lunedì 5 maggio 2014

SANDRO SACCUTI: LA CITTA E DILVO LOTTI SPIEGATI A ME STESSO

di Sandro Saccuti

Sabato 26 aprile 2014, ho partecipato anche io, insieme alle molte persone presenti nella saletta dell’Accademia degli Euteleti, all'incontro in memoria di Dilvo Lotti. Ho ascoltato con partecipazione le belle testimonianze di Lv Xiao, Lara Cavallini, Anna Maragoni e Giulia Leporatti. Pur non amando particolarmente l’opera di Lotti, (se non per i decisi tratti neri delle sue figure e i forti rossi delle sue campiture materiche, non amandola forse anche perché, ascoltando alcune sue valutazioni, dovrei rivedere le mie convinzioni su artisti che tagliano (non incidono) le tele o le struggono con i termosifoni, riconoscendo tra questi forse il celebrato Lucio Fontana e ancor di più il "mio" Burri), non ho potuto fare a meno di apprezzare lo spessore di un uomo-artista sempre a proprio agio negli ambienti artistici più importanti e in quei luoghi mai dimentico della sua Città.
Questa mia precisa percezione la devo sicuramente alla preziosa visione dei tre documenti video che in sequenza sono stati proposti. In uno in particolare, come preannunciato da Luca Macchi nella sua introduzione alla serata, si vedeva una San Miniato che ha definito, a ragione, “diversa”. In questa San Miniato “diversa” il professor Lotti si muoveva a proprio agio e, soprattutto, con i passi di un cittadino consegnatario di un'eredità da tenere alta e da rappresentare con orgoglio, in tutte quelle situazioni che incontrava nel suo cammino artistico, e di vita, lontano dalla città.
Non vi è dubbio Lotti si sentiva sanminiatese e con orgoglio parlava della sua opera e, indistintamente, della sua città.
Della serata mi sono rimaste un paio di cose, tra le altre, utili per alcune mie riflessioni: una sulla San Miniato “diversa” citata da Luca Macchi e l'atteggiamento che Lotti adottava verso la sua Città. Quella in cui Dilvo Lotti si muoveva con grande orgoglio era una città molto dimessa in quel bellissimo video documento degli anni 70 (che bene ha fatto il vicesindaco Chiara Rossi ad invitare a riproporre in altre e numerose occasioni come patrimonio comune), quasi povera, in procinto di essere abbandonata da molti (non da tutti) verso più comode residenze, una città che portava ancora forti i segni degli eventi bellici (ne abbiamo visti chiaramente i segni nel video iniziale degli anni 70 con immagini di alcuni brani significativi di San Domenico, la piazza del Seminario, il paesaggio visto dalla Rocca) eppure niente di questo aspetto un po’ sgualcito, dimesso o blasé come dicono alcuni, sembrava intimidire Dilvo Lotti, quasi a dire che le basi e i progetti per un riscatto erano stati già realmente delineati, e che quella sarebbe stata una situazione contingente e risolvibile di lì a poco. E di lì a poco la città avrebbe recuperato in pieno il suo ruolo di guida di un territorio.
Una seconda riflessione l’ho tratta dai contributi dei non sanminiatesi che ho ascoltato, ed è, sostanzialmente, la convinzione che la città non deve temere di aprirsi, di contaminarsi, ma anzi (utilizzando il bell’aneddoto raccontato dal prof Carlo Pedretti) deve porsi al centro di un mare di nebbia, affinché in molti, anche da lontano, la riconoscano come un punto di riferimento sicuro.





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