giovedì 22 agosto 2019

LA STRAGE DI VAGHERA-STIBBIO - 23 AGOSTO 1944

di Francesco Fiumalbi

PREMESSA
In questo post parleremo della strage di civili avvenuta a Stibbio il 23 agosto 1944 e lo faremo grazie alle testimonianze orali di Maria Sordi, Attilio Mazzetti e Regina Matteoli, raccolte da Primo Sordi, a cui va il nostro ringraziamento.
Probabilmente qualcuno potrebbe giudicare questo contributo troppo lungo e articolato. Tuttavia, l’episodio drammatico fu il risultato di una serie di circostanze determinate dalla complessità del contesto e del momento, dalle scelte personali e anche da circostanze casuali. Tutti i dati e le informazioni proposte, nonchè i salti di scala – dal contesto generale al particolare delle vicende personali e viceversa – vogliono costituire uno spunto di riflessione sulla tragicità e l’assurdità della guerra, ma anche sulle difficoltà patite dalla popolazione toscana nell’estate del 1944. D’altra parte la storia di questa strage è la storia di tante altre stragi, spesso taciute o dimenticate, che avvennero in Italia durante la cosiddetta “guerra di liberazione”, fra il 1943 e il 1945.

INTRODUZIONE
Il monumento che campeggia al centro della piazza di Stibbio fu realizzato nel 1934 per commemorare i caduti della Prima Guerra Mondiale. L’obelisco, nella sua sistemazione originaria, era il baricentro di un Parco della Rimembranza, ricavato acquistando il terreno dalla vicina Parrocchia di San Bartolomeo (01). Il parco fu dismesso nel secondo Dopoguerra, utilizzato come piazzale e poi come parcheggio a servizio della popolazione. Nel 1974 fu risistemato e furono aggiunte le epigrafi dedicate ai caduti e alle vittime civili della Seconda Guerra Mondiale. In tutto il territorio del Comune di San Miniato, fra l’inizio del 1944 e la fine della guerra, si contarono circa 240 vittime civili per cause di guerra e la lapide presente sul monumento di Stibbio ne riporta 17:

CADUTI CIVILI
PER CAUSE DI GUERRA
BILLI GUIDO
FRESCHI FAUSTINA
GIOVANNONI DARIO
GIOVANNONI FIDALMA
GIOVANNONI MARISA
MALUCCHI SEVERINA
MAZZETTI A. MARIA
MAZZETTI NORMA
MONTI GIUSEPPE
RINALDI PIETRO
ROSSI GIOVANNA
SALVADORI VIRGINIA
SORDI ROSA
TESTAI FRANCO
GIOVANNONI SPERANZA NEI MAZZETTI
SALVADORI ERIVO

Fra questi 17 nominativi, 8 appartengono a persone che morirono in una medesima circostanza, un drammatico episodio che vide morire 3 donne, 3 ragazze e 2 bambine mentre cercavano di sopravvivere alla guerra assieme ai propri familiari. La strage avvenne il 23 agosto 1944, quando il peggio sembrava ormai alle spalle, quando i combattimenti campali nella zona erano passati da circa un mese e l’inerzia era favorevole agli Alleati che di lì a breve avrebbero oltrepassato l’Arno.

Il Monumento ai Caduti di Stibbio
Foto di Francesco Fiumalbi

IL CONTESTO GENERALE
Alla fine di agosto 1944 stava per concludersi la “quarantena” – come è stata definita da Claudio Biscarini e Giuliano Lastraioli – degli Alleati di fronte alla linea dell’Arno. Bloccati fin dal 25 luglio dalla resistenza tedesca sul principale corso d’acqua della Toscana, le truppe Alleate già intravedevano quegli Appennini su cui si sarebbe consumata l’ultima grande battaglia sul fronte italiano. L’arresto di circa 40 giorni fu dovuto anche alla necessità di riorganizzare i reparti in vista dell’assalto alla Linea Gotica. Per questo l’Arno-stellung fu superata solamente fra il 1 e il 2 settembre (02).

Mappa pubblicata in G. R. Sullivan, Rome-Arno. The U.S. Campaigns of World War II, p. 25.

