domenica 29 maggio 2016

“SUL PROFESSORE GIOACCHINO TADDEI” DI SERAFINO CAPEZZUOLI SU "IL POLITECNICO" DEL 1860

a cura di Francesco Fiumalbi

In questa pagina è proposta la trascrizione dell'articolo del prof. Serafino Capezzuoli dedicato all'illustre chimico sanminiatese Gioacchino Taddei [San Miniato, 30 marzo 1792 – Firenze, 29 maggio 1960] pubblicato nel volume IX de «Il Politecnico», dato alle stampe a Milano nel settembre 1860. Si tratta di una sintetica biografia del Taddei scritta a pochi mesi dalla suo morte e ad alcune settimane dalla traslazione presso la Cattedrale di San Miniato dei resti dal cimitero annesso alla basilica fiorentina di San Miniato al Monte (10-11 agosto 1860).

Nel testo sono esposti i principali campi di studio, gli scienziati con cui intrattenne rapporti e corrispondenze, gli incarichi e le onorificenze ricevute. E' un articolo piuttosto articolato, destinato ad un pubblico di specialisti o comunque di operatori del mondo scientifico del tempo. Interessante il contesto in cui fu scritto: siamo in un periodo in cui l'Italia non era ancora uno Stato unitario, ma si apprestava a diventarlo. In Toscana, così come in altre parti d'Italia, si era svolto da poco il “plebiscito” a favore dell'annessione al Regno di Sardegna. In questo passaggio storico, la figura di Gioacchino Taddei assume un particolare valore, anche “politico”. Fu eletto Senatore del nuovo regno, e per la sua adesione alla Repubblica Toscana nel 1848, dopo aver subito l'allontanamento dal pubblico insegnamento, venne quindi celebrato come uno dei massimi esempi dell'“ingegno italiano”. E poi il tributo della sua città natale, San Miniato. Per questi motivi, vale la pena sottolineare questi due passaggi particolarmente significativi:

«... seppe il Taddei guadagnarsi il primato fra i Chimici italiani, e mostrare di quanto sia capace l'ingegno congiunto ad un fermo volere.»

«Quindi dal Granduca Leopoldo II fu insignito della Croce di Cavaliere dell'Ordine del Merito, e se ne compiacque. E non meno grata al cuor suo scese quella publica testimonianza d'onore, cui non poteva dargli maggiore la città dei suoi natali, che facendo sue proprie le glorie del Taddei volle ascriver lui coll' intera famiglia a' Nobili di S. Miniato. Della invero e pregevole la nobiltà acquistata col proprio merito, anziché ereditata dagli avi; come bella è la povertà quando è sprone a nobili cose nelle anime capaci di sentirle.»

Il Politecnico. Repertorio mensile di
Studj applicati alla prosperità e coltura sociale,
volume IX, Milano, Editori del Politecnico, 1860, frontespizio.

Di seguito è proposto il testo di S. Capezzuoli, Sul Professore Gioacchino Taddei, in «Il Politecnico» Repertorio mensile di Studj applicati alla prosperità e coltura sociale, volume IX, Milano, Editori del Politecnico, 1860, pp. 406-424:

