giovedì 19 marzo 2015

RAGIONAMENTO STORICO DI VANNUCCHI A GUCCI 3/5

SOMMARIO DEL LIBRO:


In questa pagina è proposta la trascrizione del Capitolo II, paragrafi I-XVII [Storia di San Miniato dalle origini] della pubblicazione curata da Antonio Maria Vannucchi, dal titolo Ragionamento storico al nobil giovane Gio. Battista Gucci gentiluomo samminiatese sopra la nobiltà della sua patria e della sua famiglia, edito presso la stamperia fiorentina di Gaetano Albizzini, nel 1758.
AVVERTENZA: Il carattere azzurro nelle parentesi quadre segnala il numero della pagina.

§.II.

I.
Qual si fosse cotesto Colle, sovra cui stendesi la Città vostra, o nel fiorire, o sul cadere del Romano Imperio, malagevole cosa è il dimostrarvi. Certo prima dell'ottavo secolo ei si chiamava Quarto, [21] come abbiamo dallo Strumento della fondazione della Chiesa di Samminiato; ma donde, e come in tal guisa si denominasse, non saprei ridirvelo sicuramente. I nomi, che quasi sempre sono più durevoli delle cose da loro significate, niente qui ci manifestano per la proposta materia. Anche il grande, e bene abitato Borgo di S. Genesio, il quale con suo disfacimento accrebbe Samminiato, e ne fe parte, ritrovasi per Istrumento di molta antichità chiamato Vico Vallari: ma non perciò mi è avvenuto d'incontrar via, per cui procedere avanti: se qualche sospetto non dessero per avventura, che il vostro luogo fosse stato fino a tempo della Romana Repubblica abitato da comodi, e ricchi uomini, quelle tante centinaja di medaglie d'argento ritrovate anni sono, poco discosto in un campo quali lungo la via, che per la collina si dirizza a mezzogiorno, delle quali, comecché tutte io non vedessi, pure tra molte, e molte niuna ne passò tra mano più moderna dei tempi delle Romane sociali, e civili. E che i distruggitori Longobardi per contraria ventura potessero avere o stabilito, o aggradito il Sommo Pontefice Celestino III in una Bolla del MCXIV soscritta da XXV Cardinali, e serbata originale nell'Archivio Capitolare, ov'ei fa menzione dei Longobardi di Samminiato. Ma discendendo [22] alle più sicure memorie, circa il 700 di nostra salute, sotto Belsario Vescovo di Lucca, fu edificata in Quarto la Chiesa di Samminiato, sommessa alla Prepositura di S. Genesio, siccome a più antica; e questa fabbrica richiedeva bene, che già vi fosse all'intorno qualche Borgata, ai comodi della quale essa servisse, e questa diede senza dubbio nome, e popolazione a cotesta Patria. La quale a tempo di Ottone il Grande, vale a dire prima del mille, sì gran numero avea di abitanti, che per rendernela capace ei l'ampliò, come parlano i vostri Storici, e stimò bene di fortificarla, giudicandola posto opportuno a dominare l'Etruria.

II.
Ma quello, con che di sua grandezza ei gettò quasi le fondamenta, e dispose come il destino delle future sue vicende, sì fu l'aveva egli lasciato un suo proprio Vicario, chiamato Arnolfo, con mero, e mosto Imperio, e con amplissima podestà sopra la Toscana tutta, la qual maniera fu poi dagli altri seguita: quantunque e' non sia abbastanza chiaro, ed appresso i critici per comun consenso raffermato, quale, e quanta sia stata l'autorità, e la giurisdizione concessa di mano in mano dagli'Imperatori a que' loro Vicarj, che risiedono in Samminiato. Poiché taluni la stimano una intiera plenipotenza sopra la Toscana tutta quanta, dimameraché il Vicario tenesse luogo in tutto, e per tutto [23] della persona, e dignità, e ragioni del capo dell'Imperio, la qual podestà per somigliante guisa conceduta non averia limiti. Altri poi la ristringono al giudicio di poche cause, appartenenti agli affari dell'Imperio, alla sopraintendenza delle riscossioni di dazj, e gabelle, ed al governo di tutti gli Ofiziali delle medesime. Nella qual contrarietà di sentenze io mi persuado, che tal giurisdizione non sia sempre stata una, ed eguale in tutti i tempi, ed in ciascuna occorrenza, ma grande stata essendo nei tempi remotissimi, e da principio larghissima, quando le ragioni, che gl'Imperadori avevan da far valere sopra questi popoli, a poco a poco si raccogliesse, o perché venisse circoscritta meglio dall'arbitrio di chi la dava, o per difetto dei popoli, che rifiutassero d'obbedire. Imperciocché nell'istesso posto era il Cancelliere dell'Imperio Ridolfo, o quando nel 1280 s'intitolava Tusciae Vicarius Generalis, parole molto illimitate, ed auterevoli, o quando l'anno susseguente insieme col Vescovo Gurgense al Comune di S. Gemignano comandava il dover loro mandare Ambasciadori, che prestassero omaggio, come il fecero, e n'é registro nell'Archivio di detto Comune (al lib. Bianco da fogl. 81 a fogl. 84) e quelli, ai quali Federigo Imperadore, e Re di Sicili, in tre brevi Strumenti conservati nell'Archivio della vostra Comunità dà sopra Fucecchio, il Valdarno di [24] sotto, la Valdinievole, la Valle d'Aniano, le Lame, e Villa Basilica (questi tre ultimi luoghi ora sono della Repubblica di Lucca) la giurisdizione spiegata nei seguenti termini: plenam potestatem, & juriditionem super omnibus justitiis, & rationibus Imperii in cunctis locis praedictis ponendi, & ordinandi Judices, qui de quibusliber causis cognoscant; & etiam exigat, atque requirat, & recipiat justitias, jura, rationes, & omnes redditus Imperii, atque honores, quae ad Imperium pertinent, & pertinere noscuntur in omnibus temporibus, & locis praedictis, & tota jurisditione Castellani S. Miniatis, ut etiam liceat ei mutare per omnia loca praedicta Vicecomites, Castaldices, ad utilitatem Imperii, & nostram, & alios ponere, & locare, sicut antiquitus Castellani S. Miniatis facere, & exercere consueverunt. Sebbene quel dovere in detti luoghi ordinar Giudici a intendere d'ogni lite, e questione, non è certamente picciol potere: come ancora, che tal Vicarj, giusta il Tronci, ed il vostro Lorenzo Buonincontri, mantenessero una volta delle truppe al lor soldo per forzare all'obbedienza i contrastanti; ma questo non si vede nei venienti tempi adoperato.