LA FAMIGLIA SORDI-GIOVANNONI
DI CASTELLONCHIO – LA CATENA
In uno dei poderi della villa-fattoria del Castellonchio, di proprietà del Barone Livio Carranza e della moglie Pia Bertolli, viveva la famiglia Sordi. Erano mezzadri e oltre all’allevamento di bovini, coltivavano cereali, barbabietole destinate allo zuccherificio di Granaiolo e pomodori per la fabbrica SAIAT di San Miniato Basso. La famiglia era composta da Emilio “Miglio” Sordi, dalla moglie Liduina Brotini e dai figli Duilio e Mario. Con loro abitava Fidalma Giovannoni – vedova di Primo Sordi, fratello di Emilio – assieme alle figlie Maria e Rosa Sordi. La guerra aveva portato i tre figli maschi lontano da casa. Pietro Sordi era soldato a Civitavecchia, Luigi Sordi si trovava a Parma. Dopo l’Armistizio di Cassibile dell’8 settembre 1943 erano riusciti a tornare a casa, ma entrambi furono costretti alla clandestinità per sfuggire ai rastrellamenti tedeschi e repubblichini. Il terzo fratello, Agostino Sordi, era soldato in Sardegna e, a causa anche di una ferita alla gamba a causa di una caduta da cavallo, fece ritorno a casa solamente a guerra conclusa. Quest’ultimo era fidanzato con Regina Matteoli di Montopoli, ma il matrimonio era stato rimandato a causa della guerra.
La famiglia Sordi abitava di fianco alla Villa del Castellonchio, che fu occupata dai militari della Wehrmacht a partire dai primi mesi del 1944. Proprio la presenza di soldati germanici pose la famiglia di fronte ad una scelta difficile: abbandonare la propria abitazione o lavorare per i tedeschi. Nonostante le titubanze, i Sordi rimasero e cercarono di sopravvivere facendo alcuni lavori per gli occupanti: gli uomini macellavano gli animali, mentre le donne erano impegnate a cucinare, lavare e cucire. Le figlie più giovani furono mandate a stare dai Marrucci, che abitavano nel vicino Podere Le Tagliate, fra il Rio San Bartolomeo e la villa-fattoria del Castellonchio (03).

LA FAMIGLIA MAZZETTI-GIOVANNONI
DI CASOTTI DI SAN ROMANO E DA RODI
Primo Mazzetti e Speranza Giovannoni, assieme al figlio Attilio, erano partiti per Rodi, una delle isole del Dodecaneso. A seguito della Guerra Italo-Turca e dopo la Prima Guerra Mondiale, era entrata a far parte dell’allora Regno d’Italia, dopo un periodo di occupazione (1912-1923). A Rodi, la famiglia di Primo Mazzetti era rientrata nel rinnovato programma di “italianizzazione” promosso dal Governatore Cesare De Vecchi (1936). Pertanto, raggiunta l’isola, andò ad abitare nel centro di Savona-San Benedetto (oggi Kolymbia), uno dei villaggi di colonizzazione appositamente fondati per ospitare i coloni italiani che nel 1936 erano circa 7000 unità. La famiglia Mazzetti aveva raggiunto una certa stabilità e dopo il figlio Attilio nacquero due bambine: Annamaria e Norma.
Con l’Armistizio dell’8 settembre 1943 anche Rodi fu occupata dalle forze germaniche. Mentre i militari italiani acquartierati nell’isola del Mar Egeo vennero deportati in massa verso la Germania, le donne e i bambini vennero rimpatriati. Fu così che Speranza Giovannoni, assieme ai figli Attilio, Annamaria e Norma – che all’epoca avevano rispettivamente 8, 4 e 3 anni – si imbarcarono su una nave che li condusse al porto del Pireo, presso Atene. Da qui proseguirono il viaggio in treno, attraverso la regione balcanica occupata dalla Wehrmacht, passarondo da Trieste, Venezia, Bologna, Firenze, raggiungendo infine San Romano. Primo Mazzetti, rimasto a Rodi e internato in un campo di prigionia, rientrerà solamente a guerra conclusa, quando l’isola passò dall’amministrazione britannica alla Grecia. Morì nel 1959 a causa di un incidente avvenuto in una conceria di Ponte a Egola.

LA FAMIGLIA GIOVANNONI-TADDEI
DI CASOTTI DI SAN ROMANO
Ai “Casotti”, la porzione di San Romano che ricade nel Comune di San Miniato, risiedeva Dario Giovannoni, fratello di Fidalma, che abitava con la moglie Ottavia Maria Taddei e i figli Nello e Marisa. Erano mezzadri e abitavano in un’abitazione situata vicino alla Strada Statale, all’inizio di via San Lorenzo. Dario Giovannoni soffriva di una grave forma di diabete e il generale stato di guerra aveva provocato un peggioramento delle sue condizioni. Nello, classe 1920, era militare e dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943 riuscì a rientrare a casa, sebbene costretto alla clandestinità.
Insieme ai genitori era tornata a vivere Speranza Giovannoni, rientrata da Rodi con i tre figli Attilio, Annamaria e Norma. I bambini conobbero i nonni: quando erano partiti Attilio non aveva nemmeno due anni, mentre le due sorelline erano nate sull’isola del Mar Egeo. La Toscana dovette sembrargli un altro mondo e, soprattutto, nel giro di pochi mesi divenne uno dei luoghi più pericolosi dove abitare.


