giovedì 19 marzo 2015

RAGIONAMENTO STORICO DI VANNUCCHI A GUCCI 4/5

SOMMARIO DEL LIBRO:


In questa pagina è proposta la trascrizione del Capitolo II, paragrafi XVIII-XXIII [Sulla nobiltà di San Miniato e il suo essere “città”] della pubblicazione curata da Antonio Maria Vannucchi, dal titolo Ragionamento storico al nobil giovane Gio. Battista Gucci gentiluomo samminiatese sopra la nobiltà della sua patria e della sua famiglia, edito presso la stamperia fiorentina di Gaetano Albizzini, nel 1758.
AVVERTENZA: Il carattere azzurro nelle parentesi quadre segnala il numero della pagina.

§.II.

XVIII.
Venga adesso un di quegl'insipidi e indiscreti, che volentieri col rozzo volgo errando, gettano inconsideratamente l'usate parole: Samminiato esse Città moderna, né tale essere stata prima di Gregorio XIII che il Vescovo nell'anno 1622 gli concedette. Quasi che sia una cosa istessa il Clero, e 'l Popolo, la dignità dell'uno, e quella dell'altro, e non potesse sovra le Terre, e le Castella elevarsi questo, se al grado di Chiesa Cattedrale non salisse quello: e quasi da rider non sia, che innanzi degli Apostoli, che i primi Vescovi furono, s'abbia a dire, che non vi [47] fosse al mondo Città, e Roma stessa, tale appellata per eccellenza lungo tempo avanti gli anni di nostra salute, questo nome guadagnasse meritatamente allora solo, che n povero, ed ignoto Pescatorello in essa entrò a risedere. L'origine di somigliante inganno è antica, ed accennata fino dal famoso Accursio (alla Estrav. di Federig. II de laes. majestat. tit. 2) che non si pongan Vescovi nei Castelli, o nelle Città piccole, ma ivi solamente Preti. Episcopi non in Castellis, aut modicis Civitatibus debent constitui, sed Presbyteri, &c. di che si spiega la causa in quel che segue: non ad modicam Civitatem, ne vilescat nomen Episcopi: sed ad honorabilem urbem titulandus, & denominandus ets: e tanto quasi ripetesi al seguente capo 4 non in quibuslibet Castellis, aut ubi ante non fuerunt, Episcopi consecrentur: cum ibi minores sunt plebes, minoresque conventus Presbyterorum cura sufficit... Episcopalia antem gubernacula non nisi majoribus popolis, & frequentibus civitatibus oportet praebere, ne... viculis, & possessionibus, vel obscuris, & solitariis municipiis tribuatur Sacerdotale fastigium. Le quali parole ho voluto riportare distesamente, acciò per i vostri Contradittori si riconosca, che da quell'istesso luogo, donde essi traggon le armi contro di voi, per voi si traggono giustamente a vostra difesa. Poiché chi non vede, che i Canoni, non che non dire, che i Vescovi facciano le Città, anzi confessano, che esse lo [48] sono avanti di ricever Vescovo? Ed in secondo luogo, quando anco si concedesse, che eglino dichiarino quello, di cui dichiarano il contrario, al più ne seguirebbe, che la Città, che non ha Vescovo sia piccola, e delle meno rispettevoli “non ad modicam Civiattem, sed ad honorabilem Urbem... frequentibus Civitatibus... non obscurit municipiis” non già che ella non sia Città. Finalmente quando vi si legge, che i Vescovi non si mandino, ubi ante non fuerunt, scopresi una parte forte della cagione, per cui alla vostra Patria non ne fu per assai tempo dato veruno, mentre era elle Città solo verso il mille, quando l'altre erano tutte Cittadi antiche, e fiorite fino alla prima istituzione del Vescovado. Altra parte di cagione fu per avventura, che Samminiato era Città sempre congiunta agl'Imperadori, ed a quelli massime, che più fieri nemici furono dei Sovrani Pontefici, e della Chiesa: ed altra ancora calamità dei tempi, le continue guerre, ed intestine, la mancanza di convenevoli rendite Ecclesiastiche, laddove piuttosto ricchi, e bene agiati erano i Secolari.

