mercoledì 31 agosto 2016

L'AIA DI FRILLO - RACCONTO DI GIANCARLO PERTICI


Racconto di Giancarlo Pertici

L'aia di Frillo. Giorno di battitura.

È un movimento lento e silenzioso, tutto rivolto verso quella piccola aia che si apre proprio ai piedi dei muri degli orti che si affacciano sulla valle di Gargozzi. Principia con le prime luci dell'alba. L'atmosfera è quella della festa, quella che si celebra ad ogni raccolto di fieno, di grano o di orzo di cui, spesso, vengono pazientemente seminati, a mano, i campetti a terrazza tenuti ad uliveta che fanno da cornice a quella valle e quelli che degradano dolcemente verso il 'Sasso', verso il fondovalle. Movimento che parte da quei piccoli poderi a confine e da quelli sulla via del Sasso, ma anche dalle campagne di Calenzano e oltre, e che sale di tono, col passare delle ore, fino all'apice: la messa in moto della Trebbia e dei trattori di supporto a margine.

È l'inizio della battitura in quella minuscola aia per cavarne grano per Frillo e famiglia. È tutto uno sferragliare di mezzi, coperto in parte dal rombo assordante dei trattori, di quelli in uso nell'immediato dopo guerra. Solo allo scoccare dell'ora di mezzo, si avverte anche il vociare in sottofondo. Sono ordini, chiacchiere a perdere, il parlottare composto ai margini da parte dei molti curiosi convenuti per l'occasione. È a quell'ora che resta in moto, al minimo, solo il trattore addetto alla cinghia di trasmissione, per un 'quasi silenzio', colonna sonora che accompagna il rito del pranzo.

Depostosi a terra quel pulviscolo appiccicoso che sembrava stazionare a mezz'aria, è tutto un fiorire di teli e tovaglie che trovano posto all'ombra dei filari di pioppi ai lati, lungo il muro degli orti ornato da pergole cariche d'uva ancora acerba, per una processione programmata di massaie addette alla distribuzione del pranzo. Sono tegami colmi di zuppa, di panzanella e pappa, teglie appena sfornate con patate a fare da contorno a pollo, nane e coniglio in umido.

Per me è solo in questo momento, a macchine ferme, che, con i miei sette anni scarsi, posso scendere dall'orto fino in sull'aia di Frillo, dopo essere stato osservatore attento di ogni manovra, seduto sul muro di cinta che separa dalla Valle e dai vicoli sottostanti. Proprio sopra a quell'aia a respirare gli acri vapori dei trattori in moto e quel pulviscolo impalpabile di cui sembra impregnata l'aria già dal primo mattino, che nell'occasione principia ben prima che il primo trattore venga avviato. Punto d'osservazione privilegiato a vedere trasformati quei fastelli e quei covoni, in grano da una parte per il pane, e in paglia dall'altra, per farne lettiera per la stalla. Il tutto con nonno Nuti accanto che non fa mancare i propri commenti, le sue storie, tutte vere, tutte del secolo scorso.

Appena il tempo di consumare il pranzo e di nuovo ad occupare quel posto privilegiato d'osservazione: il muro di cinta dell'orto di nonno Nuti. - "Ecco Gosto assieme a Virgilio... ad allungare le mannelle per l'imboccatura..." - La pula sollevata in aria anche dalla brezza leggera che, ad inizio pomeriggio, da Pian delle Fornaci, si insinua fino sull'aia, rende lo scenario e i colori particolarmente evanescenti, i movimenti indefiniti. Riesco ad individuare con sicurezza nonno Musolino, una forcina in mano, mentre allontana la paglia che esce di lato, e la spinge verso un palo infisso nel terreno per diventare pagliaio.

- "Da bambino anche fino a Corfino si andava col mi babbo per la battitura a dare una mano per un pasto sicuro, qualche volta anche uno staio di grano..." - Dall'alto della bica a gettare sul ripiano della trebbia le mannelle che vengono infilate da mani esperte dentro la ruota dentata. In cima alla bica uno dei Bagni e Vergella. I figlioli di Frillo all'imbocco, e, a turno, a fare la spola da una postazione all'altra. Le donne con un fiasco d'acqua e uno di vino a portare refrigerio agli uomini sudati e polverosi, salva solo la bocca e il naso, difesi da una pezzola accuratamente legata alla nuca.

