giovedì 5 marzo 2015

QUANDO IL “DOPPIO” SI SUONAVA A MANO – Racconto di Giuseppe Chelli

di Giuseppe Chelli

Quando il “doppio” si suonava a mano

La Torre di Matilde è bella di giorno, e più di notte, illuminata!
Matilde certamente non c’entra nulla con la Torre della Pieve di Santa Maria Assunta e San Genesio Martire. Pare sia stato il canonico Francesco Maria Galli Angelini (con quel nome lì poteva permetterselo), a darle lustro, immaginando, su labilissime tracce storiche, la Grancontessa gironzolare bambina, dentro quelle mura.

Ma in fondo, che conta se la torre è o non è di Matilde: noi (vecchietti in via d’estinzione) l’abbiamo sempre chiamata i’ccampanile di’ddomo e, da ragazzi, su e giù per quelle scale sgangherate si faceva a gara a chi arrivasse per primo alle campane per accaparrarsene una da suonare.
Era il Luglioli, sagrestano, che dallo Sdrucciolo del Crocifisso ci dava una voce per andare a suonare il doppio, ché da solo, anche se aveva due buone braccia a compensare un occhio solo, non ce l’avrebbe fatta.

Si lasciavano sulla scalinata della chiesa le cappe delle palline con cui si stava giocando, e via di gran carriera in campanile.
La gara a chi mandasse più in alto le campane era la disperazione del Luglioli, che giurava e spergiurava che quella sarebbe stata l’ultima volta a servirsi del nostro aiuto! Ma chi stava a sentirlo, presi com’eravamo a dare più aìre alle cinque campane! E poi ce lo ripeteva tutte le volte, un tormentone!
Prima però di dare fondo al doppio, Giannino ce lo faceva accordare: si cominciava con la campana di coro; poi con la prima campana; dopo con la mezzana; si continuava con quella di mezzogiorno, per finire col campanone. Da lì in poi era una gara a chi le buttava più fuori dalle rispettive finestre. Voci bianche, tenorile, baritonali si mischiavano in un canto che mutava continuamente intonazione, e il coro prendeva fiato man mano che gli si dava voga…

Sono risalito sulla torre settant’anni dopo. Arrivare alle campane è oggi una passeggiata! Senza il rischio, come allora, di volar giù dalle scale senza corrimano, saltando gli scalini ché non c’erano tutti. Non l’ho riconosciuta!

Nessun pericolo sarebbe stato tanto grande da fermarci quando il Luglioli ci chiamava per il doppio, pentendosene subito dopo, se qualcuno s’aggrappava al mozzo della campana a fare l’altalena. In mezzo a quel frastuono lo sentivi sacramentare a modo suo: mica schiacciava moccoli, inveiva contro sua moglie, la Lugliola, che non ne voleva sapere di salire a suonare le campane - aveva paura: “Prima o poi a forza di dondolare quello viene giù!”, ripeteva sempre.
Quando le elettrificarono, ci si sentì dei disoccupati!

Lo fecero nei primi anni ’50, e l’idea era venuta a don Franco Malucchi, il Sagrista (così chiamavano il Cappellano del duomo) come regalo dei fedeli al proposto monsignor Guido Rossi nel cinquantesimo del suo sacerdozio.
Il Luglioli si sentì riavere, più per non dover taloccare con noi, che per la fatica risparmiata.
La Lugliola invece non cambiò idea: nessuno le levò dalla testa che il campanile, a forza di dondolare, prima o poi le sarebbe caduto addosso. E continuò a uscir di casa non appena Giannino tirava su la leva dell’interruttore.

Noi ragazzi, era difficile che si salisse più su del solaio della cella campanaria. L’ultimo tratto – quello che dalla cella sbuca all’aria aperta sotto la banderuola era pericoloso anche per noi, con la scala a pioli appoggiata alla meglio tra l’ultimo ballatoio e lo sportello dell’abbaino.

Da quassù l’occhio s’appaga meglio che dalla Rocca! San Miniato, subito sotto, si stende contorcendosi nel saliscendi delle strade e nell’espandersi delle sue piazze; si divincola nel verde delle forre, sotto i tetti di squame, e nel continuo cangiare dei colori della campagna.
Nel solaio sopra la cella campanaria c’è rimasta, sbiadita sul muro, la sagoma - dipinta a rovescio - del quadrante dell’orologio che dal 1438 misura, con l’approssimazione della sua unica lancetta, il pigro avanzare del tempo per la gente della collina. L’usava il Valentini quando doveva rimettere l’ora di tutti al passo con quella del cipollone appeso alla catena che gli attraversava il panciotto.
Questa, però è un’altra storia.

Il campanile del Duomo di San Miniato
comunemente ed erroneamente detto "Torre di Matilde"
Foto di Francesco Fiumalbi

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