[406] SUL PROFESSORE GIOACCHINO TADDEI

Virgin di servo encomio.
MANZONI

Una vita sacra alla Scienza spegnevasi in Firenze sull'alba del 29 di maggio 1860; e quanti sono estimatori del sapere e teneri per l'Italia, intesero con sincero cordoglio l'infausta novella. Il Chimico della Provincia Toscana, il Senatore del nuovo Regno, era condegnamente onorato nel funebre corteggio dagli uomini più eminenti nell'ordine dell'Insegnamento e del Governo.
Gioacchino Taddei nasceva da onesti più che da comodi genitori il 30 di marzo 1792 nella città di S. Miniato in Toscana, e comecché rimase orfano e solo nella giovanile età di tredici anni, si spingeva animoso nella via degli studj. Percorse le lettere e la filosofia nelle scuole comunali e nel Seminario vescovile della sua terra natale, si meritava uno dei posti di studio fondati nell'Università di Pisa dalla beneficenza del suo concittadino Ruffelli, mercè del quale videsi aperto il campo a soddisfare ampiamente alle sue più sentite inclinazioni. Le scienze naturali erano da lui predilette; e forse mirò a conseguire la laurea particolarmente in Medicina per procacciarsi con questa un collocamento più facile come il più acconcio alla sua condizione, contuttoché la chimica l'attraesse più di ogni altra scienza, ove si ponga niente ad uno splendido atte stato dell'ottimo professore Giuseppe Branchi che certifica avere il Taddei seguito il corso delle sue lezioni per ben quattro anni di studj universitari. Se non che un altro bell'attestato dell'illustre professore Vacca dimostra come non fosse del resto trascurata la parte più attinente al medico esercizio del nostro giovine studente, il quale nel 1815, non compito ancora l'anno ventiquattresimo dell'età sua, ritornava in patria già insignito della laurea dottorale nelle mediche discipline.
A provare tuttavia il trasporlo, e quasi non dissi, l'impeto del [407] Taddei verso la Chimica, potrei riferire come reduce appena da Pisa, nella sua breve dimora in S. Miniato, si diede tosto a fare dei saggi analitici sopra un'aqua che scaturisce ne' dintorni di quella città, e ritrovò in ispecie la calce caustica a comporre il banco che ne formava il cratere (1). Ma dell'amor suo per quella scienza faceva più chiara mostra, quando venuto in Firenze a compiere gli studj pratici nella Medicina, stringeva amichevole relazione col marchese Cosimo Ridolfi, che ancor giovine si dilettava di esercitarsi nelle chimiche esperienze, e si recava a fortuna di avere a compagno, se non a maestro, il Taddei, ricevendolo e procacciandogli ogni mezzo sperimentale nel suo proprio laboratorio. Nel corrispondere però con lieto animo alla cortesia e alla dimestichezza usatagli dal giovine marchese, il nostro praticante in medicina seppe trovare anche il tempo ed il modo di adempiere agli obblighi suoi in guisa che un anno dopo sosteneva con pieno successo davanti al Collegio Medico Fiorentino l'esame di matricola che lo conduceva alla meta della carriera fin allora percorsa.
Volgeva l'anno 1817 di luttuosa ricordanza per l'epidemia del tifo che si distese anche sulle nostre belle contrade, quando il Taddei, già fatto capace del libero esercizio della medicina, abbandonò ad un tratto l'Arcispedale di S. Maria Nuova, ove era stato designato ad un posto di Medico Astante, e pose da banda i carissimi studj della Chimica per correre in aiuto de' suoi concittadini afflitti anch'essi dall'epidemico malore. I quali per rimeritare come meglio sapevano e potevano le sollecitudini e le cure spese in loro benefizio dal giovine medico, gli affidarono la condotta della campagna di S. Miniato. Ma il Taddei, anche in mezzo ai tristissimi casi ed alle sofferenze dell'egra umanità che rendono sempre più spinosa la via ai giovani esercenti l'arte salutare, rivolgeva a quando a quando la mente alla Scienza che lo aveva di più allettato, quasi [408] per ricrearsi dalle miserie che l' attorniavano. E fu in quel tempo che meditando sulla materia ond'avviene che la farina di frumento fornisca il miglior pane, scese a fare sovr'essa alcuni sperimenti che lo condussero a riconoscere nel glutine, scoperto già dal Beccari, due materiali distinti: l'uno solubile particolarmente nell'alcool, viscoso e gialliccio, cui piacque all'autore di queste ricerche appellare gloiodina; insolubile l'altro, di colore grigio, tenace, straccioso e sommamente putrescibile, designato da lui col nome di zimoma. Sul quale subietto interteneva egli per la prima volta nella publica seduta del 20 di marzo 1818 l'Accademia Economico-Agraria dei Georgofili, alla quale due anni innanzi era stato ascritto come Socio Ordinario.
Vana cosa però sarebbe stata lo sperare che il Taddei potesse rimanere a lungo nella sua medica condotta che per molti rispetti gli contendeva il pieno soddisfacimento delle sue più naturali inclinazioni. Ed eccolo infatti ritornato in Firenze, e tutto intento a coltivare la Chimica mercè la generosa ed ospitale amicizia del prelodato Marchese che offrivagli questa volta e laboratorio e stanza e convitto nel suo stesso palazzo. In questa veramente fortunata condizione e in mezzo ad una schiera d'eletti e giovanili ingegni che intorno al Ridolfi si riunivano come ad un centro comune, il Taddei si apparecchiava a dar prove molto più splendide e solenni della sua abilità.
Erano in quel tempo giudicati i Concorsi per via di esperimento quali mezzi più acconci a distinguere il vero merito ed a spronare la studiosa gioventù nell'arduo cammino del sapere, tanto che ricorsero frequenti, forse più che a di nostri, per conferire le cattedre anche del più elevato insegnamento. Basterebbe invero il solo Taddei ad accreditare maggiormente questo modo di collazione, a cui le Autorità costituite non si mostrano giammai troppo arrendevoli, come basterebbe egli solo a rimeritare condegnamente quei filantropi che lasciarono i posti di studio nelle Università a benefìzio dei giovani meno favoriti dalla fortuna. Fatto è che sullo scorcio del 1819 tu vedevi il Taddei concorrere a Pisa a dare sperimento solenne della prontezza e perizia acquistata nelle chimiche discipline, affine di conseguire la Cattedra di Farmacologia vacante nell'Arcispedale di Firenze; e nel gennaio appresso, contando egli non ancora ventotto anni di età, lo vedevi nominato e salutato Professore in quella scienza o Specialità.
[409] Un'altra prova di perseveranza e di progresso negli studj già fatti teneva dietro a quest'ultima; conciossiaehè seguitando il Taddei a sperimentare sul glutine ne desumesse una sua importantissima applicazione. Fermandosi infatti a considerare la nota proprietà di esso a riscontro di quella pure comune alle materie animali e all'albumina in ispecie, la proprietà, vo' dire, di precipitare i diversi sali metallici dalle loro respettive soluzioni aquose, egli dimostrò che il glutine era da preporsi all'albumina, particolarmente come antidoto nei casi di veneficio per il sublimato corrosivo, perocché ne operava la precipitazione con maggior pienezza e stabilità. A fine poi di rendere facile e pronta l'amministrazione del mezzo proposto immaginò di stemperare il glutine, estratto appena dalla farina di frumento in una soluzione di sapone a base di soda, di evaporare appresso lutto il liquido vischioso ed opaco e di raccoglierne il residuo secco, che trituralo e conservato all'uopo nelle farmacie col nome di polvere emulsiva di glutine, servire potesse di contravveleno, propinandolo per alcuni grammi stemperato in una discreta quantità d'aqua. Questo lavoro publicato dall'autore nello stesso anno 1820 gli procacciò una reputazione anche fuori d'Italia, e gli fruttò un'annua ricompensa di scudi venticinque pagabili dal publico erario.
Non aveva il Taddei compiuto ancora due anni di Cattedra che già si sentiva voglioso di conoscere più d'appresso gli uomini e le cose che al di fuori menavano maggior grido nella Scienza da lui professata. Imperò nell'agosto del 1821 egli si dirigeva per l'Italia superiore alla volta di Parigi, ove erano in fama ed onoranza i nomi di Vauquelin, di Gay-Lussac, di Thenard e di Chevreul, dai quali ebbe cortese e familiare accoglienza ed ogni facilitazione di apprendere quanto più si poteva dalla loro voce e dai loro lavori, e di far loro ad un tempo comunicazione dei proprj; tanto che nell'anno appresso si vide publicata in francese la traduzione della sua Memoria intorno ad un nuovo antidoto del sublimato corrosivo. Da Parigi il Taddei non fece ritomo in patria senza prima visitar Londra, che vantava allora di possedere un Davy, un Vollaston, un Dalton, già salili in molta rinomanza e gli ultimi in ispecie per la nuova dottrina delle proporzioni determinale; la quale fece si bella impressione nell'animo del nostro viaggiatore che reduce appena in Firenze la volle far conoscere a'suoi, [410] illustrandola in quella sua publicazione col titolo «Sistema di Stechiometria chimica».
Era tempo che il Taddei arricchito di quanto avea potuto raccogliere nella sua peregrinazione scientifica, si riconcentrasse nel suo proprio insegnamento, e nell'ufficio annessovi, d'Intendente cioè della Farmacia nello stesso Arcispedale di S. Maria Nuova, e meditasse di trarre dagli studj e dall'esperienza in che andava gradatamente crescendo, argomento più vasto alle manifestazioni della sua dottrina e della sua perizia. Sedeva egli già da tre anni come Membro esaminatore anche nel Collegio Medico fiorentino, quando nel 1821 dava opera alla publicazione d'una Farmacopea generale che portava in fronte anche l'altro più modesto titolo di Elementi di Farmacologia sulle basi della Chimica. Quest'opera, condotta a termine nel corso di due anni, è divisa in quattro parti e in altrettanti volumi, e contiene quanto di più importante si conosceva a que' tempi intorno alla Chimica propriamente farmaceutica. Tu vi trovi lutto ciò che concerne la scelta e la fornitura d'un'officina ad uso di laboratorio chimico-farmaceutico; la provvista, l'acconciatura e la conservazione delle droghe si indigene che esotiche; tutta la serie dei corpi semplici e de' loro composti binarj; gl'innumerevoli composti o materiali del regno organico si edotti che prodotti, colle respellive loro preparazioni per uso medico; finalmente i composti salini di ogni maniera in un colle diverse aque minerali tanto naturali quanto artificiali, e per giunta un cenno sul modo di formulare le ricette e di scoprire le diverse falsificazioni dei preparati farmaceutici circolanti in commercio, non meno che sui veleni e contravveleni. Commendevole invero è la cassazione delle droghe desunta dalla prevalenza dell'uno o dell'altro tra i principj attivi o medicamentosi loro proprj; sommamente pregevoli sono anche le più minute avvertenze dell'Autore intorno a' processi di preparazione reputati migliori, perchè derivate dalla sua stessa osservazione ed esperienza. Se non che la divisione e l'ordine delle materie ha più del sistematico che del naturale, e si addice più a chi è padrone della scienza, che a coloro i quali debbono apprenderla. Esempio ne sia lo studio particolareggiato che vi si fa di tutti i corpi elementari non tanto metalloidici, quanto anche metallici prima di passare a discorrere d' alcuno de' loro composti; e serva pure d'esempio la trattazione de' sali riserbata [411] tutta quanta all'ultimo volume, in cui con tutti i composti salini affatto inorganici si trovano pure riuniti quelli resultanti così da un arido organico, come da una base della stessa natura. Dovunque poi tu scorgi ridondanza di subbietti e dovizia di dottrine che alla chimica generale più strettamente appartengono. Tali gl'imponderabili, le forze di coesione e di affinità, la sintesi e l'analisi, la teoria della combustione in generale e quella della fiamma in particolare, del pari che quella atomistica o delle proporzioni definite.
