sabato 19 maggio 2018

LA STRAGE DI VALICANDOLI, 20 LUGLIO 1944 – TESTIMONIANZE E DOCUMENTI

a cura di Alessio Guardini e Francesco Fiumalbi

Indice del post:
INTRODUZIONE
LO SFOLLAMENTO
L’ARRIVO DEL FRONTE
IL SECONDO SFOLLAMENTO
LA STRAGE DI VALICANDOLI
LE VITTIME
LA LETTERA DI NELLO MORI
LA TESTIMONIANZA DI ROSSANA ROSSI
SULLA MORTE DI ADELINDO SCARSELLI

INTRODUZIONE
In questo post proponiamo il testo di una lettera molto interessante, messa gentilmente a disposizione dalla sig.ra Marilena Frittelli a cui va il nostro più sincero ringraziamento. Si tratta di una missiva inviata da suo nonno Nello Mori alla figlia Clorinda (madre di Marilena) che si trovava a Torino.
Nello Mori abitava ad Isola con la moglie Ida e la figlia minore Nella, detta Nellina. Clorinda invece si era sposata e si era trasferita nel capoluogo piemontese. Per lunghi mesi, forse più di un anno, non ebbero modo di comunicare fra loro. Nell’estate del 1944 la guerra passò dal territorio sanminiatese, lasciandosi dietro una drammatica scia di morte e distruzione. Poi il lungo inverno, con il fronte bloccato sulla Linea Gotica. Infine la primavera del 1945: l’avanzata Alleata, la ritirata tedesca e la Liberazione dell’Italia Settentrionale. A tre settimane dalla fine delle ostilità, alla famiglia Mori si materializzò un’occasione d’oro: il padre del sacerdote della vicina Marcignana si sarebbe recato proprio a Torino. All’uomo venne dato un foglietto piegato, scritto alla meglio. Non c’era la carta per fare la “bella” e non c’era tempo per prestare attenzione alla grammatica e alla punteggiatura: Nello non era abituato a scrivere lettere, ma fece del suo meglio per comunicare alla figlia che erano salvi, che stavano bene e che, passata la guerra, bramavano di avere notizie del resto della famiglia. Tuttavia il testo rappresenta anche una testimonianza diretta di ciò che avvenne ad Isola nell’estate del 1944: la condizione del paese e delle abitazioni dopo il passaggio del fronte, ma anche la drammatica sorte che toccò ad alcune persone.

LO SFOLLAMENTO
Alla metà di luglio 1944 gli Alleati erano in Valdelsa e fra il Volterrano e l’Alta Valdera. La 14° Armata tedesca quindi venne disposta sulla linea dell’Arno col compito di resistere quanto più tempo possibile in modo da organizzare la Linea Gotica sugli Appennini. Questa iniziativa andò a incidere profondamente sulla vita degli abitanti nel territorio sanminiatese e, più in generale, in tutto il Valdarno Inferiore. Inizialmente l’ordine era di sgomberare una fascia di 5 km a sud dell’Arno, poi ridotta all’evacuazione di tutta la popolazione residente fra l’Arno e la ferrovia. Per questo motivo, il 16 luglio la famiglia Mori si spostò a La Covina, nei pressi de La Scala, dove abitavano alcuni parenti, ma ben presto dovettero lasciare anche quella sistemazione.

L’ARRIVO DEL FRONTE
I reparti tedeschi, prima di attestarsi sull’Arno, prepararono due linee minori con lo scopo di rallentare ulteriormente l’avanzata Alleata: una era rappresentata dalla ferrovia, l’altra dal crinale della collina sanminiatese. Quest’ultima posizione, organizzata fra il centro urbano di San Miniato e l’abitato di Calenzano, doveva impedire il ricongiungimento delle truppe Alleate che avanzavano in Valdelsa e quelle che provenivano dal Volterrano e dall’Alta Valdera. Il rischio, per i tedeschi, era quello di subire uno sfondamento e di perdere la linea dell’Arno. Tuttavia, sia per l’organizzazione tedesca che per le scelte e le divergenze in seno ai comandi Alleati, la difesa sul fiume rallentò l’avanzata di oltre un mese.


con gittata di oltre 11 km in dotazione all'esercito statunitense 
durante la Seconda Guerra Mondiale sul teatro europeo

