Dilvo Lotti in San Miniato. Vita di un'antica città, CRSM, Sagep Editrice, Genova, 1980, a p. 360 scriveva: «Sulla facciata del Duomo le preziose scodelle, provenienti come le pisane dal mondo arabo-spagnolo, o dalla costa africana mediterranea, anche se è possibile ingabbiarle nella proposta partitura geometrica della Testi, (a posteriori si possono trovare infinite motivazioni e orditure) l'idea teologica avanzata dall'amico Lorenzo Cavini, 1969, è la più attendibile». Le stesse identiche parole furono usate da Dilvo Lotti anche l'anno seguente alla p. 84 del volume San Miniato nel Tempo, il catalogo della mostra che fu stampato da Pacini Editore, Pisa, 1981. L'interesse del pittore sanminiatese, forse dimentico del lavoro svolto nel 1937 con Gaetano Ballardini, si dimostrò rivolto soprattutto alla questione compositiva e iconografica, in decisa polemica con quanto aveva proposto Maria Laura Cristiani Testi nel 1967. Di questo particolare, tuttavia, ce ne siamo occupati nel post INTERPRETAZIONI CERAMICHE.

GLI ANNI RECENTI E L'ULTIMO CATALOGO
Più di recente, l'occasione della mostra La luce del mondo. Maioliche mediterranee nelle terre dell'Imperatore [Palazzo Grifoni, 2 marzo – 19 maggio 2013] è stata utile per riportare l'attenzione sui bacini ceramici sanminiatesi, di cui si trova una schedatura completa all'interno del catalogo a stampa. L'indagine è stata curata da Fausto Berti (da molti anni Direttore del Museo della Ceramica di Montelupo) e Marta Caroscio [F. Berti e M. Caroscio, I bacini “cobalto e manganese” della cattedrale di San Miniato, in La luce del mondo. Maioliche mediterranee nelle terre dell'Imperatore, a cura di F. Berti e M. Caroscio, Noédizioni, Firenze, 2013, pp. 143-179].
In questa pubblicazione è proposta un'ampia analisi circa l'impasto, il rivestimento a cobalto e manganese, la pittura e i pigmenti, le caratteristiche della cottura. Infine viene proposto il dettagliato catalogo dei 24 elementi presenti nella facciata della Cattedrale sanminiatese, trattati uno ad uno, con l'indicazione delle dimensioni e delle caratteristiche peculiari di ciascuno.

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