III.
E forse, che sofferse le medesime vicende, quanto ai luoghi soggetti, ed all'esercizio della facoltà, e usanza, che al Vicario di Samminiato si devolvessero le cause di appello da quei Giudici (per quanto pare) [25] che erano per esso ordinati, o che riverivano l'Imperio. Che non sappiamo, come quei, che paghi non erano della Sentenza data dall'Ordinario Giudice, dicevano; me ne appello a Samminiato al Tedesco, cioè al Giudice Tedesco là residente, ad quem appellationes deferebantur, dice il lodato Buonincontri, e ne ripete il senso in più, e differenti luoghi, ei che viveva a un tempo, nel quale fra' suoi stessi domestici la fama di ciò doveva esser rimasa certa, ed incorrotta, ei che molto bene conosceva gli affari della sua Patria, che di tanto le Storie sue fannoci manifesta fede. E ciò eziandio confermano i Fasti di S. Gemignano, pe' quali mostrasi, come nel 1312 era in Samminiato Giudice degli Appelli, o vogliamo dire Giudice Assessore del Vicario Imperiale, un tal Primerano Ardinghelli di detta Terra; e ne dà pure un qualche barlume Matteo Villani (cap. 36. lib. 5) la dove conta, che l'Imperador Carlo IV volle, che i tre Cittadini Fiorentini, accusati del delitto di lesa maestà, comecché gli reputasse innocenti, non ostante fossero giudicati a Samminiato. Somigliante autorità una Curia, o Camera richiedea, che fosse colassù stabilita, e tale ella ritrovasi del 1281 (e si dia il giusto valore a questa data) nella mentovata lettera di Gio. Vescovo Gurgente, e di Ridolfo, Vicarj Cesarei, diretta sotto dì 23 Luglio al Comune di S. Gemignano: Ex Camera [26] Palatii Domini Imperatoris posita in Arce S. Miniatis. E di tal Curia convenne ai vostri maggiori vantaggi, e l'esercizio ricomprare collo sborso di 15000 scudi d'oro da Enrico II il quale sdegnato, perché nel 1061 in una rissa per fortuito caso era rimaso ucciso Gualberto Parigino suo Vicario, secondo che riporta il Buonincontri, intimò loro, o di dover pagare sì grave multa, o di dover perder la Curia, la quale accortamente ei sostese infino a tanto, che la somma richiesta non fu pagata.

IV.
E questa è maggior prova, che assai notabile, e pregevole fosse e l'autorità dei Vicarj, e l'onoranza, che a cotesto luogo ne veniva. Ma e' si dee conciuder lo stesso per la qualità dei personaggi, a cui leggesi affidato questo carico. Io non intendo prendermi, o altrui recar la noja di annoverargli ad uno ad uno. Undici ne nomina il Buonincontri, altri s'incontrano sparsamente in varj Autori, altri appariscono per Istrumenti autentici: in uno di questi è nominato Vicario Cesareo Jacopo di Burrona. Chi avesse vaghezza di veder l'equipaggio di un regio Tesoriere, che morì l'anno 1274 della cui eredità ne fece minutissimo Inventario il Comune di Samminiato, quale per pubblico Strumento consegnò al detto Jacopo, crederei, che chi si dilettasse di simili antichità, ne pigliasse molto piacere. Ma i Vicarj di merito [27] segnalato, e di singolar ricordanza degni sono, ed un Filippo di Svevia, che fu competitore nell'Imperio di Ottone IV secondo il Buonincontri, e Ditelmo di Euctingen per istretta parentela congiunto coll'Imperadore, e ce l'assicura un lungo Strumento del 1272 ed un Rinaldo Duca di Spoleti, che teneva in moglie Beatrice nipote d'Arrigo I quale non potendo ritrovarsi a Samminiato ad esercitarvi in persona il Vicario Cesareo, vi delega, col consenso dell'Imperadore, suo nipote Oberardo. E' egli da credere, che sì fatta nazione d'Uomini, o s'inviasse qua per leggiera cosa ed ordinaria, o si volesse confinare, ed ella star si volesse in un luogo di picciol pregio, o tra vil gente abitatrice di una Borgata, e non più tosto in cospicua sede, e reverita, e tra gentili, e prodi, e nobili Cittadini?

