mercoledì 16 luglio 2014

LA VITA DEL SEMINARISTA - 04 PARTE - Racconto di Giancarlo Pertici

di Giancarlo Pertici

LA VITA DEL SEMINARISTA - QUARTA PARTE
Non di solo pane vive l'uomo

San Miniato vissuta tra le mura del Seminario
Parte Quarta..… “non di solo pane vive l’uomo…” …. pura strategia fu…

A fine anni '50 c'era una fame genuina alla quale cercavamo di porre rimedio, non solo con strategie degne di guerra fredda, con azioni diversive e con giochi di prestigio, ma anche con la pazienza… ultima risorsa di chi non ha altro da mettere sotto i denti… e la fame restava. Poi c'era un'altra fame alla quale le strategie, i giochi di prestigio e la pazienza nulla potevano. Fame che rimase insoddisfatta per molti, per i più, per coloro che seppero resistere fino alla fine, per coloro che non si arresero strada facendo, per coloro che seppero farne tesoro ..La LIBERTA’. Libertà personale legata alle decisioni anche più intime, alle scelte elementari del quotidiano per.. fare…negare… affermare. Mi stupì l’innaturale periodo di appena 5 giorni a cavallo tra l'ultimo dell'anno e l'Epifania quale periodo natalizio da vivere in famiglia, alla quale rimaneva il solo mese di Luglio … e legato a specifici permessi per qualsiasi tipo di “evasione”.

Se col passare degli anni si affievolisce il ricordo dello scorrere della giornata, …dei nomi, …delle fisionomie… con frammenti sparsi….. vivo è rimasto il Ricordo del PASTO … di qualche chicca imperdibile, impensabile, talmente fantasiosa da sembrare frutto dell’immaginazione…assieme al ricordo di alcune pacifiche “evasioni”.….

Ricordo che qualsiasi pasto era .. scarso e.. insipido come (vado a memoria) la rivistina sulla vita del Seminarista recitava, giusto all'ora del pranzo “Ma questo mangiamento …ngiamento, è senza punto condimento …ndimento, e anche se 'un si dice è tutto un arrangiamento e a chi va male è sempre il reggimento. E' verooo, E' verooo”. Rivistina datata 1961/1962 che fu provata anche ufficialmente alla presenza del Rettore, del Vicerettore, dell'Economo e di Mons. Simoncini preside. Il risultato si leggeva nei loro volti… cianotici per il gran ridere. Ma non se ne fece nulla, la rivistina non fu mai messa in scena …. Era scomparso un pacchetto di sigarette dalla camera di Don Cheti, l'economo. Occasione persa.

Ho ancora presente il refettorio arredato con due grandi tavoli centrali .. oltre 100 i seminaristi, oltre ai tavoloni fissi allineati alle pareti. Una volta a tavola con l'aiuto dei prefetti di ogni camerata due inservienti distribuivano i pasti. Figure caratteristiche del Seminario. Cesare, che ben conoscevo perché cugino di mia madre…. spesso alticcio… andava a vino e Lanciotto, originario di Spicchio, era impossibile scordarselo visto che te lo ripeteva ogni giorno, il quale mentre mesceva la minestra nel piatto, sospirando esclamava “Come faremo a morì che'un siamo avvezzi??!”. La distribuzione iniziava dai più piccoli, poi passava ai grandi, poi ai mezzani e per finire ai mezz'anelli, seconda e terza media, che regolarmente dovevano accontentarsi degli avanzi, se c'erano. Era il periodo della POA (Pontificia Opera Assistenza) che elargiva i resti del Piano Marshall che aveva alimentato l'Italia affamata dell’immediato dopo guerra. Resti che tardivamente arrivavano per vie traverse anche al Seminario ma restavano spesso lasciati da parte “in caso di bisogno”.

