domenica 3 luglio 2016

AUGUSTO CONTI NEL MANUALE DELLA LETTERATURA ITALIANA - 1910

a cura di Francesco Fiumalbi

In questo post è proposta la trascrizione della voce dedicata ad una delle figure principali dell'800 sanminiatese, Augusto Conti [San Miniato, 5 dicembre 1822 – Firenze, 6 marzo 1905], contenuta nel VI volume del Manuale della Letteratura Italiana, pubblicato per G. Barbera Editore, a Firenze nel 1910.
Il Manuale fu redatto da Alessandro D'Ancora [Pisa, 20 febbraio 1835 – Firenze, 8 novembre 1914] e Orazio Bacci [Castelfiorentino, 18 ottobre 1864 – Roma, 25 dicembre 1917] che condividevano col Conti l'amore per le lettere e l'impegno in campo politico. Il primo fu Senatore del Regno d'Italia e Sindaco di Pisa, l'altro fu Sindaco di Firenze e attivissimo socio della Società Storica della Valdelsa. Certamente ebbero modo di conoscere Augusto Conti in prima persona, stimandolo, tanto da inserirlo nel volume del Manuale dove figurano, fra gli altri, i nomi di Edmondo De Amicis e Giosué Carducci.

Augusto Conti, ritratto ad incisione
contenuto in A. D'Ancona e O. Bacci, Manuale della Letteratura Italiana,
Vol. VI, G. Barbera Editore, Firenze, 1910, v. Augusto Conti, p. 28:

Da un punto di vista dei contenuti, si tratta di una piccola sintesi del libro di Augusto Alfani, Della vita e delle opere di Augusto Conti, Alfani e Venturi, Firenze, 1906. Quest'ultimo testo rappresenta indubbiamente un'opera fondamentale per conoscere ed apprezzare la poliedrica figura di Augusto Conti, ma ha il difetto di contare oltre 500 pagine! La voce del Manuale della Letteratura Italiana invece rimane contenuta in poche paginette di facile lettura, che sono proposte di seguito.

Estratto da A. D'Ancona e O. Bacci, Manuale della Letteratura Italiana, Vol. VI, G. Barbera Editore, Firenze, 1910, v. Augusto Conti, pp. 27-31:

[027] AUGUSTO CONTI.

