lunedì 9 settembre 2013

SAN MINIATO NELLA "CRONICA" DI GIOVANNI VILLANI

a cura di Francesco Fiumalbi



Prosegue il viaggio alla scoperta delle fonti cronachistiche per la storia di San Miniato. Una delle opere principali a cui fare riferimento è senza dubbio la Cronica
di Giovanni Villani.
Nato a Firenze intorno al 1280 da una famiglia popolana, fu mercante, poi dipendente della compagnia dei Bonaccorsi, e nel terzo decennio del XIV secolo ricoprì diverse cariche pubbliche nell'amministrazione della città gigliata. Giunto a Roma in occasione del Giubileo del 1300, maturò l'idea di scrivere la storia della sua città: Firenze.

Gaetano Trentanove, Giovanni Villani, 1890
Firenze, Loggia del Mercato Nuovo (del Porcellino)
Foto di Michele Baldini, per gentile disponibilità

L'opera è suddivisa in 12 libri. I primi sei trattano dalla distruzione della Torre di Babele fino alla discesa in Italia di Carlo d'Angiò (1265) ed hanno un carattere talvolta leggendario, assumendo contorni di veridicità mano a mano che si avvicinano al periodo in cui visse il cronachista. In questa prima parte il Villani mantiene una forma estremamente sintetica, e probabilmente fa largo uso di testi diffusi a Firenze al suo tempo, su cui non staremo ad indugiare (l'opera principale, andata perduta sembra essere i Gesta Florentinorum, a cui attinse probabilmente anche Ricordano Malispini per la sua Historia Fiorentina). I secondi sei libri descrivono la storia dal 1265 al 1348 (anno della morte di Giovanni a causa della peste) e sono decisamente più ricchi di dettagli, specialmente per quanto riguarda gli ultimi anni (in particolare al 1322 in poi), dei quali egli è testimone diretto.
La Cronica fu poi continuata dal fratello Matteo Villani, dal 1348 al 1363 per ulteriori 11 libri, e, alla sua morte, dal nipote Filippo (figlio di Matteo) fino al 1364 e che tratteremo in appositi interventi. In totale l'opera dei tre Villani consta di 24 (12 + 11 + 1) libri.
Il documento più antico della Cronica che ci è pervenuto è il cosiddetto “Codice Davanzati”, conservato presso la Biblioteca Riccardiana, manoscritto n. 1532, copia ordinata redatta dal fratello Matteo Villani. L'opera fu data alle stampe per la prima volta a Venezia nel 1537, poi ripubblicata nel 1559 a cura di Remigio Nannini, da Niccolò Bevilacqua a Venezia, su istanza di Filippo e Iacopo Giunti di Firenze. Ulteriori edizioni, arricchite talvolta da tavole e dissertazioni, sono proseguite fino ai giorni nostri, anche se manca una vera e propria edizione critica e scientifica.

La prima parte delle Historie universali de' suoi tempi
di Giovan Villani Cittadino Fiorentino, Venezia, 1559