Schema dei legami di parentela fra le persone coinvolte nella strage
Schema di Francesco Fiumalbi

I FATTI DE LA CATENA
Fra il 10 e il 17 luglio, mentre i reparti dell’88th Divisione Fanteria americana stavano procedendo da Volterra a Palaia, a La Catena avvennero alcuni episodi drammatici che fecero propendere la famiglia Sordi-Giovannoni ad abbandonare la propria abitazione. L’11 luglio 1944 fu ucciso un graduato tedesco – i documenti e le testimonianze indicano un “maresciallo” – da Duilio “Giorgio” Romagnoli e Alvaro Marrucci, due giovani del posto che partecipavano alle attività delle bande partigiane presenti fra l’Empolese e la Valdelsa. I giovani erano armati e per sfuggire ad una perquisizione all’incrocio fra la Statale e la via che sale a Cigoli, aprirono il fuoco contro i tedeschi. I militari germanici attuarono una feroce rappresaglia. Furono incendiate e distrutte tre abitazioni, fra cui la casa dei Marrucci – la famiglia di Alvaro – dove erano ospitate le bambine dei Sordi. Inoltre dieci persone furono prese in ostaggio, con la minaccia di passarle per le armi. Gli ostaggi furono condotti a Pontedera e poi trasferiti a Staffoli. Furono liberati  il 17 luglio, fortunatamente senza conseguenze, a seguito del pagamento di una “riscatto” di 150.000 lire da parte dell’Amministrazione Comunale che trovò la somma necessaria grazie alla disponibilità della Cassa di Risparmio di San Miniato, e grazie anche alla mediazione del Vescovo Mons. Ugo Giubbi, di Ugo Capponi e di altre persone (04). Mentre erano in corso le ricerche dei responsabili materiali dell’omicidio, il 13 luglio i tedeschi individuarono Domenico Di Resta e Felice Mazzeo, due militari originari di Sessa Aurunca (Caserta) che dopo l’8 settembre erano stati catturati e destinati all’internamento in Germania. I due erano riusciti a rendersi irreperibili e trovarono ospitalità presso le famiglie de La Catena. Dopo mesi di clandestinità, furono catturati e condotti al comando presso la villa del Castellonchio, dove furono interrogati e uccisi sommariamente (05). Questi episodi, unitamente all’intensificarsi delle incursioni aeree alleate – che avevano come obiettivo le infrastrutture utili alla ritirata tedesca come la SS. n. 67 Tosco-Romagnola Est e la ferrovia tra Pisa e Firenze – determinarono lo sfollamento della famiglia Sordi-Giovannoni verso Stibbio, nella casa dove abita la famiglia di Orlando Giovannoni, fratello di Fidalma.

Il luogo dove fu ucciso il militare tedesco, presso La Catena
Foto di Francesco Fiumalbi

IL PRIMO SFOLLAMENTO DEI SORDI A STIBBIO
Fidalma Giovannoni, assieme alle figlie Maria e Rosa Sordi, dopo un breve passaggio da Ersilia Giovannoni – sorella di Fidalma, che abitava presso l’Arno a Santa Croce sull’Arno – raggiunsero la famiglia di Orlando Giovannoni che abitava vicino a Stibbio, con la moglie Virginia Salvadori e la figlia Giovanna. La loro casa era situata lungo la propaggine meridionale del crinale di Montalto, affacciata sulla valle del Rio Vaghera, nel “popolo” di Stibbio, in località ai “Tre Pini” e faceva parte della Fattoria del Conservatorio di Santa Chiara di San Miniato. Non conosciamo la data esatta in cui arrivarono, ma verosimilmente fu tra il 15 e il 17 luglio 1944.

La casa ai “Tre Pini”, Vaghera-Stibbio
dove abitava la famiglia di Giovannoni Orlando
Foto di Francesco Fiumalbi

I “BLUE DEVILS” ARRIVANO TRA MONTOPOLI E SAN MINIATO
Nel frattempo, i Blue Devils dell’88th Divisione americana erano giunti fra la Valdegola e la Valdichiecina. Il 349th Infantry Regiment, partendo da Palaia, il 18 luglio aveva preso Montebicchieri (I° Battaglione) e Bucciano (II° e III° Battaglione), salvo poi spostarsi verso l’obiettivo San Miniato che raggiunse il 24 luglio (06). Il 351st Infantry Regiment, partendo da Partino, il 18 luglio aveva posto il controllo su Montopoli (II° Battaglione), Marti (III° Battaglione) e sulla zona a sud di Varramista (I° Battaglione). La notte fra il 22 e il 23 luglio gli statunitensi arrivarono all’Angelica (III° Battaglione) e ai Casotti (II° Battaglione), mentre San Romano rimase occupata dai tedeschi della 26. Panzer-Division almeno fino al 25 luglio successivo. In questi giorni, a fronte dell’inerzia delle due fanterie, fervevano le sortite delle pattuglie e l’attività delle artiglierie: gli americani cannoneggiavano verso San Romano e i tedeschi rispondevano sparando verso Montopoli, la Valdegola e la Valdichiecina (07).

