lunedì 31 agosto 2015

CORRADO E GIGI - Racconto di Stefano Bartoli

↖ RACCONTI DAL DUOMO E DAL SEMINARIO

di Stefano Bartoli

Corrado e Gigi

Ci sono persone che hanno riempito la mia vita di bambino ed ho ancora oggi impresso nella memoria il Loro modo di essere e di porsi nei confronti del mondo, della vita, delle altre persone, il cosiddetto prossimo. Ho sempre definito questi due la “strana coppia”, entrambi artigiani, con la propria attività indipendente che, spesso, diventava complementare.
Corrado abitava proprio accanto a casa mia e, dietro, accanto all’orto, aveva la sua bottega di falegname. Sul fronte strada aveva anche un fondo che utilizzava come negozio e magazzino nel quale esponeva il campionario delle casse da morto da Lui prodotte. Gigi aveva bottega di stagnino in Piazza del Seminario, in uno dei fondi ai quali si poteva accedere da quelle splendide porte medievali fatte a T.

Corrado era un po’ curvo di spalle, la testa la portava leggermente piegata da un lato e in bocca o in mano teneva la sua amata pipa. Era un bell’oggetto, con un grande fornello di legno marrone e un bocchino di osso di colore nero. Il fornello della pipa non aveva il cappuccio come quello del vecchio Messerini perché Corrado non ne aveva bisogno, Lui copriva il fornello con il grosso pollice e alzando e abbassando l’ultima falange del dito aumentava o diminuiva il tiraggio. Corrado socchiudeva gli occhi e inspirava il fumo dell’ottimo trinciato mentre il fiammifero, rigorosamente di legno, accendeva la pipa appena caricata con un buon trinciato. L’ossigeno dell’aria faceva alzare la fiamma, incendiava bene il tabacco e poi erano la bocca e il pollice a regolare l’intensità della brace accesa. Corrado vestiva sempre di marrone, salvo per il baschetto blu, rotondo, che portava sempre in testa, lo proteggeva dalla polvere e dai trucioli. Nei momenti di pausa mi divertivo a stare seduto accanto a Lui mentre ascoltavo qualche storia che mi raccontava. Guardavo le sue mani di falegname, la pelle era più scura di quella delle braccia e della faccia, erano mani che verniciavano porte, finestre, mobili ed anche le casse, spesso usava la coppale e questa, per quanto ti lavi, ha il vizio di rimanere sempre un po’ appiccicata ai polpastrelli. Corrado non era immune da questa situazione e, le rare volte che ti faceva una carezza sentivo questa ruvidità che era un misto di pelle inspessita dal continuo lavoro e da queste minuscoli residui di coppale o di colla seccata.

Gigi vestiva di blu, una comoda tuta con la cerniera sul davanti, dalla quale uscivano un collo e una testa di carnagione pallida, Lui aveva radi capelli grigi che gli circondavano la testa come una piccola corona, la sommità era calva. Gigi lavorava le lamiere, faceva docciature e tutte le altre cose che riusciva a produrre nella Sua bottega di stagnino. Ogni tanto accadeva che, anche a S. Miniato, qualcuno decideva improvvisamente d’iniziare il proprio personale viaggio per l’aldilà e allora la strana coppia si riuniva e iniziare a lavorare alacremente per fornirlo del necessario. Non importava che fosse giorno o notte, feriale o festivo, Corrado e Gigi entravano subito in azione, con un preavviso temporale minimo.

Tutto iniziava con la visita dei parenti al campionario, la scelta del modello, del tipo di legno, delle incisioni eventuali e decorazioni, degli accessori interni ed esterni, a volte non era facile mettere tutti d’accordo ma Corrado era una persona molto paziente. Fatto ciò iniziava la prima visita al “viaggiatore”, per prendere le misure, cosa necessaria e condotta con la massima cura perché, all’epoca, non si prendevano in considerazione modelli standard, preconfezionati dall’industria, si preferiva sempre un prodotto locale, artigianale, molto curato e, più di tutto, su misura. Da piccolo il sarto ti cuciva, su misura, l’abito per la Prima Comunione, poi quello per il tuo matrimonio, infine, per chi aveva figli, quello per il Loro matrimonio. L’ultimo abito, il più pesante e ampio di tutti, te lo confezionavano, immancabilmente, Corrado e Gigi.