La linea del crinale sanminiatese fu abbandonata il 23 luglio 1944, solo dopo la cosiddetta “Battaglia di Calenzano”. Nei giorni precedenti l’aviazione Alleata aveva intensificato le incursioni aeree sulla zona, mentre l’artiglieria statunitense, disposta fra la Valdichiecina e la Valdegola, cercava di colpire le postazioni germaniche. In quei giorni i cannoni americani spararono centinaia e centinaia di proiettili: erano per lo più ordigni da 105mm di diametro, che non avevano una grande potenza distruttiva, ma erano terribilmente efficaci. Infatti, esplodendo, l’involucro si disintegrava in migliaia di piccole schegge che si diffondevano in tutte le direzioni ad altissima velocità. Chi si fosse trovato nei pressi dello scoppio, anche in aperta campagna, correva il rischio di essere ferito mortalmente da una o più schegge. Furono proiettili di questo tipo a procurare la morte di moltissime persone: allo stato attuale degli studi, su 246 vittime civili sanminiatesi durante il passaggio del fronte, almeno 74 morirono a causa di cannoneggiamenti Alleati. Era una guerra “quantitativa”: non potendo essere precisi, gli Alleati sparavano una gran quantità di colpi con la quasi certezza che almeno qualcuno sarebbe andato a segno. Non c’era alcuna preoccupazione per i cosiddetti “effetti collaterali”. La volontà di sconfiggere i tedeschi e vincere la guerra superava qualsiasi prezzo da pagare. E chi ci rimise più di tutti, alla fine, furono i civili inermi.

IL SECONDO SFOLLAMENTO: A VALICANDOLI
A La Covina la famiglia Mori rimase solamente tre giorni, dal 16 al 19 luglio, dal momento che gli Alleati avevano intensificato le incursioni aeree e i cannoneggiamenti, mentre i tedeschi iniziavano a organizzare la linea difensiva. Quindi si spostarono più a sud, nella zona collinare ad est di San Miniato, trovando rifugio in località Valicandoli. La sistemazione poteva sembrare intelligente: le incursioni aeree cercavano di colpire obiettivi strategici, come le strade e i ponti, mentre l’artiglieria sparava da sud verso nord cercando di colpire le posizioni tedesche. Dunque la piccola rientranza di Valicandoli, coperta a sud dal crinale della collina e priva di qualsiasi obiettivo strategico, si presentava come il luogo ideale per trovare riparo dalle cannonate e dalle bombe. Inoltre nella zona c’erano molti campi e non mancavano i boschi, così gli uomini potevano facilmente nascondersi dai rastrellamenti tedeschi che avevano bisogno di manodopera per sistemare la linea difensiva.

Gli spostamenti della famiglia Mori, da Isola a La Covina e a Valicandoli
Base Ortofoto 2016 – Geoscopio Regione Toscana
Ricostruzione di Francesco Fiumalbi

LA STRAGE DI VALICANDOLI
Il 20 luglio 1944, il giorno successivo dell’arrivo a Valicandoli, avvenne la tragedia. Molto probabilmente l’artiglieria statunitense cercava di colpire e interrompere la strada fra San Miniato e Calenzano. Considerando che i cannoni erano posizionati a diversi chilometri di distanza e sparavano alla cieca – l’osservatorio era a Bucciano e i cannoni a La Casaccia – bastavano pochi centesimi di grado zenitale o azimutale per andare fuori bersaglio. Ancora una volta la tattica era quella di compensare l’imprecisione dei tiri d’artiglieria con la quantità dei proiettili sparati.
Uno di questi proiettili andò “lungo”, ovvero oltrepassò il crinale della collina su cui si snoda la strada, e andò ad esplodere a valle, proprio dove si erano sistemati gli sfollati. Fu una strage.

La zona di Valicandoli
Base cartografica CTR – Geoscopio Regione Toscana
Ricostruzione di Francesco Fiumalbi

LE VITTIME
A Valicandoli rimasero uccise sei persone:

Bianchi Giovanni: Ragazzino di 13 anni, figlio di Renato ed Elvira Beninsegni, nella lettera è indicato come Giovannino d’Elvina.

Cei Elena: Donna di 31 anni, figlia di Egisto e Maria Sforzi, coniugata con Pietro Ciofi, nella lettera indicata come Elena di’ Ciofi

Mori Natalina: Donna di 45 anni, figlia di Cesare e Maria Mori, coniugata con Guglielmo Nacci, nella lettera indicata come Natalina di Memo.