- "Tonino una volta che era da parenti a Scarperia la fece davvero grossa... mentre tutti erano all'ombra per l'ora di pranzo... lo incolparono di aver levato una calzatoia alla trebbia. Non si fece male nessuno ma per puro miracolo" - Una delle tante disavventure così fedelmente ricordate da nonno a fare da cornice ad una giornata che si dipana velocemente verso l'imbrunire. La bica a scendere fino a terra, il pagliaio a prendere forma e consistenza, mentre mani esperte legano accuratamente per il collo ogni singola balla; tutte messe a catasta pronte per transitare col barroccio verso il granaio di Frillo, là, Sotto il Ponte.

E passata l'ultima mannella all'imbocco, col primo sussulto a vuoto della trebbia, i giochi sembrano concludersi quando improvviso irrompe il silenzio a chetare quanti si ritrovano improvvisamente, senza volerlo, ad urlare le proprie ragioni, le proprie opinioni o le pur legittime richieste, o le risposte dovute e attese. Solo un attimo, sancito dallo scambio incrociato di sguardi colmi di scuse per una colpa che non c'è, ma che è fortemente e istintivamente sentita, come il disagio a ritrovarsi nudo tra la folla anche se dentro un sogno. Poi un sorriso di circostanza, a riprendere, in tono sommesso, quanto interrotto da quel silenzio che preannuncia una diaspora che si diparte improvvisa a disperdere quel popolo improvvisato di volenterosi... fino all'anno che verrà.

Fermati i motori, sganciata la cinghia di trasmissione, resta solo il fumo residuo e i vapori che continuano ad irrorare l'aria circostante, mentre quel pulviscovo viscoso pare ondeggiare indeciso dove posarsi non più sostenuto dallo spurgo della treggiatrice e dai tubi di scarico a risollevarlo a turno da terra in un turbinio senza soluzione di continuità. È in quel preciso momento che avverti fino in fondo quel convergere di braccia che la mattina, alla spicciolata, non hai potuto contare per l'intero. Chi era partito dopo aver governato le bestie nella stalla, chi arrivava anche da Calenzano, chi già nelle vicinanze, chi non visto veniva dal Sasso, chi tramite i vicoli, a ridosso delle mura, era giunto, come alcuni amici, dalla Val d'Ensi. Ma tutti alla chetichella, in silenzio, quasi non visti e non sentiti... si erano ritrovati su quell'aia nel momento della messa in moto della trebbia.

Altro l'effetto visivo alla conclusione della giornata. A parte quei pochi addetti alla trebbia e ai trattori di servizio, tutti gli altri si allontanano nello stesso momento, o quasi, diramandosi in tutte le direzioni, tutti assieme, in una variazione cromatica sottolineata dalla calda luce del sole vicino al tramonto. Sono in tanti, uomini e donne, giovani e vecchi, con bambini al seguito. Impossibile distinguere chi era a curiosare e chi a lavorare, almeno a prima vista. Poi noti la pezzola legata al collo, usata a riparare bocca e naso dalla pula e dalla polvere e quel diffuso velo di polvere che pare rendere tutti gli addetti alla trebbia dello stesso colore, dalla camicia ai capelli. Non sembra mancare nessuno. C'erano tutti, o quasi. Certamente non era della partita Cionce col suo carretto di gelati, a passare veloce per piazza dell'Ospedale all'ora solita di inizio pomeriggio. Ma solo lui.

Sullo stradello diretti a vicolo Borghizzi il Giustino e i fratelli Morelli. Diretti verso la Cappellina i Latini e Vergella dei Taddei, seguito da Duilio di Boldrino; lui certamente non ha lavorato, immacolata la sua camicia a quadri. La Bronchella assieme alla Zoppa per la scorciatoia sotto il boschetto di Gazzino. I fratelli Capecchi proseguono per vicolo Borghizzi, passando di lato al muro del Bastardaio, loro che stanno all'inizio di Via Ferrucci, loro che non si sono certamente risparmiati abituati da sempre a lavori faticosi come lo scasso delle vigne. Lillo e il fratello Cesare si avvicinano alla mia postazione - "vieni ad aprirci la porticina." - Appena un paletto e un puntello da togliere su bisogno e su per quei cento scalini fino a casa. A ruota, per le stesse scale, anche nonno Musolino e i fratelli Sani, che stanno proprio di fronte. A discendere verso Gargozzi e verso il Sasso, nelle due diverse direzioni, quelli che hanno dato il massimo in braccia, la famiglia Bagni, quasi sotto il Comune, Casalino e i Cei dalla via del Sasso.

