venerdì 6 marzo 2015

LA GUERRA E' FINITA - TUTTI (O QUASI) A CASA! - Racconto di Giancarlo Pertici

di Giancarlo Pertici

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"La Guerra è finita. Tutti (o quasi) a Casa!!"

Gli ultimi giorni al Campo erano stati effettivamente strani. Tutti quegli aerei che, ad alta quota, da giorni solcavano il cielo verso nord e quelle esplosioni in lontananza, ma sempre più vicine ogni giorno che passava. Per i prigionieri del campo nessuna notizia in merito. Neppure da casa. Era dall'arrivo al Campo che non ne sapevano nulla, dopo quel primo pacco ricevuto, nei mesi immediatamente successivi. Poi silenzio assoluto! E solo lavoro 'da sole a sole'. Neppure faticoso il lavoro, in quella fabbrica fuori mano, alla periferia di una piccola cittadina di nome IERTE, nei pressi di Hannover, per il giovane Manlio, addetto al comando di una gru, lui contadino di Toscana; con l'opportunità, qualche volta, di lavorare l'orto o il podere dei militari di quel Campo. Occasione anche gradita, perché gratificata spesso da un pasto sicuro. Non solo quell'unica brodaglia della sera, frammista a carote patate e barbe rosse. Scarse le razioni di pane nero.

In quegli ultimi giorni, con l'avvicinarsi dei venti di guerra, si erano allontanate anche quelle poche unità corazzate dislocate nei pressi del Campo. Manlio che non si poneva domande d'ordine strategico, ma solo quelle dettate dallo stomaco e dalla voglia di tornare a casa, aveva pensato a qualche cambio della guardia, come spesso avveniva tra retrovie e prima linea, in un avvicendamento visto più volte in quei due anni al campo, lui che vi era arrivato a fine settembre del '43 dai Balcani, dopo un viaggio durato giorni, sopra un carro merci, senza mangiare e con l'acqua distribuita, in sosta in stazione, con un irrigatore. Magro il vitto in quei due anni. Già il giorno d'arrivo, la sorpresa. Nessuno a farsi vivo a mezzogiorno, almeno per un po' d'acqua e per un tozzo di pane. "Se ne saranno dimenticati" il commento di Manlio nel ricordare quegli avvenimenti davanti alle razioni di cioccolata e di gallette distribuite dagli americani, appena entrati nel campo in quell'aprile del '45.

Voglia di tornare a casa! Ma dovette pazientare a lungo, in attesa del ripristino delle linee ferroviarie, necessarie per il ritorno in Italia, il giovane Manlio. Attesa che cercò di rendere piacevole con uno scambio ravvicinato e più approfondito di conoscenze con quelle donne del Campo femminile attiguo, tutte o quasi Russe, dalle quali aveva imparato quelle poche parole in russo, tutte 'sconce', che poi Manlio si porterà dietro tra i ricordi di un'intera vita, fino alla vecchiaia. Sapeva scandire bene in russo la domanda "Me la dai la p-----a?": non ricordo né la traduzione né la risposta. Non so in quante lingue la sapesse coniugare. In materia si era sempre dato da fare. Come quando, giovanottello prima di guerra, dovendo andare una volta alla settimana a Empoli, per curarsi, a pagamento, per una delle tante malattie veneree in circolazione in quei giorni, la mamma Nunziatina, al ritorno a casa e alla luce degli effetti, almeno quelli visibili ai suoi occhi, occhi di mamma, esclamava "Si vede che ti fa bene, stai già meglio". E ben lo sapeva il perché il giovane Manlio, che quelle lire le aveva spese al Casino.

Finalmente il momento di salire in treno per un viaggio, durato giorni e giorni tra una tradotta e l'altra, ma brevissimo nel ricordo e nei sogni ad occhi aperti in attesa di riabbracciare amici, mamma, babbo e la giovane sorella Norma, lasciati da soli, in quel piccolo podere tra 'Pian delle Fornaci' e 'Sotto il Ponte', a ridosso di San Miniato. Solo una foto sgualcita in tasca, consunta dall'uso e nel mostrarla a destra e a manca nei pochi momenti liberi dal lavoro, assieme al Tesserino rilasciato al Campo. Poi finalmente in Italia con l'annuncio alle stazioni di transito a far respirare aria di casa fino a Firenze, per il cambio di treno per San Miniato in direzione Pisa. La sorpresa in vista della sua città, San Miniato, e di quel colle 'orbo' della sua Rocca a renderlo quasi irriconoscibile.

- "Sono stati i tedeschi in ritirata a minare non solo la Rocca, ma anche tante case e tanti morti nell'eccidio in Duomo, e questo l'anno scorso!" - notizie fresche fresche alla discesa dal treno. Poi a piedi verso casa passando per campi e scorciatoie, approfittando anche di incontri casuali a carpire novità sulla sua città e la sua famiglia. Una deviazione verso 'Fonti alle Fate' a bere un sorso di acqua fresca, prima dell'ultimo tratto in direzione di casa. E la sorpresa in quel 19 agosto del '45, in attesa davanti all'arco d'accesso delle Fonti, a cisterne oramai quasi del tutto vuote, del custode addetto a razionare acqua: l'amico Magnino, vicino di casa.