Mappa pubblicata in J. P. Delaney, The Blue Devils in Italy. A history of the 88th Infantry Division in World War II, Infantry journal press, Washington, 1947, p. 115.

LO SFOLLAMENTO DEI GIOVANNONI-MAZZETTI A STIBBIO
Fra il 18 e il 25 luglio il crinale di San Romano, fra l’Angelica e i Casotti, fu tempestato dal fuoco dell’artiglieria statunitense (18-24 luglio) e dell’artiglieria tedesca (22-25 luglio). Dal Libro dei Morti della Parrocchia di San Romano, apprendiamo che il 21 luglio morirono i coniugi Eliseo Pupeschi e Gabriella Bonaccini, rispettivamente di 86 e 82 anni, a seguito del crollo della casa dovuto ad un cannoneggiamento. Il 22 luglio morì Pietro Costagli, di 57 anni, a causa delle ferite riportate per lo scoppio di un proiettile d’artiglieria presso la sua abitazione. Nel medesimo giorno i tedeschi uccisero Teresa Giglioli di 70 anni e Luigi Giovanni Dani di 72 anni d’età, mentre si trovavano nelle rispettive abitazioni presso ai Casotti. Il 25 luglio morirono Bracci Cesira, di 68 anni, e Paris Iacopini, di 67 anni, per il crollo delle rispettive abitazioni situate ai Casotti e all’Angelica (08).
Furono questi episodi che fecero propendere la famiglia Giovannoni-Mazzetti a lasciare la propria abitazione ai Casotti, nonostante le gravi condizioni di salute di Dario Giovannoni. Intorno al 20 luglio decisero di raggiungere la famiglia di Orlando Giovannoni, fratello di Dario e di Fidalma, che abitava vicino a Stibbio.

LA SITUAZIONE A STIBBIO FRA IL 18 E IL 25 LUGLIO
Fra il 18 e il 25 luglio San Romano rimase occupata dai militari germanici della 26. Panzer-Division, che continuarono ad imperversare nella zona operando continue sortite. In questo frangente Stibbio e la valle del rio Vaghera rimasero per alcuni giorni nella terra di nessuno.
Dal 18 luglio gli americani del 349th Infantry Regiment si trovavano a Montebicchieri, ma il loro obiettivo era San Miniato, per cui non avanzarono verso Stibbio anche per la resistenza opposta dai militari germanici (09). L’abitato di San Romano fu raggiunto solamente nella notte fra il 22 e il 23 luglio dai reparti del 351st Infantry Regiment, che da Montopoli si mossero in varie direzioni in modo da occupare simultaneamente l’intero crinale dall’Angelica (III° Battaglione, dal crinale di Fornoli e Masoria) ai Casotti (II° Battaglione, dal crinale di Montebicchieri). Durante tali operazioni il II° Battaglione pose il controllo su Ponte a Egola (Compagnia L) e su Stibbio (Compagnia G) dove si sistemò in posizione difensiva. La situazione era in rapida evoluzione e le pattuglie statunitensi erano impegnate in continue attività di ricognizione e controllo degli spostamenti delle forze germaniche che almeno fino al 25 luglio riuscirono a mantenere il controllo sul centro di San Romano e su Le Buche (10). Una pattuglia americana – probabilmente fra il 21 e il 22 luglio – raggiunse l’abitazione di Orlando Giovannoni, dove erano sfollati i Sordi-Giovannoni e i Giovannoni-Mazzetti. I militari statunitensi informarono che la zona era potenzialmente pericolosa ed invitarono i civili ad allontanarsi, dal momento che a breve avrebbero operato l’avanzata verso San Romano.