È tutta una serie di piccoli gruppetti, sparpagliati su viottoli, per callari, oltre che lungo gli stradelli segnati dalla ghiaia o in terra battuta, che variano ad ogni incrocio, pronti a ridividersi e a riunirsi al campo successivo a salire o a scendere nelle quattro direzioni. Verso Scacciapuce lo noti subito da solo Gambelunghe; a grandi falcate, in salita, sembra voler arrivare primo anche se è da solo da un pezzo. Deve certamente andare a governare le sue bestie e probabilmente a finire di vangare un filare di viti, come ogni sera o quasi. È in questo che è conosciuto sopratutto il Cini, questo il suo vero cognome che pochi conoscono ed usano, nella sua capacità di vangare senza apparente fatica e senza soluzione di continuità. Poi c'è il Micheli, il marito di Tetta, che fa pariglia col Dainelli. Gino di Gazzino seguito da Giovanna, la figlia di mezzo. Mentre Mandorlino e Gosto, rientrano in piazza dell'Ospedale percorrendo la scorciatoia tagliata nel ciglione sotto la casa di Pellegrina.

- “Quello è il Valleggi... Centolire deve essere stato a chiacchiera tutto il pomeriggio, neppure il cappello ha un granello di polvere o un po' di pula... i Mancini fanno ritorno in San Maiano facendo il giro più lungo passando di Gargozzi; quanto hanno lavorato!” - È nonno Nuti che accompagna ogni gruppetto con un commento, fino a quando - “Ma c'era il Tofani? Non mi pare di averlo visto. Eppure se si tratta di approfittare di un bicchiere di vino, non resta mai addietro!!” - E invece c'era, in compagnia di Rigoletto e di Cento Lire, del Toni di Scacciapuce con la moglie Irma partiti per primi tagliando per i campi - “andiamo a governare le beste” - e s'erano avventurati su per i campi di Gazzino, arrampicandosi da un ciglione a l'altro.

Poi i vecchietti del ricovero, gli ultimi ad andarsene, non prima di aver scolato gli ultimi fiaschi di vino, dei pochi residui rimasti, con alla testa Ghigo a tener per mano Giannino oramai cieco da anni. Gruppetti indistinti che si allontanano, tra vecchi e giovani, uomini e donne, chi a scendere chi a salire diretti verso casa, che l'ora di cena è oramai prossima. Tutti in movimento su quella salita che porta alla Cappellina e proprio su quelle scale, inginocchiato, inconfondibile il suo saio, il frate cercatore, oramai vicino al suo convento, quello dei Cappuccini, appena dopo casa Taddei. Prega tenendosi stretta la bisaccia, probabilmente ricolma di grano fresco di battitura, dopo essere stato ai margini dell'aia tutto il pomeriggio, con la corona in mano a sgranare marie.

Tutto in un colpo d'occhio! a scolpire nella memoria quel particolare momento, liturgie comprese, mentre, noi bambini, scalpitiamo impazienti perché sappiamo che è il nostro momento, quello di immergersi in quella realtà che dal vivo ci viene negata. Qualcuno ad assistere, già dalla mattina, ai margini, sotto stretta sorveglianza di qualcuno di casa, nonni sopratutto, tenuti anche alla larga dagli uomini al lavoro; loro le occhiatacce e gli urlacci capaci di perforare il clangore della battitura.

Ma a macchine oramai ferme, lontani gli uomini di guardia, fonti di pericolo messe a tacere, inondiamo quell'aia, per quel gioco a lungo sognato ad imitare, nella misura del possibile, ogni gesto di questo o di quello, pensando - "quando sarò grande..." - mentre qualcuno ripete a più riprese... - "non vi avvicinate troppo al trattore è caldo, vi brucereste" - I più grandi a contendersi i punti più in alto sulla trebbiatrice, chi alla guida del trattore. Per noi più piccoli, liberi gli scivoli di lato, qualche predellino, i parafanghi del trattore, quali trampolini a tuffarsi nella pula ammassata attorno alle ruote del trattore e della trebbiatrice. Quasi un battesimo ripetuto, a risalire e a ridiscendere, fino al grido di richiamo per la cena, ripetuto da più punti, dagli orti sovrastanti quell'aia, quando abbiamo assunto pressapoco l'aspetto dei nostri zii, dei nostri babbi addetti alla battituta: polverosi dal capo ai piedi.- "A cena! Forza! … ma dopo cena nell'orto... il conchino è pieno d'acqua calda, è tutto il giorno che è al sole." - E così sia! Obbedisco volentieri a mamma dopo una giornata come questa.

Immagine del vicolo di Borghizzi
Filippo Del Campana Guazzesi – Fine XIX secolo
Immagine tratta da Il silenzio del negativo. Filippo Del Campana Guazzesi fotografo in San Miniato, a cura di G. Marcenaro, CRSM, Sagep Editrice, Genova, 1981, p. 173, n. 213.
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