martedì 27 agosto 2013

SAN MINIATO NEL "VIAGGIO" DI GUIDO CAROCCI

INTRODUZIONE 
a cura di Francesco Fiumalbi

Su segnalazione degli amici di “Della Storia d'Empoli”, a cui va il nostro più sentito ringraziamento, proponiamo l'estratto di un interessante volumetto dei primi anni del '900. Si tratta del testo redatto da Guido Carocci (Firenze, 1851-1916), dal titolo Il Valdarno. Da Firenze al mare”, edito a cura dell'Istituto Italiano d'Arti Grafiche di Bergamo, nel 1906.


Guido Carocci, Il Valdarno. Da Firenze al mare
Istituto Italiano d'Arti Grafiche, Bergamo, 1906, frontespizio

E' interessante per vari aspetti. Prima di tutto per il tema del viaggio, che riprende idealmente l'opera di Francesco Fontani, Viaggio Pittorico della Toscana, dato alle stampe un secolo prima e di cui abbiamo già avuto modo di parlare. Tuttavia il testo di Carocci va oltre alla dissertazione puramente storica del Fontani, o storico-geografica del Repetti, andando ad indagare anche, e soprattutto, la sfera artistica. In questo senso Carocci riconosce all'Arte il ruolo di massima testimonianza della cultura e della storia dei luoghi. Non a caso egli fondò nel 1882, e diresse per tutta la durata della sua vita, la rivista “Arte e Storia”. Il dichiarato intento del periodico era quello di “patrocinare gli interessi dell'arte, tener vivo l'amore per gli interessi storici”, quindi di legare l'arte alla storia, che insieme formano un tutt'uno: l'Arte quale espressione tangibile, lascito materiale di un'eredità culturale, di cui siamo i depositari; un patrimonio che viene dal passato, da chi ci ha preceduto, dalla nostra Storia e che fa parte della nostra identità.
In secondo luogo, il “Viaggio” di Carocci è assai interessante perché arricchito da splendide illustrazioni fotografiche, a differenza delle incisioni pubblicate dal Fontani. L'intero volume conta 138 immagini, e quelle dedicate a San Miniato, alla Città, al suo territorio e alle opere di interesse artistico, sono ben 14. Nove di queste vengono indicate come di proprietà dell'Istituto Italiano di Arti Grafiche, mentre le cinque rimanenti vennero fornite da Vittorio Alinari (Firenze, 1859-1932), che proseguì il lavoro iniziato dal padre e dagli zii. Quindi, grazie a questa pubblicazione, abbiamo a disposizione un'importante documentazione sulla San Miniato dell'epoca, sullo stato di conservazione degli edifici monumentali e su molte delle opere artistiche che possiamo ammirare ancora oggi, conservate in apposite strutture museali. Nelle immagini, invece, molte di queste opere si trovano nella loro collocazione originaria.
Tuttavia è bene ricordare che questa non è la prima pubblicazione del genere su San Miniato. Già tre anni prima, nel 1903, sempre per cura dell'Istituto Italiano d'Arti Grafiche di Bergamo, era stato dato alle stampe il volume n. XVIII della rivista “Emporium”, contenente un bell'articolo firmato da Guido Battelli. Certamente il Carocci prende ampio spunto dal lavoro di Battelli, così come molte delle illustrazioni, per le quali nella rivista vengono ringraziati Bernard Berenson e Filippo Del Campana. Alcune immagini sono davvero le stesse, ma ve ne sono anche di nuove.
Tornando al “Viaggio” del Carocci, non staremo a sindacare sulle attribuzioni, su alcune imprecisioni o su quelle notizie storiche che si sono rivelate inesatte, trattandosi di un testo che ha più di un secolo. Ci riserviamo tuttavia, in un secondo momento, di commentare le singole immagini che in questo post trovate assieme al testo.
Per chi desiderasse leggere o scaricare l'intero volume, dal momento che i copyrights sono scaduti, è possibile farlo attraverso il sito Archive.org.
Buona lettura!

