mercoledì 9 luglio 2014

CANNELLONE - Racconto di Alberto Vincenti


di Alberto Vincenti

CANNELLONE
un personaggio da non dimenticare

Spesso i soprannomi si tramandano anche per diverse generazioni e Cannellone aveva ereditato da suo padre, oltre al patrimonio genetico, anche il soprannome.
Cannellone, chi era costui? Di professione faceva il sarto in un piccolo laboratorio in Via IV Novembre situato tra l’ingresso secondario della Cassa di Risparmio e il Bar Rossi, dove lo coadiuvavano nel lavoro la moglie, la cognata e talvolta la figlia. Cannellone era un tipo magro, un po’ stempiato con un paio di occhiali tondi da dove dietro lampeggiavano due occhi vispi pronti sempre a non perdere ciò che stava accadendo nel raggio della sua visuale. Infatti, la prerogativa di questo personaggio era l’infrenabile curiosità che lo spingeva a ficcare il naso e mettere bocca su tutto ciò che gli capitava a tiro.

Quando io e la mia famiglia ci trasferimmo dallo Scioa al palazzo degli inquilini della Cassa di Risparmio, ogni volta che uscivo di casa subito gli occhi di Cannellone mi si piantavano addosso e non mi abbandonavano fino all’angolo del Bar Centrale. Forse non capiva perché camminavo un po’ claudicante e immagino quante e quali ipotesi saranno state oggetto di discussioni tra lui e le sue collaboratrici. Certo è che sentirsi osservati era dir poca cosa. Capitava che se due o più persone discutevano di qualcosa fuori del Bar Rossi o sull’ingresso della Cassa di Risparmio, lui prima li osservava non togliendo loro gli occhi di dosso, poi pian piano si avvicinava con l’ago infilato nel bavero della giacca e il metro di stoffa al collo e si intrometteva nella discussione; alla fine voleva aver ragione sempre lui su qualunque argomento si stesse discutendo. Una cosa però era certa, detestava se qualcuno lo chiamava “Cannellone” e si arrabbiava come una bestia, gli occhi gli uscivano dalle orbite, diventava livido in volto e due grosse vene gli si gonfiavano sulle tempie.

Un anno ci furono le elezioni per “provveditore” al Circolo Cheli e Cannellone, oltre che essere candidato, si era proposto per scrutinare le schede dei Soci votanti. Iniziarono a spogliare le schede e Cannellone che leggeva i nomi scritti sulle schede a un certo punto si fermò, divento paonazzo, della scheda ne fece una palla e con un gesto di stizza la gettò nel cestino; a quel punto alcuni, fra cui Tonino di Meli, cominciarono a dire “che c’è scritto ?... le schede non si possono gettare, semmai se non sono valide si annullano… la scheda va letta…” alla fine Cannellone dovette raccoglierla e con voce balbettante a leggerla: “speriamo che il prossim’anno alle elezioni ci levino il Cannello dai cogl….” Non finì di leggerla che ci fu una sonora risata di tutti i presenti.

Più Cannellone se la prendeva e più diventò oggetto di scherzi e battute da parte di alcuni giovani samminiatesi e fu così che ebbe inizio “l’operazione Cannellone”.
Ogni martedì, quando a Samminiato c’era il mercato, immancabilmente veniva un personaggio da Calenzano che tutti conoscevano come Beppe di Calenzano. Era un tipo strano e non tanto sveglio con due occhi persi nel vuoto; viaggiava sempre con una vecchia bicicletta a bacchette e un cesto di vimini attaccato al manubrio. Uno di questi martedì mattina incontrò alcuni giovani che gli chiesero “oh Beppe… che fai stamani al mercato…?” e lui “mah… cercavo un paio di mutande lunghe per l’inverno… a Calenzano d’inverno fa freddo…ma un l’ho trovate…” i tre amici non persero l’occasione per ideare uno scherzo: “ma perché non ti compri due metri di stoffa di fustagno e te la fai cucire ?... così spendi anche poco” “giusto” rispose Beppe “ma da chi me le fo cucire le mutande ?” “guarda Beppe, un ci sono problemi… prendi la stoffa e vai accanto alla Cassa di Risparmio… lì c’è un sarto, bravo e ti fa spendere una bischerata… lui ti tratta bene” e Beppe “o come si chiama?” e i tre “ Cannelloni… signor Cannelloni, tu entri e gli dici: signor Cannelloni mi cucirebbe un paio di mutande lunghe?” Beppe trovò i due metri di fustagno, li mise nel cesto di vimini e si incamminò mentre i tre che lo seguivano a distanza, non volendo perdersi la scena, si appostarono nei pressi della sartoria. Con fare deciso Beppe entrò “signor Cannelloni mi potrebbe cucire un paio di…” non finì la frase che si udì un grido “Fuori ! mascalzone… te e quelli che ti c’hanno mandato! Ma se so chi è stato…” Beppe inforcò la bicicletta e se la dette mentre Cannellone sulla porta con le forbici in mano scrutava tutti quelli che si aggiravano nei dintorni cercando di carpire qualche indizio sugli artefici del fattaccio.

Nel Bar Rossi spesso si riunivano dei giovani in vena di scherzi e un giorno organizzarono un tiro mancino al povero Cannellone che spesso si recava nella toilette del Bar per necessità fisiologiche. I tre, riuniti attorno a un tavolino, giocavano a carte ad un gioco inesistente che avevano ideato loro: con un sette si prendeva un cinque, con un fante si prendeva un Re e un asso, insomma non c’era alcuna logica nel gioco. Puntuale arrivò Cannellone che si mise ad osservare il gioco, guardava le carte di uno, poi di un altro cercando di capire le regole del gioco, alla fine chiese “come si chiama questo gioco?” e i tre, non distogliendo gli occhi dalle carte, risposero “Tricche-Tracche”. Cannellone continuò a seguire il gioco, poi vedendo la titubanza del giocatore che doveva giocare gli disse “io fossi in te calerei l’Asso” Solo lui aveva capito come funzionava il gioco, quindi come al solito si recò nel bagno. Ma il bello doveva venire. Dal bagno usci un urlo “Maledetti !” quindi ricomponendosi , ma rosso-violaceo in volto e con gli occhi che balenavano sbatté con violenza sul bancone del Bar sotto il naso di Lido Rossi il gestore, un cartello che era stato appeso in precedenza nel bagno. Nel cartello c’era scritto “Chi col dito il cul si netta tosto in bocca se lo metta, così resta ben pulito Cannellone, culo e dito.”

Capitava in estate che Cannellone avesse del lavoro arretrato che cercava di terminare dopo cena nel suo laboratorio con la saracinesca calata a metà per far passare un po’ d’aria. Una di quelle sere un’auto si soffermò proprio davanti la sartoria e da l’auto fu lanciato un pacco di pasta cannelloni all’interno del laboratorio: l’auto ripartì a tutto gas, la saracinesca si sollevò in un attimo e Cannellone che correndo cercava di inseguire gli autori del misfatto con le forbici in mano.

Molti sarebbero gli episodi da narrare sugli scherzi e i dispetti perpetrati nei confronti del povero Cannellone che niente di male aveva fatto, ma che col suo atteggiamento stuzzicava la bellicosa intraprendenza della gioventù samminiatese.



San Miniato, Via IV Novembre nei pressi
di Palazzo Formichini, sede della Cassa di Risparmio
Foto di Francesco Fiumalbi


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