domenica 16 gennaio 2011

CASTRUM MORIORI

di Francesco Fiumalbi


Castrum Moriori, Castello di Moriolo. Il nome è altisonante. Parlare di “castello” evoca solitamente talune immagini cinematografiche: fortezze gigantesche, cavalieri, principesse e damigelle. Nella realtà, questo insediamento militare doveva essere molto piccolo, appena una torre chiusa all’interno di un recinto. Forse ci sarà stato un cavallo, qualche arma in metallo; nessuna principessa vi ha mai soggiornato e le damigelle non dovevano essere più che massaie.

Pronti, si parte! Direzione “Castello” di Moriolo
Il Team di Smartarc: da sinistra Luciano Marrucci, Alessio Guardini, Meri Bertini, Fabio Cappelli, Rita Costagli, Massimo Bertini, foto di Francesco Fiumalbi

Moriolo oggi è una frazione del Comune di San Miniato e si trova su un rilievo a sud/ovest del Capoluogo, lungo la strada che conduce in Valdegola, chiamata via Volterrana.
Non conosciamo l’origine di questo “castello”, anche se il termine “Moriolo” viene menzionato per la prima volta nel 786 (1), nel periodo di ascesa di Carlo Magno e di incertezza per la caduta del regno longobardo avvenuta soltanto pochi anni prima. Il nostro territorio è stato abitato fin dall’epoca arcaica (2) per cui non conosciamo esattamente il periodo in cui è nato questo insediamento. Secondo il Pieri, il toponimo di Moriolo deriverebbe dal gentilizio romano Murrius (3). Se questa tesi è corretta dovremmo forse ricercare l’origine di questo piccolo nucleo nell’ambito dei pagus romani, ovvero quei piccoli centri giurisdizionali agricoli.
Il piccolo centro di Moriolo fu concesso in feudo ai signori di San Miniato nel 983 (4). Pochi anni prima, nel 943, la consorteria lucchese dei Lambardi aveva ottenuto da Eriberto, pievano di Vico Wallari (San Genesio), le terre sul colle sanminiatese attraverso un contratto di Enfiteusi. Nel 991 Ugo e Fraolmo, figli del fu Ugo (Lambardi) furono nominati fra i signori di San Miniato (5), dove probabilmente già nel 962 doveva esservi un piccolo avamposto imperiale, voluto da Ottone I durante la sua discesa in Italia (6). E’ difficile ricostruire questi passaggi, l’intreccio dei poteri e della reale disposizione dei pesi politico-governativi di questo periodo, tuttavia possiamo affermare che durante il X secolo Moriolo entra definitivamente a far parte dell’influenza di San Miniato che aveva visto accrescere di molto la sua popolazione.

San Miniato vista da Moriolo
Foto di Francesco Fiumalbi

Moriolo, perché costruire qui un avamposto militare?
Il rilievo collinare su cui sorge è, come detto, a sud/ovest del Capoluogo. Era una postazione facilmente difendibile e posta a controllo della viabilità. Si trova infatti nella “gobba” orientale dell’immaginario cammello completato dal poggio dove invece sussiste la chiesa dedicata a San Germano. La strada Volterrana passa, oggi come allora, attraverso una “sella”, un piccolo valico, facilmente controllabile. Dal castello poi era possibile vedere gran parte della valle dell’Ensi (il fiumiciattolo che scorre a sud di San Miniato) e intravedere la Valdegola. Quest’ultima doveva essere invece controllata, almeno parzialmente, da un altro piccolo insediamento situato presso l’attuale Località Sorrezzana, proprio al di sopra del ponte sul Torrente Egola (che doveva trovarsi più o meno dove c’è quello attuale), e che costituiva un punto di osservazione privilegiato per una buona porzione della vallata. Occorre precisare che questa localizzazione non è condivisa da tutti. Il Lotti afferma infatti che il castello doveva trovarsi esattamente dove è collocata la chiesa (7), formando un “borgo fortificato”. Appare evidente l’errore, tradito da certa storiografia romantica. Non si trattava affatto di un borgo, ma di qualche casa sparsa che aveva come punto di riferimento una torre con un piccolo recinto difensivo. In effetti l’area in cui sorge la chiesa dedicata a San Germano è un luogo di pochissimi metri più alto rispetto all’altra “gobba”, ma più distante rispetto alla strada, unica e vera matrice. Che si trattasse di una torre ce ne fornisce prova il notaio e cronista sanminiatese Giovanni di Lemmo Armaleoni da Comugnori che parla inequivocabilmente di Turrim de Morioro (8).