IL SECONDO SFOLLAMENTO A MARTI
A seguito delle informazioni rilasciate dalla pattuglia statunitense, gli abitanti della casa ai “Tre pini”, affacciata sul rio Vaghera, decisero di separarsi. Le donne e i bambini avrebbero lasciato l’abitazione, mentre gli uomini sarebbero rimasti per mantenere gli animali. Partirono Fidalma Giovannoni con le figlie Maria e Rosa Sordi, Speranza Giovannoni con la sorella Marisa e i figli Attilio, Annamaria e Norma Mazzetti. Con loro anche Virginia Salvadori e la figlia Giovanna Giovannoni.
Rimasero Orlando Giovannoni, Ottavia Maria Taddei e il marito Dario Giovannoni, le cui condizioni di salute si erano aggravate e probabilmente era impossibilitato a muoversi. Con loro probabilmente c’erano anche due dei soldati rientrati dopo l’8 settembre e che vivevano in clandestinità: Nello Giovannoni figlio di Dario e Pietro Sordi figlio di Fidalma Giovannoni.
Fatti i fagotti e presa una capretta per dare il latte ai bambini, si incamminarono in direzione di Montebicchieri senza una meta precisa. Lungo la strada si unirono ad un gruppo di sfollati provenienti da San Romano, formando un gruppo di circa cinquanta persone, decidendo di raggiungere Marti. La scelta, probabilmente, fu determinata dal fatto che il paese era stato occupato dagli statunitensi e che proprio lì avevano stabilito il Command Post reggimentale. Dunque era un luogo sufficientemente sicuro e riparato. Dopo un lungo girovagare gli sfollati di Stibbio trovarono ospitalità in un fienile “ammattonato”, ovvero dotato di pavimento in mattoni, messo a disposizione da alcuni contadini del posto. Ciò avvenne fra il 22 e il 25 luglio 1944.

Marti, veduta panoramica
Foto di Francesco Fiumalbi

LA MORTE DI DARIO GIOVANNONI
Mentre le donne e i bambini erano a Marti, il 29 luglio 1944, morì Dario Giovannoni all’età di 58 anni. Le testimonianze concordano sull’aggravarsi delle condizioni di salute a causa anche e soprattutto delle privazioni patite per lo stato di guerra. Visto il pericolo dovuto ai cannoneggiamenti tedeschi sulla zona, il corpo fu sepolto sommariamente nelle vicinanze dell’abitazione dal fratello Orlando Giovannoni, dal figlio Nello Giovannoni e dal nipote Pietro Sordi.
Nel dopoguerra la salma sarà inumata nel cimitero di San Romano.

LA QUARANTENA DURANTE IL MESE DI AGOSTO
Il 26 luglio giunse l’ordine di avvicendamento: le posizioni tenute dall’88th Infantry Division furono rilevate dal II° Battaglione del 362nd (10). Il 362nd “combat team” apparteneva alla 91st Infantry Division Powdrer River ed era un reggimento di fanteria a cui erano assegnati un numero maggiore di carri armati, artiglieria, genieri, unità meccanizzate, ricognitori, segnalatori, polizia militare e medici. Dal 13 luglio al 18 luglio risalì la Valdera e si arrestò lungo il rilevato ferroviario fra La Rotta e Pontedera, dopodiché al 91st fu assegnato il compito di mantenere la difesa della linea dell’Arno e di proteggere il fianco destro della Fifth Army, per consentire agli altri reparti di riorganizzarsi e prepararsi all’attacco sulla Linea Gotica. In particolare, il 362nd doveva coprire un fronte di circa 8 miglia – quasi 13 km – lungo il corso dell’Arno e si stabilì presso “Le Buche” di San Romano, a cavallo fra i comuni di San Miniato e Montopoli, con il preciso compito di raccogliere più informazioni possibili circa la forza, le posizioni e i movimenti del nemico, in vista dell’attraversamento del fiume previsto per la fine del mese di agosto. Per questo motivo gli fu affiancato il 316th Engineer Battalion (battaglione genieri). Inoltre, come secondo compito, doveva difendere la posizione da eventuali sortite tedesche, coprire il fronte divisionale e impedire al nemico di conoscere la disposizione e i movimenti delle truppe americane (11). Il 13 agosto, la posizione del 362nd fu rilevata dal 363rd. Tuttavia, il 17 agosto la 91st lasciò il posto all’85th Infantry Division, i cui reparti avevano raggiunto la linea dell’Arno attraverso spostamenti notturni effettuati a partire dal 14 agosto (12).  All’85th – che fino a quel momento aveva operato fra la Valdelsa e la Valdipesa – fu assegnato il fronte da Montelupo a Capanne e al posto del 363rd fu posizionato il 337th Regiment Combat Team a cui fu affiancato l’85th Reconnaissance Troop. Tuttavia il 26 agosto l’85th lasciò il posto alla 6th Armored Division sudafricana e alla 1st Armored Division statunitense (13). Questione di giorni e gli Alleati avrebbero oltrepassato la Arno-Stellung.

