di
Sandro Saccuti
Sabato
26 aprile 2014, ho partecipato anche io, insieme alle molte persone
presenti nella saletta dell’Accademia degli Euteleti, all'incontro in memoria di Dilvo Lotti. Ho ascoltato con partecipazione le belle
testimonianze di Lv Xiao, Lara Cavallini, Anna Maragoni e Giulia Leporatti. Pur non
amando particolarmente l’opera di Lotti, (se non per i decisi
tratti neri delle sue figure e i forti rossi delle sue campiture
materiche, non amandola forse anche perché, ascoltando alcune sue
valutazioni, dovrei rivedere le mie convinzioni su artisti che
tagliano (non incidono) le tele o le struggono con i termosifoni,
riconoscendo tra questi forse il celebrato Lucio Fontana e ancor di
più il "mio" Burri), non ho potuto fare a meno di
apprezzare lo spessore di un uomo-artista sempre a proprio agio negli
ambienti artistici più importanti e in quei luoghi mai dimentico
della sua Città.
Questa
mia precisa percezione la devo sicuramente alla preziosa visione dei
tre documenti video che in sequenza sono stati proposti. In uno in
particolare, come preannunciato da Luca Macchi nella sua introduzione
alla serata, si vedeva una San Miniato che ha definito, a
ragione, “diversa”. In questa San Miniato “diversa” il
professor Lotti si muoveva a proprio agio e, soprattutto, con i passi
di un cittadino consegnatario di un'eredità da tenere alta e da
rappresentare con orgoglio, in tutte quelle situazioni che incontrava
nel suo cammino artistico, e di vita, lontano dalla città.
Non
vi è dubbio Lotti si sentiva sanminiatese e con orgoglio parlava
della sua opera e, indistintamente, della sua città.
Della
serata mi sono rimaste un paio di cose, tra le altre, utili per
alcune mie riflessioni: una sulla San Miniato “diversa” citata da
Luca Macchi e l'atteggiamento che Lotti adottava verso la sua Città.
Quella in cui Dilvo Lotti si muoveva con grande orgoglio era una
città molto dimessa in quel bellissimo video documento degli anni 70
(che bene ha fatto il vicesindaco Chiara Rossi ad invitare a
riproporre in altre e numerose occasioni come patrimonio comune),
quasi povera, in procinto di essere abbandonata da molti (non da
tutti) verso più comode residenze, una città che portava ancora
forti i segni degli eventi bellici (ne abbiamo visti chiaramente i
segni nel video iniziale degli anni 70 con immagini di alcuni brani
significativi di San Domenico, la piazza del Seminario, il paesaggio
visto dalla Rocca) eppure niente di questo aspetto un po’
sgualcito, dimesso o blasé come dicono alcuni, sembrava intimidire
Dilvo Lotti, quasi a dire che le basi e i progetti per un riscatto
erano stati già realmente delineati, e che quella sarebbe stata una
situazione contingente e risolvibile di lì a poco. E di lì a poco la
città avrebbe recuperato in pieno il suo ruolo di guida di un
territorio.
Una
seconda riflessione l’ho tratta dai contributi dei non sanminiatesi
che ho ascoltato, ed è, sostanzialmente, la convinzione che la città
non deve temere di aprirsi, di contaminarsi, ma anzi (utilizzando il
bell’aneddoto raccontato dal prof Carlo Pedretti) deve porsi al
centro di un mare di nebbia, affinché in molti, anche da lontano, la
riconoscano come un punto di riferimento sicuro.
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