Il “valico” fra le due “gobbe” del “cammello” di Moriolo
Foto di Francesco Fiumalbi

Il sistema insediativo medioevale, così come nelle epoche precedenti e successive, si basa fortemente sul sistema viario, che solo a tratti corrisponde con quello attuale. Non disponendo di mezzi di locomozione a motore le strade seguivano precise conformazioni, andando ad adattarsi all’orografia del terreno. Vi erano quindi soltanto vie di fondovalle e vie di crinale. Non esistevano i “tornanti”, nati praticamente con l’automobile, e la viabilità di mezza costa, salvo rarissime eccezioni. Osservando la viabilità odierna, si vede bene che la strada attuale non coincide interamente con quella originaria. Il tratto sul versante nord, verso la valle dell’Ensi è stato sicuramente modificato, mentre quello in direzione sud, verso Sorrezzana e Genovini, compreso il cosiddetto “valico” fra le due “gobbe” doveva essere pressoché coincidente con la viabilità odierna, salvo che per il tratto conclusivo.
Il sistema militare di un “libero comune” come quello di San Miniato in epoca medioevale si basava fortemente su tutta una serie di “postazioni” messe a presidio della viabilità. Le contrade cittadine, organizzate secondo apposite “Società d’Arme” potevano contare su vere e proprie masnade dislocate nei castelli del territorio (9). Si trattava per lo più di piccolissimi nuclei militari spesso controllati direttamente da quei signori che detenevano la proprietà dei terreni circostanti e che ricoprivano importanti cariche civiche. Questi piccoli insediamenti dovevano nascere oltre che per presidiare la viabilità anche per mettere al riparo da ruberie e incursioni il raccolto e il bestiame (10).

Carta di Moriolo e dintorni
Disegno su base CTR 10000 di Francesco Fiumalbi

Torniamo al “castello” di Moriolo. Questo piccolo fortilizio sarebbe passato quasi inosservato nella storia locale se non fosse che rivestì un ruolo abbastanza significativo nell’ambito delle lotte di inizio ‘300. In quegli anni il territorio del Comune di San Miniato si trovava praticamente schiacciato fra due superpotenze, Pisa e Firenze, e per questo suo essere terra di confine farà da scenario ad innumerevoli scontri bellici.
Nelle parole che seguiranno si propone una ricostruzione degli avvenimenti di inizio ‘300 al solo scopo di inquadrare in un contesto più ampio le vicende del Castello di Moriolo, senza la pretesa di essere esaustivi e puntuali.
Nel 1284 Pisa venne sconfitta da Genova nella famosa “Battaglia della Meloria”. Il definitivo declino della città avvenne con la rinuncia a qualsiasi pretesa sulla Corsica e alla cessione ai genovesi di gran parte della Sardegna nel 1299. Pisa si trova ad essere, nel giro di pochi anni, una città senza mare, e per questo comincia a nutrire mire sempre maggiori nell’entroterra, dove poter trovare sostentamento per una popolazione molto grande. Forte dell’alleanza con il Sacro Romano Impero (che viveva il plurisecolare problema della stabilizzazione della Toscana, che non risolverà mai), nel 1313 Pisa chiamò al governo un vicario dell’Imperatore Arrigo VII di Lussemburgo: il Capitano di ventura Uguccione della Faggiola (11). Questi, grazie ad un esercito formato da molti mercenari tedeschi, cominciò una vera e propria campagna di conquiste: assediò e occupò la città di Lucca e mise a ferro e a fuoco buona parte del Valdarno Inferiore. L’apice delle sue vittorie fu raggiunto nel 1315 con la clamorosa vittoria pisana, che aveva praticamente tutti contro (Firenze, Siena, Angioini, etc), presso Montecatini.

Ciò che rimane del Castello di Moriolo,
foto scattata per gentile concessione della proprietà, sig. Lami.

Nel territorio di San Miniato le vicende non sono meno complesse. Anche se dichiaratamente nemiche, Firenze e Pisa facevano ottimi affari commerciali e le gabelle imposte dal libero comune di San Miniato, considerate esose, frenavano il “business” fra le due città. Nel 1313 Uguccione della Faggiola riesce a mettere in scacco buona parte dei castelli del territorio di San Miniato. Ci fu una vera e propria insurrezione, complici anche le mal ricucite lotte intestine fra “Magnati” e “Popolani” del 1308 (12). Non è possibile stabilire quali dei piccoli castelli furono assediati e conquistati e quali si consegnarono ai pisani. Di fatto molti fortilizi caddero nelle mani di Uguccione della Faggiola, fra cui Cigoli, Agliati, Balconevisi, Bucciano, Camporena, Comugnori, Grumulo, Montalto, Stibbio, la Torre di San Romano e, appunto, Moriolo. Alcuni di questi si costituirono liberi comuni. Tutto questo senza che gli alleati fiorentini muovessero foglia. In fondo, anche a loro stava bene una lezione agli esosi gabellieri sanminiatesi. I fiorentini mandarono 300 uomini per sostenere gli alleati soltanto dopo alcuni giorni, quando i castelli erano già insorti e ben poco avrebbero potuto fare.