- È ora di chiudere. Aspettami! t'accompagno io, così mi racconti.. - Dove sei stato in tutti questi anni? Anche in casa tua non sapevano più nulla o quasi dopo la notizia che ti avevano preso prigioniero i tedeschi!
- In un campo di lavoro vicino ad Hannover, in Germania. Tanto freddo e tanta fame – Ma come stanno i miei di casa?
- Tutti bene!... solo la tua mamma è rimasta ferita ad una gamba! Ma tutto bene -
- E tu che hai fatto? Ti hanno richiamato anche te? Dove ti hanno mandato? -
- Mi hanno richiamato dopo i fatti successivi a l'8 settembre. Ma io con altri, tutti del '25, ci siamo dati alla macchia e ci siamo uniti ai partigiani. Siamo ritornati solo l'anno passato con l'arrivo degli americani -
- E le tue sorelle come stanno? -
- Bene! Umbertina si è sposata ed è tornata a Livorno. Ha già una bimba oramai di un anno. Le hanno dato il nome del mio fratello maggiore, Iginia -
- Dei miei amici?... partimmo in tre, insieme per il militare, .... ? -

Chiacchiere che conducono veloci fino in Sant'Andrea, a ridosso della salita dei 'Frati', in vista di Piazza de' Polli, quasi casa, dove, in quello slargo, Cionce ha già attrezzato il suo carretto a tre ruote, in quell'inizio di pomeriggio, alla volta dell'Ospedale e oltre, per vendere gelati. "Fegatino! Finalmente di ritorno anche tu a casa! ti aspetto alla prossima salita come sempre". Riesce a strappare sempre un sorriso anche quando interrompe un pensiero, un discorso in atto.

- ...Si sa nulla di Beppino e di Paolo ? -
Magnino vorrebbe quasi far finta di non sapere, ma non vuole suscitare dubbi e altre domande, anche se a malavoglia risponde.
- Beppino di Gonghe è tanto che è tornato. Ora sta anche bene, ma non potrà più giocare a pallone -
- Che cosa gli è successo? La sua mamma pregava tanto che lo mandassero in un posto caldo! Come Rigoletto, uno dei primi a partire. che lo avevano mandato in Africa -
- Invece gli è toccato la Russia. Ed è uno dei pochi che è riuscito a tornare. È tornato con i piedi congelati. Gli sono stati amputati tutti e due -

Su, lungo la via che conduce all'Ospedale, tutta la trafila di Beppino, per quello che se ne sa, tra un'ospedale e l'altro. La lunga convalescenza e il ritorno a casa, da pochi mesi, in attesa di due piedi di legno.
- Protesi americane che, hanno promesso, gli permetteranno di camminare da solo, forse anche senza bisogno di stampelle -
Oramai davanti a casa Brucci, in istrada a chiacchiera, come di solito a quell'ora, la Eda con l'amica Ines, a salutare. Poi, anche Livia, che ancora deve prendere servizio in Ospedale, mentre Musolino è a fare il solito pisolino del pomeriggio.
Pietro il Menichetti, nel pieno del lavoro, sua la bottega di commestibili, tutto intento nell'ora di punta dell'ospedale, a servire e ad attrarre a se, chiunque di passaggio per l'Ospedale o per la via di Calenzano, non rinuncia mai a salutare. Sempre gentile nei modi sopratutto verso questi giovani che qualche servizio, quasi sempre gratuito, sono disposti a fargli.

- Ecco Maglino! Di ritorno finalmente! E' tanto che il tu' babbo ti aspetta. Eri rimasto solo te da tornare. Per la verità ci sarebbe anche Paolo, il figliolo di Vestro il Latini. Ma della sua compagnia sono rientrati tutti, mentre lui è dato per disperso, anche se Vestro è convinto che prima o poi tornerà... Vai vai dal tu' babbo che ti aspetta !! -
In quell'ultimo tratto l'accompagna Magnino, non lo vuole lasciare solo a scoprire la verità che l'attende, per Sotto il Ponte, davanti a Frillo e giù per quelle scarelle, rinserrate dal melograno di Frillo, che danno fin quasi sull'aia di casa. E ai piedi delle scarelle, a pochi metri da casa, una pausa a rimirare la casa, la sua casa che gli è così mancata in quegli anni!

Nulla sembra cambiato, gli stessi scalini per salire in cucina, il tanfo dal castro del maiale evidentemente in uso, e a sedere su quegli scalini di casa Norma, la giovane sorella. Tre anni sono tanti! Ora che è cresciuta è anche più bella. Non si muove, non è sola. In collo ha un bambino biondo che sta cullando per farlo addormentare. Una delle tante novità: due anni, Giovanni il suo nome. E il cognato, Romanello figliolo del Gallo. Un abbraccio con Norma.
- Babbo, Mamma? -

Lillo, il babbo, sta bene. Poi l'amara verità di quell'ultima cannonata, o una delle ultime, cadute in San Miniato verso fine agosto del '44. Là in Pian delle Fornaci e quel gruppetto di donne a correre, invece di ripararsi nelle fosse di lato, per arrivare prima a casa o forse al rifugio. Cannonata caduta al centro di quel gruppetto. Una bambina morta sul colpo, la figliola del Ferri. La mamma ferita gravemente ad un braccio. Per Nunziatina solo una piccola ferita, all'apparenza superficiale: solo una scheggia. Poi l'aggravamento improvviso, il trasferimento avventuroso all'ospedale di Siena, dove giunge oramai morta.
Non una lacrima. Solo lo stupore allucinato dell'Inimmaginabile ad alimentare un dolore lancinante che mai riuscirà ad esprimersi interamente e che Manlio cercherà di esorcizzare nel corso di tutta la sua vita, senza mai riuscirci. E noi figli ne siamo fedeli testimoni.

Manlio Pertici
Foto della collezione di Giancarlo Pertici

Nunziatina Lupinelli e Virgilio Pertici
Foto della collezione di Giancarlo Pertici

Norma Pertici
Foto della collezione di Giancarlo Pertici

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