venerdì 22 luglio 2016

LA “RELAZIONE GIANNATTASIO” SULLA STRAGE DEL DUOMO DI SAN MINIATO

a cura di Francesco Fiumalbi
Indice del post:
PREMESSA
LA COMMISSIONE D'INCHIESTA
LE CONCLUSIONI DEL GIUDICE GIANNATTASIO
LA “RELAZIONE” NELLA STORIOGRAFIA
IL TESTO DELLA “RELAZIONE GIANNATTASIO”

PREMESSA
In questo post è proposta la trascrizione di un documento molto importante: la cosiddetta “Relazione Giannattasio” inerente la Strage del Duomo di San Miniato, avvenuta la mattina di sabato 22 luglio 1944. La Relazione, in originale con la firma autografa del Giudice Carlo Giannattasio, è conservata presso l'Archivio Storico del Comune di San Miniato ed già nota al mondo degli studiosi. Fu pubblicata per la prima volta sulla Miscellanea Storica della Valdelsa n. 189/197 (LXXIV-LXXVI, 1968-1970, pp. 270-279) e poi riproposta in M. Battini e P. Pezzino, Guerra ai Civili. Occupazione tedesca e politica del massacro. Toscana 1944, Saggi Marsilio, Venezia, 1997, pp. 374-381.
Di fatto la “Relazione Giannattasio” fu l'unico documento pubblico sull'eccidio del 22 luglio 1944, avente caratteri di ufficialità, e sul quale si basò per oltre un cinquantennio la letteratura sulla Strage del Duomo di San Miniato, nonché la "costruzione" della memoria nelle sedi ufficiali. Si dovrà attendere, infatti, il "Decreto di Archiviazione n.262/96/R. ignoti" del 20 aprile 2002, emesso dal Tribunale Militare della Spezia, che ribaltò la tesi del gelido eccidio tedesco, ormai divenuta insostenibile.

La Cattedrale dei SS. Maria Assunta e Genesio Martire
Foto di Francesco Fiumalbi

LA COMMISSIONE D'INCHIESTA
La nuova Giunta Comunale – nominata il 5 agosto dal Governo Alleato su indicazione del CLN di San Miniato – il 21 settembre 1944 costituì una commissione d'inchiesta presieduta dal Sindaco Emilio Baglioni e composta dal notaio Gino Mori Taddei nella veste di Segretario, dall'avv. Ermanno Taviani, dall'ing. Aurelio Giglioli, dal dott. Dante Giampieri e dal Sig. Pio Volpini. Tale commissione svolse una lunga istruttoria, raccolse varie informazioni, testimonianze e perizie sull'esplosione che provocò la morte di 55 civili all'interno della Cattedrale. Nell'ultima seduta, tenutasi il 27 giugno 1945, la commissione affidò la redazione delle conclusioni ad una persona assolutamente estranea all'ambiente cittadino, individuata nel Giudice del Tribunale di Firenze Dott. Carlo Giannattasio. Quest'ultimo, il giorno 13 luglio 1945, inviò la relazione alla commissione d'inchiesta, poi trasmessa al sindaco il 17 luglio successivo [cfr. M. Battini e P. Pezzino, Guerra ai Civili. Occupazione tedesca e politica del massacro. Toscana 1944, Saggi Marsilio, Venezia, 1997, pp. 107-108].
Il Giudice Carlo Giannattasio era una figura certamente estranea all'ambiente sanminiatese e legata al Comitato Toscano di Liberazione Nazionale. Aderì al Partito d'Azione assieme, fra gli altri, a Carlo Lodovico Ragghianti e Luigi Russo (autore poi della “prima” lapide sulla facciata del Municipio di San Miniato nel 1954).