Nacque il 5 dicembre del 1822 da Natale e da Maria Anna Passetti in una villetta fabbricata dall'avo (livornese, ma di famiglia pisana), nel popolo di S. Pietro alle Fonti presso S. Miniato al Tedesco (prov. di Firenze). Del paese nativo descrisse la vista incantevole e la quieta bellezza in più luoghi dei suoi libri.
Da prima, com'egli stesso ci narrò in alcuni ricordi, frequentò le regie scuole di S. Miniato. E in quella sua prima giovinezza, inclinando a seguire il sensismo e lo scetticismo in filosofia, ebbe un periodo di miscredenza, che doveva poi vivamente deplorare, e che volle quasi espiare con i sempre più accesi fervori religiosi. Cominciati gli studj di legge nell'Università di Siena, li proseguì a Pisa, per terminarli e laurearsi a Lucca (che ebbe allora una [028] specie di piccola università) «poiché da Pisa, scrive il suo biografo Augusto Alfani, per un non lieve trascorso giovanile, di cui si dolse amaramente fino ai suoi ultimi anni, fu costretto ad esulare.»
Praticante d'avvocatura a Firenze, nel 1848 si arruolò volontario e combatté, sottotenente portabandiera del 2° battaglione fiorentino, a Montanara, a Valleggio, a Custoza, a Villafranca.
Tornato dal campo, fu dal 10 gennaio 1849 professore di filosofia nelle regie scuole di S. Miniato (con decreto del Ministro Franchini, essendo dittatore il Guerrazzi): per le quali scuole gli è merito di aver poi ott'anni dopo raccomandato Giosuè Carducci. (01)
Veniva, peraltro, esercitando con grande fortuna l'avvocatura, cui rinunciò poi del tutto, allorché fu nominato (dal 30 dicembre 1855) supplente, e poi (dal 10 novembre 1856) titolare nella cattedra di filosofia del R. Liceo di Lucca.
Nel 1859 dal Lambruschini, ispettore generale degli studj per la Toscana, fu invitato a Firenze come ispettore per la filosofia e le lettere nelle scuole classiche. Nominato quindi (12 marzo 1860), per il suo desiderio di tornare all'insegnamento, professore titolare di Diritto naturale e di Gius delle genti nell'Università di Siena, non vi andò, perché ai 3 novembre dello stesso anno fu incaricato della Storia della filosofia nell'Istituto di studj superiori in Firenze: andò poi, nell'ottobre del 1862, ordinario della disciplina stessa all'Università di Pisa, e nel 1867 fu restituito dal ministro Coppino a Firenze con la cattedra di Filosofia razionale e morale, che occupò sino al 1° novembre del 1899, avendo per alcun tempo (1872-77) pure l'incarico della storia della filosofia.
Fu anche nella vita pubblica: consigliere comunale della sua città; membro, dal 1864 al '67, del Consiglio superiore dell'istruzione; dal 1875, per molti anni consigliere, e dal 1878, per sette anni, assessore del Comune, e, inoltre, consigliere della Provincia di Firenze. Dal 1866, per due legislature, fu deputato al Parlamento. Allo studio di opportune riforme nelle scuole, all'Associazione nazionale per soccorrere i missionarj italiani dette opera e consiglio: nel suo programma politico mirò, come altri egregj, alla formazione d' un partito conservatore-cattolico, respingendo però [029] Il nome di clericale (Lettera al giornale L'Opinione del 3 dicembre 1865). Fu socio dei Lincei e di molte altre insigni accademie: residente della Crusca dal 1869, e ne fu Arcìconsolo dal 1873 al 1883 e, di nuovo, dal 1895 sino alla morte.
Viaggiò assai in Italia e fuori, osservando, studiando, e scrivendo dei suoi viaggi coerentemente ai suoi fini patriottici, scientifici, religiosi. Fu in stretta relazione con illustri uomini, e massime con artisti, quali l'Ussi, il Ciseri, il Duprè, il De Fabris, che si giovò molto, forse troppo, per la facciata di S. Maria del Fiore dei consigli del Conti: questi la descrisse in Religione ed Arte.
Carattere vigoroso e schietto, contenne e indirizzò le energie, talora irrefrenabili, del suo temperamento, verso l'ideale d'una cultura e d'una educazione fondate sulla religione cattolica, alla quale professò fede coraggiosa ed aperta sino all'ultimo di sua vita.
G. Barzellotti (nello scritto che citeremo in fine) cosi ne giudicò: «Augusto Conti è stato uno degli uomini di maggior valore, che oggi abbia avuto il nostro paese, e di maggiore autorità, specie sui giovani. L'autorità gli veniva, non tanto da un'azione astrattamente speculativa del suo pensiero sulle menti, quanto dall'intima forza di suggestione morale, che era nell'uomo. Coloro, i quali in lui non degnano di vedere un filosofo, solo perché la sua mente non era fatta ad immagine e a similitudine della loro, dimenticano, fra le altre cose, come, secondo quella tradizione secolare, per cui la filosofia è stata sopra tutto un'eroica scuola di alti caratteri, debba ravvisarsi assai maggior somma di valore filosofico umano in un forte e coerente pensiero, trasfuso tutto, com'era il suo, in una nobile vita, che non in teorie astratte e artificiose, spesso alienissime dalla realtà e dagli animi umani, professate a fior di labbra, fatte anche non di rado servire a interessi di clientela, di partito e di setta.»
Mori a Firenze il 6 marzo del 1905 nel villino che era stato di Stefano Ussi.
Le sue principali opere filosofiche sono: Evidenza, Amore e Fede (Firenze, Le Monnier, 1858); Storia della filosofia (Firenze, Barbèra, 1864); La filosofia elementare, in collaborazione col suo scolaro Vincenzo Sartini (Firenze, Barbèra, 1869); Il Bello nel Vero (Firenze, Le Monnier, 1872); Il Buono nel Fero (Ivi, 1873); Il Vero nell'Ordine (Ivi, 1876); L'armonia delle cose (Ivi, 1878) ; Un Cenno di tutta la filosofia è nell'Armonia delle cose (2a ediz. Succ. Le Mounier, 1888). E anche negli altri scritti ritorna e si riflette il suo sistema filosofico, come in ciò che scrisse di Galileo, di Paolo Savi, di Maurizio Bufalini.
Altri lavori (scrisse anche, da giovane, alcune tragedie e una ne pubblicò: Bondelmonte, Firenze, Galileiana, 1868) sono: I discorsi del tempo (Firenze, Cellini, 1867); I nuovi discorsi del tempo (Firenze, Salesiana, 1896-97); Cose di Storia e d'Arte (Firenze, Sansoni, 1874); Religione ed arte (Firenze, Barbèra, 1891); [030] Letteratura e patria (Ivi, 1892); Sveglie dell'anima, Il Messia; discorsi su S. Francesco d'Assisi, su Stefano Ussi, pei morti di Curtatone e Montanara; e, per la Crusca, quelli dei centenarj del Petrarca, di Michelangiolo, del Tasso.
Minori scritti biografici, versi come un volumetto di Saggi lirici (Firenze, Le Mounier, 1847), iscrizioni (e si hanno a stampa anche non poche sue lettere) disseminò in periodici, come La famiglia e la scuola del Lambruschini, nella Rosa d'ogni mese da lui compilata con Enrico Bindi e con Cesare Guasti, o proemiando a opere altrui, come alle Prose di Galileo.
Della sua lunga attività d'insegnante e filosofo (non pochi valentuomini uscirono dalla sua scuola) disse l'Alfani essere stato obbietto «mostrare nella tradizione scientifica e nella coscienza universale la perennità e la progressione del pensiero filosofico e di confutare lo scetticismo in se e nei suoi effetti». Filosofi di diverse tendenze e scuole riconobbero quello che di sostanzialmente fecondo si ha nella copiosa e organica raccolta dei suoi libri. Molto severamente, invece, fu il Conti giudicato da altri. In ogni modo, qualunque sia il pregio intrinseco del suo pensiero filosofico, non si possono dimenticare le sue qualità di scrittore.
Egli è espositore lucido, eloquente, animatore, con artificj talora un po' visibili, della materia dottrinale: uno de' più notevoli prosatori di cose morali. E anche trattò d'arte, religione, politica con parola facile, colorita, toscanamente efficace. Troppe e troppo piccole cose lasciò, bensì, correre stampate nei suoi ultimi anni, quando, divenuto cieco, meno potè limare gli scritti che dettava.