Le strutture a “barbacane” sul vertice sud-est
Foto scattata per gentile concessione della proprietà, sig. Lami.

I ghibellini pisani a Moriolo, chiudevano la guelfa San Miniato da sud, tagliando di fatto tutti i possibili collegamenti con la Valdegola. Da qui poi partivano numerose scorrerie mantenendo altissima la tensione. I sanminiatesi nel maggio del 1313 tentarono di porre fine a questa situazione, decisi a riprendersi il castello di Moriolo. La battaglia si svolse proprio davanti al castello che però si difese e rispedì indietro gli assalitori (13).
Per vendetta ai continui smacchi ricevuti, i sanminiatesi distrussero il palazzo e la torre di un tale Cuccolo da Morioro che si trovava nel quartiere di Fuori Porta in località Poggio che il Lotti identificò con l’attuale Piazza del Popolo (Piazza San Domenico) (14), anche se mancano adeguati riferimenti in merito.

Come doveva apparire il Castello di Moriolo
Disegno di Francesco Fiumalbi

In Pisa crebbero malcontenti interni per il dispotico atteggiamento di Uguccione della Faggiuola, che fu cacciato nel 1316 (15). Caduto Uguccione, Roberto d’Angiò, nell’aprile del 1317 presso la sua corte di Napoli, riuscì a pacificare la Lega Guelfa, e i Fiorentini in prima linea, con Pisa e Lucca. Al momento le parti si accordarono nel mantenere a ciascuna città le conquiste ottenute durante la guerra (16). Giovanni di Lemmo Armaleoni, nel suo Diario, afferma che nel 1318 i Pisani si impegnarono a restituire i castelli conquistati ai sanminiatesi. E’ probabile che i patti stabiliti con i sanminiatesi fossero diversi rispetto a quelli con Firenze che prenderanno corpo con la Pace di Montopoli del 1329. Infatti, al termine di una lunga trattativa i Sanminiatesi riuscirono a riprendersi l’avamposto di Moriolo e ad ergere sul pennone della torre l’arme Comunis Sancti Miniatis (17), il vessillo comunale.
La situazione toscana si stava evolvendo lentamente, segnata da continui scontri bellici. Castruccio Castracani e Ludovico il Bavaro sono i protagonisti di queste vicende che culminarono con la definitiva caduta di Pisa che trattò, di fatto, la resa con Firenze nella Pace di Montopoli, avvenuta l’8 agosto 1329 (18). Pisa si impegnò a restituire i territori conquistati, entro il tempo di 50 giorni (19) fra cui alcuni castelli sanminiatesi ancora non riconsegnati. La Repubblica Fiorentina prese sotto la sua giurisdizione praticamente tutto il medio Valdarno Inferiore. Anche se formalmente libero comune, San Miniato entrò definitivamente a gravitare attorno all’orbita di Firenze. I castelli sanminiatesi ancora non restituiti furono presi in consegna dai fiorentini. La Torre di San Romano venne ceduta al Comune di Montopoli. Stibbio, Montebicchieri, Comugnori, Leporaja e Cigoli non furono restituiti a San Miniato e andarono a costituire il Comune di Cigoli, che si reggerà fino alle riforme leopoldine del 1774 (20).

Ciò che rimane del castello di Moriolo, Interno
Foto scattata per gentile concessione della proprietà, sig. Lami.

Il piccolo castello di Moriolo tornò, dopo ben 5 anni, nelle mani dei sanminiatesi che subito lo “diroccarono” (21).
Non sono chiare le modalità con cui avvenne la distruzione. E’ probabile che sia stato abbattuto il recinto e capitozzata la torre. Di questa rimane la parte basamentaria, forse il livello terreno, costituito da copertura a botte con unghie. Questa struttura mal si confà alle comuni cantine. E’ una struttura molto rigida, possente, costruita per sostenere grandi carichi. Anche i muri sono molto spessi e potevano facilmente sostenere una struttura multipiano.
Nel fronte sud si notano alcune porzioni di barbacane. Tali strutture servivano, allora come oggi, essenzialmente per distribuire meglio i carichi sul terreno e contenere eventuali cedimenti. Di queste non se ne spiega la presenza se non pensando ad un grande carico, concentrato per lo più sullo spigolo sud/est, quindi opposto alla valle, e che poteva ben identificarsi con il forte peso di una torre.
L’analisi architettonica delle porzioni murarie originali che ci sono pervenute fino ai giorni nostri rafforza la testimonianza documentaria di Giovanni di Lemmo Armaleoni da Comugnori precedentemente citata.