Mi ricordo perfettamente quel giorno a pranzo. C'è lo spezzatino, ovvero lesso rifatto cotto e ricotto dal sapore indefinibile, come al solito e per contorno patate fritte. Arrivano i vassoi colmi di patate fritte, calde e profumate, le guardiamo passare di tavolo in tavolo, prima i piccoli poi i grandi… quando arriva l'ultimo vassoio basta appena per completare la camerata dei mezzani. Per noi mezz'anelli non ce n'è… ci siamo quasi abituati. Ma questa volta il nostro Vice Prefetto Giampiero si leva di brutto, stanco delle continue mortificazioni si avvicina all'ascensore delle vivande e lancia un disperato grido di protesta rivolto alle suore, per la verità incolpevoli: “Mi avete…r...” Anche questa volta riescono a rimediare comunque per la camerata dei mezzanelli un contorno di scorta, la solita insalata al naturale, senza olio e senza aceto. Ma per Giampiero reo di aver proferito parole gravemente offensive contro le suore, questa volta c'è la minaccia di… come definirla? .. “squalifica?” che rientra.

Giampiero che ha appena festeggiato i 50 anni di sacerdozio nella sua Cigoli. Ma ricordo ancora con affetto la figura di Don Benvenuti nell'anno che subentrò a Don Soldani nell'incarico di Vice Rettore. Era una sera di inizio estate. Dopo una minestra di verdure lunga, lunga, lunga che funzionava solo per poterci affogare del pane arriva il secondo. Questa volta è arista a fette. Fette sottilissime ma dallo strano aroma inconfondibile di carne putrescente, immangiabile. L'intervento immediato di Don Benvenuti che riesce a penetrare nella dispensa, le cui chiavi sembra siano in possesso solo dell'economo, …per vassoi colmi di formaggini.. Li ricordo sempre nella stagnola color alluminio… possiamo prenderne a volontà. Non ricordo quanti riuscii ad averne, Giampiero non ce li dava a caso. Come dimenticare la sgradita sorpresa di quei formaggini completamente ricoperti all’interno di muffa. Era un tempo in cui non c'era la scadenza sulle confezioni… ma quei formaggini erano scaduti da tanti mesi. Non ricordo neppure quale fu il rimedio.

Forse era il 1961 quando per eredità il podere sottostante fu lasciato al Seminario, anni quelli famosi per i Carciofi Samminiatesi ma anche per l'insalata “indivia o scarola” che invadeva tutta l'Italia. E proprio di scarola erano piene le terrazze in cui era suddiviso quel piccolo podere. Continuammo a mangiare solo insalata quando questa era già spighita e a seme da molte settimane. Ma nel podere c'erano lungo i filari delle viti molti meli selvatici capaci di mele piccole ed aspre, buone solo per i maiali….. la nostra dose quotidiana di frutta per settimane fino a quella mattina, fino al miracolo inatteso. Siamo appena arrivati a scuola e uno dei Grandi si affaccia alla finestra che da sul dietro verso Gargozzi, e inizia a gridare “Miracolo!!! Miracolo!!! Miracolo!!” per attirare l'attenzione, mentre indica un albero proprio a ridosso del muro di cinta. E' avvenuto un fatto inspiegabile, un Miracolo – Una Cascia carica di mele, ma tante mele, in ogni dove, sui rami, sul tronco, addirittura anche appese per un filo, altre addirittura sulle barbe… un vero miracolo. La faccia costernata ed arrabbiata del Rettore, del Vice rettore ed anche dell'Economo alla ricerca dei colpevoli resta un ricordo tutt'oggi incancellabile. I responsabili solo ipotizzati ma mai individuati, mentre vengono precettati tutti i 'grandi' per ripulire la cascia, e agli stessi per punizione …niente partita: ovvero un tempo registrato di una partita di serie A che veniva trasmesso la domenica alle ore 19 dalla Rai.

Il Primo Maggio era una festa che offriva sempre la possibilità di levarsi più voglie, quasi sempre una gara a chi arrivava per primo. Il ricordo è nitido, anche il percorso con la tabella di marcia. La mia è la camerata dei mezzani, Santucci e Neri rispettivamente prefetto e viceprefetto. Nessun impegno liturgico ed un pomeriggio interamente libero. Si tratta solo di partire in orario alle 16 per un rientro previsto verso le ore 19. Quasi tutti hanno in mente lo stesso obiettivo anche se nessuno osa pronunciare quel nome: Marzana. A distanza di anni non ricordo la fisionomia e neppure il nome di quel prete, ma ricordo con stupore vero la prima volta a Marzana appena il primo maggio del '59 con tanta fame arretrata. Il prete lì ad aspettarci sorridente e felice di vederci. Lo stupore legato a quella tavola imbandita da vassoi ricolmi di prosciutto e salame appena tagliato, e il prosciutto in bella mostra pronto per essere affettato ancora. E pane a volontà. Vino per i più grandi e bottiglie di gassosa per i più piccoli... quasi un sogno.