ESTRATTO
da Guido Carocci, Il Valdarno. Da Firenze al mare, Istituto Italiano d'Arti Grafiche, Bergamo, 1906, pp. 83-99.

Immagine tratta da G. Carocci, Il Valdarno... cit., p. 83.

[pagina 84] SAN MINIATO.
All'estremità occidentale del piano empolese, sopra il vertice ondulato di un poggio che a guisa di sprone si protende verso la valle dell'Arno, distende la lunga

Immagine tratta da G. Carocci, Il Valdarno... cit., p. 84.

linea dei suoi edifizi la città di San Miniato, alternativamente chiamata al Tedesco e al Fiorentino, capoluogo di un vasto circondario della provincia di Firenze. La lunga e irregolare distesa delle sue case biancheggianti, interrotta di tanto in tanto dalla massa grandiosa di chiese e di palagi, coronata di torri e di campanili, segue le sinuosità del monte ed a chi la guarda da lontano dà l'idea che San Miniato sia una ampia e popolosa città. Invece, San Miniato, se possiede una storia e tradizioni gloriose da fare invidia a centri molto più importanti, non può considerarsi che come un lunghissimo borgo che di tanto in tanto si allarga per costituire delle piazze e che si dirama in piccole e brevi strade minori.
San Miniato non ha che 3500 abitanti o giù di lì, ma, in compenso, offre l'aspetto e l'importanza di una piccola capitale, di un centro di movimento e di affari

[pagina 85] tutt'altro che insignificante, essendo sede di numerosi uffici pubblici. Ma queste sue qualità, diremo così, officiali, sono di gran lunga superate dalle attrattive che San Miniato offre per la sua meravigliosa situazione, per la vaghezza dei giardini che l'allietano, per la ricchezza infinita di edifizi e di opere d'arte che la rendono una delle più simpatiche e delle più leggiadre fra le città secondarie della Toscana.
L'origine sua si perde nel mistero de' tempi lontani, e le vicende della sua storia molteplici e fortunose mal si riassumerebbero in questa modesta illustrazione. Forse fu qui un villaggio o vicoromano al quale si sostituì nel basso medioevo un castello posseduto da nobili Longobardi. Certo è che fin dal secolo IX, dopo una non breve permanenza fattavi da Ottone I Imperatore, San Miniato, che dal titolare d'un'antica chiesetta ebbe nome, divenne la residenza d'un rappresentante o Vicario degl'Imperatori

Immagine tratta da G. Carocci, Il Valdarno... cit., p. 85.

di Germania che in Toscana ne tutelava l'autorità e gl'interessi. Gli abitanti però male si assoggettarono al dominio della signoria straniera e per due volte, nel XII e nel XIII secolo, devastarono e abbandonarono la loro terra, andando a popolare due sottostanti borghi della pianura: Vico Wallauri che si chiamò poi San Genesio e Santa Gonda. Ma irrequieti, desiderosi di libertà e d'indipendenza, si rivolsero anche contro chi li aveva ospitati, e, distrutto San Genesio, annientato il borgo di Santa Gonda, tornarono al loro dolce colle, contendendo i diritti degl'Imperatori e de' loro Vicarî.
Riuscirono così ad acquistarsi una certa autonomia, perchè gl'Imperatori, pur di non perdere quella specie di vedetta che nel cuore della Toscana rappresentava tuttora quell'autorità feudale che sfuggiva loro dalle mani, cercarono di cattivarsi l'animo dei Sanminiatesi e permisero loro di costituirsi in libero comune, il quale, proprio sotto gli occhi del Vicario Imperiale, giunse fino a far parte della lega guelfa.
Federigo Barbarossa e poi Federico II dimorarono lungamente nella loro rocca, esercitarono di lassù l'autorità loro, tentarono di raccogliere e di animare le forze del partito ghibellino; ma la marea guelfa incalzava senza tregua e nello stesso castello

