domenica 17 marzo 2019

[13/18] SAN MINIATO NELL’ISTORIA FIORENTINA DI LEONARDO BRUNI ARETINO


13 [1369-70] Assedio di San Miniato

Dopo la partita di Carlo, gli usciti di San Miniato, già molto innanzi prese alcune castella, facevano guerra a quella terra. Era dentro una compagnia di gente tedesca dello esercito di Carlo, e con loro i terrazzani della parte avversa: ma gli usciti si fidavano nel favore e forze del popolo fiorentino. La qualcosa vedendo gli avversarj , rifuggirono a messer Bernabò, domandando l'ajuto suo, e sì gli dettero la terra. Messer Bernabò adunque, il quale già molto innanzi era vòlto col pensiero alle cose di Toscana, deliberò di sovvenire a’ Samminiatesi. E parve che facesse ingratamente, perocché i Fiorentini poco innanzi erano venuti in disgrazia di Carlo imperadore e del sommo pontefice, per avere ricusato di fare lega contro lui, riputandoselo  amico; e lui da altra parte , senza alcun riguardo della pace e senza alcuna legittima cagione, prendeva ad ajutare il nimico, e appiccare la guerra contro al popolo fiorentino.
Conosciuto adunque i Fiorentini il proposito di messer Bernabò, con maggiore sforzo che prima ossidiarono San Miniato. Ma non molto di poi sopravennero gran numero di gente d'arme di messer Bernabò: e era capitano messer Giovanni Aguto, uomo famoso nella guerra, e già molto innanzi noto per Italia. Il quale, sentito l'ordine del campo e il modo dello assedio, perché non si fidava potere soccorrere per forza quelli di dentro, si fermò in quel di Pisa, non lontano dal campo de' Fiorentini più che dieci miglia.
Il capitano de' Fiorentini era messer Giovanni da Reggio, uomo egregio e singolare nella guerra: il quale, vedendo le genti nimiche essere ferme e non venire più oltre, seguendo ancora lui la ragione della cosa, deliberò stare fermo e strignere la ossidione, e non si fare loro incontro, dimostrando il campo esser posto in luogo sì opportuno, che se i nimici lo venissero a trovare, potrebbero essere ributtati con loro grande danno; e se non venissero, non gli potrebbero fare nocimento: e avendo in questa forma la vittoria certa, non gli pareva da metterla in dubbio e alla varietà della battaglia. Il suo consiglio era ragionevole e prudente: ma alcuni cittadini nel magistrato fiorentino tanto lo stimolavano, che ogni suo proposito riferivano a pigrizia e timidità. Ancora la infima moltitudine, seguitando la ferocità del magistrato, riprendeva la negligenza e timore del capitano. Le quali cose venendogli a notizia, ebbe a dire: « Andiamo dove ci mena la stoltezza degli uomini poco esperti, perché intenderanno, che a me non è mancato né l'animo né il consiglio. » Di poi il dì seguente dopo queste cose, lasciato una parte delle genti alle munizioni del campo, tutto il resto dello esercito messo in battaglia, andò a trovare i nimici, con fermo proposito di combattere.
Messer Giovanni Aguto , vedendo le genti de’ Fiorentini che lo venivano a trovare, tenne i suoi dentro agli alloggiamenti, disegnando che in quel mezzo i nemici si straccherebbero pel cammino e pel caldo. E pertanto mandò fuori solamente alcuni saccomanni e scorridori a tenere con loro scaramuccia. Lui in quel mezzo, rinfrescate le genti e ordinatele in squadra, quando gli parve tempo, le trasse fuori: ed essendo superiore di numero, e trovando colle genti fresche i nimici affannati, facilmente li vinse. Fu preso in quella zuffa il capitano de' Fiorentini con grande numero de' suoi; molti ancora ne furono morti: li altri rotti, senz' ordine e senza capitano, come gli accadde il bisogno, si fuggirono.
I nimici, il dì seguente, andarono per combattere le munizioni del campo: e trovandole guardate con gran diligenza, deliberarono entrare in quel di Firenze, stimando questo esser più facil modo a levare l' assedio. E pertanto , lasciato il campo nostro a San Miniato, corsero insino alle mura di Firenze, facendo d'industria maggior romore che l’ordinario. Ma la città stette ferma nel proposito, e per alcuno terrore non si rimosse dallo assedio: anzi più tosto rinnovate le genti, strinsero con maggiore sforzo quegli di dentro. Accadde poco dipoi, che San Miniato s' ebbe per trattato mediante l’opera d'un Luparello, uomo d' infima condizione, il quale di notte tempo messe dentro le genti per luoghi occulti e strettissimi. Il perché le forze degli avversarj furono superate: e quelli che erano stati autori della rebellione furono condotti a Firenze, e quasi pel concorso della moltitudine oppressati, e in ultimo condannati a morte.
Non molto dopo l’avuta di San Miniato, le genti d'arme di messer Bernabò, le quali sotto specie d'ajuto s’erano fermea Lucca, trattarono d' occupare quella città al vicario di Carlo imperadore: il quale, sentendo la fraude e la pratica che si teneva, s’afforzò con altre genti, e licenziò quelle di messer Bernabò, mostrando sotto onesto colore non avere più bisogno dell' opera loro.

L. Bruni, Istoria fiorentina di Leonardo Aretino tradotta in volgare da Donato Acciajuoli, Felice Le Monnier, Firenze, 1861, pp. 443-446.

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