V.
Ma a che cerco io orrevolezza alla Patria vostra colla residenza, e dignità de' Vicarj, quando noi potete vantar giustamente quella dei Sovrani? Ex Camera Palatii Domini Imperatoris, &c leggemmo sopra, non dalla Camera del Palazzo del Vicario Imperiale. E Matteo Villani racconta al lib. 4 che l'Imperdor Carlo IV fece maggiori accoglienze agli Ambasciadori Samminiatesi, che agli altri “e la cagione si stimò, che fosse per affezione, che l'Imperio per antico avea a quel luogo, che soleva essere la residenza degl' [28] Imperadori”. Adunque dopo Ottone I tanto benemerito di cotesta Città, quelli, che vi dimorarono, è da dire, che non come in altre Città il facessero per ventura, e di passaggio, ma come nella propria fede loro in Toscana posandosi. E di Enrico I attestalo il Buonincontri: Federigo I dimostralo un Diploma nell'Ughelli: di Arrigo suo figlio raccontalo pure il Buonincontri, e ch'ei vi ritornasse raccogliensi da due suoi Strumenti in data di Samminiato, prodotti dal Tommasino (lib. 3) e che si recasse Ottone IV nel 1208 e nel 1209 e Federigo II nel 1226 convincelo il Chiarissimo Sig. Lami nelle Delic. Erudit.. Che dirò del vostro amorevolissimo Protettore Carlo IV che lunga stanza fece in cotesto suo regio Palazzo, che di favori, e di grazie vi ricolmò, che vi amò sopra tutti i popoli della Toscana, e quelle singolari accoglienze fece ai vostri Ambasciadori, che appena si crederiano, se non le ricordassero gl'Istorici di quelle Città medesime, che a voi forse n'ebbero invidia?

VI.
La vostra dunque era devota dell'Imperio, e vicendevolmente dai Cesari protetta ispeciale benevoglienza, ed impegno. Può essa reputarsi l'asilo a quei tempi de' Cesari, e de' loro aderenti, nell'Italia. E Gregorio V Sommo Pontefice, e congiunto pei vincoli del sangue all'Imperatore Ottone II per salvarsi dalle sedizioni, ed insolenti intraprese [29] del popolo di Roma, non altrove penso doversi riparare, e cercar sicurezza, che nella Patria vostra, come e' fece nel 996 per quanto scrive il Cronista Buonincontri. Ed a fare eterna, e pubblica testimonianza della vicendevole congiunzione, che tra l'Imperio e Samminiato era, questa Città non è gran tempo, che vedeasi dipinta nell'Imperial Palazzo di Vienna. Laonde è da congratularsi con esso voi, che non la fortuna, ma la divina provvidenza abbia disposto l'ordine delle cose in guisa, che dopo tanti anni siate ritornati alla stessa devozione verso l'Augustissimo Cesare, della quale averete volentieri voluto d'un genio, che era quasi ereditario nel sangue vostro, ora farne un debito di soggezione, ed una felicità per voi, e per la vostra discendenza.