Quando alle 16 suona la campana ad annunciare la libera uscita ci ritroviamo lungo il crinale diretti alla valle di Gargozzi pronti a tagliare in San Maiano per dirigersi verso la collina di Marzana alla prima deviazione a destra. Diretti a quella piccola pista appena segnata che lungo la linea del bosco conduce fino al pianoro dove c'è la chiesa.. Il sole è particolarmente caldo, ma la passione e la voglia di arrivare non ci fanno sentire né la sete né la fatica del passo svelto. Ci ritroviamo tutti assieme a cantare quei canti imparati in montagna a Prataccio durante i campi estivi, ci aiutano a cadenzare il passo e ci tengono compagnia. Arriviamo facile in fondo alla vallata, poi Via Gargozzi, quindi quel pezzo di Via San Maiano giusto all'altezza della collinetta di Marzana. Inconfondibile con i suoi cipressi secolari a fare da cornice alla piazza e alla chiesa. Salita facile e veloce… mentre in lontananza, quando siamo sulla vetta, scorgiamo un gruppetto, tutti vestiti di nero, è la camerata dei Grandi destinati al secondo posto. Arrivano appena pochi minuti dopo di noi, ma non vengono rispediti indietro. Il prete si rimette a tagliare prosciutto. Tutti assieme tra canti, vino e gassose facciamo il pieno …. destinato a durare, anche nei ricordi.

Durante l'anno c'erano poi dei momenti sospirati anche se rari come quello della partita di calcio al campo sportivo di Santa Maria a Fortino. Non ricordo esattamente il giorno concordato con il Gallo custode del campo, quello libero dagli impegni della squadra locale. Verso i 14/15 anni anch'io ho spesso preso parte a quelle memorabili partite, noi che giocavamo in un fazzoletto di sassi e macerie. Tutto filò liscio fino al giorno in cui trovammo il campo occupato dalla squadra locale in allenamento. Invece della partita tra “preti” fu improvvisata una partitella tra la squadra del San Miniato e quella del Seminario, solo un tempo e neppure intero. Ma la sorpresa fu la vittoria dei preti, non ricordo il punteggio, ma il disappunto e le proteste dei calciatori samminiatesi per le tonache dei preti … con esse stoppavano la palla e se la portavano avanti… Vittoria memorabile.

A volte erano gli eventi imprevisti a riscaldare un ambiente freddo e monotono. Non ricordo l'anno, ma probabilmente è il 1960 nel mese di novembre quando una improvvisa e abbondante nevicata ricopre tutta San Miniato. Impossibile uscire, alcuni insegnati non possono neppure salire a San Miniato, la scuola rimane chiusa. Ci viene dato inaspettatamente il permesso di giocare sulla neve. Ad inizio è un gioco innocente a costruire pupazzi di neve, chi lo fa più bello. Poi qualcuno suggerisce un gioco più competitivo e cominciano a volare le prime pallate di neve. Mi ritrovo a far parte di una squadra in lotta contro un'altra, ognuna composta da due camerate: Grandi e Piccoli insieme, Mezzanelli e Mezzani insieme (almeno così mi pare di ricordare). E’ appena iniziato il pomeriggio dopo aver pranzato, nel momento in cui è assente sia il Rettore che il ViceRettore. La battaglia, perché di questo si tratta, a colpi di pallate di neve inizia nei cortili fino ad esaurimento delle munizioni disponibili. Qualcuno si rifugia all'interno mentre un gruppetto prende d'assalto la terrazza dove si è accumulata una notevole quantità di neve ancora intatta. Le finestre aperte per evitare rotture di vetri incuranti della brezza sferzante che penetra dappertutto e il corridoio centrale che si trasforma in poco tempo in una pozza maleodorante di neve frammista a mota. Impossibile reggersi in piedi. Il clima è quello di una grande festa che si spegne all'improvviso con l'arrivo del Rettore. Il suo solito piglio serioso decreta la fine dei giochi, senza bisogno di parole. E noi obbligati con ramazza, segatura e stracci a ripulire non solo quel corridoio ma anche tutte le scale impiastricciate da neve e mota … nel più assoluto silenzio… in fretta... col sorriso sulle labbra. E' l’euforia di un evento inatteso che ci ha reso, anche se per poco, il senso della libertà anche se il costo ci sarà comunicato solo domani sotto forma di punizione.