LE CONCLUSIONI DEL GIUDICE GIANNATTASIO
Da un punto di vista dei contenuti, la Relazione si compone di una vasta introduzione (che servì a Giannattasio per fare il punto sul contesto, sul clima e sulle vicende dei giorni immediatamente precedenti alla Strage del Duomo) e delle “risposte” ai quesiti avanzati dalla commissione d'inchiesta comunale:
I. Se furono cannonate, bombe o ordigni esplosivi che colpirono la Cattedrale.
II. Se tali cannonate, bombe o ordigni erano di provenienza tedesca o anglo-americana.
III. Se e quali cause determinarono l'eccidio.
IV. Se e quali eventuali responsabilità morali, dirette o indirette vi furono da parte delle Autorità locali politiche, amministrative, religiose.
In estrema sintesi, il Giudice Giannattasio, avvalendosi anche di due perizie balistiche, accolse la controversa tesi della “doppia cannonata”, ovvero che all'interno del Duomo fossero penetrati due proietti: uno alleato (senza fare danni) e l'altro tedesco (ritenuto la causa della strage) sparato come rappresaglia per l'ostilità manifestata dalla popolazione in quei giorni. Tale ricostruzione balistica è stata poi ampiamente discussa ed esclusa categoricamente. Infine assolse con formula piena tutte le autorità sanminiatesi, sia politiche, amministrative che religiose, scaricando ogni responsabilità unicamente sui militari germanici.

LA “RELAZIONE” NELLA STORIOGRAFIA
Proprio partendo dalle conclusioni contenute nella “Relazione Giannattasio” fu dettata la “prima” lapide collocata sul Municipio di San Miniato nel 1954, a firma di Luigi Russo e oggi ricollocata, assieme alla “seconda”, presso i Loggiati di San Domenico. D'altra parte quella era la "linea ufficiale", impossibile da mettere in discussione in quegli anni.

Il testo di Giannattasio destò fin da subito numerose perplessità. Soprattutto da parte di chi rimase insoddisfatto dalle conclusioni, redatte in appena due settimane dal 27 giugno al 13 luglio 1945 e, probabilmente, senza mai effettuare un sopralluogo a San Miniato. Uno dei primi a muovere aspre critiche all'esito della relazione fu il Canonico Enrico Giannoni che in occasione del 10° anniversario della Strage pubblicò su Il Mattino di Firenze del 21 luglio 1954 la propria “controinchiesta” specificando che «la soluzione data, a mezzo di un foglio, pubblicato il 13 luglio 1945, a cura della Giunta Comunale, col titolo «Luce sul tragico avvenimento» quale frutto dell'inchiesta di un apposito comitato, non appare affatto soddisfacente. Non risulta per nulla chiara, e tale da tramandarsi, coscienziosamente, alla storia. Bisogna ritornare sopra a codesto foglio, dato che, in dieci anni, è passata tanta acqua sotto i ponti da spazzar via le troppe prime fallaci impressioni, le puerili dicerie e, anche, gli sciocchi timori e le conseguenti viltà d'animo». Il "foglio" a cui si riferisce Giannoni non è altro che una formulazione sintetica della Relazione, compilata per divulgare gli esiti della commissione d'inchiesta.

Sulla stessa linea del Canonico Giannoni, a distanza di circa 35 anni, anche il testo di Giuliano Lastraioli e Claudio Biscarini, § 5. San Miniato (22 luglio 1944. Le schegge non fanno curve, in Id. Arno Stellung. La quarantena degli Alleati davanti a Empoli (22 luglio – 2 settembre 1944), in «Bullettino Storico Empolese», n. 9, a. 32-34 (1988-1990), Empoli, 1991, pp. 215-224.