VII.
Ed ogni qual volta vi rimembrate della passata grandezza, dovete rammentarvi, che in si alto grado saliste un giorno massime, perché fedeli e cari foste agl'Imperadori. Di molte che mi si riducono alla memoria, poche ne accennerò, ma queste onorevolissime, e grandi. Da Federigo II per Diploma spedito in Ulma l'anno quinto del suo Imperio aveste in dopo il Borgo di S. Genesio, ma propter fidelitatem, & accepta beneficia, quae Miniatenses fideles nostri Nobis, & Divis Augustis praedecessoribus exhibuerunt. Non vi brilla per la gioja il cuore in petto a queste belle parole, che dichiarano e Federigo, e gli Augusti suoi [30] predecessori obbligati a' vostri avoli per la fedeltà loro non solo, ma eziandio per i benefizj ricevutine? Egli nel 1249 consegna ad essi a custodire alcuni prigioni suoi di riguardo, come narra il Bonincontri, e Ricordano Malespina, pergno manifesto di confidenza ed amistà. Egli, molte altre cose sotto silenzio trapassando, al Concilio di Lione elesse suo Oratore il famoso Ricupero da Samminiato, indizio memorabile di stima, e di benevolenza. E di questa erede fu il figlio suo Manfredi, siccome ei lo fu delle paterne disgrazie, e conseguentemente della necessità di procacciarsi amici, e difenditori. Ma ne' suoi Diplomi grandissimo è l'onore, ch'ei rende ai vostri antenati. L'anno 1260 in memoria degl'importanti servigj all'Augusto suo Genitore prestati, dona loro alcuni beni, ed ispecialmente in recompensationem damnorum, quiae pro servanda fide sunt perpessi, e concede che, sine pedagio ire & redire valeant per partes quaslibet suae ditioni subiectas, tam per Imperium, quam per regnum cum mercimoniis, & rebus, sicut consuerverunt tempore Domini Imperatoris Friderici rec. mem. Patris nostri usque ad ejus obitum: e nel 1263 tornando a fare onorato ricordo della pura e sincera fede dei Samminiatesi, e dei benefizj, che ne aveva ricevuti, e de' buoni ufficj impiegati verso la buona memoria dell'Imperador suo padre, e di quei che prontamente esibiscono alla real sua persona, [31] conferma loro alcune particolari consuetudini, possessioni, ec.

VIII.
E d'onde mai ricavò dunque il Colenuzio [si tratta dell'episodio riportato nel “Compedio” di Pandolfo Collenuccio, n.d.r.], ciecamente seguitato dal Fulgosio negli strattagemmi militari, che Federigo il vostro sì buono amico, e protettore avvedutamente vi sorprendesse con simulazione, e con astuzia? Lasciamo stare, che niuno Storico ne abbia parlato, niuno, fuori di costui, l'abbia saputo. Ma accordate, io vi prego, questa calunnia con tanto amore, con tanti donativi del Monarca padre, e figlio, e colla testimonianza da essi resa palesemente alla vostra fedeltà, ai vostri benefizj. Accordatela con quella condizione espressamente posta da voi nella Lega, cui faceste coi Pisani, e con i Fiorentini, secondo il Buonincontri, vale a dire, ne ulli eorim contra Imperium Friderici molienti quidquam favois, aut auxilli praeberent. Sebbene cotesto Paese è soggetto a simili ciance, quanto è uso a disprezzarle. Corre ancora per le bocche dell'ignorante, e basso popolo, che l'assedio dai Fiorentini fatto alla vostra Città terminasse con un ridicolo strattagemma, simile a quello, onde Annibale scampò dalla Valle, e dalle mani di Fabio, nel quale in vece di soldati, si presentò ad ingannarvi minuto esercito animalesco. Ma queste voci non hanno per avventura più alta radice, che l'invidia dei popoli confinanti, quale somma esser doveva, mirando la Samminiatese [32] Repubblica maravigliosamente fiorente all'ombra della Cesarea protezione.

IX.
Del rimanente non si vuol tacere, almeno di passaggio, i tanti privilegi, dei quali vi decorò la benignità, e l'amorevolezza dell'Imperador Carlo IV. Per lui fu confermata la vostra libertà, approvate le vostre leggi, raffermato il possesso del vostro non piccolo Territorio. Serbanti di tutto questo varj strumenti; ma uno consideratene dell'anno 1355 nono del suo Imperio, sotto dì 13 Marzo, nel quale palesa la cagione di tanta, e si speciale benevolenza, e queste parole adopera per la Patria vostra luminosissime, e sempre memorabili: Sanc vestrae fidelitatis immota constantia, aliaque virtuosa opera, quae tota mentis sollicitudine, & labore continuo proreverentia, & honore el. mem. divorum. Imperatorum, Regumque Romanorum predecessorum nostrum, & Sacri Imperii Romani, atque nostro notabiliter, & utiliter impendistis, personas & res vestras frequenter periculis, & jacturis ad regalem nostram Clementiam merito intercedunt & c. Ed appresso così degno sentimenti di gratitudine venne il glorioso privilegio, e da altri popoli non mai sperato, non che ottenuto, per cui fregiò dell'eminente titolo di Vicarj Imperiali tutti i dodici Governatori, che il supremo Magistrato erano della vostra Repubblica. Il quale onore quanto lustro richiedesse già nei Personaggi, che ne furono adorni, e nella loro [33] Patria, e quanto merito in essi d'affezione sincera all'Imperio, e quanto reciprocamente ne accrescesse lo splendore, e gli stimoli di perpetua leale aderenza, è più agevole immaginare, che dire.