Continuando il Taddei nell'ufficio di Professore di Farmacologia e d'Intendente di Farmacia, e facendo suo prò di quanto gli paravano innanzi le proprie incombenze, immaginò di comporre, e di dare alla luce un libro per render familiare e, come a dire, popolare la cognizione di tutto ciò che all'uomo può esser cagione di morte o di danno gravissimo nella salute, e la cognizione ad un tempo di tutto ciò che può prevenire questi effetti, o non previsti o per mala sorte accaduti, alleviare nel miglior modo possibile quelli che sono d'alcun rimedio capaci. Questo libro infatti comparve nel 1835 col titolo di Repertorio dei veleni e contravveleni. In esso, diviso in due volumetti, sono raccolte moltissime ed utili cose tratte non tanto dalla Chimica farmaceutica, quanto dalla Fisica e dalla Medicina, e tutte intese ed ordinale alla mira indicata, dichiarando lo stesso Autore non essere il suo libro, come quelli di Tossicologia allora conosciuti, diretto a chiarire le questioni medico-forensi, ma più specialmente a tutelare la publica salute. Il perchè a'veleni propriamente detti innestava egli molti altri agenti nocivi disparatissimi, come i contagj, l'aria resa Mefitica, gli stessi corpi che operano meccanicamente al di fuori come al di dentro del corpo umano, l'eccessivo calore come l'eccessivo freddo, il fulmine e il terremuoto; e conseguentemente agli antidoti propriamente detti congiungeva tanti altri mezzi o espedienti curativi di ben diversa natura. Molli e di molto interesse sono i casi di venificio e i disastri d'ogni maniera recati ad esempio ed occorsi pure tra noi, i quali sortirono esito diverso anche a se conda de' rimedi più o meno opportunamente e sollecitamente apprestati. E qui l'Autore ritorna volentieri sul suo nuovo antidoto del sublimalo corrosivo, e dimostra con nuove esperienze comparative che il glutine supera sempre l'albumina nell'operare una [412] più completa precipitazione del sale metallico, fallo il debito conto anche della soluzione di sapone che concorre certamente a produrre quest'effetto, usando la così della polvere emulsiva di glutine invece della semplice chiara d'uovo. Del resto si narrano alcuni casi felicemente soccorsi e curati sì con questa che con quella; ma intanto si avvalorano sempre più le parole stesse dell'Ortila, il quale nella terza edizione del suo Trattato de' veleni , lungi dal contrastare il merito dell'emulsione glutinosa proposta dal Taddei, ne riconosce la grande utilità nel venilicio indicato; quantunque soggiunga che, a suo parere, sarà data ordinariamente la preferenza alla chiara d'uovo, perchè lauto comune e quindi di più facile e pronta amministrazione, e coronata da successo non meno felice, ove sia data per tempo. Le quali parole onorano sempre ed altamente il nostro Autore, avuto riguardo a quella tal quale incuranza che hanno generalmente verso le cose nostre gli stranieri, ed in ispecie quelli saliti già in molta rinomanza nel mondo scientifico. Il Taddei ebbe forse il torto d'intitolare quel suo libro, Repertorio de' veleni e contravveleni e d'introdurvi, per classare in modo novissimo i primi, un linguaggio tratto dal greco, che oltre ad essere disarmonico troppo e di troppo difficile pronunzia, mal s'addice ad un libro che si raccomanda più che a' Medici ed a' Farmacisti, a tutti gl'istruttori del popolo, a tutte le classi della Società.
Non riposava però né si appagava il nostro Professore e Intendente della cresciuta sua rinomanza per le opere fin qui publicate, ma quasi traesse nuovo eccitamento da quella, cresceva, a così dire, d'operosità nel lavoro. Imperciocché nell'anno 1837 produceva una seconda edizione della sua Farmacopea, da lui notabilmente accresciuta con aggiunte ed illustrazioni, e portata fino a cinque volumi, uno dei quali anche suddiviso in due, senza però mutare il modesto titolo di Elementi di Farmacologia sulle basi della Chimica. Ma l'autore stesso non si dissimulò che le falle ampliazioni versavano di più intorno alla Chimica generale, che intorno a quella propriamente Farmaceutica. Tuttavia dovette cedere all'impulso irresistibile che lo traeva a dilettarsi de' progressi della Scienza in ogni sua parte, e si distese maggiormente sull'elettricità, sul calorico, sulla combustione, sulle leggi dell'affinità e delle proporzioni definite, sulla teoria atomistica ed elettro-chimica e su tante ricerche e questioni di pura ed alta Chimica, sperando di [413] essere scusalo, in quantochè il troppo non sarebbe forse per nuocere all'utilità del lavoro. D'altra parte il vagheggialo sistema di procedere dal semplice al composto, ovvero dal noto all'ignoto che sarebbe commendevolissimo se le scienze naturali vi si potessero accomodare come le scienze esatte, fece mantenere al Taddei l'ordine e la distribuzione delle materie come nella prima edizione. Quindi lo studio particolareggiato de' corpi semplici tutti quanti, e poi quello di tutti i loro composti binarj, e gli uni e gli altri in una successione ben lontana dal formare que' gruppi naturali, onde si pregiano le più recenti cassazioni; indi la trattazione delle materie organiche e quella de' sali tutti riserbata in ultimo colle leghe e la galvano-plastica, coi bitumi e i combustibili fossili, non senza nuove aggiunte a' precedenti volumi. Una nuova nomenclatura chi mica compariva non menu ad arricchire la nuova pubblicazione; se non che traducendo in linguaggio, come faceva, tulio ciò che può bene esprimersi in formule, non riuniva alla precisione la speditezza pur necessaria, e quantunque adottata e continuala dall'Autore, non aveva del resto seguaci. Tutto però ti dimostra nel Taddei un appassionato ed ingegnoso cultore della Chimica in genere e delle sue più belle dottrine ed aspirazioni, fino al punto di dimenticare che, quantunque la farmacologia poggi essenzialmente sulla chimica, tuttavia essa non è a' dì nostri che una specialità o diramazione di questa, e che non è proprio della prima tutto ciò che appartiene alla seconda. Ma così nelle opere pubblicate, come negli sperimenti ond'era bello il corso dello sue pubbliche lezioni, il Taddei non poteva contenersi ne' confini segnati alla propria specialità; ed io rammento sempre nella mia qualità di praticante in medicina obbligato a quelle lezioni, di avere assistito ad una in cui si dimostravano tulle le proprietà del gas idrogeno, non esclusa la sua leggerezza anche col mezzo del solito palloncino volante.
Frattanto si maturava un gran disegno di riforma negli sdudj superiori universitarj e pratici, e splendidamente s'incarnava nel 1840 per opera del cav. Gaetano Giorgini allora Soprintendente agli studj nel Granducato. Non potea certamente mancare al Taddei un posto distinto nella nuova scuola medico-chirurgica che si disse di complemento e di perfezionamento nello stesso Arcispedale di Firenze. Ed invero a chi mai si sarebbe potuta [414] affidare Ia cattedra novissima di chimica organica e fisica medica, se non a lui che :il sapere di medico accoppiava tanta dottrina e tanta esperienza di chimico? lo stesso l'ho udito nelle lezioni e v'ho veduto nel laboratorio avviarsi per la nuova specialità, e prenderne diletto e farsene gradatamente padrone, tanto che dopo quattr'anni egli incominciava la pubblicazione a fascicoli del suo Manuale di Chimica organica e Fisica Medica ad uso degli alunni medici e chirurghi nel ridetto Arcispedale. E sì poteva in lui il sentimento dell' impegno nuovamente assunto, che deposto l'ufficio della prima cattedra e dell' intendenza della farmacia , interrompeva e lasciava per molti anni incompiuta la seconda edizione della sua farmacopea, alla quale mancava ancora l'ultimo e più grosso volume. In quel Manuale poi egli ritraeva quanto v'ha di più sodo nella chimica animale trattata già dal Berzellus, e quanto di più recente si pubblicava da Liebig intorno alla chimica applicata alla tisiologia ed alla patologia, innestandovi non pochi ed importanti studj suoi propri, tra' quali meritano singolar menzione quelli sul sangue, cioè sull'emalosina in particolare, e sulla discriminazione del sangue umano da quello degli altri animali. A me che ho già fatto il debito conto ed elogio di questi e di altri lavori nella parte del mio Trattalo di Chimica organica che è già pubblicato, non sarà imputato a mancanza, se qui non mi trattengo a discorrerne, tanto più che sono a tutti ben noti. Mi piace piuttosto di riferir quello che nella mia qualità d'Assistente e d'Aiuto alla sua cattedra e all'annesso laboratorio ebbi opportunità di notare nell'illustre Professore, cui mi pregio ancora di avere avuto a maestro. Egli ambiva in ispecial modo a far ricca la sua lezione di preparazioni e d' esperienze con tutto il corredo degli strumenti e de' mezzi valevoli a dimostrarle per forma che maggiormente colpissero e fermassero l'attenzione degli uditori; e perchè i risultamenti non fallissero giammai e corrispondessero sempre alle parole che ne facevano andivedere il successo, si dava ogni cura di saggiare e provare poco tempo innanzi tutto ciò che doveva prodursi ed eseguirsi sotto gli occhi del pubblico. Ambiva non meno alle dimostrazioni d'ogni maniera che possono darsi sulla lavagna, nelle quali riusciva felicissimo. Facile e pronto nel dire come nel fare, conduceva speditamente a termine la sua lezione; nella quale , a dir vero , quantunque egli stesso disapprovasse [415] il tono e la caricatura osservata nella scuola di Parigi particolarmente in Thenard , si mostrava talvolta forse più francese che italiano. È inutile il dire che I'amore della scienza congiunto a quello del proprio dovere non gli consentiva di tralasciar mai una lezione, se non ricorreva una causa della più imperiosa necessità. Si bene dirò che nel suo laboratorio tu l' avresti veduto eseguire sperimenti d'ogni genere colla massima compostezza, con garbo, sicuro e giocondo, e tutto inteso a spiarne l'andamento per compiacersi de' primi segni che denotavano prossimo il resultainento, e quale appunto avea ragione d'attendere. Infaticabile, paziente e tenace nell'operare, mal pativa che altri si tenesse in riposo. In stato a parlare, o richiesto d'alcuna cosa che avesse colla chimica una qualunque attinenza, mostrava rispondendo di provar piacere anche a diffondervisi come a sfogo del suo molto sapere. De' suoi proprj lavori in via d'esperimento teneva volentieri il segreto, finche non n'avesse conseguito interamente il fine. La precisione, la circospezione, lo scrupolo in tutte le chimiche esperienze erano le doti che maggiormente spiccavano in lui, di sorte che tu potevi accogliere come un fatto indubitato e contare di riprodurlo a talento, tutto ciò che era frutto dell'opera sua. Niuna cosa sfuggiva alla sua attenta e minutissima osservazione; e bene spesso egli ritornava sugli stessi suoi lavori per correggerne, ove fosse mestieri, le fatte interpretazioni, per trarne nuovi argomenti e nuove applicazioni, per mostrarli sotto diversi aspetti, per ingrandirli e, fui per dire, magnificarli. La riduzione dell'ossido idrato di rame, per l'influenza della potassa caustica, applicata da lui alla ricerca dello zucchero di latte ne' lattati del commercio, e poi anche ad altre ricerche col mezzo del cosi chiamato liquor violetto; le