Raccolte tutte le informazioni necessarie a procedere Corrado andava a scegliere le tavole di legno; sembra facile ma Corrado era un artigiano scrupoloso ed esigente, non lavorava mai tavole invecchiate meno di un anno. Ricordo il camion che consegnava la grande quantità di assi e la catasta quadrata che Corrado e Suo figlio, Cicello o Gigello, facevano nell’orto. Due tavole per lungo, con uno spazio di qualche metro di distanza l’una dall’altra, poi due tavole per largo, sempre alla stessa distanza, e via così fino a quando la catasta aveva raggiunto più di tre metri di altezza. Sopra la catasta delle assi, a proteggerle dalla pioggia, erano appoggiati sulle ultime due tavole degli ondulati di lamiera. Un anno intero a stagionare, poi si smontava la catasta e le tavole erano appoggiate al muro, sotto il terrazzo, di lato all’ingresso di bottega. Non c’era più timore che si piegassero o che schiantassero, quelle che dovevano farlo lo avevano già mostrato e ora le tavole potevano stare anche belle dritte, senza incorrere in altri piegamenti. E’ fra queste che Corrado sceglieva la sua materia prima.

Io dormivo con mia nonna in una camera che dava su di una piccola terrazza, proprio vicino alla bottega, quindici metri in linea d’aria, forse meno e il rumore della sega circolare in azione nelle ore notturne mi svegliava sempre. Questo mi confermava che avevamo perso qualcuno e che la mattina successiva avremmo trovato i manifesti appiccicati al muro. Quando inizia a frequentare la scuola elementare, io iniziai a leggere i manifesti da solo, mi serviva a capire dove aveva vissuto il partente, e se era qualcuno che abitava nella Parrocchia di Santo Stefano, mi sarei subito dovuto organizzare per essere presente al funerale. Fare il chierichetto è sempre stato una cosa che io prendevo molto sul serio e non sarei mai mancato nel momento del bisogno.

Ritornando alla sega circolare ricordo che lavorava sempre a lungo, poi, dopo un po’ di pausa, iniziava i colpi con il martello sullo scalpello da falegname. Corrado faceva la cassa senza usare chiodi, disegnava sul legno, con un grosso lapis rosso, le linee dei tagli da fare e poi procedeva. Tutto si metteva insieme congiungendo le sporgenze a coda di rondine di un lato della tavola con gli incavi ricavati dall’altra, una semplice passata di colla e voilà, tutto ben fissato e saldo.

Veniva poi il lavoro di fino, le incisioni, non per tutti, solo per le famiglie più facoltose o che avevano risparmiato in vita per concedersi l’ultimo lusso. Gigi, in contemporanea tagliava lamiere nella sua bottega e le univa con lo stagno fuso. Le misure erano quelle che Corrado gli aveva passato e che Lui rispettava rigorosamente.

Appena aveva finito, metteva tutto sul carretto e giù per la discesa per la consegna. L’involucro di legno accoglieva il suo contenuto di lamiera, quando tutto era pronto, si poteva iniziare a riempire e completare il tutto con fodere imbottite e cuscino. Mentre la moglie di Corrado, Vittoria, si prendeva cura di quest’ultimo adempimento Corrado finiva di fissare le maniglie ai lati e gli accessori sul coperchio, spesso Crocefissi o immagini della Madonna e l’immancabile targhetta con il nome della falegnameria.

Era un piccolo mondo, più lento per tanti versi, immediato per altri. Un mondo fatto di comportamenti seri e coerenti e di rispetto che, a volte, rimpiango un po’. Corrado sapeva anche essere allegro e amava scherzare, ricordo la Sua faccia sorpresa e poi il Suo compiacimento quando Cicello ritornò dal viaggio di nozze. Erano andati a Cuba, meta molto avveniristica per l’epoca, e Lui e Sua moglie avevano acquistato un grandissimo sigaro cubano, ovviamente non poteva essere francese, era lungo un metro esatto e grosso come un salamino da cacciatore, confezionato nella carta lucida e trasparente e adagiato dentro una bella e lunga scatola rettangolare di legno. Corrado si emozionò tanto, si grattò un po’ un lato della testa, rifletteva, e poi decise di fumarselo, a pipa. Tutti i giorni tagliava una rotellina di tabacco dal sigaro, la sbriciolava e la metteva nel fornello della Sua pipa, poi lo accendeva, sempre socchiudendo gli occhi e iniziava la goduria. Ci mise qualche settimana ma se lo fumò tutto.


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