[Per la vita e per l'opera del Conti, vedi specialmente A. ALFANI, Della vita e delle opere di A. C, Firenze, Alfani e Venturi, 1906; e dello stesso L'Elogio di A. C, letto alla Crusca il 7 gennaio 1906, in Atti della R. Accademia della Crusca (anno 1904-1905). Inoltre : Augusto Conti, Ricordi del prop. G. Conti e miei e opere di Amalia Duprè nella Cattedrale di S. Miniato, Firenze, Galileiana, 1871 : molti ricordi autobiografici sono anche nelle Sveglie dell'anima; A. LINAKER e altri. Alla venerata memoria di A. C, S. Miniato, Taviani, 1906; e dello stesso A. Conti nella famiglia, in Rassegna nazionale del 16 aprile 1905; P. L. Ferretti, A. C. ricordo: estr. dal Periodico Rosario, memorie domenicane, anno XXI, 1905; L. M. Zampini, A.C. e le sue Ricreazioni, Firenze, Scuola tip. Salesiana, 1897. Vedi anche il [031] giornale La Nazione dell' 8-9 marzo 1905; del Conti parlò con acume e serenità G. Barzellotti ai Lincei; vedi quel discorso Due filosofi italiani A. Conti e C. Cantoni anche nella Nuova Antologia del 16 luglio 1908. Per lettere, giudizj, di A, Conti vedi gli Annali bibliografici Barbèra, pagg. 170, 251, 383, 422, 478, 482.]

A. D'Ancona e O. Bacci, Manuale della Letteratura Italiana,
Vol. VI, G. Barbera Editore, Firenze, 1910, frontespizio

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