Per quanto riguarda San Miniato e il suo territorio le notizie sono molte e spesso ricche di dettagli interessanti. La prima, analogamente a Ricordano Malispini e Marchionne di Coppo Stefani, è quella riguardante la presenza di un vicario imperiale a San Miniato nel 1113 [01], seguita dalle vicende che vedono in conflitto il Borgo di San Genesio con il castello di San Miniato [02, 03, 05]. Quest'ultimo a partire dal 1220 sarà munito di nuove fortificazioni da Federico II [04]. A seguire l'inasprirsi dello scontro fra Guelfi e Ghibellini, in cui è coinvolto più o meno direttamente anche il centro sanminiatese [06], e che non mancherà di mandare piccoli contingenti armati a Montaperti [07]. Tuttavia la sconfitta del sodalizio guelfo comportò l'allontanamento degli aderenti a tale fazione dai maggiori centri della Toscana (trovando rifugio in Lucca), e quindi anche da San Miniato, i cui ghibellini probabilmente parteciparono al “parlamento” di Empoli in cui Farinata degli Uberti riuscì ad impedire la distruzione di Firenze [08]. E' pur vero che i sanminiatesi in tale occasione non sono rammentati direttamente, ma potrebbero essere stati considerati con gli altri caporali ghibellini di Toscana”. Anche Giovanni Villani, così come Simone della Tosa, riporta la notizia circa la morte, avvenuta a San Miniato nel maggio del 1275, di Giovanni Visconti, padre di Nino (“celebrato” da Dante nel Purgatorio), che ricopriva la carica di Giudice di Gallura [09].
Nel 1281 San Miniato e Pisa furono gli unici due centri che accolsero favorevolmente il Vicario dell'Imperatore Rodolfo d'Asburgo, Loddo di Alamagna, il quale ben presto intraprese una campagna contro le città guelfe, ed in particolare contro Lucca e Firenze, ma con scarsi risultati [10].
Nel 1288 i Sanminiatesi, ormai entrati nell'orbita guelfa, parteciparono con un alcuni uomini armati alle prime schermaglie contro Arezzo [11]. L'anno seguente, ancora un contingente sanminiatese prese parte alla Battaglia di Campaldino, in cui gli Aretini e la fazione ghibellina uscirono sconfitti e ridimensionati, consentendo a Firenze di allargare progressivamente la propria egemonia a buona parte della Toscana [13]. Nel mentre, da segnalare un nuovo scontro tra Pisani e Fiorentini, con quest'ultimi che si mossero contro la compagnia pisana che veniva da Roma. La battaglia si svolse in Maremma e con l'esercito fiorentino mosso da Nino Visconti, Giudice di Gallura, che in quei giorni si trovava a San Miniato essendo stato da poco esiliato dai Pisani [12].
I contrasti fra le due città toscane proseguirono anche negli anni successivi, con i Pisani che nel 1291 si ripresero il castello di Pontedera, controllato dai Fiorentini. Di lì a poco sobillarono la rivolta del castello di Vignale presso Camporena, oggi nel Comune di Montaione ma che all'epoca era retto dai Sanminiatesi e protetto dagli alleati Fiorentini. La poderosa controffensiva e il mancato sostegno dei Pisani segnarono la fine del tentativo di rivolta e la resa del castello, che tornò sotto il controllo di San Miniato [14].
Nel 1308 i magnati sanminiatesi, capeggiati dai Malpigli e i Mangiadori organizzarono una rivolta, evidentemente in chiave anti-guelfa. Di lì a poco la situazione si normalizzò, allorché le due casate entrarono in conflitto fra loro [15]. Un paio d'anni dopo, la discesa dell'Imperatore Enrico VII di Lussemburgo determinò uno stato di tensione in tutta la Toscana con i Ghibellini pronti ad accendere la rivolta. In via cautelativa i Fiorentini inviarono a San Miniato un contingente armato a presidio del castello. Lo stesso fecero i Lucchesi con i castelli della Lunigiana e del Valdarno [16]. Lo stesso avvenne nel 1312, quando i Pisani capeggiati da Arrigo di Namurro (fratello del conte Roberto di Fiandra, fiduciario dell'Imperatore) tagliò i collegamenti commerciali tra Firenze e il porto, con grave danno per la città gigliata [17]. La situazione sembrò quasi precipitare, quando l'arrivo in Pisa dell'Imperatore portò dapprima ad una serie di incursioni militari nei contadi di Lucca e San Miniato [18], e nel mese di ottobre all'assedio di Firenze, che fu soccorsa dagli altri centri toscani suoi alleati con l'invio di uomini e mezzi, tra cui un contingente sanminiatese composto da 50 cavalieri e 200 pedoni [19]. Il tentativo di prendere Firenze si concluse con un nulla di fatto, con l'Imperatore costretto a ripiegare nuovamente su Pisa (prima di dirigersi in Calabria), da cui continuò a lanciare incursioni verso Lucca e San Miniato [20]. L'anno successivo, la città di Pisa dette la signoria a Uguccione della Faggiuola, che riprese con nuovo vigore gli attacchi verso San Miniato e verso Lucca, in cui fece rientrare la casata degli Antelminelli, che erano stati messi al bando in quanto filo-imperiali [21]. L'offensiva di Uguccione conobbe il proprio apice nel 1315, quando dopo aver sottomesso Lucca, proseguì la campagna militare verso San Miniato ponendo l'assedio al castello di Cigoli e a molti altri centri dell'orbita sanminiatese [22]. Chiusa la parentesi di Uguccione della Faggiuola, nel 1323 prese avviò una nuova fase di duri scontri che vide protagonista Castruccio Castracani. Numerose furono le incursioni nel Valdarno, con varie azioni militari anche nel contado di San Miniato [23]. L'episodio più significativo fu il tentativo, nottetempo, di conquista del castello di Fucecchio, che non andò a buon fine grazie al soccorso dei Fiorentini che si trovavano all'interno dei castelli vicini, fra cui anche quello sanminiatese [24].