laminette di rame leggermente ossidate, offerte prima come mezzo acconcio a separare il mucco dall'orina, e poi a separarne invece tutto l'acido urico; l'estrazione dell' ematosina dal sangue, che lo conduceva finalmente a stabilire certe differenze tra il sangue umano e quello di altri animali; la reazione finalmente dell'humus o terriccio sul carbonato di calce, da lui riprodotta più volte, fanno prova bastante delle cose ora narrate. Quanto poi fosse ingegnoso nel proseguire e nel condurre a termine le chimiche operazioni anco per via d'amminicoli o di compensi, vedilo nel suo Saggio di Ematalloscopia, o ricerche chimiche [416] comparative sul sangue degli animali vertebrali, pubblicate a parte nel 1844; del qual pregio, naturalissimo in lui, era pur mestieri esercitandosi in un laboratorio, come i nostri dell'Arcispedale, che son ben lungi dall'essere riccamente forniti di strumenti e di denaro per darsi ad ogni maniera di sperimenti. Quindi non un'analisi elementare eseguita da lui, non uno di quei lavori sperimentali che esigono mezzi non troppo comuni. Ma ritornando al Manuale, di cui si vide compiuta la pubblicazione dopo qualche anno, esso trovasi diviso in tre parti contenute in un solo volume. Se non che la chimica degli organismi, che tale è il titolo della prima parte, occupa essa sola tre quarti buoni del libro, e ridonda di processi chimici per ogni maniera di estrazione de' differenti materiali organici e di verificazioni delle loro distintive proprietà; mentre la seconda parte intitolata Fisica degli organismi, che si estende appena al di là d'un cento di pagine, comprende colle varie influenze per poco toccate del caldo e del freddo, e colla descrizione de' fenomeni d'imbibizione, d'endosmosi e d'exosmosi, anche l'esplicazione di non poche funzioni animali d'un ordine certamente più chimico che fisico, come l'assorbimento, la respirazione, rematosi, la calorificazione, l'esalazione, le secrezioni e la nutrizione. Finalmente la terza ed ultima parte ristretta a sole sessanta pagine, porta il titolo d' Esame analitico de' prodotti morbosi; ma non contiene in sostanza che alcuni di essi i quali non trovarono posto nelle parti precedenti. Lascia poi a desiderare la conoscenza del processo chimico usato in alcune delle più importanti e non comuni ricerche, come quella de' composti del cianogeno non rinvenuti, e l' altra del piombo incontrato, come si dice, in combinazione soltanto col siero del sangue. Che se infine tu non trovi in quel libro tutto ciò che si può desumere dalla chimica in soccorso dell'odierna medicina, incolpane le scuole vitalisliche dalle quali attinse il Taddei ed apprese la medica dottrina.
Colle opere maggiori fin qui esaminate, una lunga lista d'Opuscoli e di Memorie si potrebbe citare a far prova della diuturna operosità e della varietà di subbietti, onde seppe il Taddei guadagnarsi il primato fra i Chimici italiani, e mostrare di quanto sia capace l'ingegno congiunto ad un fermo volere. Nell'Accademia de' Georgofili leggeva egli più e più volte suoi ingrassi in generale, e [417] su certi concimi o letami in particolare, meritandosi l' onore della stampa non solo, ma perfino quello del premio; leggeva più d'una volta sopra alcune malatie ora de' majali, ora delle pecore; leggeva sulla costituzione chimica di certi terreni, sopra un nuovo metodo d'illuminazione, sul modo d'acclimatare fra noi alcune piante, sull'aceto di legno, sulla brina caduta nel maggio del 1829, e sulla malatia de' vini divenuti filanti; leggeva ben quattro volte sul calore sviluppalo da' combustibili in un colla fiamma e col fumo, e una volta su quello altresì sviluppato dal vapore dell'acqua bollente; leggeva sul peso specifico de' cercali, sulle pioggie cadute nel 1836, sulla dipendenza degli animali da' vegetabili, sul color rosso del sangue, sull'aumento di popolazione subordinato a leggi fisiche invariabili, sull'utilità dell'avvicendamento agrario ne' terreni de' suburbi di Firenze e su diversi altri subbietti come Relatore di varie Commissioni. Nella Società medico-fisica fiorentina egli prendeva ad argomento di lettura ora alcune ricerche chimiche eseguite su diverse produzioni morbose, ora la respirazione artificiale, ora la maremma e la sua malaria; ora i miasmi in particolare, ora la reazione dell'ossido idrato di rame e delle materie azotate in un colla potassa caustica, onde si genera la colorazione violetta. Il Giornale di Chimica e di Fisica di Pavia pubblicava di tanto in tanto parecchi altri scritti di lui, e sull'albumina vegetabile, e sulla materia colorante dell'uva nera anche ad uso di reattivo, e sopra un nuovo metodo di prepararel'idrojodalo di potassa, l'ente di Marte e l'etiope minerale, e sopra una correzione fatta all'apparecchio di Woulf, e sullo joduro di carbonio, e sulla protezione del rame e del ferro operala dallo zinco; e l'Archivio e la Gazzetta, e il Progresso delle scienze medico - fisiche in Toscana ne pubblicavano altri, sulle proporzioni definite, sulle combinazioni del carbonio coli' ossigeno, sopra una pila voltaica per uso degli Spedali, su' montoni avvelenali coll'arsenico bianco, sopra un bicchiere idrostatico, sopra alcuni artifizi per iscoprire viemeglio le reazioni di certi metalli, sull'ematosina facente ufficio d'acido, e finalmente un elogio alla memoria di G. Giacomo Berzelius. Tralascio per brevità molte cose inedite, anch'esse di genere vario, e tralascio non meno di riferire le splendide mostre fatte dal Taddei innanzi a' nostri Tribunali per rischiarare col lume della scienza certe questioni chimico-forensi di non lieve importanza. Ma non [418] posso pretermettere i Congressi degli scienziati italiani, onde il nume di lui si rese tanto più chiaro e riverito in tutta la Penisola. Chi non rammenta il Taddei in quegli amichevoli ed aventurosi convegni? Fatta la sua prima comparsa a Pisa, fu Segretario della Sottosezione di Chimica a Firenze; inviato dal Governo Granducale a rappresentare negli altri stati italiani specialmente la scuola di complemento e perfezionamento di Firenze, fu a Milano, a Lucca, a Napoli, a Genova, a Venezia, eletto dovunque a Presidente della Sezione parimente di Chimica. Ed egli con savio discernimento e con molta nobiltà di modi, non disgiunta dalla sua naturale semplicità, presiedeva le adunanze della sua sezione, e ne dirigeva le discussioni in guisa da procacciarsi sempre rispetto, senza mai dispiacere ad alcuno. Dovunque poi recò a maggior argomento di distinzione qualche lavoro suo proprio; e prima esordì colla sua ematoxina, indi parlò del pieno e del vuoto delle ossa, degli ufficj delI'humus nella vegetazione e nuovamente dell' ematosina; toccò della discriminazione del sangue, discorse del ferro proprio di esso, della possibilità di render commestibili le varie produzioni cornee; indi ritornò sull'indicata discriminazione, trattò degli ufficj de' composti inorganici ne' corpi organali viventi, e finalmente delle aque de' pozzi artesiani di Venezia. Con tutti infine comparve modesto senz'affettazione, contegnoso senza mancare alla compita civiltà. Nelle festevoli conversazioni e nelle liete brigate si rendevo piacevole per la sua svegliatezza condita di buon umore senza nuocere alla sua dignità, e dappertutto si faceva ammirare per l'acume del suo ingegno e la copia delle sue cognizioni, che a dir così, trasparivano dalla magra e svelta persona.
Per le quali cose tutte non recherà maraviglia se moltissime delle italiane e non poche dell'estere Accademie scientifiche d'ogni maniera ambivano l'onore d'ascrivere il Taddei nel numero de' loro Socj Corrispondenti: e molto meno recheranno maraviglia tante e tante corrispondenze private e pubbliche da lui tenute con molti distinti uomini scienziati del nostro Paese. Voglio notare piuttosto che non pochi, giunti in Firenze anche da estere contrade, chiarissimi e celebri nella coltura delle scienze fisiche e chimiche in ispecie, chiedevano e facevano sovra ogni altro ricerca del Taddei, e mi piace fra gli stranieri citare I'Orfila e il Woekler, co' quali egli ebbe pure onorevole e pubblica corrispondenza. Né i meriti [419] del Taddei, salito in lauto lustro ed in tanta fuma, potevano ormai sfuggire alla considerazione del Governo Granducale, che lo aveva già sperimentato anche in proprio servigio valendosi utilmente dell'opera sua in diverse occasioni. A lui era ricorso perchè immaginasse e dirigesse la costruzione d'un apparecchio più conveniente a riscaldare l'aqua per uso de' bagni nello Spedale di S. Lucia; a lui nuovamente, perchè riducesse questo calefattore più ampio e più proporzionato a' cresciuti bisogni dello spedale ed al servi zio stesso de' bagni estesi anche al Pubblico pagante; a lui per ché volesse analizzare l'aqua attraverso la quale era stata fatta passare una gran massa d'aria delle nostre maremme col mezzo della machina a tal fine inventata dall'illustre Professor Gazzeri; a lui finalmente perchè insieme ad altri Dotti riferisse intorno a' bonificamenti avvenuti in alcune località delle suddette maremme. Quindi dal Granduca Leopoldo II fu insignito della Croce di Cavaliere dell'Ordine del Merito, e se ne compiacque. E non meno grata al cuor suo scese quella publica testimonianza d'onore, cui non poteva dargli maggiore la città dei suoi natali, che facendo sue proprie le glorie del Taddei volle ascriver lui coll' intera famiglia a' Nobili di S. Miniato. Della invero e pregevole la nobiltà acquistata col proprio merito, anziché ereditata dagli avi; come bella è la povertà quando è sprone a nobili cose nelle anime capaci di sentirle. Il Taddei pertanto nel toccare il colmo delle sue scientifiche e civili soddisfazioni non era meno felice nel seno della sua famiglia, perocché marito integerrimo e padre affettuoso, ve
niva ricambiato di tenere ed amorevoli cure da una degna e di letta consorte che lo aveva già fatto lieto di numerosa prole, per la quale era pur giunto a provvedersi d'una discreta fortuna. Tutto insomma arrideva intorno a lui, e quasi niuna cosa pareva gli restasse più oltre a desiderare. Ma, oh Dio! quanto sono fugaci le contentezze quaggiù!