VERSO CASA
Dopo circa un mese dal secondo sfollamento a Marti, intorno al 20-22 agosto 1944, sembrava giunto il momento propizio per tornare a casa. D’altra parte il peggio sembrava davvero passato: i tedeschi si trovavano ancora a nord dell’Arno, ma l’attraversamento del fiume era questione di giorni. Le truppe Alleate avevano ampia disponibilità di uomini e di mezzi, addirittura distribuivano caramelle ai bambini. Nulla a che vedere con i militari germanici, che avevano spostato il grosso delle truppe ai piedi dell’Appennino, lasciando una modesta retroguardia asserragliata sulle sponde del fiume, che agiva in ranghi ridotti e con scarsità di mezzi.
Fu così che le donne e i bambini si incamminarono verso Stibbio, dove la sera del 22 agosto ritrovarono gli altri familiari e possiamo immaginare la loro contentezza.
Fidalma Giovannoni, assieme alle figlie Maria e Rosa Sordi, intendeva rientrare a La Catena, presso la casa del Castellonchio che aveva lasciato oltre un mese prima. Tuttavia, Ottavia Maria Taddei – vedova di Dario Giovannoni – le chiese di passare la notte con loro. Ormai era sera, le bambine erano stanche e sarebbero arrivate a casa dopo il tramonto. Inoltre, la donna chiese un aiuto per fare il bucato. Fidalma Giovannoni acconsentì e passarono la notte nella casa di Orlando Giovannoni.

Gli spostamenti dei nuclei familiari dal 15 luglio al 23 agosto
Schema di Francesco Fiumalbi
Base cartografica Carta Topografica Regione Toscana

LA STRAGE
Il giorno successivo, di prima mattina, le donne avevano provveduto a fare il bucato. Probabilmente era state ai lavatoi delle Fonti di Stibbio e una volta rientrate a casa, iniziarono a stendere i panni. Dall’abitazione transitò una pattuglia statunitense. Le donne offrirono da bere e, dopo essersi dissetati, i soldati ripartirono velocemente sulla propria camionetta. Il clima era disteso. Con loro c’erano anche le bambine che giocavano sull’aia, mentre il piccolo Attilio era montato su un fico, forse per gioco o per mangiare un frutto.
Sul gruppo di persone piombò improvvisamente una cannonata. Le schegge, che si irradiano in tutte le direzioni, colpirono i presenti. Fu una strage.
Morirono immediatamente 7 persone: Fidalma Giovannoni (52 anni) e la figlia Rosa (12 anni), le sorelline Annamaria Mazzetti (5 anni) e Norma Mazzetti (4 anni), Virginia Salvadori (57 anni) e la figlia Giovanna Giovannoni (18 anni), Marisa Giovannoni (15 anni).
Rimasero gravemente feriti Attilio Mazzetti (9 anni) colpito all’addome, Maria Ottavia Taddei (54 anni), Maria Sordi (14 anni) colpita alla gamba e alla testa e Speranza Giovannoni (28 anni) colpita ad una gamba, che morirà a Volterra il 7 settembre a causa di un’infezione (probabilmente tetano) causata dalle schegge della cannonata. Anche Maria Sordi fu trasportata a Volterra e lì rimase in convalescenza. Il piccolo Attilio, invece, era intrasportabile date le sue condizioni e per questo rimase al campo del Palagio e successivamente trasferito all’Ospedale di Pontedera. L’unico a rimanere incolume fu Orlando Giovannoni, che si trovava nella stalla ad accudire gli animali.
I cadaveri, straziati dalle schegge, furono messi in casse di legno fatte da Nello Giovannoni, Pietro e Luigi Sordi e trasportate al cimitero di Stibbio. Successivamente le salme furono traslate a San Romano, a Cigoli e a San Miniato.

Le vittime della strage
Foto gentilmente messe a disposizione
da Primo Sordi, Maria Sordi e Attilio Mazzetti

DINAMICA DELLA CANNONATA
Il colpo d’artiglieria tedesca fu un tiro isolato. Se si fosse trattato di un vero e proprio cannoneggiamento le persone si sarebbero messe in fuga in una zona più riparata. Invece furono tutti investiti dalle schegge. Probabilmente la pattuglia statunitense aveva attirato l’attenzione delle vedette tedesche situata a nord dell’Arno.
Le testimonianze concordato che il punto di impatto del proiettile col terreno fu l’aia della casa, che rispetto all’abitazione si trova in posizione sud-occidentale. Se la cannonata fosse venuta dalla zona di Castelfranco (nord) o di Santa Croce (nord-est), il colpo avrebbe colpito il casolare e probabilmente non sarebbe avvenuta la strage. Dunque, considerando l’orientamento dell’abitazione e l’altezza della collina (71 metri sul livello del mare) rispetto al crinale di San Romano e Casotti (60-65 mslm) l’edificio e i suoi abitanti sarebbero stati praticamente invisibili a nord e a est. Il colpo non può che essere partito da nord-ovest, ovvero dalla zona di Ponticelli e Santa Maria a Monte. Da quella direzione, in particolare da Santa Maria a Monte, la casa è visibile poiché il crinale all’altezza dell’Angelica è più basso, fra i 40 e i 25 mslm.