Rossi Lina: Ragazza di 20 anni, figlia di Enrico e Adelia Dani, nella lettera indicata come Linuccia d’Enrico

Scarselli Adelindo: Ragazzo di 19 anni, figlio di Ferdinando ed Amelia Scali, nella lettera indicato come Lindo di Nandino, morto all’ospedale allestito dalla Croce Rossa presso la Fattoria di Sassolo, vicino Bucciano il 27 luglio.

Scarselli Annina: Donna di 40 anni d’età, figlia di Ottaviano ed Ester Zingoni, coniugata con Giuseppe Salvadori, nella lettera non è indicata.

Fotografia di Nello Mori durante il servizio militare
per gentile disponibilità della signora Marilena Frittelli

LA LETTERA DI NELLO MORI
[1] Isola 20-5-45 Carissimi tutti,
Dopo tanto tempo di so[f]frire il Buon Dio ci[h]a ridato il mezzo di poter riscrivere. Ti inviamo questa lettera per mezzo del padre del Priore di Marcignana, che anche lui [h]a una figlia maritata a Torino e che viene costà a trovarla. Questo uomo, tanto cortese, ci ha avvisato che veniva costà e se ci si aveva una lettera da mandare ce la portava volentieri [e] noi abbiamo approfittato dell’occasione. Se vu avessi occasione di vederlo, farli tanta festa perché è un bravo uomo.
Dunque, ora ti vogli[o] parlare un poco di nostro passato anno. A questi giorni eravamo soggetti a quei famosi bombardamenti: tutti i giorni, 4 e 5 volte a[l] giorno [l’aviazione Alleata tentava di colpire] ponte di ferro [sulla ferrovia], ponte alla Motta e ferrovia. E si durò tanto che, credete, era un inferno addirittura!
Poi da il 1 luglio a[l] 16 luglio – che gli Alleati erano vicini a liberarci che erano verso Volterra che venivano – i vigliacchi tedeschi prendevano tutti gli uomini per farli lavorare sulla ferrovia rotta mentre bombardavano, ma noi tutti [ci siamo dati] fuggiaschi, [costretti] a scappare per canneti e per campi di granturco a giorni interi e le donne, di nascosto, ci portavano da mangiare.
Poi il 16 luglio venne l’ordine di sfollare da l’Arno alla ferrovia: non ci poteva sta[re] nessuno perché era “zona di operazione”. E la domenica mattina, 16 luglio, si dovette abbandonare la casa portando via 4 o 5 carrettate della roba che ci premeva di più. Che Questo lavoro toccò a mamma e [a] Nellina, perché gli uomini i tedeschi li prendevano, e si partì tutti per La Covina (presso La Scala, n.d.r.) da zia Maria. Lì ci si stiede 3 giorni e poi incominciò a venire le cannonate americane. E una sera arrivò una 10 (decina) di autoblinde tedesche e s’impadronirono della casa e di tutto e noi il 19 si ripartì per Valicandoli. Noi e tutti: zio Alfredo colla sua famiglia eravamo fra tutti 2(carta strappata, probabilmente formavano un gruppo di circa 20 persone, n.d.r.).

[2] Valicandoli sarebbe dove sta i[l] Bacoli sotto i Cappuccini di S. Miniato. Tutti [gli abitanti] dell’Isola scapparono: chi per la Valdevola, chi a Calenzano, chi a S. Miniato. Tutti si dovette andare via. Ma noi si indovinò poco bene in codesto Valicandoli: si partì il 19 luglio dalla Covina co’ il carretto carico di tutto il necessario per coprirsi e per fare da mangiare e co’ Marmugio sopra e que’ 4 bambini sotto le cannonate che oramai gli americani erano a Palaia che venivano. Appena arrivai si diede a fare rifugi sotto terra per libersi dalle cannonate, ma il giorno dopo, giorno 20 luglio, ce ne morirono 6 alla prima cannonata. Tutti di Lisera, che sarebbero: Natalina di Memo, la sarta Elena di’ Ciofi, Linuccia d’Enrico, Giovannino di Elvina, Lindo di Nandino e Rossana di Ciofi senza un braccio. E costì ci abbiamo passato 50 giorni, sempre a dormire vestiti sotto terra, se si volle salvare la pelle. Gli Americani arrivarono a S. Miniato il 23 luglio, ma i tedeschi fecero resistenza sull’Arno e per questo gli Americani ci stiedero fermi fino a[l] 1 settembre e i tedescacci stiedero tanto tanto fermi all’Isola che ebbero tempo di farci tanto male. Noi tutti salvi, come pure la famiglia di zio: si rientrò a Isola il 2 settembre e si trovò l’Isola irriconoscibile. Sentite: il palazzo di Cantini raso al suolo, mezzo quello di Torinda, la casa di Neri, quella di Barbieri, fino a quella di Venturino tutto raso a suolo. Quella di Elvina e di Mario, compreso fino alla macelleria e fino da il “Fava” (Eugenio Scarselli, n.d.r.) tutto giù al suolo e più che fa effetto tutto il Molino e i capannoni rasi al suolo. Tutto per capriccio di quei vigliacchi tedeschi che vollero minare ogni cosa. Poi sull’Arno, compreso i[l] palazzo dei ferrovieri fino in cima, tutto raso al suolo. Credete, che Isola è