X.
Ma quello che era stato la cagione di tanta grandezza, ed il principale suo sostegno pel corso di più secoli, fu alla fine anco la cagione della rovina, tanto sono da temersi le vicende nelle cose umane! I vostri maggiori caddero in infelice fine per la loro fedeltà ai Cesari, perderono le ragioni dell'Imperio, e la potenza, e la libertà. Merita questo giustamente di esser ricordato ai giorni nostri. Non è biasimo soccombere a maggior forza, e se non volle esser commendata la fortuna in assistervi, la elezione vostra, e la causa di tanti mali vi commenderà sempre, e forse ne avrete onore da quelli, per cui allor combatteste. La dura servitù, in che vi strinsero i vostri nemici, vi ha disposti a servire ora più volentieri agli antichi vostri Protettori: e almeno la lode, che ora ne avrete, compenserà i danni delle passate vostre sventure. Sdegnati oltre modo i Fiorentini per l'obbedienza dai Samminiatesi prestata a Carlo IV la quale, secondo il loro Storico Villani, più per lor gravò, che quella di Siena, colsero il tempo, che l'Imperadore era già ripassato in Alemagna. Allora fatto pace e lega con quasi tutti i Popoli d'Italia, come afferma il Tronci, e gettato in [34] Samminiato medesimo il pomo della discordia, e chiesto gli ajuti alle loro amistadi, con poderosa oste vennero all'assedio della vostra Città. Quivi statisi il corso di parecchi mesi, e non trovando via di venire a capo dei loro disegni, cominciarono ad intendersela con alcuno di quei di dentro, e per questo mezzo finalmente alli 9 di Gennajo dell'anno 1369 vi furono introdotti. Di simil tradimento chiaro argomento è, che dentro si viveva tranquillamente, e si pensava solo a provveder de' viveri, per tenere il popolo abbondante, e gajo. Per tali provvisioni l'Imperadore rimesse a Filippo di Giovanni Armaleoni vostro cittadino 800 fiorini d'oro, soccorrendovi siccome poteva, poiché non aveva luogo di venirci colle truppe. E non essendosi l'Armaleoni trovato in istato di farne l'intiero sborso, eglino ne presero in prestanza dal Vicario Imperiale, e Patriarca di Aquileja Marguardo; e dell'accennata somma, e della distribuzione di essa a tre Canovai apparisce Strumento rogato Andrea di Guidone Arnaldi di Arezzo il dì 28 Dicembre, vale a dire, pochi giorni prima del vostro fatale eccidio. Nel quale i vincitori ebbero campo di sfogare il mal talento da tanti anni conceputo, e nutrito, e fomentato a dismisura. La loro crudeltà fe correre le strade di sangue. Né di ciò contenti, quattordici de' maggiori Cittadini trassero a Firenze, ove agl'insulti d'insolente popolaccio [35] esposti furono, e decapitati. Più degli altri tutti venne oltraggiato, e consegnato alli scherni dei ragazzi, e per le vie strascinato, come bestia, Filippo di Lazzerino Borromei. Intedea la villana plebaglia di vendicare in lui, che parentela avea con i Milanesi, l'onta, e lo scorno, che riceverono dal lor valore i vostri assediatori, quando per essi, e sotto la condotta di Giovanni Acuto, battuti furono alla Fossa Arnonica.

XI.
Né si ristette la distruggitrice politica dei vincitori per fino a tanto, ch'e' non ebbero insieme colla potenza, e colla libertà oppressi quasi, ed estinti i generosi spiriti impazienti di giogo servile, e la speranza, e il desiderio di risorgere, quando che fosse, valorosamente. Si mosse contro di loro, come un'arme tacita, ma funesta, la sempre odiosa legge Agraria, dispogliandoli di una gran parte del Territorio, e formandone quattro Podesterie; del che abbiamo Strumento dei 29 Aprile 1370 rog. Piero di ser Grifo. E conciossiaché i vostri magnanimi progenitori per ristorarsi di tanta perdita introducessero trattato per la compra di Castelfalfi colla Repubblica Pisana, che nelle passate guerre occupatolo il ritenea, e 'l conchiudessero per opera di ser Vanni di ser Ferrino sindaco a ciò eletto e deputato, collo sborso di 1100 fiorini, essi con manifesta ingiuria se lo usurparono, e così si goderono l'acquisto altrui. [36] Poiché dal giorno della compra appena passato un anno, eglino ascoltarono le istanze di quei di Castelfalfi, che allegavano la troppa lontananza da Samminiato, per sottrarsi alla vostra giurisdizione, e con tal pretesto il Castello togliendovi, lo unirono alla Podesteria di Montajone, che una era della quattro nel nuovo loro, ad antico vostro Territorio poc'anzi erette. Con simile arte i medesimi strapparono a voi le armi di mano giustamente prese a gastigare i popoli di Valdelsa, e massime quel di Colle, da cui vi tenevate offesi. Temerono essi, che al fulgor di quelle, ed allo strepito di guerra risvegliatosi il valore, e 'l genio nobile di libertà, e viepiù forse infiammato per le guadagnate vittorie, dai nemici domati ed abbattuti non si rivolgesse contro gli oppressori, e ponesse in iscompiglio la Repubblica loro. E non parendo allora tempo opportuno ad usar comandi, adoperarono le soavi maniere della persuasione, confortando e l'una parte, e l'altra a porre le loro ragioni in mano di tre valentuomini, Giorgio Scali, Leonardo Cariccioli, e Niccolò Tornaquinci, e starsi alla loro final sentenza, succome fu fatto.