[pagina 86] di San Miniato s'accendevano di continuo le contese più violente fra i partigiani delle due opposte fazioni. Il potere imperiale scomparve travolto dall'irruenza di parte guelfa ed i Fiorentini, profittando delle discordie intestine che agitavano senza tregua l'ultimo propugnacolo dell'autorità degl'Imperatori, strinsero d'assedio

Immagine tratta da G. Carocci, Il Valdarno... cit., p. 86

il castello, lo espugnarono e nel 1369 lo aggregarono senz'altro al territorio della loro potente Repubblica.
Il castello di S. Miniato ebbe in origine modesta estensione e le sue solide mura racchiudevano appena il cocuzzolo del poggio sul quale sorgeva la rocca imperiale. Di questa rocca, che fu gettata al suolo ed abbandonata, altro non resta oggi che l'alta e smantellata torre, che, simbolo di una potenza e di una grandezza

[pagina 87] tramontate, domina una gran parte del Valdarno e le vicine valli dell'Elsa e dell'Evola. Su quel prato deserto e silenzioso dove crescono e prosperano i fiori, a formare uno strano contrasto collo squallore di quel cupo rudere, fu la residenza degli orgogliosi Imperatori tedeschi, fu la dimora dei loro Vicarî e fra quelle mura, oggi

Immagine tratta da G. Carocci, Il Valdarno... cit., p. 87

rase al suolo, si svolsero truci e misteriosi drammi. Di uno, specialmente, è giunto fino a noi il ricordo, tramandato dagli storici: la fine infelicissima di Pier della Vigna, il celebre ministro di Federigo II, che caduto in disgrazia del suo signore, fu qui tratto in catene nel marzo del 1249 e barbaramente acciecato, sicché in un impeto di disperazione si uccise fracassandosi il cranio contro le pareti del carcere.
Accanto alla torre eccelsa, dall'alto della quale lo sguardo può errar libera

[pagina 88] mente attraverso a mezza Toscana, sono stati incisi a ricordo del caso pietoso i versi di Dante:
«Io son colui che tenni ambo le chiavi
del cuor di Federigo e che le volsi,
serrando e disserrando, sì soavi
che dal segreto suo quasi ogni uom tolsi»

Immagine tratta da G. Carocci, Il Valdarno... cit., p. 88.

Poco al disotto della rovina della Rocca, è la Cattedrale dedicata a S. Maria e a S. Genesio per rievocare il ricordo della chiesa di Vico Wallauri e quasi ad espiazione dell'ingratitudine che i Sanminiatesi addimostrarono per quel borgo ospitale. La facciata della chiesa, a cortina di mattoni, serba le tracce delle trasformazioni e degli ampliamenti succedutisi dal XII al XVII secolo. Degli ornamenti di terracotta stampata, delle scodelle di majolica infisse nella cortina sono i resti della primitiva facciata. Nell'interno la chiesa è stata modernamente rifatta. Delle opere d'arte il corredo è piuttosto scarso. Più interessanti d'ogni altra cosa sono tre parti degli specchi del vecchio pergamo, scolpiti di bassorilievo colla rappresentazione dell'Annunciazione ed uno stemma; interessanti per antichità loro e perché sono illustrati da iscrizioni che ne riassumono la storia. Le sculture sono di Giroldo di Jacopo da Como, scultore lombardo che lavorò al Duomo di Milano, alla Certosa di Pavia, al Duomo di Lucca, a Massa Marittima, alla Badia di Montepiano ed in altre località della Toscana; furono eseguite nel 1274 a tempo del Podestà Ugo de' Cancellieri da Pistoja. Una tavola dipinta nel 1463 da Neri di Bicci, il fonte battesimale di marmo che potrebbe attribuirsi a Pagno Portigiani discepolo di Donatello, che si sa aver lavorato a San Miniato, ed una piletta del XV secolo, completano il patrimonio artistico del Duomo. Il campanile di mattoni era una delle salde e gagliarde torri del vecchio castello, del quale facevano parte i palazzi vicini, oggi del Vescovado e della Sottoprefettura.
Più importante della Cattedrale è la chiesa di S. Francesco che maestosa s'inalza dalle balze del monte, sostenuta da sproni e da arcate di proporzioni gigantesche.