Correva l'anno 1848 di lieta a un tempo e dolorosa memoria. Il movimento dell'italiana indipendenza, che invadeva gli animi di lutti, penetrò anche nel laboratorio del Chimico. E questi, per corrispondere non meno ai desiderj de suoi concittadini che lo eleggevano per ben due volle Deputato all'assemblea Toscana, si levò pieno il cuore di lusinghiere speranze e corse per il novissimo arringo, finché la nuova sciagura che s'apparecchiava [420] all'Italia scoppiò e seco travolse uomini e cose, non risparmiando la scienza e confondendo la semplicità del Chimico colla tristizia de' pochi. Era però nei decreti della Provvidenza che il Taddei si dovesse ritemperare e perfezionare nella sventura e da questa uscire più robusto e più grande. Perduta la sua carissima catedra in un coi diletti discepoli, cercò pure nella scienza un conforto e ve l'ebbe onorevole ed efficace. Vedetelo infatti nella sua propria abitazione attorniato da un eletto stuolo di cittadini volonterosi d'intendere e d'ammirare i vantaggi e le bellezze della Chimica, vedetelo, io diceva, dettare un corso di lezioni private intorno a questa scienza ampiamente svolta da lui in ogni sua parte, e comporre così e divulgare per le stampe un libro di Chimica generale che più degli altri onora grandemente il Taddei. E divero il suo natural genio intollerante di qualunque pastoja e vago di spaziare in ogni regione della Chimica, potè spiccare liberissimo il volo, quando non astretto da veruno speciale e determinato modo d'insegnamento fu padrone di scegliere il campo più confacente alle sue vaste aspirazioni. Il perchè non fu né poteva essere il Taddei, a parlar propriamente, uno specialista, ma poteva essere e fu un Chimico inteso a seguire la scienza ed abbracciarla quanto essa è grande nelle sue molteplici diramazioni e nelle sue svariatissime applicazioni. Aprite quel libro delle Lezioni orali di chimica generale, disteso e spartito in sei grossi volumi, e sempre maggiore ne ritrarrete la convinzione di quanto è stato dello fin qui. In quello ricorrono invero sempre opportuni e trovano amplissimo e naturale svolgimento tutti quanti gli studj e i lavori, tutti quanti i progetti e i pensieri dell'Autore, che formano uno de' pregi migliori dell'Opera. In quello non si può appuntare di ridondanza, qualunque sia la dovizia de' metodi e de' processi chimici usati in ogni maniera d'indagine, qualunque sia la copia delle dottrine fisiche e chimiche, dalle più elevate speculazioni fino alle più positive ed umili applicazioni, perchè tutto può tornar utile e giustificarsi sempre dall'indole del libro. In quello finalmente i metalli, le saline, le acque, l'arido borico, le porcellane, la caria, i colori e mille altre materie si minerali che organiche porgono all'Autore utilissimo e nobile argomento di manifestare le ricchezze e le industrie, i bisogni e i desiderj del nostro Paese e della Toscana in particolare, al confronto colle altre parli d'Europa. Non [421] sarà, se volete, un tal libro da proporsi in tutto e per tutto a modello d'un corso di lezioni di Chimica generale per gl'insegnanti e meno per gli alunni, quantunque la parte organica in genere vi comparisca distinta e separata da quella inorganica più che nella Farmacopea generale, e quantunque vi sia dimessa quella complicata nomenclatura che intendeva ad esprimere il numero degli atomi contenuti in tutti quanti i composti, e che era pur troppo d'inciampo alla libertà del discorso negli altri libri dello stesso Autore. Ad ogni modo sarà sempre quel libro un bel tesoro di scienza per consultarsi con profitto da quanti intendono alla Chimica, e più specialmente a quella rivolta a soccorrere le arti e le industrie d'ogni genere, e desiderano ad un tempo conoscere particolarmente le cose del nostro Paese. E perchè l'Opera contenesse tutto ciò che di più importante e di nuovo si sapeva a quel tempo in ogni ramo della scienza chimica, l'Autore la corredò d'un volumetto d'Aggiunte concernenti segnatamente i progressi fatti da questa nei sette anni che ne durò la pubblicazione.
Alla sventura toccata al Taddei come pubblico insegnante, altre succedevano e più gravi, le sventure domestiche, conciossiachè si vedesse in breve tempo rapire dalla morte non pochi de' suoi carissimi figli nel più bel fiore degli anni. Ma lo sostenne sempre nel doloroso cimento e lo salvò quella scienza che fino a Dio s'innalza, perchè indaga e discuopre le maraviglie del creato; laonde per essa non mai gli vennero meno i più dolci conforti dell'animo. Infatti la Società Italiana delle Scienze residente in Modena, per tacere d'altre, si faceva sollecita d'accogliere tra' suoi Quaranta il Taddei in sostituzione del defunto insigne naturalista Rusconi. Le nostre stesse accademie, compresa pure quella d'Arti e Manifatture, e non escluso l'Ateneo, i nostri Periodici di genere vario, i nostri Tribunali, i Municipj, i Privali ambivano sempre più l'onore di una sua lettura, d'un suo scritto, d'un giudizio, d'un parere, d'un' analisi, anche in forza della nuova celebrità che egli andava procacciandosi nella pubblicazione dell'ultimo suo libro. E il Taddei radoppiava d'alacrità e di zelo per corrispondere a tutto e a lutti, e per ben meritare della stima e della fiducia che in lui riponevasi. Le ricerche sulla pietra infernale, e quelle sul rame e sui derivati d'esso; il nuovo fonte d'alimentazioue delle piante già ravvisato più volte nell'humus, la filtrazione a lucignolo, la necessità di [422] stabilire una lavorazione Raffineria dei metalli preziosi ; le considerazioni sulla malattia delle uve, il modo di provveder Firenze di nuova aqua potabile, il sifone intermittente o a pozzetti, l'ozono, i letami o ingrassi, la perizia e l'esame analitico su varie qualità di rhum, l'analisi dei vini esteri requisiti in Firenze, il concetto nel quale debbono essere ritenuti i vini esteri importati in Toscana; le analisi chimiche dell'acqua mefilico-alcalina di Collalli, di quella salso-alcalina della Banditella, di quella salino-purgativa di Lujano, l'idrologia ragionala dell'aqua del Rio di Chitignano, il modo di rendere ai medici più familiare il maneggio dei mezzi terapeutici, sono altrettanti argomenti da lui svolti e più che sufficienti a provare l'asserto, senza citarne altri parecchi che non sono specialmente di pubblica ragione. Che più? lo stesso Governo Granducale restaurato aveva già ceduto alla scienza del Taddei, poiché fino dal 1853 incaricava lui di studiare i metodi di partizione e d'affinamento dei metalli, usati fin allora nella Zecca di Firenze, affinché proponesse quei miglioramenti reputati maggiormente opportuni. E il Taddei propose, e fu poi chiamato a porre in opera, i nuovi metodi per l'aria umida in sostituzione a quegli antichi della coppelia. Prescelse fra i primi il processo fondato sull'azione dell'acido solforico e delle lastre di rame; diresse egli stesso le relative operazioni, e vi assistette fino agli ultimi suoi giorni, e per cotal guisa procacciò ogni maggior decoro ed economia a quell'Officina. Taccio dell'analisi rinnovata sulle aque minerali di Montecatini, affidata dallo stesso Governo al Taddei in compagnia degli altri distintissimi Chimici Targioni e Piria. Farò piuttosto singolar menzione di un più grave e delicato ufficio a lui solo special mente affidato dal nostro Municipio inteso ad arricchir Firenze della maggior quantità e della miglior qualità possibile d'aqua per soddisfare a tutti quanti i bisogni. Progetto veramente grandioso e meritevole di ogni elogio e degno di essere quandochessia attuato. Al quale rispondeva con lieto animo il Taddei, come quegli che ne aveva già vagheggialo l'idea, e che aveva altresì concepito il disegno di profittare dell'aqua dell' Arno per meglio sopperire ai bisogni specialmente delle arti e delle industrie. Il nostro Chimico pertanto componeva un lavoro non meno grandioso e pregevole che fu pubblicalo col titolo d'Idrologia di Firenze; grandioso, perchè riunisce le analisi delle varie aque potabili già in uso in [423] que sta città, congiuntamente a quella della nuova aqua del fiume Sieve proposta in loro sostituzione; pregevole, perchè i resultamenti ottenuti sono parte dell'opera sua. Se non che lascia tuttavia a desiderare una seconda analisi particolarmente dell'aqua del fiume in condizioni diverse, non che una maggior temperanza nei t'indizi tanto di biasimo , quanto di lode, delle diverse aque raffrontate fra loro, massime in relazione colla pubblica salute. Ma come argomento di vivissima ed ineffabile compiacenza per il Chimico Italiano giova qui rammentare la Croce di Cavaliere de' Santi Maurizio e Lazzaro, con che nell'anno 1857 lo decorava l'Italiano Re Vittorio Emanuele, mercè le cure affettuose del nobile amico Cav. Lorenzo Cantù, che presentava all'Augusto Monarca diverse Opere del Chimico insigne. Fu questo, sarei per dire, il segnale che annunziava al Taddei la fine delle sventure patite e il principio d'un avvenire che lo avrebbe ricolmo di gioja.
I tempi erano grossi. La Francia scendeva in soccorso del Piemonte per respingere le aggressioni dell'Austria. La Toscana si commoveva , e scomparso il Granduca Leopoldo lI nel memorabile giorno 27 d'aprile 1859, si reggeva a Governo Provvisorio riformato appresso con un compiuto ministero. Al marchese Cosimo Ridolli che amò cordialmente il Taddei fino alla morte, era riserbato il vanto di riporlo nel suo primiero splendore e di ridonarlo al pubblico insegnamento, avvegnaché fatto Ministro della pubblica istruzione Io ripristinasse nella pienezza di lutti i suoi titoli, onori ed emolumenti , coll'obbligo altresì d'una catedra in Firenze. Ed invero al Taddei, come all'uomo celebre e consumato principal mente nelle chimiche investigazioni d'ogni specie, miravano per fermo coloro che proposero la nuova caledra di Tossicologia sperimentale che poi fu istituita di fatto nella nostra scuola di pratiche medico-chirurgiche in questo Arcispedale. Non rimaneva al nostro chimico da conseguire che un ultimo grado di distinzione, il quale lo additasse sempre più all'ammirazione del pubblico, e l'ebbe dallo stesso Re Vittorio Emanuele, quando, effettuata l'annessione della Toscana, fu nominalo Senatore del Regno. Così otteneva il Taddei la maggior possibile riparazione ai mali sofferti; così aggiungeva la meta segnata alle umane felicità.
Era infatti da tempo nella salute di lui incominciato un certo deperimento che andava gradatamente crescendo, e più che all'età [424] e alla gracile costituzione del suo corpo, assottigliato eziandio dalle diuturne fatiche, tu ne avresti di leggieri attribuito la cagione a un'antica affezione polmonare che di quando in quando aveva pure contristato e minacciato i suoi giorni. E tale malauguratamente fu appunto l' ultima sua malattia, che lo toglieva quasi d' improvviso ai viventi. Nel corso della quale, rivolto il pensiero agl'infermi, concepiva il disegno d'un letto pensile capace di sollevarli dal proprio letto per mutare all'uopo lutto il piano della loro giacitura; disegno che fu posto in opera, lodato ed approvato dipoi dallo stesso Governo per giudizio d'una Commissione espressamente chiamata a sperimentarlo nel nostro Arcispedale; se non che il pensiero dell' illustre infermo correva ogni tanto altresì a Torino, proponendosi di raggiungere gli altri colà, e prender posto fra i senatori nel Parlamento Nazionale. Nella quale occasione meditava non meno di visitare viaggiando altre zecche per apprendervi, se facesse di mestieri, ciò che la pratica avesse consigliato di meglio, o per congratularsi seco stesso dei vantaggi giù procacciati a quella di Firenze. Ma ohimè! la morte troncò in un tratto le concepite speranze.
La città di S. Miniato, che aveva preso il più vivo interesse così alle sventure, come alle splendide ristorazioni del suo benamato concittadino, lo volle anche celebrare estinto. All'anima di lui si fecero solenni esequie, ed alla sua memoria furono tributati onori ed elogi anche dall'Accademia degli Euteleli, che tredici anni prima lo aveva acclamato suo Presidente perpetuo. Un ultimo atto ben degno della terra che aveva dato l'essere al Taddei, e che n'era stata oltremodo rimeritata, fu quello di volerne piamente accogliere e conservare le ossa, a memoria ed esempio perenne dei posteri. Per la qual cosa disumato il cadavere dell'illustre Defunto dalla Chiesa di S. Miniato al Monte presso Firenze, ov'eragli stata data pure onorevole sepoltura, fu con affettuosa reverenza trasferito e sepolto nella Cattedrale della sua città.
Questa la storia, questo il giudizio, che io richiesto faceva per onorare il Chimico italiano che non è più. Che se nel dettare la prima volta un elogio fossi sembrato piuttosto severo dove intesi d'essere schietto e imparziale, mi conforta l'idea che le fonti del mio dire e del mio giudicare sono aperte a chiunque, perchè derivano principalmente dalle Opere dell' elogiato che rimangono tuttavia.