Alcuni anni dopo, Michele Bettini e Paolo Pezzino, pur accogliendo la tesi della responsabilità tedesca, assumono comunque un profilo assai critico nei confronti della “Relazione Giannattasio”, affermando che «si trattava, perciò, di porre il suggello finale ad una sentenza che pareva ormai scontata, tanti erano gli elementi che deponevano in quella direzione. Giannattasio svolse il suo compito in maniera che oggi appare frettolosa, ma che allora sembrò pienamente soddisfacente, tanto che la commissione gli espresse il proprio apprezzamento in una lettera del 18 luglio 1945, nella quale la sua relazione veniva considerata «obbiettiva ed esauriente»» [M. Battini e P. Pezzino, Guerra ai Civili. Occupazione tedesca e politica del massacro. Toscana 1944, Saggi Marsilio, Venezia, 1997, pp. 110-111].

Ancor più severo il giudizio di Paolo Paoletti: «la relazione Giannattasio ha due soli meriti: 1) quello di aver chiarito senza ombra di dubbio, peraltro con la sola testimonianza del medico Angiolo Lupo, che curò i feriti, che non si trattò di una mina ma di una bomba; 2) quello di aver scagionato da ogni sospetto il Vescovo Giubbi. Per il resto la relazione Giannattasio è completamente da rigettare, in quanto mostra gravi lacune esplicative, arrivando a conclusioni quanto meno superficiali, senza alcuna riflessione logica. Si tratta di una relazione che si basa più sulle suggestioni, che sui dati di fatto» [P. Paoletti, 1944 San Miniato. Tutta la verità sulla strage, Mursia, Milano, 2000, pp. 194-195].

La Cattedrale dei SS. Maria Assunta e Genesio Martire
Foto di Francesco Fiumalbi

IL TESTO DELLA “RELAZIONE GIANNATTASIO”
Ad oltre settant'anni da quando venne redatto, il testo del Giudice Carlo Giannattasio non può che apparire “anacronistico” sotto tutti i punti di vista e non è questa la sede per muovere le pur necessarie osservazioni o critiche al suo complesso e ad ogni singola frase.
Tuttavia la “Relazione Giannattasio” deve essere considerata comunque come un documento storico, frutto di quel tempo, di quel particolare contesto cittadino sanminiatese e della particolare situazione italiana e mondiale nei giorni immediatamente successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Un documento che merita di essere letto e divulgato, anche soltanto per tentare di comprendere ciò che è stato il dibattito nei decenni a seguire: è proprio su questo testo, infatti, che si è basata per quasi sessant'anni la costruzione della “memoria” della Strage del Duomo nelle sedi ufficiali. Come è stato detto, di fatto questo è stato l'unico documento pubblico, avente caratteri di ufficialità, relativo alla pagina più dolorosa della storia sanminiatese.

Di seguito è proposta la trascrizione del documento conservato presso l'Archivio Storico del Comune di San Miniato, F200 S062 UF184, 22 Luglio 1944. Inchiesta Eccidio del Duomo, fasc. n. 1, Relazione dell'Inchiesta:

[01] RELAZIONE
SULL'INCHIESTA PER L'ECCIDIO DEL DUOMO DI S. MINIATO
DEL 22 LUGLIO 1944

Uno degli episodi più sanguinosi, che hanno caratterizzato la ritirata tedesca in Toscana nell'estate 1944, è l'eccidio della cattedrale di S. Miniato (Pisa), nel quale trovarono la morte cinquantaquattro (54) persone, senza contare altri eventuali deceduti tra i feriti che furono trasportati dalle truppe americane in ospedali fuori Comune (fal. 58 bis).
Appena liberata la città, uno dei primi compiti della rinnovata Amministrazione Comunale fu quello di costituire una Commissione di Inchiesta al fine di accertare le cause che provocarono l'eccidio e di stabilire se vi fu qualche manchevolezza da parte delle autorità locali, che, direttamente o indirettamente, abbia potuto influire sulla tragedia.
Dopo lunga istruttoria, che comprende l'esame di numerosi testimoni e la redazione di perizie tecniche, il 27 giugno 1944 la Commissione unanime, “ritenuto che per garantire l'esame obiettivo del materiale raccolto e la massima serenità di giudizio, fosse opportuno e necessario affidare l'incarico di trarre le conclusioni dell'inchiesta a persona assolutamente estranea all'ambiente cittadino”, deliberava di affidare al sottoscritto il compito di redigere il giudizio definitivo, rispondendo ai seguenti quesiti.