XIX.
Comunque però sia di questo, se e' può farsi tacere un poco il cinguettare di costoro, facile mi sarà il dimostrare anche ai più dubbiosi, e schifi, e sottili ingegni, che a cotesto Paese non poté a buona equità negarsi, avanti che e' divenisse Vescovado, il pregio che gli si contende. Conciossiache a [49] riguardare la natura delle cose, a paragonare tra loro quelle, che Città si chiamano senza controversia, ad ascoltare gl'insegnamenti del Principe della eloquenza latina, che significa questo nome? Concilia, caetusque hominum jure sociati, Civitates appellantur, ei dice in un luogo (Somn. Scip.) ed in un altro (L. I.de Rep. app. Nonio Cap. 5.) Quam cum locis, manuuque sepsissent, esiusmodi coniunctionem tectorum Oppidum, vel Urbem appellarunt, delubris distinctam, spatiisque communibus; nel qual recinto la consuetudine vuole, che sia compresa considerabile ampiezza, e notabile popolazione, che regnino leggi, e particolari Magistrati, che fiorischino famiglie agiate e cospicue, ed all'intorno stendasi bastevole territorio, che riverisca la Capitale. E qual di queste cose mancò al Paese vostro? anzi quale non lo distinse tra i più ragguardevoli? Ei governò un territorio pieno di grossi Borghi, e forti Castella, il resse da Signore colle sue leggi, e colle sue Magistrature, e colle soldatesche proprie il difese, e dilatò. Di tanta estensione essendo, quanta non doveva avere invidia a molte Città di Toscana, era munito di fortissima Rocca. Come bene ei fosse popolato, e quali famiglie, ed uomini nobilissimi producesse, l'abbiamo accennato poc'anzi. Egli era in somma una Repubblica niente inferiore alle altre, anzi alcuna volta loro superiore. E siccome le Città, che per sé reggevansi, vengono [50] chiamate Repubbliche, come abbiamo da varie Iscrizioni, e nel Rescritto ancora di Antonino Imperadore nel Cod. al lib. 8. tit. 18. n. 3. cum Rempublicam Heliopolitarum & c. così le Repubbliche si denominano Città, esempligrazia nella risposta di Ulpiano nei Digesti al lib. 2. tit. 4 n. 10. l. sed si hac. Qui manumittitur a corpore aliquo, vel Collegio, vel Civitate, singulos in jus vocabit, nam non est illorum libertus, sed Reipubblicae (hoc est Civitati spiega la Glossa) honorem habere debet: e come nella l. sed. & si §. praeterea de public. & vectig. ove leggesi: si quis vectigal conductum a Republica cujusdam munucipii habet, le quali son parole di Cajo al lib. 13. ad Edic. Provinc. Ed in tal significato io penso, che ben s'intenda Cesare de Bell. Gall. lib. I. c. 12. Civitas (cioè Repubblica) Helvetiae in quator pagos divis est.

XX.
Questo ragionamento non ho io fatto cadere, se non sovra dei pregj propri della Repubblica di Samminiato, senza parlare di quei, che dall'Imperio le venivano. Ma acciocché il detto fin qui meglio si confermi, e sopra queste altre prerogative sue meglio si ragioni, permettetemi che dalle Leggi stesse, e dai Giureconsulti io raccolga i contrassegni della Città; spero che allora saranno astretti gli Avversarj vostri ad essegnarvi anzi tra esse un luogo de' più onorevoli. Nelle Pandette al tit. 27. alla leg. 6. del Rescritto di Antonino Pio al Comune d'Asia prende Modestino [51] una distinzione di Città in minori, maggiori, e massime. Tra le prime ripone egli Metropoles Gentium, e non già quelle, che [h]anno un Metropolitano, cioè un Arcivescovo, come ridevolvemente dichiara l'Accursio, poiché Antonino a questo carattere non aveva certo pensato, ma le Metropoli civili, e le sedi dei Proconsoli, o Pretori, o sommi Magistrati delle Provincie: nel secondo grado sono, quae habent fora causarum, vel loca judiciorum: nel terzo le altre tuttequante. Non vedete dunque, che stando su questa Imperial divisione la Città vostra diviene sempre delle seconde, e maggiori? mentre niuno può negare che ella avesse il proprio Foro, e 'l luogo della giustizia, che qual libera Repubblica esercitava a suo talento, e senza soggezione alla sovranità di alcuno. Ma non vedete voi ad un tempo, che essa per una parte diviene Metropoli in Toscana, o almeno sovra tutti quei luoghi, sovra cui si estendeva il potere, e l'autorità dell'Imperio? Tale ella divenne, quando fu destinata, come la residenza della Camera Imperiale, e del Vicario Cesareo, e molto più quando i vostri Governatori, i discendenti dei quali dall'ignorante turba degli sciocchi troppo ora son vilipesi, ed appena come Nobili riguardati, furono fregiati del sublime titolo d'Imperiali Vicarj. E che dirò io poi della Città vostra, e qual grado le doverò assegnare, quando io mi rammento, ch'ella è stata sede degli [52] stessi Imperadori? E come mi dorrò io della mancanza del Vescovo, il quale ornamento non dee riputarsi civile, ma Ecclesiastico, quando io vedo risedere tra i maggiori vostri gli Augusti medesimi Personaggi, che sono il primo fonte di ogni civile, e secolar dignità?