Firenze, 30 Settembre 1860.
Prof. Serafino Capezzuoli


NOTE
(1) Questo fatto molto singolare, richiamato soltanto alla memoria dall'Autore nella sua Chimica gentrale, ci lascia tuttavia nel desiderio non solo di conoscerne le prove, ma di sapere eziandio qual fosse in effetto la precisa composizione dell' aqua che scaturiva da un banco di calce caustica; d'altra parte ne duole che tale aqua venisse in seguito da lui stesso abbandonata, dappoiché il fatto allegalo darebbe ragione a crederla dotata anche di proprietà chimiche piuttosto speciali.

sabato 28 maggio 2016

50 ANNI FA NASCEVA IL MUSEO DIOCESANO D'ARTE SACRA DI SAN MINIATO

di Francesco Fiumalbi

Il Museo Diocesano d'Arte Sacra compie 50 anni: annesso alla Cattedrale, venne inaugurato il 28 maggio del 1966 e fu la prima esposizione permanente a San Miniato. A distanza di mezzo secolo, ancora oggi, rappresenta uno scrigno che accoglie le testimonianze della devozione cristiana nella nostra terra, dal medioevo fino ai giorni nostri. Al suo interno è possibile ammirare opere d'arte provenienti dalle chiese dell'intera Diocesi, fra cui molti capolavori realizzati da artisti di indiscusso valore. Per citare alcuni nomi molto conosciuti: Lorenzo Monaco, Jacopo di Mino del Pellicciaio detto il “Maestro degli Ordini”, Cenni di Francesco di Ser Cenni, Neri di Bicci, Jacopo Chimenti detto “L'Empoli”, Lodovico Cardi detto “Il Cigoli”, Giovanni Bilivert, Giambattista Tiepolo, Camillo Sagrestani e molti altri. Fra le particolarità presenti nelle sale del Museo, i bacini ceramici originali provenienti dalla facciata della Cattedrale e alcune basi delle colonne della perduta Pieve di Barbinaia. Considerevole anche l'apparato dell'oreficeria sacra, per un totale di circa sessanta opere esposte, a fronte di catalogo complessivo di oltre cento unità. Nel 2012 la Regione Toscana ha riconosciuto al Museo Diocesano l'attestato di “Museo di Qualità”. Inoltre, dal 2014 il percorso artistico si è arricchito della suggestiva visita alla torre campanaria.


L'IDEA E LE SUE ORIGINI
L'idea di costituire una collezione permanente d'arte sacra fruibile dal grande pubblico, trovò origine nel dibattito culturale sanminiatese fin dagli anni '30 del secolo scorso. L'impulso decisivo, tuttavia, prese avvio solamente sul finire degli anni '50, in occasione della formazione del catalogo per la Mostra del Cigoli e del suo ambiente (Santa Chiara, 1959), quando si manifestò la necessità, ormai non più rinviabile, di conservare e valorizzare in maniera organica e strutturata il grande patrimonio storico-artistico della Diocesi di San Miniato. Questa fase preliminare, avviata nel 1957, trovò l'elemento propulsore nella figura di Francesco M. Galli Angelini – nella triplice veste di Canonico della Cattedrale, Ispettore Onorario della Soprintendenza e Presidente dell'Accademia degli Euteleti – il quale si impegnò alla fattibilità dell'operazione, contattando la Soprintendenza e il Ministero dei Lavori Pubblici. Un paio d'anni più tardi, nell'aprile-maggio 1959 vennero gettate le basi per l'accordo col Capitolo della Cattedrale che mise a disposizione le sacrestie annesse al Duomo, da destinare alle sale espositive.
Nacque così il Museo Diocesano d'Arte Sacra, grazie all'impulso dell'ambiente culturale sanminiatese, che incontrò il fattivo sostegno del Vescovo Mons. Felice Beccaro e del Capitolo dei Canonici. Determinanti contributi economici ed organizzativi per il suo compimento arrivarono dai ministeri della Pubblica Istruzione e dei Lavori Pubblici, dalla Cassa di Risparmio e dal Comune di San Miniato, dall'Ente Provinciale per il Turismo e dalla Provincia di Pisa.

IL COMITATO D'ONORE
Venne costituito un apposito Comitato d'Onore, presieduto dal Card. Ermenegildo Florit Arcivescovo di Firenze e composto da tutti i vescovi della Toscana, oltre che dai ministri Vittorio Gui (Pubblica Istruzione) e Giacomo Mancini (Lavori Pubblici), dall'On. Pietro Bucalossi (all'epoca Sindaco di Milano), Mario Salmi (Pres. del Consiglio Superiore delle Belle Arti), Piero Sampaolesi (Ist. Restauro dei Monumenti di Firenze), Nello Baldinotti (Sindaco di San Miniato), Silvano Vallini (Pres. CRSM) e da molte altre personalità del mondo della politica, della ricerca e delle istituzioni civili e religiose. Il Soprintendente Ubaldo Lumini, per l'occasione, riconobbe che «la Città tutta, dalle Autorità al cittadino, ha dimostrato in mille modi il suo favore all'iniziativa, con la consapevolezza cosciente che nuovo lustro si aggiunge oggi alla fama di S. Miniato, già ampia, e per la sua storia, e per i suoi monumenti, uniti alla incomparabile bellezza del paesaggio».

IL COMITATO ESECUTIVO
Ad affiancare quello del Soprintendente, invece, nel Comitato Esecutivo, i nomi di maggior rilievo nel panorama culturale sanminiatese del tempo. Su tutti l'infaticabile Dilvo Lotti, il cui contributo in termini di conoscenza, autorevolezza, ma anche di energia ed entusiasmo, risultò determinate per la costituzione del Museo. Nell'elenco ritroviamo i canonici Vasco Simoncini (Proposto della Cattedrale e Pres. dell'Opera del Duomo), Aldo Stacchini (Pres. della Commissione Diocesana d'Arte Sacra), Lelio Mannari (storico) ed Enrico Giannoni. Dalle istituzioni culturali Umberto Rondoni (Pro Loco S. Miniato), Antonio Gamucci (Accademia degli Euteleti) e molti altri. L'allestimento venne curato dall'arch. Sergio Aussant (Ispettore Soprintendenza) per la parte architettonica e da Ubaldo Lumini per quella espositiva. Le opere del catalogo furono selezionate da Licia Bertolini Campetti (Direttrice alle Gallerie di Pisa) e da Dilvo Lotti.

VALORIZZAZIONE, MA ANCHE CONSERVAZIONE
Negli anni il Museo non è stato solamente uno strumento di valorizzazione e fruizione del patrimonio artistico al grande pubblico, ma anche il luogo della tutela e della conservazione. Molte opere, infatti, prima di essere collocate nelle sale espositive, furono sottoposte ad attento restauro. Ancora oggi, i capolavori, oltre ad essere custoditi in ambiente protetto e sorvegliato, fanno parte di un articolato programma di restauro che va avanti da cinquant'anni. Ad esempio, nel 2013, al termine di un lungo e complesso intervento, ha fatto ritorno la “Madonna della Cintola con i Santi Giovanni Battista, Tommaso e Bartolomeo” di Neri di Bicci, proveniente dalla Pieve di Corazzano.

[Gran parte delle informazioni contenute in questo post sono tratte dal Bollettino dell'Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato, n. 38 del 1966, "Dedicato all'apertura del Museo Diocesano d'Arte Sacra di San Miniato"]

Il Museo Diocesano e la Torre campanaria
Foto di Francesco Fiumalbi

lunedì 23 maggio 2016

[VIDEO] CONVEGNO “COSTRUIRE LO SVILUPPO” – SAN MINIATO, 21 MAGGIO 2016

a cura di Francesco Fiumalbi

Sabato 21 maggio 2016, presso la Sala Consiliare del Comune di San Miniato, si è tenuto un interessante convegno di archeologia dal titolo Costruire lo sviluppo. La crescita di città e campagna tra espansione urbana e nuove fondazioni (XII-XIII secolo). L'iniziativa è stata organizzata dal Prof. Federico Cantini, docente di archeologia medievale del Dipartimento Civiltà e Forme del Sapere dell'Università degli Studi di Pisa, in collaborazione con il Comune di San miniato.
Un ricco programma ricco in cui sono stati illustrati interessanti dati archeologici, utili per comprendere e descrivere il processo di sviluppo urbano che si verificò in Toscana a cavallo dei secoli XII e XIII.


Un momento del convegno
Foto di Francesco Fiumalbi

Particolare attenzione è stata rivolta anche al territorio sanminiatese ed in particolare all'area di San Genesio. Il Prof. Federico Cantini e la Dott. Beatrice Fatighenti hanno illustrato i risultati dell'ultima campagna di scavo (2015) che ha visto riemergere i resti di una buona porzione dell'antico abitato in prossimità della pieve. Un vero e proprio borgo, con un'articolazione e con caratteristiche di pianificazione proprie di un piccolo centro urbano.

Il convegno ha occupato il tempo dell'intera giornata, tuttavia è stato possibile effettuare la registrazione video solamente della sessione mattutina, che è proposta di seguito.