I. Se furono cannonate, bombe o ordigni esplosivi che colpirono la Cattedrale.

II. Se tali cannonate, bombe o ordigni erano di provenienza tedesca o anglo-americana.

III. Se e quali cause determinarono l'eccidio.

IV. Se e quali eventuali responsabilità morali, dirette o indirette vi furono da parte delle Autorità locali politiche, amministrative, religiose.


E' necessario innanzi tutto la ricostruzione dei fatti che precedettero l'eccidio del 22 luglio 1944.
Nella notte tra il 17 e il 18 luglio 1944, non distante dal Convento [02] dei Cappuccini in S. Miniato furono uditi dal Guardiano p. Quirino da Rigutino dei colpi di arma da fuoco. Alle sei del mattino del 18 alcuni militari tedeschi accompagnati da un paracadutista fascista, certo Caporali Antonio, pretesero perquisire il Convento, dal quale, a loro dire, erano partiti i colpi e minacciavano severe rappresaglie per l'uccisione avvenuta nella notte, a pochi metri dal muro di cinta del Convento, di un militare germanico (fol. 9).
Qualche ora più tardi, e precisamente alle II, padre Quirino si recò ad un comando tedesco situato presso il Convento per chiedere chiarimenti. Dal Comandante, che era un capitano, fu incaricato di avvertire la popolazione di abbandonare la città entro le ore 16, perché la medesima sarebbe stata fatta da loro saltare (fol. 9). Padre Quirino si recò allora al Comando militare tedesco di S. Miniato, ove, in assenza del Colonnello, un tenente assicurò che nessun ordine era stato emanato e che si poteva tranquillizzare la popolazione (fol. 10). Sempre nel pomeriggio del 18, il canonico d. Pietro Stacchini, interpretando il desiderio del popolo, fece presente a mons. Ugo Giubbi, vescovo di S. Miniato, l'opportunità di intervenire presso il Comando tedesco per impedire lo scempio della città. Il Vescovo acconsentì e preparò una lettera, che fu recapitata dal canonico Fiorentini e dal chierico Ruggini prima al Comando tedesco presso la Villa Capponi con esito negativo (fol. 12), poi al Comando presso il Convento dei Cappuccini, ove un maresciallo dichiarò ai due sacerdoti, ai quali si era aggiunto p. Quirino, che non sapeva nulla (fol. 11).
Mentre questi passi venivano compiuti, un soldato tedesco ed il paracadutista Caporali (quegli stessi che qualche giorno prima il maresciallo dei carabinieri Conforti aveva arrestato e consegnato alla gendarmeria germanica perché sorpresi a rubare biciclette, apparecchi radio e macchine da scrivere – fol. 12 e 30) si recavano in Episcopio e a Mons. Giubbi ripetevano l'ingiunzione di far sgombrare la città, perché si dovevano minare delle case al fine di ostacolare il passaggio delle truppe alleate. Soltanto dopo le vibrate proteste del Vescovo, i due militari acconsentirono che coloro che risiedevano in Episcopio potessero restare nel rifugio situato nelle cantine del palazzo (fol. 21).
Dopo una giornata di così intensa emozione, la mattina del 19 [03] luglio, verso le ore 11, un sottufficiale germanico, certo Walter ed il paracadutista Caporali ingiunsero a padre Quirino di far entrare i civili in convento e di issare la bandiera pontificia, assicurando che detto luogo sarebbe stato rispettato, questo ed altri episodi dovevano maggiormente allarmare la popolazione. Al colono Vittorio Mazzetti, il sottufficiale Walter ed il paracadutista assicuravano in quel giorno che “San Miniato avrebbe fatta una triste fine” (fol. 11) e soltanto il tempestivo intervento del canonico Stacchini evitò che fosse minato il palazzo della Misericordia e la casa antistante (fol. 13). Ma oramai si diffondeva maggiormente la convinzione che qualche malvagia azione fosse tramata.