XXI.
Appresso questo per tutti i Giureconsulti vaglia l'autorità dell'Accursio glossatore tit. 2 della stravagante de laes. Majest. di Federigo II. sopra da me citata “Benché, dic'egli, or sia l'uso di chiamar Città quelle, ove risiedon Vescovi, fu pure un tempo, in cui vi erano Città, e Vescovi no. Ogni Città per diritto comune ha il potere di eleggersi i difensori, che abbiano giurisdizione, non però il mero, e 'l misto Imperio (come nell'Autent. de defens. civit. §. jusiurandum). E perché secondo i Canoni, debbono ordinarsi i Vescovi nei detti luoghi, ove sono i mentovati Officiali (come alla dist. 80. c. 1, 2 e 3) perciò si è introdotto il costume, che sia Città quel luogo, in cui è Vescovo, siccome quello che si presume avere i sopraddetti Officiali, e giurisdizione. Laonde è chiaro, che se alcuna Città per giuste cause venisse privata di Vescovo, non per questo finirebbe di esser Città”. Può egli più a proposito rispondere ai vostri calunniatori? Quindi venendo a distinguere non per l'ordine Ecclesiastico, ma pel Civile, le Città alcune, dice, sono le minori, quali comunemente tutte, siccome [53] aventi la predetta giurisdizione (o vogliamo dire la facoltà di eleggersi i Giudici nelle private cause, senza avere indipendente il potere della esecuzione) altre sono di queste maggiori, le quali [h]anno il misto Imperio (vale a dire chi giudichi, ed insieme l'esecuzione comandi per autorità sua propria, non tanto nelle civili cause, e private, quanto nelle criminali, e pubbliche) maggiori poi sono quelle che non [h]anno solo il misto, ma eziandio il mero Imperio (cioè Magistrati coll'autorità di punire i delinquenti anco nella persona, e nella vita) e tali sono le Città Metropolitane, non già per l'Episcopato, ma perché [h]anno il foro delle cause in tal guisa esteso, che molte altre Città sono a loro sottoposte, ec. Ora chi non sa, che Samminiato, almeno per il Vicario Cesareo, che ivi risedeva, non vi era solo la giurisdizione, ma il misto, e 'l mero Imperio? Non abbiamo noi parlato degli appelli colassù portati, della obbedienza colassù giurata di varj Giudici, che di lassù ricevevano podestà e giurisdizione? Voi vedete, senza che io vel dica, che cosa segua da tutto ciò. E quantunque tutte le antiche denominazioni non possano adattarsi alle moderne cose perfettamente, non pertanto nella vostra Patria ritroviamo i contrassegni di una Città delle maggiori, anzi delle Metropoli nel tempo istesso, in cui costoro non voglio ne pure per Città ravvisarla.