XII.
Ma quello, di che temerono, scoppiò nel 1397 ed al primo avviso che Samminiato avea scosso il giogo, e si era rimesso in libertà, tale fu lo smarrimento, ed il timore dei Fiorentini, che sbigottiti si credevano alla [37] vigilia della loro servitù, mentre allora appunto si ritrovavano circondati da fieri, e valorosi, ed ostinati nemici. Udite le parole dell'Istorico vostro Lorenzo: Florentiae media fere nocte nunciatum est Mangiadorium Praefectum ipsorum occidisse, Palatiumque cum armatis hominibus occupasse; eo perterriti nuncio Magistratus trepide in curiam media nocte advocati; oppido munitissimo deperdito, & equitum capacissimo, in quo idoneam belli sedem esse non erat ambiguum, actum de libertate putabatur. Actum de libertate di quei medesimi, che generosi, e costanti non si avvilirono per gl'infausti successi né di Monte Catini, né dell'Altopascio, né della Zagonara, né del Serchio? Adunque se la ribellione fosse stata condotta con altrettanto senno, ed avvedutezza, con quanto coraggio, e prosperità, fu ella cominciata, e se il promesso soccorso giunto fosse in tempo, e fedeli, e pronti si fossero mostrati gli alleati, troppo era da temere pei Fiorentini, e da sperare pei vostri. Piacque al cielo altrimenti. Né miglior fortuna fu conceduta all'ultimo moto della moribonda libertà nel 1431 quando i maggiori vostri ad impetrare ajuto mandarono Ambasciadori all'Imperador Sigismondo. Gradì la clemenza di Cesare, e l'usata divozione all'Imperio, e la fiducia in lui riposta: furono amorevoli le accoglienze, ma incerta diedesi la speranza dello avvenire: essere ancora necessaria [38] la tolleranza non potersi allora inviare truppe in Toscana, non comportarlo il presente stato dell'Alemagna. Del rimanente, quando licenziolli, incaricò i medesimi di riferire ai loro Concittadini, che verrebbe tempo, in cui proveriano quanto dispiaciuta fosse all'Imperio la loro servitù. Intanto scopertosi quest'ultimo tentativo costò ben caro ai Samminiatesi. Chi era di esso consapevole fu giudicato ribelle, e i beni ne furono confiscati. Il vostro Archivio conserva un Libro col funesto titolo Beni dei Ribelli del 1431. La terza confiscazione fu questa, onde l'afflitta Città si vide vuota quasi, e povera, e le pubbliche faccende, furono abbandonate, ed appena rimase un'ombra del governo, ed uno scheletro dello stato primiero.

XIII.
Benché tra i fieri e dolorosi oggetti, come tra i lieti e magnifici, che io vi ho presentato, dovete egualmente aver veduto, qual sia stata la virtù, e l'eccellenza dei Samminiatesi, che più sovente riconoscesi nelle avversità, che nella buona ventura; quale amore però alla patria non dimostra quello della libertà, vivo sempre, benché tenuto ripresso per quasi un secolo fino all'estremo universale sfinimento? Quale magnanimità non discoprono gli sforzi per essa fatti, i consigli presi, i beni disprezzati, il sangue versato? E nella costante affezione all'Imperio forse picciol pregio, e da non curarsene si manifesta? [39] Ella non era quale in altre Città Toscane, un impegno tolto a sostenere per capriccio, o per ambizione d'opprimere una parte dei Cittadini, o di vendicarsene con un pretesto; né era ciò l'introdurre in casa propria stranieri nemici a darci legge, o una furia di animo mutabile, e quanto incauto nello intraprendere, tanto mal fermo nel mantenere. Ma era sì stabile, che dal principio dell'aggrandimento fino alla grave sua rovina, fu il carattere della Città vostra; e non era Cesare così certo del reale suo patrumonio, com'egli era certo della benevolenza dei Samminiatesi. Era sì giusta, anzi necessaria, che potea dirsi una medesima cosa, che l'amor della Patria, difesa, aumentata, ed onorata per la protezione dell'Imperio, per cui tenne gran tempo sue leggi, e libero governo, e distinto posto nella Toscana. Era sì commendevole, che difficil sarebbe a degnamente lodarla, quella fidanza, che ebbero in lei tanti Augusti Personaggi, manifesta dichiarazione, come vedemmo, della fede e lealtà incommutabile, e della fortezza, e del valore dei suoi Cittadini. Le quali cose io dico, perché si abbia meglio a confessare, che tanta congiunzione di animi, e tanta virtù meritava miglior ventura, e che adesso massimamente ella si merita premio almeno di lode, e di speciale considerazione; e perché ancora non paja, che io accatti gloria alla vostra Patria coll'altrui [40] buon volere solamente, e con de' pregj quasi esterni; ed anzi s'intenda, che quelli provenivano da interne qualità de' vostri Antenati, e dalle loro illustri opere, e dalla loro laudabil natura. E ciò senza fallo si può comprovare con altre cose molte, delle quali meglio confermare la proposizione mai piacemi d'alcuna brevemente accennarvene.