[3] irriconoscibile. Poi c’è la casa dello Scarselli per la via di Roffia e quella di’ Mancini contadino di Egisto tutto giù, come pure il palazzo di Egisto e tutto Surarno (la zona prossima all’Arno, vicino Bocca d’Elsa, n.d.r.) tutto giù. Anche la casa di zio Tofano è mezza buttata giù dalle cannonate. Ma questo non sarebbe niente di fronte che pochi giorni fa è morto Francesco di malattia e Marina è malata all’ospedale. Anche noi abbiamo subito dei danni alla Covina: i tedeschi ci presero la bicicletta di Nellina e poi si rivò a casa e si trovò la casa colpita da una cannonata. La tua camera era andata giù, compreso il tetto, ma non estate in pensiero, che abbiamo bell’e rimediato tutto. La bicicletta l’abbiamo rifatta nuova, sennò Nellina non poteva andare a lavorare e l’abbiamo pagata Lire ventiseimila e la casa l’abbiamo riaccomodata per bene e ci si è speso lire ventimila. Qua la roba ci è tanto cara che non vu ve ne potete fare un’idea. Dunque state contenti e non estate in pensiero di noi che stiamo bene. Ma speriamo che questa mia lettera vi trovi anche voi sani e salvi. Bisogna ringraziare Dio che credete, siamo salvi, ché in questo piccolo paese si passa i 30 morti [a] causa [del]la guerra.
Quei tedescacci distrussero tutta la ferrovia, metro per metro, tutti i ponti della ferrovia e tutti i ponti delle strade: sull’Elsa non c’è più un ponte e sull’Arno non c’è più un ponte. Tutti minati. Noi struggiamo dalla voglia di rivedervi e vi prego, appena potete, venite subito da noi, ché abbiamo tanto voglia di rivedervi colla mia piccola Mari (la nipotina Marilena Frittelli) che abbiamo pregato tanto il Dio che vi salvi tutti e tre. Cara Mari, quando si rientrò abbiamo trovati tutte le porte aperte, ma la tua bicicletta si trovò in mezzo di camera sana e salva, dunque presto ti aspetto a rimontarci. Vi avrei da dire tante cose, ma si ragionerà a voce. Baci da mamma e Nellina. Baci da me vostro padre Nello.

Fotografia di Clorinda, Marilena e Nella Mori
per gentile disponibilità della signora Marilena Frittelli

LA TESTIMONIANZA DI ROSSANA ROSSI
Oltre al testo di Nello Mori, proponiamo anche un’altra testimonianza che, sebbene raccolta a distanza di molti decenni, è molto preziosa. Nel 2014, per il 70° anniversario della Liberazione, Alessio Guardini e Piero Nacci hanno curato un video-documentario sul passaggio da Isola della Seconda Guerra Mondiale, dal titolo: “Luglio 1944-Luglio 2014. Settant’anni fa l’orrore: nessuno dimentichi!”. In quell’occasione fu intervistata la sig.ra Rossana Rossi che a Valicandoli rimase gravemente ferita, mutilata del braccio sinistro. Di seguito le sue parole:

Era una mattina, il 20 luglio, verso le 9. Era una bella mattinata di sole in pieno luglio. La mia mamma disse: «Ascolta, Rossana, guarda quanti bei fichi ci sono su quel fico. Se ci monti, buttamene un po’ giù, (che) si mangiano».
Io montai su questo fico e ad un certo punto sentii un qualcosa addosso che non so descrivere: sembrava che potessi lamentarmi, ma la voce non mi veniva. Almeno credo. E questo me lo dimostrò mio fratello: «Che è successo? Mamma mia!» E vide i morti e più gli fece effetto il povero Giovannino (colpito alla testa) che aveva una parte del cervello che glielo aveva portato via.
E cercava mia mamma: «Mamma, mamma!». Mia mamma non gli rispondeva, era a terra, anche lei ferita: una scheggia le entrò qui (davanti al petto) e le uscì di dietro. Per fortuna non toccò il cuore ed è sopravvissuta.
E io vedevo mio fratello che mi cercava: «Rossana, dove sei?» E piangeva disperato. Poi arrivò sotto il fico e sentì delle gocce: «che fa piove?». Ero ancora sul fico che non potevo chiamare. E allora lui sentì queste gocce, si toccò (e vide che era sangue), alzo lo sguardo: «Oddio! Dov’è mia sorella!». E così andai all’ospedale, il 20 luglio.
L’ospedale si riempì in un baleno. C’era anche Lina (Rossi), sorella del Maso, che morì, mi sembra, la notte o il giorno dopo. Adelindo (Scarselli) fu portato all’ospedale anche lui. Il 22 luglio poi, successe il fatto del Duomo, arrivarono moltissime persone. Ci tolsero tutti dalla corsia e ci portarono giù negli scantinati con le brandine. E poi vennero gli americani e, o bene o male, ci portarono via, perché i medicinali nell’ospedale erano finiti. Io avevo già un principio d’infezione e dei mosconi che mi ronzavano intorno. Ci portarono a Volterra. Io stetti lì e ritornai ad ottobre. E in casa mia non seppero mai dov’ero.
Mia mamma (nei mesi successivi) ritornò all’ospedale per un problema (sempre legato alla scheggia) e nel mentre arriva un’infermiera che dice: «Ma che gente c’è nel mondo? C’è una povera bambina a Volterra che piange. Chiama mamma, ma non ha visto nessuno. Io pagherei a sapere di chi è figliola!». Mia mamma che camminava già, a sentire quel (discorso) lì... boom in terra! Gli prese un “infarto” (svenne). E l’infermiera fu brontolata: «Guarda che lei cerca la sua figliola, non sa dov’è!». Questa qui poverina si sentì (d’aver fatto) male, ma ormai l’aveva detto. Allora (mia mamma) gli disse a mio fratello, quando arrivò da lei: «Guarda, vedrai hanno trovato Rossana! Probabilmente è a Volterra nel tal ospedale». Mio fratello, non c’era verso, prese la bicicletta e venne a Volterra e mi trovò.

SULLA MORTE DI ADELINDO SCARSELLI
Nella medesima intervista, Rossana Rossi riferì anche della morte di Adelindo Scarselli, di cui fu testimone:

Sapete dove è morto Scarselli Adelindo? È morto per la strada mentre gli Americani ci portavano a Volterra. Questo ragazzo, guarda che mi commuovo ancora, perché io avevo 10 anni e mezzo, quindi ero già grande, mi faceva: «Oh Rossana, muoio, diglielo a mio babbo che sono morto a Bucciano!».

Infatti Adelindo Scarselli morì all’Ospedale da campo della Croce Rossa, allestito alla Fattoria di Sassolo presso Bucciano. A tal proposito è significativa la testimonianza diaristica dell’allora parroco di Bucciano, pubblicata in G. Busdraghi, Estate di guerra a Bucciano. Diario del parroco Giuseppe Busdraghi giugno-settembre 1944, a cura di G. Lastraioli, C. Biscarini, L. Niccolai, F. Mandorlini, FM Edizioni, San Miniato, 1996, pp. 39-40:

Giovedì 27 luglio
[…] Sono stato dai Lorenzelli dove sono stato chiamato per un ferito di San Miniato portato con altri a Sassolo. Con dispiacere non ho fatto in tempo. Mi aveva chiesto lui, quindi spero che il Signore gli abbia usato misericordia. Domani verrà sepolto qui. […]

Venerdì 28 luglio […]

Sabato 29 luglio […]
Alle due sono venuti quelli della Croce Rossa americana per il trasporto del morto. A Sassolo ho avuto una triste sorpresa. Quel morto non è uno sfollato di Livorno, ma un giovane dell’Isola. Lì ci trovo la sua sorella, che lo aveva cercato tutta la mattina. Mi ha fatto tanta pena quella figliola. Con un camion il defunto (in avanzata decomposizione) è stato portato alla chiesa e di qui al cimitero. Che pena fanno questi trasporti in guerra. Dopo aver fatto rinfrescare la ragazza in canonica, l’ho accompagnata con degli americani a casa sua, alla Scala. […]

La chiesa di San Regolo a Bucciano
Foto di Francesco Fiumalbi

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