L’avamposto militare era dotato anche di una fonte di approvvigionamento idrico interna, che ne garantiva l’autonomia in caso d’assedio. Questo dato è estremamente significativo dell’accuratezza nella scelta del luogo che, oltre ad essere in posizione difendibile, strategicamente vicino alla viabilità e dotato di acqua.

La “fonte” interna
Foto scattata per gentile concessione della proprietà, sig. Lami.

Come abbiamo visto, il castello fu distrutto dai sanminiatesi. Al suo posto vi fu costruita una abitazione, forse una fattoria. La proprietà passò negli anni alla famiglia Grifoni, come attestato dalle Carte dei Capitani di Parte Guelfa (1580-1595) (22).
L’edificio pervenne nel ‘700 alla famiglia Pazzi. Non è chiaro come sia avvenuto il passaggio di proprietà, ovvero se fu comprata dai Chellini-Sanminiati e poi ereditata dai Pazzi nel 1751 o acquistata direttamente dal nobile casato fiorentino.
I Pazzi eseguirono importanti lavori di ristrutturazione, trasformando l’edificio in una piccola villa-fattoria. Di ciò rimane testimonianza in alcuni capitelli “firmati”.

Base di capitello realizzato per la famiglia dei Pazzi
Foto scattata per gentile concessione della proprietà, sig. Lami.

Questo edificio rappresenta un piccolo esempio di come la storia abbia lasciato le proprie tracce incastonate nella pietra e nei mattoni. Esperienze antiche e conflitti lontani, ma con eco vicine e segni visibili ancora oggi.
Si ringrazia il Sig. Lami, proprietario dell’edificio per aver permesso la visita dell’antico “castello” di Moriolo al Team di Smartarc.

Il Team di Smartarc: osservazioni e considerazioni finali
Da sinistra: Francesco Fiumalbi, Meri Bertini, Alessio Guardini, Rita Costagli, Luciano Marrucci, Fabio Cappelli e il fotografo, che c’è ma non si vede, Massimo Bertini


NOTE BIBLIOGRAFICHE:
(1) Cianelli, Memorie e documenti per servire all’istoria della Città e Stato di Lucca, in Repetti Emanuele, Dizionario Storico Fisico Geografico della Toscana,Tofani Editore, Firenze, 1833, volume III, pagg. 428-429, voce Moriolo.
(2) AAVV Le colline di San Miniato (Pisa): la natura e la storia, supplemento n. 1 al vol. 14 (1995) dei Quaderni del Museo di Storia Naturale di Livorno, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Provincia di Pisa.
(3) Pieri Silvio, Toponomastica della Valle dell’Arno, Forni Editore, Ristampa Anastatica 1919.
(4) Boldrini Roberto (a cura di), Dizionario dei Toponimi del Comune di San Miniato, Bongi, 2004, pag. 75.
(5) Cianelli, Memorie e documenti per servire all’istoria della Città e Stato di Lucca, in Repetti Emanuele, Dizionario Storico Fisico Geografico della Toscana,Tofani Editore, Firenze, 1833, volume V, pag. 60, voce San Miniato.
(6) Lami Giovanni, Deliciae erudito rum, Firenze, 1736-1769.
(7) Lotti Dilvo, San Miniato, vita di un’antica città, Sagep Editrice, Genova, 1980, pag. 324.
(8) Mazzoni Vieri (a cura di), Diario di Ser Giovanni Lemmo Armaleoni da Comugnori”, Olschky, Firenze, 2008, c. 59v, pag. 71.
(9) Lotti Dilvo, Op. Cit., pag. 65.
(10) Si veda l’articolo La civiltà della torre in AAVV, Progetto San Gimignano, Alinea, Firenze, 1997.
(11) http://it.wikipedia.org/wiki/Uguccione_della_Faggiola
(12) Giovanni di Lemmo Armaleoni da Comugnori, Diario (1299-1319), Olschki, 2008.
(13) Repetti, Op. Cit., volume III, pagg. 428-429, voce Moriolo.
(14) Lotti Dilvo, Op. Cit., pag. 324.
(16) Ibidem.
(17) Mazzoni Vieri (a cura di), Op. Cit., c. 59v, pag. 71.
(18) http://montopolinvaldarno.splinder.com/archive/2009-09
(19) Repetti, Op. Cit., volume III, pagg. 428-429, voce Moriolo.
(20) Repetti, Op. Cit., volume V, pag. 60, voce San Miniato.
(21) Repetti, Op. Cit., volume III, pagg. 428-429, voce Moriolo.
(22) Carte dei Capitani di Parte, Archivio di Stato di Firenze, Olschki, c 661.

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