XIV.
Dallo Strumento, che il Territorio vostro dismembrò veder potete, che augusto non era egli, né spregevole, a paragone di quello delle altre Cattadi a voi vicine, e che trentaquattro piccioli Popoli egli comprendeva. Ma una singolar lode distinguelo, e lo rende eguale al dominio di remote Provincie colla violenza dell'armi, coll'ingiustizia delle ragioni, con la frode, con la tirannia conquistate e dome. Ed è questa la libera, e volontaria sottomissione di alcuni di loro, della quale serba il vostro Archivio le testimonainze, che lo sono ancora della bontà delle vostre Leggi, della saviezza del governo, e della dolcezza ed equità degli Amministratori di esso. Uno di questi preziosi monumenti riguarda quella di Campovena nel 1231 il qual Castello, per la misura presane d'ordine de' vostri Signori l'anno 1330 settemila canne lontano dalla Città era collocato; le altre sono quella del Vignale del 1235, quella di Castelfalfi nel 1238, e quella di Tonda del 1267. Le quali Castella, come le altre dell'istesso [41] dominio, non dovete immaginarvele, quali alcune vedonsi adesso appena, rovinate e spopolate; poiché il tempo ha cangiato in tutto non solo le mura, ma il numero degli abitatori, assai maggiore per tutto questo paese a quei tempi, che e' non è in questi. Allora o la libertà, cui or veggiamo dalla miglior parte del mondo sbandita, ispirava una segreta affezione al terreno natìo, ed alla famiglia, che muoveva a desiderare, e volentieri alimentar figlioli, o la necessità di convenevoli forze a difendersi dai confinanti, sovente nemici, e l'emulazione della potenza ristretta in piccoli Stati, essendone in tanti divise le nostre contrade, attende faceva a procurar popolazione, ed averla cara, quanto ad impedirla si adoperò in molti luoghi la crudele politica dei secoli posteriori. Duemila soldati furono un soccorso prestatamente ad un cenno raccolto, e spedito ai Fiorentini contra il Duca di Atene dai vostri Samminiatesi. Nel che notate la militar disciplina di allora. Ciò poteasi eseguire, poiché eglino teneano le milizie a cerne, e con campana a storno, e con un falò dal cassero, ne radunavano giusta l'occorrenza.

XV.
Diede questo ai vostri la maniera di sostenere ostinate, e sanguinose guerre contro potenti, e fortunati avversarj, come Uguccione della Faggiuola tiranno di Pisa, e di Lucca, e Castruccio Castracani terror della Toscana, [42] i quali aspirando all’intiera Signoria della medesima, fecero in vano ogni sforzo per impadronirsi della vostra fortezza, d’onde poteano quasi dal mezzo della Provincia scagliarsi a danno degli altri popoli. Nel che per voi non solamente diedesi prova di alto ed incredibil valore, ma si meritò, a bene, e discretamente giudicare, il nobilissimo titolo di Protettori, e Conservadori dell’altrui salute, e libertà. Quali sariano stati i travagli, e quale l’oppressione di tante Repubbliche, quale alterezza, e la possanza del Faggiuola, o di Castruccio, se avesse potuto a suo talento dispor di voi, del vostro Stato, delle vostre truppe, e massime dopo i trionfi di Monte Catini, e dell’Altopascio? Chi nelle storie di que’ tempi a mediocrità versato havvi, che nol conosca? Voi all’ingorde ambizione voglie dei Tiranni vi opponeste con petto franco, voi faceste argine al corso superbo di loro vittorio, voi (non deesi defraudarvi della dovuta gloria) voi foste i fedeli, i coraggiosi Guardiani della Libertà Toscana. Odanlo i Fiorentini, odano i loro Storici Giovanni Villani, e l’Ammirato. Nelle guerre Castrucciane cotanto a loro funeste, e piene di non usati perigli, da niuno ebbero essi più pronto e diligente ajuto, che dai Samminiatesi; quantunque anch’eglino si vedessero il nemico alle porte, che ora stringeali con assedj, ora colle scorrerie il Territorio guastava, ed abbruciava. [43] Che se taluno voi ascoltaste di quei, che pensano aver Castruccio sorpreso la vostra Città, perché nella sua vita leggono, che arrivò a sorprendere Samminiato, non date loro credenza, e siate avvisato, che questo luogo, non cotesto è, ma Samminiato al Monte, che guarda Firenze, del quale s'impadronì l'anno 1324 come spiegano i buoni Scrittori, quando egli, ad Azzo Visconti condussero trionfante l'esercito, e molti stettero di quei dì fin presso le mura di Firenze. Ma non è sola questa l'occasione, in cui abbiano avuto ricorso i Fiorentini a voi, e debbano commendare il valor vostro, la potenza, e la lealtà. Chi tagliò loro il laccio dal collo, per cui gli strascinava il Duca di Atene, se non l'ajuto, di cui parlammo, spedito loro a tempo da questo ora sì negletto paese? Chi guadagnò ad essi la battaglia di Campaldino? Leggete l'Ammirato, il Buoninsegni, e le Cronache di Dino Compagni, e intenderete a voi tal lode unicamente appartenersi.