Costruire lo sviluppo. La crescita di città e campagna
tra espansione urbana e nuove fondazioni (XII-XIII secolo).
San Miniato 21 maggio 2016, sessione mattutina
Video di Francesco Fiumalbi

Costruire lo sviluppo, Convegno di Archeologia, San Miniato, 21 maggio 2016, sessione mattutina:

Saluti delle autorità e introduzione
Chiara Rossi, Vicesindaco e Assessore alla Cultura del Comune di San Miniato
Federico Cantini, Introduzione al convegno

G. Ciampoltrini, Lucca fra XII e XIII secolo: lo sguardo dell’archeologo VAI ALL'INTERVENTO ↗

M. Baldassarri, Da villa a civitas: la proiezione urbana di Pisa nell'area di Chinzica tra XII e XIII secolo VAI ALL'INTERVENTO ↗

S. Leporatti, Lo sviluppo urbano di Pistoia fra XII e XIII secolo. Interventi nel tessuto edilizio della civitas nova VAI ALL'INTERVENTO ↗

F. Cantini, B. Fatighenti, A. Meo, S. Buonincontri, G. Gallerini, F. Benedetti, I. Carli, Il borgo di San Genesio tra distruzioni e ricostruzioni: l’evidenza archeologica VAI ALL'INTERVENTO ↗

A. Alberti, Le terre nuove lucchesi e pisane del Valdarno inferiore. Insediamenti e dinamiche del popolamento tra XIII e XIV secolo VAI ALL'INTERVENTO ↗


Saluto di Vittorio Gabbanini, Sindaco del Comune di San Miniato




domenica 22 maggio 2016

IL RINNOVAMENTO ARCHITETTONICO DELLA CHIESA DI CIGOLI NELL'800

a cura di Francesco Fiumalbi

Sommario del post:
INTRODUZIONE
LA CHIESA DI CIGOLI NELLA PRIMA META' DELL'800
IL NUOVO PRESBITERIO E LE PITTURE DI FERDINANDO FOLCHI – 1861
LA NUOVA FACCIATA – 1870/1873
LA NUOVA SCALINATA – 1873/1874
NOTE E RIFERIMENTI

INTRODUZIONE

Gran parte delle chiese sanminiatesi, da un punto di vista storico, artistico e architettonico, sono il risultato di una plurisecolare stratificazione di interventi, ristrutturazioni, rinnovamenti, rifacimenti e aggiunte. Le istanze che portarono a “cambiare”, a “rinnovare”, ad “ampliare” furono diverse: il variare del gusto alle istanze formali e stilistiche del tempo, l'aumento della popolazione, ma anche l'aggiornamento per esigenze cultuali o liturgiche. Pensiamo, ad esempio, alle novità introdotte con il Concilio di Trento, ma anche con il Concilio Vaticano II nella seconda metà del '900. Ad eccezione di quelle modifiche dettate dalle novità liturgiche, per buona parte si tratta di operazioni che oggigiorno sarebbero impensabili, se non addirittura impossibili.

Le chiese e il loro apparato artistico e decorativo, infatti, sono considerate “Beni Culturali” e gli interventi sono regolamentati attraverso apposite leggi statali (su tutte la vecchia 1089/39, ma anche il vigente Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, ovvero il D.Lgs 42/2004 e successive modificazioni). In passato la conservazione, al contrario di oggi, era decisamente subordinata all'aspetto estetico e funzionale. Solamente agli edifici monumentali, ai grandi capolavori del passato, era riservata una sorta di attenzione, prossima a quella che noi chiamiamo “tutela”. Nell'ultimo secolo l'approccio culturale agli edifici o ai manufatti storici è radicalmente mutato, ma fino almeno ai primi decenni del '900 anche le chiese potevano essere trasformate completamente, le opere vendute o profondamente alterate per adattarle a nuove sistemazioni. Anche a Cigoli è accaduto questo.

Chiesa di San Giovanni Battista a Cigoli
Santuario di Maria Madre dei Bimbi
Foto di Francesco Fiumalbi

LA CHIESA DI CIGOLI NELLA PRIMA META' DELL'800

A Cigoli siamo in presenza di una chiesa di origine medievale (documentata con certezza nel 1260 sotto il titolo di San Michele, ma di fondazione precedente) che nel corso dei secoli ha subito notevoli cambiamenti. Il primo aspetto è dovuto alla presenza della venerata immagine mariana prototrecentesca e dei pellegrinaggi ad essa legati. Poi l'arrivo degli Umiliati nel 1339, ma anche la traslazione del fonte battesimale dalla Pieve di Fabbrica e quindi l'elevazione al rango di Pieve. E ancora il rinnovamento dovuto al Concilio di Trento, la soppressione dei frati Umiliati nel 1571 e la propositura commendataria fra '500 e '700, i frati Minimi di San Francesco di Paola, le numerose confraternite, fino all'aumento della popolazione fra '700 e '800 (01).

Le visite pastorali, condotte dai vescovi lucchesi prima e da quelli sanminiatesi dal 1622, sono fonti di preziose informazioni. Seppur in forma estremamente sintetica e sommaria, nei resoconti veniva fatta anche una sorta di descrizione della chiesa: gli altari presenti, le opere di particolare pregio, i benefici ecclesiastici, note e raccomandazioni circa l'arredo liturgico. Tuttavia una vera e propria “fotografia” della situazione nella prima metà dell'800 è rappresentata dalla planimetria della chiesa contenuta nella Catasto Generale Toscano che, per il Comune di San Miniato, è datato al 1834.

Nell'immagine proposta di seguito, si può osservare come la chiesa avesse praticamente le dimensioni odierne, suddivisa in tre navate. Gli altari erano ben cinque: quello maggiore al presbiterio, due in testa alle navate secondarie (fra cui quello della venerata Madre dei Bimbi) e due sulle pareti laterali. Sul retro dell'altar maggiore – corrispondente all'attuale presbiterio fra il grande arco e la parete di fondo – vi era un locale rettangolare di larghezza pari a quella della navata. Probabilmente costituiva l'antico coro dei frati Umiliati. Dalla parte opposta, sulla facciata, si nota la presenza di un avancorpo che precedeva l'ingresso alla chiesa. Si trattava, con ogni probabilità, di un piccolo esonartece (un nartece esterno), non sappiamo se porticato o meno. Il profilo della facciata doveva presentarsi “a capanna”, seguendo la configurazione della copertura con le falde laterali in continuità rispetto a quelle della navata principale.

Esternamente il sagrato si presentava come lo conosciamo oggi: il piazzale “pensile”, ricavato dal riempimento del muraglione e contraddistinto dai due grandi fornici sul lato occidentale. La via d'accesso corrispondente planimetricamente alla scalinata attuale, seppur con un diverso profilo e sussistente su terrapieno per l'intera sua lunghezza.

Pochi anni prima, nel 1827 era stato realizzato l'organo, ad opera di Giosué Agati e Figli, poi restaurato in varie occasioni fino ai giorni nostri (02). Questo nuovo elemento probabilmente aveva prodotto alcuni cambiamenti: l'innesto della balaustra a mensola sopra la porta di ingresso e la chiusura della finestra (non sappiamo se a forma rettangolare o circolare) nella parte alta della facciata. Tuttavia fra la seconda metà dell'800 e la prima metà del '900 la chiesa di Cigoli cambiò volto completamente.

La chiesa di Cigoli nella cartografia catastale del 1834
Estratto dal Catasto Generale della Toscana,
Sezione V1, “Castello di Cigoli
Archivio di Stato di Pisa, Catasto Terreni, Mappe, San Miniato, n. 96
Immagine tratta dal sito web del “Progetto CASTORE”
Regione Toscana e Archivi di Stato Toscani
Per gentile disponibilità. Info Crediti e Copyright

IL NUOVO PRESBITERIO E LE PITTURE DI FERDINANDO FOLCHI – 1861

La prima operazione di cui si abbia notizia nella seconda metà dell'800, è rappresentata dalle tre opere pittoriche commissionate dal Pievano Giovanni Peraimond nel 1861 a Ferdinando Folchi [Firenze, 2 maggio 1822 – 20 agosto 1883]. Il pittore entrò in contatto col pievano grazie alla famiglia Bertolli-Carranza che, nel 1860, aveva assegnato all'artista fiorentino il compito di eseguire l'Assunzione della Vergine e Angeli sul soffitto della cappella annessa alla Villa di Castellonchio (03).
A Cigoli il Folchi realizzò tre opere: l'affresco di San Giovanni Battista nella parete di fondo, la pittura dell'Assunzione di Maria al Cielo nella cupoletta ribassata del presbiterio (pagamento 2 luglio 1861) e la tela con i SS. Francesco e Ambrogio.
I due affreschi, per la loro collocazione, lasciano ipotizzare che l'antico coro della chiesa (costituito probabilmente dai frati Umiliati e ancora visibile nella planimetria catastale del 1834), fosse stato dismesso e aperto verso l'aula. In questo modo si venne a riconfigurare lo spazio del presbiterio, così come lo conosciamo oggi. Una piccola rivoluzione che produsse, con ogni probabilità, anche lo spostamento dell'altare verso la nuova parete terminale.

La porzione della parete di fondo affrescata dal Folchi fu solamente quella relativa alla figura di San Giovanni Battista, collocata su di un piedistallo al centro di una grande nicchia dipinta, quasi fosse un'abside. La rimanente decorazione circostante è successiva.
Ad una prima occhiata il disegno può apparire di prospettiva incerta. Le linee, tuttavia, acquistano plausibilità se spostiamo il punto di vista dell'osservatore dall'aula verso il presbiterio, ed in particolare nel punto dove era collocato l'altare originario. L'attuale posizione è frutto del rinnovamento liturgico avvenuto con il Concilio Vaticano II. Alla metà dell'800 doveva essere essere in posizione molto più arretrata, addossato alla parete di fondo o leggermente scostato da essa. Da un punto di vista stilistico, il trattamento della calotta absidale è contraddistinto da una serie di nervature intrecciate a ventaglio. Come elemento architettonico, seppur dipinto, deriva dalla cella superstite del Tempio di Venere e Roma ai Fori Imperiali, ripreso in epoca barocca nella composizione al centro della Fontana di Trevi. Riguardo alla raffigurazione della Vergine Assunta, l'intervento del Folchi comprendeva probabilmente anche una decorazione circostante, andata coperta dall'intervento successivo.

Ancora Ferdinando Folchi, nello stesso anno, realizzò la tela con i SS. Francesco e Ambrogio per un altare laterale della chiesa (pagamento 18 novembre 1861). Gli altari laterali vennero eliminati nel 1937, e il dipinto rimase depositato in una soffitta fino alla metà degli anni '80 del XX secolo, quando venne recuperato e ricollocato nell'altare in testa alla navata destra, dove tutt'ora si trova (04).

Chiesa di San Giovanni Battista a Cigoli
Santuario di Maria Madre dei Bimbi
Ipotesi dello stato della facciata alla metà dell'800
con la presenza dell'esonartece
Disegno di Francesco Fiumalbi

LA NUOVA FACCIATA – 1870/1873

Pochi anni dopo fu realizzata la costruzione della nuova facciata. I lavori iniziarono intorno al 1870 (per impulso del Cappellano Marinari e grazie all'impegno del sig. Giuseppe Rossi, al tempo dell'“Economo” Meucci (05)) e furono completati nel 1873.