Un contingente inviato da San Miniato, partecipò al fianco dei Fiorentini durante la Battaglia di Altopascio, vinta dalle truppe guidate da Castruccio Castracani, il quale probabilmente vide in questo episodio il momento più alto della sua ascesa [25]. Nel 1326 Firenze, molto provata dalla guerra contro Castruccio, chiese aiuto agli altri centri ottenendo l'invio di uomini solamente da Colle Val d'Elsa e da San Miniato [26]. L'anno successivo, molte città Toscane fra cui Firenze, Prato, San Gimignano, Colle Val d'Elsa e San Miniato dettero la signoria a Carlo d'Angiò Duca di Calabria, anche se questi nel 1327 fu costretto a tornare a Napoli dove aiutò il padre Roberto d'Angiò a contrastare l'avanzata di Ludovico il Bavaro [27]. Dopo la morte di Castruccio Castracani i Fiorentini partirono da vari centri toscani dove erano dislocati, fra cui da San Miniato, assediarono e si ripresero il castello di Carmignano [28]. Un paio di anni dopo, nel 1329, Ludovico il Bavaro si trovava in Pisa, il cui contado fu attaccato dalle truppe di Roberto d'Angiò, guidate da Beltramone del Balzo e affiancate dall'esercito fiorentino, che partite dal territorio sanminiatese, giunsero in Valdera compiendo prede e distruzioni [29]. Dopo il vano tentativo di acquistare Lucca e ormai abbandonati dal Bavaro, i Pisani subirono nuove incursioni da parte di Beltramone, alloggiato a San Miniato, che segnarono la perdita dei castelli di Pratiglione e Camporena. A quel punto, i Pisani in grave difficoltà, chiesero ed ottennero un accordo con i Fiorentini, che si concretizzò con la cosiddetta Pace di Montopoli [30].
Di grande interesse la testimonianza di Giovanni Villani a proposito della grande inondazione che colpì Firenze e il Valdarno il 4 novembre 1333 (nello stesso identico giorno della grande alluvione del 1966!), con gravi danni in tutta la valle ed anche nella pianura ai piedi di San Miniato [31].
Nell'estate del 1336 Mastino II della Scala, intraprese da Lucca una nuova offensiva ai danni di Firenze, alleata di Venezia nella guerra volta a contrastare la politica di conquista intrapresa da Verona. Dopo aver preso Cerreto Guidi, oltrepassò l'Arno e penetrò nel territorio sanminiatese. Qui guastò il borgo di Santa Fiore (nei pressi dell'odierna Ponte a Elsa) e si accampò a Marcignana, dove rimase per due notti. I Fiorentini non erano stati a guardare e si avvicinarono pericolosamente alle truppe di Mastino che erano rimaste senza rifornimenti. Per questo motivo ripiegarono disordinatamente verso Pisa e verso l'Usciana, passando dal borgo di Santa Gonda, nonostante il timore di essere sorpresi da un attacco di San Miniato. A causa di questa facile incursione, i Fiorentini ordinarono il rifacimento delle mura di Empoli e di Pontormo, il ripristino di quelle di Cerreto Guidi, e la nuova costruzione di quelle di Montelupo [32].
Nel 1337 i Fiorentini attaccarono il territorio lucchese, riuscendo ad organizzare una rete di alleanze con molte città della Toscana. Fra queste Siena che, pur non entrando ufficialmente a far parte della Lega, dette il suo contributo con 100 uomini che andarono a controllare, almeno provvisoriamente, la Rocca di San Miniato [33]
Quattro anni dopo, nel 1341, lo stesso Mastino della Scala cedette la città di Lucca a Firenze per la somma di 250.000 fiorini. La cosa provocò la dura reazione di Pisa che pose l'assedio attorno alla città del Volto Santo. I Fiorentini per rappresaglia fecero una grande incursione nel contado di Pisa, nella piana pisana, in Valdera e nella bassa Valdicecina. A tale operazione partecipò anche un contingente sanminiatese composto da 300 pedoni [34]. Pochi mesi dopo Firenze investì della signoria Gualtieri VI di Brienne, con il titolo di Duca d'Atene, il quale stabilì un accordo di pace con i Pisani. Quest'ultimi, forti dell'accordo con i Fiorentini, costituirono una grande compagnia di ventura che determinò non pochi subbugli fra Siena, Perugia e Rimini. Per recarsi a Siena il contingente transitò dalla Valdelsa, passando per i territori San Miniato, San Gimignano e Colle Val d'Elsa senza arrecare danni [35]. Tuttavia a Firenze crebbe il malcontento per la politica dispotica del Duca d'Atene che fu cacciato da una insurrezione popolare il 26 luglio del 1343. A tale sollevazione concorsero anche gli altri centri della Toscana, fra cui San Miniato che inviò 2000 pedoni. Tale episodio comportò gravi rivolgimenti in tutta la regione [36].
L'anno seguente Luchino Visconti intraprese la guerra contro Pisa. Dopo una prima vittoria, per meglio attaccare la città toscana, decise di aggirarla passando per il Valdarno. Tuttavia i Pisani, avendo tagliato il ponte sul Serchio, costrinsero Luchino Visconti a passare dalle Cerbaie. Una volta giunto in Valdarno, il campo fu fissato nel borgo di Santa Gonda, ai piedi di San Miniato. Così come narrato con maggiori dettagli anche dall'Anonimo delle
Istorie Pistolesi, i Pisani riuscirono a sorprendere le truppe di Luchino che ricevettero un fortunoso rifugio dai Sanminiatesi, prima di poter fare ritorno al nord [37].
Curiosa poi la notizia del 1345 secondo cui le casate sanminiatesi dei Malpigli e dei Mangiadori prestarono aiuto ai della Volta, nel tentativo di impadronirsi del controllo sul castello di Fucecchio. Tuttavia i Fiorentini non si fecero sorprendere e il piano andò a monte. Tale risoluzione provocò non pochi malanimi fra le due famiglie sanminiatesi, che non persero l'occasione di darsi battaglia vicendevolmente [38]. Tutto ciò portò ad una situazione di grande tensione in San Miniato, che fu risolta soltanto nel 1346 con l'assegnazione della signoria e della guardia alla Città di Firenze per 5 anni [39].



Di seguito è proposto il regesto completo delle notizie riguardanti San Miniato e il suo territorio nella Cronica di Giovanni Villani.








































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