XVI.
E quante volte dalla Patria vostra i Capitani eglino chiamarono a comandare le loro truppe? Nel 1256 le confidarono a Gio. Mangiadori; nel 1351 a Lamberto dei Conti di Collegalli; nel 1360 a Piero Ciccioni; nel 1404 a Ruberto Collegalli. E gl'Imperadori medesimi non ebbono a grado di prevalersi di Generali Samminiatesi? Il più famoso di essi è Ceo da Samminiato, che perdé la [44] giornata di Barigliano, ma, siccome la fama fu, la vita salvò dell'Imperadore già pianto per morto. Ma vedetene di grazia il giudicio non d'un uomo solo, o di una sola Città, ma di molti popoli, e di Città nobilissime. Chi fu nel 1297 che difese in qualità di Capitano Generale le Città comprese, e descritte allora nel giro dell'Etruria contro le molestie, le ruberie, le violenze recate loro dalle avare, e crudeli compagnie, che mettevano a rovina le Provincie, e taglieggiavano tutti i Popoli? Fu la saggia, e valorosa condotta di Bertoldo Malpigli Samminiatese. E qual fu l'altro Generale da tutti i Comuni eletto per somigliante faccenda, quando eglino nel 1310 concorsero tutti con buon numero di soldatesche a formar un giusto esercito, cui si dava il nome di Taglia? Non altri, che il Cittadino Samminiatese Barone dei Mangiadori. Considerate quali uomini, e quali famiglie produceva l'abbandonata vostra Patria, poiché non solamente il soccorso loro si prezzava tanto, ma al comando eglino soli venivano invitati a concorrenza di Città sì ragguardevoli, e non delle sole del Gran Ducato, ma di quelle tutte, che componevano l'Etruria antica.

XVII.
Le quali prerogative non furono oscure agli antichi Fiorentini, né della loro stima, e rispetto anno a dolersi i Samminiatesi. Racconta l'Ammirato, ed appare ciò eziandio per pubblico Strumento, che nel 1345 [45] si fece in Firenze una riformagione, che i Grandi di Firenze fossero di Samminiato e reciprocamente i Grandi di Samminiato fossero di Firenze. Se bene io dico, che a riguardare il fine, e le maniere di questa legge, ella non era in difetto piuttosto onoranza, che pena. Quando la potenza di un Cittadino era troppo temuta, dichiarandolo dei Grandi, o dei Magnati, ei veniva rimosso da ogni Magistratura, e da ogni amministrazione della Repubblica, onde s'intendeva d'impedire a lui il potersi abusare di sua grandezza a danno della Patria. Avea Firenze, che reggevasi con governo popolare, imitato, ed anzi raddolcito per una parte la famosa costumanza, che avevano gli Ateniesi di sbandire per alcuni anni dalla Città, che divenuto era troppo potente, la quale essi chiamavano Ostracismo. Ma che perciò! L'essere tra i Grandi posto, siccome l'essere d'Atene cacciato, era una pena, ma pena della troppa grandezza, e talvolta ancora della virtù, e perciò sempre gloriosa, benché spiacevole. Ed in questo Decreto, che nei Capitoli della sommissione di Samminiato si ridusse a patto vicendevole, ben si ravvisa una certa uguaglianza di timore, e conseguentemente di potere negli uomini di ambedue le Repubbliche, una somiglianza di titoli, e per conseguenza di grado, in somma un trattarsi dell'uno, e dell'altro popolo alla pari. E ciò meglio si vede nell'altro Capitolo, il quale [46] porta, che abitando un Samminiatese per sei mesi in Firenze (e molte delle vostre famiglie annolo fatto, e della vostra medesima il vedrete poi) dovesse egli godere di tutti gli Ufizj, e di tutte le Magistrature della Città. Aggiungete che i vostri, quantunque divenuti sudditi d'altra Repubblica, non però perderono così tosto quella distinta considerazione, che radicata era negli animi dei popoli, e dei medesimi vincitori. Nella pace conchiusa in Bologna ai 10 di Novembre 1370 (anno susseguente a quel primo, che fu per voi fatale) tra la S. Sede, e Bernabò Visconti, e di vicendevoli confederati d'ambe le parti, anche i vostri convenne, che creassero Sindaci ad acconsentire alle condizioni, accettarle, e fermarle, come se ancor'essi fossero stati liberi ed assoluti Signori.


Antonio Maria Vannucchi, Ragionamento storico al nobil giovane Gio. Battista Gucci gentiluomo samminiatese sopra la nobiltà della sua patria e della sua famiglia, Stamperia Gaetano Albizzini, Firenze 1758, frontespizio.

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