Ma i ricordi più vivi restano quelli legati allo stomaco… a quando non avevamo nulla per farlo tacere. Così era ogni venerdì iniziando già dal mattino in attesa di andare a tavola per una giornata di “vigilia” che si preannunciava sempre e noiosamente identica da …. forse da oltre un secolo. A pranzo immancabilmente c'era Minestra di verdura anche abbondante se volevamo. Mi ricordo con terrore il secondo, … pochi grammi di baccalà o mezzo filetto di qualche pesce d'Arno con contorno di fagioli o di ceci. Spesso io riuscivo a completare il menù con l'aggiunta di un'aringa, riserva personale, che tenevo in tasca fino all'ultimo momento per evitare confische da parte del Rettore. Indimenticabile per chiunque abbia trascorso anche pochi mesi in quel seminario il menù della cena, al di là di ogni possibile fantasia, ad illustrare adeguatamente la “linea perfetta” di ogni seminarista di quel periodo … nessuno che potesse definirsi “obeso”. Il Menù, una vera chicca di fantasia e di crudeltà, non oso immaginare le calorie erogate. Per primo Minestra in brodo vegetale, a base soprattutto di zucchini che galleggiavano in pochi esemplari elargiti con cautela in ogni piatto. Quegli Zucchini che sembravano volerci provocare ed invitare ad una improbabile partita a Dama fra compagni di ventura. “Movi te o movo io?” – era la battuta più ovvia e ripetuta, ad intercalare altre battute spontanee, prima di calare il cucchiaio nel piatto. Con il pane riuscivamo a farne una zuppetta quasi commestibile. Ma il bello doveva arrivare immutabile... il Secondo ….che sarebbe meglio definire ultimo per fantasia e per qualità. In un piatto dalle normali dimensioni venivano sistemati giusto in un angolo per far posto anche al contorno la bellezza di UNA acciuga e MEZZO ….. quel mezzo poteva a scelta essere coda o testa. Ma certo era giorno di vigilia! (Cosa volevamo di più per una retta di appena 7 mila lire al mese, quando un operaio non sempre arrivava a 30 mila lire?). Per contorno patate lesse e per condire … sui tavoli in abbondanza delle bottiglie di litro, beccuccio da correzioni, piene di… aceto scrupolosamente annacquato al 50%.

Credevo che il venerdì fosse l'ultima spiaggia e che dopo tale prova niente ci potesse far paura. Ma mi sbagliavo perché dovevo arrivare a quel fatidico mese di Settembre quando ancora il Seminario era chiuso, mentre alcuni dovevano sostenere gli esami di riparazione. Io ero tra quei fortunati e neppure pochi, in un clima di semi libertà dove tutto sembrava consentito, salvo fare i conti con il rancio. La prima sera a cena ricordo perfettamente, oltre alla minestrina in brodo, per ciascuno una fetta e mezzo di Mortadella, il cui colore innaturale faceva presumere sapori ed ingredienti strani. Solo per i morsi della fame riuscii a mangiare mortadella e insalata accompagnandola con diverse fette di pane. E così la seconda, e poi la terza sera mentre la fame arretrata aumentava ed esigeva qualche stratagemma, o comunque risorse extra che non c'erano in quel momento. Quando dopo cena nel giocare a Monopoli facemmo caso a quei piccioni che scalpicciavano giusto nella soffitta sovrastante… potevamo udire anche il caratteristico loro tubare nel silenzio della sera. Fu quasi un lampo, un colpo di fulmine, un'ispirazione improvvisa che coinvolse tutti, tutti noi presenti… “o se dessimo la caccia a questi piccioni?” fu la proposta che venne in simultanea da più voci. E così fu! Iniziò la caccia al piccione, senza strumenti e senza conoscenza.

