mercoledì 18 giugno 2014

IL NASCONDIGLIO SEGRETO - Racconto di Alberto Vincenti


di Alberto Vincenti

Dai racconti dei giorni di guerra
IL NASCONDIGLIO SEGRETO

Questa storia realmente accaduta ha come protagonisti i miei genitori e mi è rimasta talmente impressa nella mente dalle numerose volte che l’ho sentita narrare e ogni volta con la stessa emozione e partecipazione tali da renderla viva ai miei occhi.
Erano i giorni che precedevano l’eccidio del Duomo e i tedeschi che stavano progettando di lasciare Samminiato avevano iniziato a rastrellare uomini, per assicurarsi, forse, una tranquilla ritirata al sicuro da eventuali rappresaglie.
I miei genitori si erano sposati da pochi mesi e mia madre era al settimo mese di gravidanza, così mio padre non volendo lasciare mia madre da sola per andare a trovarsi un nascondiglio nelle campagne circostanti, cominciò a pensare dove farsi un nascondiglio sicuro in casa nel caso fossero venuti i tedeschi per prelevarlo e magari portarlo in Germania.
La casa dove abitavano era quella accanto alla casa Pancole dove al piano terreno c’era un grande atrio e una loggia con una cisterna d’acqua fresca al centro che veniva estratta con una vecchia pompa a sifone; da li si accedeva in una grande stanza, un tempo utilizzata come scuderia di cavalli, e da li si andava nel giardino con il nespolo, il nocciolo e un pesco che facevano da ornamento e da mezzi di sopravvivenza nei momenti di fame. Dalle fronde dei loro rami filtravano in estate i raggi del sole che formavano strani disegni sui muri che cingevano l’orto. Al piano superiore c’erano alcune stanze alle quali si accedeva attraverso una stretta scala in pietra che si affacciava su un loggiato; nei miei ricordi ci sono ancora quelle mura segrete testimoni di tante sofferenze, il profumo acre della legna bruciata nel camino, l’odore del bucato appena teso e le foto ingiallite in bianco e nero, tutte cose a cui ero abituato, ma che ora appartengono ad un passato lontano.
In un primo momento mio padre pensò di nascondersi nella cisterna al piano terreno, poi pensò alla soffitta, ma in entrambi i casi sarebbe stato necessario l’uso di una lunga scala per accedervi e che sarebbe stato altresì impossibile nascondere la scala per non creare sospetti nel momento in cui fossero arrivati i tedeschi in casa.
Fu così che pensò a quella stanza a piano terra, che un tempo era stata una scuderia per cavalli, togliere dal pavimento lastricato una grande pietra e scavare una profonda buca proprio accanto alla parete che dava sul giardino e in più poteva avvalersi di un buco già esistente, che un tempo serviva da scolo per l’urina dei cavalli, per poter avere un po’ d’aria e un po’ di luce.
Per giorni e giorni mio padre era rimasto chiuso in casa nel silenzio più assoluto, addestrando mia madre a riporre la grossa lastra di pietra sulla fossa scavata con l’ausilio di una corda per poi arrovesciarvi sopra una balla di vetri rotti per nascondere la corda e le fughe intorno alla lastra. Ogni indizio che potesse far supporre la presenza di un uomo in casa era stato rimosso; dal letto matrimoniale era stato tolto un cuscino, la tavola di cucina era sempre apparecchiata per una sola persona e su un mobile c’erano le foto e una lettera di mio zio Guerrino che aveva mandato dalla Germania dove era stato deportato in un campo di lavoro. Capitava nel mezzo della notte di svegliarsi di sobbalzo per il passaggio di un gruppo di soldati tedeschi che con i loro stivali facevano un rumore sinistro sul selciato della strada e il cuore che correva all’impazzata dei miei mentre da dietro uno scurino di una finestra vedevano allontanarsi quei messaggeri di morte. 
Tutto sembrava procedere tranquillamente, ma a Samminiato ci sono stati anche dei collaborazionisti dei nazisti e militanti del partito fascista che magari non appena finita la guerra si sono messi un fazzoletto rosso al collo; proprio a seguito di una soffiata al comando tedesco, una mattina due tedeschi comparvero all’angolo del Bellorino che con passo deciso si dirigevano verso Pancole. Subito ci fu un fuggi fuggi, gente per la strada che rientrava nelle proprie case… “i tedeschi, i tedeschi…” mia madre che era alla finestra corse da mio padre con il cuore in gola “ ci sono i tedeschi… corri giù…svelto svelto”. In un batter d’occhio mio padre si calò nella buca, mia madre trascinò la lastra di pietra con l’aiuto di una corda e di lui che la sorreggeva dal basso, mentre i due tedeschi cominciarono a colpire la porta col calcio dei fucili “ Aprire porta! Aprire porta!” “vengo…vengo” gridava mia madre mentre arrovesciava i vetri rotti sulla lastra di pietra, e quelli continuavano a colpire la porta con il calcio dei fucili con sempre più veemenza, “arrivo…arrivo…” gridava mia madre mentre correva alla porta con la grossa pancia che gli sobbalzava in petto. I due soldati entrarono senza tanti complimenti e cominciarono a gridare “uomo…dove uomo !” “no, non c’è nessun uomo….sono sola, mio marito è prigioniero in Germania…” replicava mia madre. I due tedeschi, uno più anziano e deciso, l’altro giovane e dall’aria più mite, salirono le scale e cominciarono a cercare in ogni stanza, sotto il letto, nel bagno, mentre mia madre mostrava loro le foto di mio zio e la lettera con il francobollo e il timbro tedesco sulla busta, poi i due scesero le scale e si avviarono verso quella stanza dove era nascosto mio padre. Entrarono, cominciarono a rovistare fra i mobili accatastati, calpestarono i detriti di vetro che si sgretolava sotto gli scarponi e della terra e briciole di vetro cadevano sul collo di mio padre che se ne stava raggomitolato e fradicio di sudore in quella fossa. Poi i due soldati uscirono nel giardino col mitra spianato e mano a mano che si allontanavano dal muro della casa per cercare fra i cespugli e le piante, mio padre vide dal buco di sfiato rasoterra, prima gli scarponi dei due, poi i pantaloni e infine la canna del fucile mitragliatore che diventava sempre più lunga. Alla fine, i due tedeschi parlottarono un po’ fra loro, poi senza dire una parola si avviarono verso il portone di casa, uscirono e se ne andarono.
Il pericolo era passato ancora una volta, mio padre uscì da quella fossa che poteva diventare la sua tomba e i miei genitori potettero riabbracciarsi.

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