[pagine 89] Cominciata a costruire nel 1343 sul luogo di un antico oratorio, la chiesa di S. Francesco restò compiuta nel 1480 e della costruzione sua originaria serba tuttora in gran parte i caratteri. Non così sono giunti fino a noi i molti oggetti d'arte e le decorazioni che, a similitudine di tutte le altre chiese francescane, dovevano adornarla. Unico resto delle sue dovizie artistiche sono de' frammenti di un bellissimo affresco gaddiano (che decorava un giorno la sala del Capitolo), oggi quasi nascosti in uno stambugio al disotto del campanile.
Ma quello fra gli edifizi religiosi di San Miniato che presenta grande importanza artistica, non tanto per i pregi architettonici, quanto per la ricchezza infinita delle opere d'arte che vi sono raccolte, è la chiesa dei Domenicani intitolata ai Ss. Jacopo e Lucia. Pur essa, alla pari di quella di S. Francesco, sorge dalla balza del

Immagine tratta da G. Carocci, Il Valdarno... cit., p. 89.

[pagina 90] monte, sostenuta da immensi piloni. In origine era a tre navate, oggi è ad una sola ed ampia nave con cinque cappelle di carattere ogivale. Essa fu cominciata a costruire nel 1330 dai frati Domenicani di Firenze e le più illustri e potenti famiglie di San Miniato la corredarono di cappelle, ricche di pregevolissimi affreschi che nei tempi della decadenza artistica scomparvero sotto il bianco.

Immagine tratta da G. Carocci, Il Valdarno... cit., p. 90.

Recentemente però, importanti restauri sono stati eseguiti a questa chiesa, restituendo all'aspetto originario le tre cappelle di prospetto e rimettendo in luce non pochi affreschi interessantissimi. Quelli della cappella degli Armaleoni, che rappresentano storie della Madonna, sono della scuola dei Gaddi ed appartengono forse a Niccolò di Piero Gerini. In fondo alla chiesa poi, dov'erano in origine due cappelle, sono venuti in luce altri interessanti affreschi che possono attribuirsi a qualche scolaro dell'Angelico che li eseguì sotto la guida o l'ispirazione del maestro. Per dovizia

Immagine tratta da G. Carocci, Il Valdarno... cit., pp. 91-92.

[pagina 93] di opere d'arte la chiesa dei Domenicani può considerarsi come il museo cittadino. Tolte dalla sagrestia e dalle altre parti del convento e disposte convenientemente nella chiesa, esse sono ora oggetto della giustificata ammirazione del visitatore. Vi sono tavole e frammenti di ancone di scuola giottesca, altre de' primi del XV secolo attribuite a Rossello di Jacopo Franchi, diverse della maniera di Fra

Immagine tratta da G. Carocci, Il Valdarno... cit., p. 93.

Giovanni Angelico. Ma l'opera più interessante è la tavola che è stata posta a decorazione della cappella degli Armaleoni, nella quale le figure della Vergine in trono col bambino Gesù e dei santi Sebastiano, Rocco, Giovanni Battista e Martino vescovo mostrano tutta la leggiadrìa dell'arte fiorentina del 400.
Interessante è pure la tavola del XV secolo che adorna la vicina cappella, un giorno dei Samminiati.
In questa stessa cappella è il monumento funebre di Giovanni Chellini, celebre medico fiorentino morto nel 1468. È un'opera incompleta, perchè il frontespizio è