XXII.
[54] Ma essa, diranno forse, per quanto meritar potesse cotesto nome, e cotesta estimazione, nondimeno non l'ebbe; laonde non siamo noi biasimevoli, se per tale non la reputiamo, quando osserviamo la comune usanza, che è regola in simiglianti affari migliore assai di molte ragioni. Come? Rispondo io. Non era stimata Città quel Paese, la Repubblica del quale trattava alla pari colle altre Repubbliche? quella che con esse regolava i confini, e a loro muoveva guerra, e con loro stringeva lega, e con esse faceva le tregue, e le paci? E per quale altra ragione in uno Strumento di convenzioni tra Volterra, e Samminiato sotto il dì 2 Novembre 1303 gli abitatori di questi due luoghi si appellano vicendevolmente Cives? Fino nel 1231 quando i vostri comprarono dal Conte Piccolino la pretesa di lui sovranità della quarta parte del Castel di Tonda, chiamasi la vostra Patria, e Civitas, e Oppidum. Ed ogni Gramatico vi dirà, che la parola Civitas, e da qualche buono autore della età dell'oro, e quasi sempre nei latini scritti dei secoli bassi si adopera in vece di Urbs, il qual nome, comecché Quintiliano voglia ristretto alla sola Roma, in guisa che le altre s'abbiano a dire Oppida (lib. 9. c. 2.) tuttavia Varrone sulla lingua latina (lib. 4. cap. 32.) c'insegna, che dagli antichi si usava per tutte quante che colle note cerimonie fossero state cinte di mura. Ed ogni [55] Gramatico pure vi dimostrerà, che Urbs, ed Oppidum, benché si creda la prima appellazione più nobile della seconda, sono nientedimeno voci senza riguardo prese dai latini l'una per l'altra; di che si recano infiniti esempli, e massime di Cornelio Nipote: ma per tutti bastar potrìa Cicerone, che nella quarta contro Verre dopo aver chiamato Siracusa maximam Graecarum Urbium, pulcherrimamque omnium, non si guardò di nominarla Oppidum. I Fiorentini egli è vero, che per quanto dicesi mostrare per un Libro di Lettere dall'anno 1406 al 1409 nelle Riformagioni, decretarono che cotesto luogo si facesse Città, il che sembra a prima vista negare, che esso tal fosse per lo innanzi. Ma posto ciò per vero, io non voglio già per difesa dire, che effetto fu di un dispregio, e di un'alterezza da vincitori il non riguardarlo per Città, poiché venne con tanto stento, e pericolo soggiogato. Direi che eglino intesero forse di donare ciocché uopo non faceva; direi che eglino allora ebbero qualche volgare errore, che a simile atto dié luogo; direi aver essi dato tal nome a quei, che volevano oppressi, perché negar nol potevano, altrimenti aggrandito non averebbero chi bramavan distrutto, e che mostrarono di fare un donativo di quel tanto, che era la giustizia, e che per questo il fecero, perché i caratteri di Città erano troppo evidenti in essa quantunque vinta, or che diremo quando era in fiore? [56] Direi finalmente, che nel cuor loro erano essi tanto persuasi della nobiltà del luogo, che anche allora sempre gli continuarono i medesimi titoli, per cui Nobili gli confessavano: Cum Miniantenses a Florentinis subacti fuissent, tamen ab eiusdem his titulis, cum eis litteras darent honoratos fuisse: Nobilibus Viris Priorisbus, & Vexxillifero Justitiae S. Miniatis: come nel Formulario di Leonardo Aretino leggesi in un Cod. MS. della Libr. Riccard. num. 551 come ha notato l'erudit. e chiariss. Sig. Lami nelle Delic. Erud.

XXIII.
Bensì questo Decreto dei Fiorentini può chiuder la bocca a quei, che ripeter volessero ancora la necessità di un Vescovo a fare una Città. Eglino dichiarano tale Samminiato, ma dove si adoperano ad impetrarli Sede Episcopale? Oh si ponga fine una volta a confondere pregj, e dignità di ordine differente, e si segua ancora la consuetudine, cui prescrive in Toscana la Legge dell'Augustissimo Sovrano, la quale annoverando le Città, molti Paesi lascia, che godono la Cattedra Vescovile, quali dichiarando essa esclusi da questa civile prerogativa, non gli spoglia però in verun conto della dignità Sacra, ed Ecclesiatica. Per ultimo colpo contro di costoro, e per istabilire insieme il grado di Samminiato prima della erezione del Vescovado, ho riservata la Bolla medesima di questa fondazione. Gregorio XIII chiama in essa la vostra Patria [57] nobile Oppidum, ed i vostri Cittadini appella Nobili. Che desiderar di più a ritrovare, per la confessione istessa del Pontefice, che Samminiato era Città, e Città nobile anche per lo innanzi? Adunque se la clemenza dell'Augustissimo Cesare nostro Signore non vi ha di sublime, ed eminente titolo adorni, ed alle prime Città di Toscana pareggiati, consolatevi. La sapienza del Principe ha senza fallo giustissime cause: e voi dovete esser contenti, che niuno tolga non solo a voi, ma eziandio ai maggiori vostri quella gloria, e quello splendore, che dié loro la Patria, per esse con magnanime, ed onorate azioni tanto illustrata.


Antonio Maria Vannucchi, Ragionamento storico al nobil giovane Gio. Battista Gucci gentiluomo samminiatese sopra la nobiltà della sua patria e della sua famiglia, Stamperia Gaetano Albizzini, Firenze 1758, frontespizio.

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