Dinamica della cannonata
Schema di Francesco Fiumalbi
Base cartografica CTR Regione Toscana

NOTE E RIFERIMENTI
(01) F. Fiumalbi, Parchi e viali della Rimembranza nel territorio sanminiatese, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti», n. 85, San Miniato, 2018, pp. 265-300: 279-280, 298; F. Fiumalbi, La memoria dei caduti della “Grande Guerra” a San Miniato e nel suo territorio, in San Miniato negli anni del primo conflitto mondiale. Storie di uomini e donne nell’epopea della Grande Guerra, a cura di A. De Blasio, Consiglio Regionale della Toscana, Comune di San Miniato, Edizioni dell’Assemblea, Firenze, 2019, pp. 65-146: 86-87, 141.
(02) C. Biscarini e G. Lastraioli, «Arno-Stellung». La quarantena degli Alleati davanti a Empoli (22 luglio – 2 settembre 1944), «Bullettino Storico Empolese», n. 9, Anni XXXII/XXXIV, 1988/1990, Associazione Turistica Pro Empoli, Empoli, 1991.
(03) E. Cintelli, Un baule per la libertà. La Catena 1944. Un borgo prima, durante e dopo il passaggio della Seconda Guerra Mondiale. Fatti, testimonianze, documenti, FM Edizioni, San Miniato, 2005, pp. 61-63.
(04) San Miniato durante la Seconda Guerra Mondiale (1939-1945). Documenti e cronache, Amministrazione Comunale di San Miniato, Biblioteca Comunale di San Miniato, Giardini Editori, Pisa, 1986, pp. 136-138; E. Cintelli, Un baule per la libertà. La Catena 1944. Un borgo prima, durante e dopo il passaggio della Seconda Guerra Mondiale. Fatti, testimonianze, documenti, FM Edizioni, San Miniato, 2005, pp. 19-44; F. Mandorlini, La Diocesi di San Miniato, in Abbiamo fatto quello che dovevamo. Vescovi e clero nella provincia di Pisa durante la Seconda Guerra Mondiale, a cura di S. Sodi e G. Fulvetti, Edizioni ETS, Pisa, 2009, pp. 154-155.
(05) Archivio Storico del Comune di San Miniato, Corrispondenza, Anno 1945, Atti del Comune già carte raccolte dall'assessore Renzo Caponi. Materiali originali eccidio Duomo. Relazione Giannattasio e altro, F200 S062 UF184, Cittadini deceduti per vicende belliche durante il passaggio del fronte da San Miniato – periodo dal 12-2-44 al 17-10-45; Archivio della Parrocchia di San Giovanni di Cigoli, Libro dei Morti, anno 1944, ed. in G. Ugolini, Il prete che non porse l'altra guancia. Il passaggio della guerra a Cigoli, Montebicchieri, La Catena, Ponte a Egola, FM Edizioni, San Miniato, 1997, pp. 59-60; E. Giani, Una ferrovia sulla linea del fronte. 1942-1944 Diario di Enzo Giani, a cura di C. Giani, F. Mandorlini, L. Niccolai, A. Zizzi, FM Edizioni, San Miniato, 2003, pp. 168-169; E. Cintelli, Un baule per la libertà. La Catena 1944. Un borgo prima, durante e dopo il passaggio della Seconda Guerra Mondiale, FM Edizioni, San Miniato, 2013, pp. 64-70.
(06) National Archives and Records Administration, Washington, Record Group 388 – Records of U.S. Army Operational, Tactical, and Support Organizations (World War II and Thereafter), Series Unit Histories, 349st Infantry Regiment, n. 1206215, History of the 349st Infantry Regiment – 88th Infantry Division for the month of July 1944, pp. 15-20.
(07) National Archives and Records Administration, Washington, Record Group 388 – Records of U.S. Army Operational, Tactical, and Support Organizations (World War II and Thereafter), Series Unit Histories, 351st Infantry Regiment, n. 1206223-1206248, History of the 351st Infantry Regiment – 88th Infantry Division for the month of July 1944, pp. 16-18; cfr. C. Biscarini, F. Mandorlini e L. Niccolai, Montopoli 1940-1944. Il passaggio della Guerra nei documenti italiani, alleati e Tedeschi, FM Edizioni, San Miniato, 1998, pp. 37-57.
(08) Archivio della Parrocchia “La Madonna” di San Romano, Libro dei Morti, anno 1944; ed. C. Biscarini, F. Mandorlini e L. Niccolai, Montopoli 1940-1944. Il passaggio della Guerra nei documenti italiani, alleati e Tedeschi, FM Edizioni, San Miniato, 1998, pp. 137-140.
(09) National Archives and Records Administration, Washington, Record Group 388 – Records of U.S. Army Operational, Tactical, and Support Organizations (World War II and Thereafter), Series Unit Histories, 349st Infantry Regiment, n. 1206215, History of the 349st Infantry Regiment – 88th Infantry Division for the month of July 1944, pp. 15-20.
(10) National Archives and Records Administration, Washington, Record Group 388 – Records of U.S. Army Operational, Tactical, and Support Organizations (World War II and Thereafter), Series Unit Histories, 351st Infantry Regiment, n. 1206223-1206248, History of the 351st Infantry Regiment – 88th Infantry Division for the month of July 1944, pp. 16-23.
(10) National Archives and Records Administration, Washington, Record Group 388 – Records of U.S. Army Operational, Tactical, and Support Organizations (World War II and Thereafter), Series Unit Histories, 351st Infantry Regiment, n. 1206223-1206248, History of the 351st Infantry Regiment – 88th Infantry Division for the month of July 1944, pp. 16-23; cfr. C. Biscarini, F. Mandorlini e L. Niccolai, Montopoli 1940-1944. Il passaggio della Guerra nei documenti italiani, alleati e Tedeschi, FM Edizioni, San Miniato, 1998, pp. 37-57.
(11) R. A. Robbins, The 91st Infantry Division in World War II, Infantry Journal Press, Washington, 1947, pp. 61-76, 83-84.
(12) Ivi, p. 84-91.
(13) P. L. Schultz, The 85th Infantry Division in World War II, Infantry Journal Press, Washington, 1949, pp. 117-119.