[pagina 94] un'aggiunta posteriore, il medaglione colla Vergine e il bambino è un calco di stucco ed il fondo del vano è deturpato da goffe e volgari decorazioni moderne che dovrebbero esser tolte. Tradizionalmente, il cenotafio si attribuisce a Donatello e al discepolo suo Pagno Portigiani che lavorarono insieme a San Miniato; ma l'attribuzione regge difficilmente alla critica, perché, alla morte del Chellini, Donatello era decrepito ed il Portigiani pure era già molto vecchio.
Altra opera di pregio singolare è un tondo di terracotta invetriata rappresentante

Immagine tratta da G. Carocci, Il Valdarno... cit., p. 94.

l'Annunciazione, leggiadrissimo lavoro di Andrea o, meglio, di Giovanni Della Robbia, proveniente dalla soppressa chiesa monastica di S. Martino. Al disotto del piano della chiesa è l'ampia cappella di S. Urbano, tutta decorata di buoni affreschi del XVI secolo.
Grandiosi palazzi di buona architettura sorgono sulle piazze e lungo le strade pittoresche di questa quieta e caratteristica città.
Il Palazzo Comunale, fondato nel XIV secolo per uso di residenza de' magistrati cittadini, non ha esternamente interesse di sorta; ma nell'interno conserva intatto il salone o l'Udienza del Consiglio, salone che pochi anni addietro venne convenientemente ristaurato. In una delle sue pareti è un affresco della maniera dei Gaddi dipinto nel 1393 a tempo di un vicario di casa Guicciardini e rappresenta la

[pagina 95] Vergine in trono, circondata dalle Virtù Teologali. Tutte le altre pareti e le vôlte sono adorne di stemmi e d'imprese dei Vicarî della Repubblica Fiorentina.
Al pianterreno, sotto la sala del Consiglio, è l'Oratorio della Madonna di Loreto detto del Loretino, che serviva alle cerimonie religiose pubbliche e private della

Immagine tratta da G. Carocci, Il Valdarno... cit., p. 95.

magistratura cittadina. La cappella è di forma graziosa e ricca di adornamenti che un recente incendio espose ai più gravi rischi. Le pareti sono adorne di affreschi assai deteriorati della prima metà del XV secolo e l'altare di legname è di squisitissimo e delicato lavoro del XVI secolo. Framezzo alle leggiadre decorazioni intagliate e dorate è un gradino con piccole storie che sanno della maniera di Ridolfo

[pagina 96] del Ghirlandajo o del Sogliani. Il bel cancello di ferro battuto che chiude la cappella porta il nome dell'artefice, Lello di Siena.
Dei palazzi privati, il più vasto e il più artisticamente pregevole è quello Grifoni, oggi Catanti, di severa architettura toscana del XVI secolo. Giuliano di Baccio d'Agnolo ne fece il disegno per Messer Ugolino Grifoni monsignore d'Altopascio e il Vasari dice che «fu cosa magnifica». Pur troppo il lungo abbandono ha ridotto

Immagine tratta da G. Carocci, Il Valdarno... cit., p. 96.

oggi la facciata in condizioni deplorevoli. Artisticamente importanti sono anche il palazzo Formichini, già Morali, del XVI secolo, quello Salvadori, già Franchini, Del Campana, già Roffia, e quelli che furono un giorno dei Borromei e dei Buonaparte, celebri famiglie sanminiatesi, posti sulla piazza del Tribunale.
Subito fuori della città, dal lato di ponente, è il R. Conservatorio di S. Chiara, dove fu un monastero eretto nel secolo XIV dalla famiglia Portigiani. Sull'altar maggiore della chiesa è una bella tavola dell'Empoli rappresentante la Concezione. Di eleganti forme ogivali è l'attigua sagrestia, un giorno chiesa dedicata a S. Maria Maddalena, fondata nel 1352 dai Bonincontri; sull'altare è una delle migliori tavole di

[pagina 97]Lodovico Cardi da Cigoli raffigurante Gesù Cristo che appare alla Maddalena sotto le spoglie di un ortolano.
Proseguendo la via, si trova la piccola chiesa di S. Maria del Fortino, leggiadra costruzione del XIV secolo che era già annessa ad uno spedaletto, oggi distrutto.