La caccia comincia all’ora in cui ci si dovrebbe ritirare nelle propria camera. E' quello il momento adatto anche se denso di pericoli e di imprevisti. La via d'accesso alla soffitta tramite una botola nel soffitto di uno dei cessi e, grazie ad una scala di legno sempre pronta per sbloccare i vecchi sciacquoni di ghisa, mi isso su, ma non sono il primo e sfrutto, al buio, i suggerimenti di chi mi ha preceduto. “Attenti a camminare solo sui cordoli, la soffitta non è praticabile” – “I piccioni sono sul covo davanti alle feritoie aperte sul dietro, verso Gargozzi”. Con la “bugia” in bocca e una balla in mano procedo carponi per non sbattere nel basso soffitto, lungo l’intera lunghezza della nostra camerata. Per passare nella zona sopra lo studio mi devo spostare al centro della soffitta, attento a calpestare sempre il cordolo… le tabelle sono ricoperte appena da un velo di malta senza armatura. Oltrepassato lo studio, senza trovare traccia di piccioni (scoprirò solo dopo che coloro che mi hanno preceduto hanno fatto piazza pulita), mi ritrovo davanti alla particolare soffitta della zona Biblioteca. Nessuno ci si è avventurato sopra quella volta sostenuta da quattro cordoli in laterizio armato che suddividono la volta stessa in quattro spicchi, mentre dall’interno della Biblioteca la volta è ornata da un unico affresco. Pila serrata in bocca e sacco a portata di mano mi addentro a quattro zampe attorno alla base della volta fino alle feritoie aperte sulla valle. E proprio lì davanti a me quattro piccioni in cova abbagliati dal fascio di luce della mia “bugia” con la complicità di una notte senza luna, … sembrano attendere. E’ solo un momento di smarrimento, dopo i timori del percorso.. superati… l'incognita della caccia vera e propria mi si presenta sotto forma di paura allo stato puro, la paura della rivolta, del fallimento. E' tremando tutto che allungo titubante la mano verso il primo covo, … palmo aperto all'altezza del dorso, pronto a catturare la “preda” prima che possa aprire le ali verso la fuga. E' solo un momento che si consuma nel silenzio più assoluto, nel lieve brivido che sembra scuotere il piccione accompagnato da un suo sommesso richiamo… avviso agli altri piccioni? E' questo il mio dubbio. Ma tutto si svolge con identiche modalità e stesse reazioni da parte dei piccioni in cova. In due covi addirittura dei piccioncini che ancora non hanno spiccato il volo. E' stata una buona caccia mi ripeto mentre faccio il percorso inverso guidato dal bagliore della luce che penetra dalla botola. Il giorno dopo proprio allo scoccare di mezzogiorno mi metto di vedetta in una cameretta vuota, la finestra socchiusa, in attesa di Maurizia, mia sorella. E' l'ora che ritorna a casa, lei che va dalla Turini ad imparare ad aggiuntare. Quando la vedo sbucare dall'arco della porta Toppariorum, il sacco in spalla, scendo veloce le scale diretto alla porta d'ingresso giusto nel momento che Maurizia transita proprio di fronte. Un cenno d'intesa mentre le consegno il sacco “Digli a mamma che ce li faccia fritti, fame ce n'è tanta” – questo il messaggio verbale che accompagna questi piccioni al loro destino. Probabilmente avrebbero fatto una migliore riuscita se lessati, ma la mia mamma volle fino in fondo assecondare il mio desiderio. Aveva ragione erano proprio duri, ma la fame… erano squisiti!!

E la stessa impressione me l'ha testimoniata pochi giorni fa la Ciarini (non ricordo il nome) che faceva la parrucchiera, sorella di Armando che aveva sposato un Capecchi, quando l'ho incontrata dal Cantini per un Caffè. E' stata lei a entrare in argomento, “Mi ricordo sempre di quella volta che ero a casa dalla tua mamma per fargli i capelli, quando arrivò la tua sorella con un balla di piccioni da fare fritti … era fame vera quella”. Si ricordava bene… era fame vera quella.


Andrea del Castagno, Ultima cena
Firenze, ex-convento di Santa Apollonia
Utilizzo ai sensi dell'art. 70 comma 1-bis
della Legge n. 633 del 22 aprile 1941
e successive modificazioni

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