L'intervento mutò radicalmente l'aspetto della chiesa, conferendo all'edificio un carattere più elegante e riverberando, all'esterno, la distribuzione interna dei volumi. Quattro paraste, intervallate da un paramento in lieve bugnato ad intonaco, all'interno del quale sono inserire le aperture: la porta principale, le due laterali, sormontante da altrettante finestre rettangolari oblunghe. L'intera composizione si configura geometricamente come un tempio, alla cui sommità trova spazio un ampio timpano centrale, sormontato dalla croce. In posizione terminale, ad ogni parasta corrisponde una piccola cuspide acuminata. Tale espediente contribuisce a scandire il ritmo geometrico, conferendo slancio alla facciata. In posizione pressoché baricentrica, fra il portale principale e la nicchia con la statua in cotto di San Giovanni Battista, trova posto un'epigrafe con la seguente iscrizione:

DI QUESTA CHIESA
SACRA AL NOME E ALLA GLORIA DEL BATTISTA
LA FACCIATA DISADORNA
E ORMAI TROPPO OFFESA DAL TEMPO
PER LA GENEROSITA' DEL POPOLO
E PER LO ZELO DE'
MAGGIORENTI
L'ANNO MDCCCLXXXIII
VENNE RESTAURATA E A NOBILE FORMA CONDOTTA

La facciata della chiesa di San Giovanni Battista a Cigoli
Santuario di Maria Madre dei Bimbi
In rosso il profilo ipotetico della vecchia facciata
Disegno di Francesco Fiumalbi

Chiesa di San Giovanni Battista a Cigoli
Santuario di Maria Madre dei Bimbi
particolare dell'epigrafe sulla facciata
Foto di Francesco Fiumalbi

LA NUOVA SCALINATA – 1873/1874

Nel luglio 1872 la scalinata che saliva dall'attuale via Fiume allo spazio aperto antistante la chiesa subì un considerevole dissesto. Non è dato sapere se, oltre all'incuria, si fossero verificate anche precipitazioni intense. Sta di fatto che la scalinata rimase praticamente inagibile per la sua metà superiore. Il 27 luglio 1872 la Giunta municipale del Comune di San Miniato deliberò la realizzazione di alcune opere di somma urgenza, fra cui il consolidamento delle fondazioni e la demolizione di porzioni pericolanti, al fine di tamponare la situazione di emergenza. Tra l'altro i lavori alla facciata della chiesa, iniziati nel 1870, non erano ancora conclusi: sia l'approvvigionamento dei materiali da costruzione che l'accesso dei fedeli alla chiesa, dovettero incontrare non poche difficoltà.

Conclusi i lavori preliminari, l'Ing. Bachi, Capo dell'Ufficio Tecnico comunale, stese una perizia per i lavori di ricostruzione della scala, datata 28 gennaio 1873. Le opere da realizzare consistevano nel rifacimento delle ultime due rampe, da appoggiare a quattro grandi arcate in muratura. Secondo il computo dell'ingegnere per i lavori sarebbero occorse 4374,14 lire. Venne fissata la data della gara d'appalto nel giorno 16 febbraio 1873. La procedura di selezione durò fino al 26 febbraio successivo e risultò vincitore l'impresa del Sig. Carlo Del Rosso che si aggiudicò i lavori per la somma di lire 3892,98. Il contratto venne stipulato il 16 marzo 1873. I lavori iniziarono immediatamente (06).

Tuttavia anche il muro dell'orto della canonica minacciava rovina. La Sottoprefettura di San Miniato, visto il pericolo per la pubblica incolumità, il 20 aprile 1873, intimò al Municipio di provvedere. A quel punto vennero demolite le porzioni pericolanti.
Questi nuovi interventi, unitamente ad alcuni lavori risultati più onerosi, determinarono un aumento dei prezzi, come da rapporto dell'Ing. Bachi del 15 giugno 1874. La Giunta Municipale deliberò, quindi, lo stanziamento di ulteriori 1000 lire. La contabilità dell'opera fu definitivamente chiusa il 2 settembre successivo per un importo complessivo di 4962,67 lire, determinando un risparmio rispetto a quanto preventivato di lire 411,47 (07).

La scalinata che conduce alla Chiesa di San Giovanni Battista a Cigoli
Santuario di Maria Madre dei Bimbi
Foto di Francesco Fiumalbi

Di seguito è proposto un estratto della perizia preliminare, redatta dall'Ingegnere Comunale E. Bachi il 28 gennaio 1873 [Archivio Storico del Comune di San Miniato, Archivio Postunitario, F200 S132 UF06, fasc. 1]
UFFIZIO
DELL'INGEGNERE COMUNALE
DI
S. MINIATO

Perizia
dei lavori relativi alla ricostruzione di una parte della scala che dalla strada interna del Castello di Cigoli conduce alla Chiesa.

Ultimati i lavori necessari ad assicurare i muri pericolanti dopo l'accaduta rovina di parte della scala suddetta mediante la rifondazione di alcuni e la demolizione di altri, eseguiti per urgenza come dalla deliberazione della Giunta del dì 27 luglio p.p. per i quali è accorsa la somma di £ 944, 86 come dall'annessa nota, mi affretto ora a compilare la perizia relativa alla ricostruzione della parte di scala rovinata.

DESCRIZIONE DEI LAVORI

La scala che dall'interno del Castello di Cigoli portava alla chiesa si componeva di quattro branche di n. 17 scalini ciascuna, tre ripiani e il caposcala dal quale mediante uno scalino si accedeva al prato della chiesa. Di tale scala non vi è restata che le prime due branche e due ripiani, come rilevasi dagli annessi disegni delineati in nero, ogni rimanente delineato in rosso deve ricostruirsi.
Tal lavoro consiste nella ricostruzione di parte dei muri e parapetti rovinati, in cinque nuovi a guisa di pilastri o fiancate discosti l'uno dall'altro metri quattro, dei quali quali quattro grossi mezzo metro, a lato e l'altro m. 1,00, ove verranno impostate quattro volte reali a tutto sesto grosse centimetri 14 e spianate fino all'estradosso, ove sarà poggiata la seconda branca della scala da ricostruirsi, il ripiano e il caposcala nel muro di centro alle volte grosso m. 0,30 a rivestimento del terreno come evidentemente vedesi negli uniti disegni.
La nuova scala e ripiani ed i parapetti saranno costruiti perfettamente delle dimensioni, dei materiali e nel modo della scala rimasta intatta. Gli scalini non potranno essere in più di due pezzi comunelli come suddirsi a mezza pialla messi guazzanti in calcina ed a perfetta posa d'arte.

Seguono la stima del costo delle opere (computate in lire 4374,14), i designi del progetto architettonico e una serie di prescrizioni inerenti i modi di appalto, tempistiche, verifiche, collaudi, qualità dei materiali, etc. E' poi interessante notare come viene “qualificata” la piazza antistante, ovvero “prato della chiesa”, esattamente come era indicato il “prato del Duomo” a San Miniato. Questo particolare può far pensare ad una sistemazione a verde dell'intero sagrato, un po' come si può osservare nelle cartoline dei primi del '900, raffiguranti la Cattedrale.

La scalinata che conduce alla Chiesa di San Giovanni Battista a Cigoli
Santuario di Maria Madre dei Bimbi
Foto di Francesco Fiumalbi

NOTE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:
(01) P. Morelli, Per una storia delle istituzioni parrocchiali nel basso medioevo: la Propositura di S. Maria e S. Michele di Cigoli e la Pieve di S. Giovanni a Fabbrica, in «Bollettino Storico Pisano», n. 51, 1982, pp. 33-65; F. M. Galli Angelini, Cigoli e il suo santuario, Edizioni Ponte Blu (1° ed. Tip. Taviani, San Miniato, 1911), Santa Croce sull'Arno, 1989, pp. 43-67; N. N., Pieve di San Giovanni Battista a Cigoli in Visibile Pregare. Arte sacra nella Diocesi di San Miniato, a cura di R. P. Ciardi, CRSM, Pacini Editore, Pisa, 2000, pp. 100-101.
(02) A. Galanti, Gli organi storico del sanminiatese, Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato, Tip. Palagini, San Miniato, 1995, pp. 110-118.
(03) B. Bitossi, 40) Ferdinando Folchi (Firenze 1822-1893). I santi Ambrogio e Francesco, scheda relativa alla Pieve di San Giovanni Battista a Cigoli in Visibile Pregare. Arte sacra nella Diocesi di San Miniato, a cura di R. P. Ciardi, CRSM, Pacini Editore, Pisa, 2000, p. 108; cfr. C. Mori, Storia di Castellonchio e della Villa sub-urbana, in Il Palazzo Bertolli Carranza. Una dimora nobiliare nel centro storico di Pisa, a cura di O. Niglio, Condotte Immobiliare S.p.A., Roma, 2005, pp. 173-174.
(04) B. Bitossi, 40) Ferdinando Folchi (Firenze 1822-1893). I santi Ambrogio e Francesco, scheda relativa alla Pieve di San Giovanni Battista a Cigoli in Visibile Pregare. Arte sacra nella Diocesi di San Miniato, a cura di R. P. Ciardi, CRSM, Pacini Editore, Pisa, 2000, p. 108.
(05) E. Giomi, Una piccola “guerra” fra Ponte a Evola e Cigoli. Dalle “Memorie Storiche” di Enrico Giomi , le lotte fra il villaggio di Ponte a Evola e il castello di Cigoli per la costruzione della chiesa del Sacro Cuore (1800-1879), a cura di V. Vallini, Edizione Privata, Tip. Bongi, San Miniato, 1995, p. 43.
(06) Archivio Storico del Comune di San Miniato, Archivio Postunitario, F200 S132 UF06, Comune di San Miniato 1865-1945, Lavori Pubblici, Accolli, appalti e contratti diversi, Scritte di Accollo ed altri contratti ed Atti diversi interessanti l'amministrazione comunale di San Miniato dal primo gennaio 1873 a tutto l'anno 1875, fasc. 1.
(07) Ibidem.