Immagine tratta da G. Carocci, Il Valdarno... cit., p. 97.

Sull'altare esiste l'antica tavola danneggiata assai dall'umidità e dall'incuria. Nel centro della tavola, in una specie di tabernacolo sostenuto da angeli volanti, è la Vergine col bambino Gesù; in basso stanno S. Sebastiano, S. Bartolommeo, S. Cosimo, S. Damiano e S. Caterina d'Alessandria; è opera assai importante di scuola del Ghirlandajo.

[pagina 98] Nei dintorni di San Miniato, fra le valli dell'Arno, dell'Elsa, dell'Evola e dell'Era, sorgono villaggi, castelli e casali che fecero parte del territorio della piccola repubblica costituitasi dopo la decadenza del dominio imperiale e molti di essi offrono tuttora un interesse speciale per i resti di antiche rocche, per edifizi di carattere medioevale, per le chiese di bella costruzione e non sprovviste di qualche pregevole opera d'arte.

Fra i castelli, quello che conserva maggiormente l'originario carattere, colla vecchia cinta di mura e le torri di difesa, è Monte Bicchieri, che per lungo corso di secoli appartenne ai Compagni, la cospicua famiglia fiorentina dalla quale nacque Dino, il celebre storico. Fra le chiese va ricordata la Pieve di S. Giovanni Battista a Corazzano, severa costruzione di laterizio del XI secolo, nella quale sono da ammirarsi un singolare affresco colla Vergine, opera del XV secolo, ed un'interessante tavola della maniera di Alessio Baldovinetti.
De' castelli sanminiatesi uno dei più importanti è Cigoli, in antico Ceuli, noto più specialmente sotto il nome di Fabbrica di Cigoli. Nel luogo della rocca è oggi la splendida villa Sonnino, che porta appunto il nome di Castelvecchio. L'ampia Pieve

[pagina 99] di S. Giovanni Battista, che nonostante le infinite trasformazioni, serba ancora tracce della sua ricostruzione del XIII secolo, perché l'origine sua data dall'VIII secolo, ebbe annesso un convento di frati Umiliati che fu soppresso prima del XV secolo. Opera fatta eseguire dagli Umiliati è lo stupendo tabernacolo di pietra che racchiude un'antichissima immagine della Madonna. Squisiti lavori ornamentali che evocano la maniera del fiorentino Neri di Fioravanti ne adornano le singole parti, indegnamente ricoperte da una moderna quanto vandalica verniciatura. Nell'imbotte di questo tabernacolo, che venne eretto nel 1381 da sette frati Umiliati, sono i resti d'interessanti affreschi della maniera di Agnolo Gaddi.

2 commenti:

  1. Mi piacere che fosse approfondita la notizia che la chiesa di San Domenico era a 3 navate. Quando e perchè divenne sala?

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    1. In realtà, Beppe, non lo sappiamo. Quella è solo una considerazione di Carocci dettata probabilmente da una sua idea. Considera che quella era una chiesa dei Domenicani, ovvero dei "Padri Predicatori". E per fare le prediche, da un punto di vista acustico, le colonne nel mezzo probabilmente davano noia. Sicuramente la chiesa, considerata buia, fu rialzata alla fine del '600 e affrescata per la parte superiore da Domenico Antonio Bamberini, con gli episodi della vita di San Domenico nei primi anni del '700. Quando hanno rialzato la copertura hanno creato anche la sala? Non saprei. Da un punto di vista planimetrico la chiesa è abbastanza larga e facilmente avrebbe potuto ospitare tre navate, ma non mi risulta che ci siano documenti in proposito. Inoltre la facciata, ormai completata come la conosciamo noi oggi agli inizi del '400, è a capanna. Ma questo, pur dando un'indicazione, non fornisce alcuna prova sul corpo longitudinale della chiesa, che poteva essere anche a tre navate.

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