giovedì 8 agosto 2019

[VIDEO] LA RIAPERTURA DEL MONASTERO DI SAN PAOLO NEL 1890 - MERCOLEDI' 7 AGOSTO 2019

In preparazione al 766° anniversario della Rinascita al Cielo di Santa Chiara d'Assisi, mercoledì 7 agosto 2019, presso la chiesa del Monastero di San Paolo, gremita per l'occasione, si è tenuto un incontro ricco di interventi.

Fra Roberto Berini (OFMConv) ha relazionato sul tema "Vita e opere di S. Chiara". E' stata l'occasione anche per parlare un po' di storia: Francesco Fiumalbi ha parlato di una fase cruciale della storia del Monastero, "La riapertura di San Paolo nel 1890" dopo la soppressione del 1810. Alexander Di Bartolo ha approfondito tale passaggio, sottolineando il proficuo legame fra il Monastero e il Vescovo di San Miniato Mons. Pio Alberto Del Corona.
Il tutto accompagnato dalle Musiche francescane proposte da Carlo Fermalvento. A coordinare la serata Don Francesco Ricciarelli (Direttore de "La Domenica") e Fabrizio Mandorlini (Presidente UCAI San Miniato). E' intervenuto anche Francesco Mugnari dell'Associazione Teatro Tra i Binari e Direttore del Festival del Pensiero Popolare - Palio di San Rocco, per presentare l'esposizione realizzata nella stanza adiacente alla chiesa di San Paolo.

Di seguito il video e alcune immagini della serata:




lunedì 5 agosto 2019

[VIDEO] IL MULINO DI CAPOCAVALLO - INAUGURAZIONE DELLA MOSTRA - ISOLA - 3 AGOSTO 2019

a cura di Francesco Fiumalbi

In questa pagina è proposto il video della presentazione della mostra dedicata al Mulino di Capocavallo, tenutasi sabato 3 agosto 2019 presso la Casa del Popolo di Isola (fraz. San Miniato). Si tratta di un’iniziativa realizzata nell’ambito della 12° Rievocazione Storica dell’Aratura e della Battitura del Grano, una manifestazione organizzata dall’Associazione “Isola in Festa” e dal Circolo Arci di Isola, con il Patrocinio del Comune di San Miniato.

Il Mulino di Capocavallo è complesso architettonico molto interessante. Ci racconta una storia lontana nel tempo (circa 500 anni), ma molto vicina nello spazio, nella campagna fra San Miniato ed Empoli, lungo la riva sinistra del Fiume Elsa. Una storia che ci ricorda di un tempo in cui le risorse erano estremamente limitate: si tratta di un sistema sostenibile (no fonti di energia fossili, no energia elettrica, no emissioni di anidride carbonica), rinnovabile (le macine sono mosse dall’energia meccanica prodotta dall’acqua), ma anche a “km 0”. Lungo il tratto conclusivo dell’Elsa sono storicamente documentati almeno 6 mulini e quello di Capocavallo è uno di essi: appartenuto alla famiglia Bucalossi, è documentato dalla metà del XV secolo.

In mostra gli elaborati grafici redatti da Elena Cioni nell’ambito della sua Tesi di Laurea in Restauro dell’Architettura, le fotografie scattate da Antonio Continanza e una piccola testimonianza storica di Alessio Guardini.

Di seguito il video e alcune immagini della mostra.