La mattina del 20 verso le ore 10 don Lionello Benvenuti veniva fermato sulla strada nazionale da due militari tedeschi (SS), uno dei quali, con accento concitato, gli disse che in S. Miniato dovesse esporsi bandiera bianca sulla cattedrale (fol. 19). Fu subito informato Mons. Vescovo, il quale ritenne prudente non esporre la bandiera perché i tedeschi, i quali avevano significato che avrebbero resistito sino a tutto il giorno 23, potevano interpretare la cosa come una provocazione (fol. 19, 13 e 14).
La giornata del 21 luglio trascorse senza avvenimenti degni di rilievo, sebbene sotto l'incubo dell'imminente tragedia. La mattina di sabato 22 luglio, circa le ore 5,50 un ufficiale tedesco, accompagnato da un sottufficiale che faceva da interprete e da alcuni soldati, si presentò al palazzo vescovile e chiese di parlare col Vescovo, al quale comunicò che tutti i civili, tolti i vecchi che non potevano camminare, dovevano radunarsi nella piazza dell'Impero alle ore 8 precise, allo scopo di essere condotti in campagna, dove si sarebbero trattenuti per circa due ore, perché, a restare in città, v'era un pericolo grave (fol. 21-22, 24-25). Alle obiezioni del Vescovo l'ufficiale dispose che la radunata venisse fatta, oltre che in piazza dell'Impero, anche nella piazza della Cattedrale e che nelle chiese si fermassero soltanto i vecchi, i malati e i bambini piccoli. Tutti i validi sarebbero stati incolonnati e accompagnati fuori della città (fol. 22).
La notizia fu diffusa per mezzo dei sacerdoti e la popolazione allarmata cominciò ad affluire nelle piazze determinate, specie in [04] quella del Duomo. L'ordine primitivo era stato intanto modificato, nel senso che la popolazione doveva riunirsi nelle Chiese del Duomo e di S. Domenico (fol. 14). La proposta del Vescovo di ammetterla anche alla Chiesa del SS. Crocifisso fu respinta (fol. 22). Alla signorina Donati che chiedeva spiegazioni di quel concentramento, venne risposto da militari tedeschi: “Grande combattimento S. Miniato” (fol. 16). I militari che al massimo avevano visitato il Vescovo avevano parlato di “Giornata di combattimento” (fol. 24 e 26).
Alla popolazione convenuta nella Cattedrale Mons. Vescovo dal pulpito pronunciò parole di incoraggiamento e di fede. Il Preposto, intanto, iniziava la celebrazione della Messa. Verso le ore 9 dopo aver distribuito delle immaginette, aver recato del laudano ad un sofferente e di aver disposto che lo chiamassero all'occorrenza, Mons. Giubbi scese nel rifugio ridetto provvisoriamente a Cappella per celebrare a sua volta la Messa.
Verso le 10 fu udito il primo colpo di cannone, cui seguirono altri subito dopo (fol. 5 e 44). I presenti ebbero l'impressione che la prima cannonata scoppiasse all'esterno e facesse cadere i vetri in Chiesa (fol. 5), mentre la seconda e una terza colpirono la sacrestia nella parte centrale della Chiesa in più parti (fol. 44). Il Duomo fu avvolto in una nuvola nera (fol. 6). Morti e feriti giacevano da più parti. La popolazione era in preda alla disperazione. Il Sacerdote Guido Campigli dette per tre volte l'assoluzione e consigliò le persone ad uscire di chiesa per ritornare al rifugio, ma gli fu risposto che i tedeschi impedivano l'uscita della popolazione. Don Campigli si recò sulla porta di sinistra sullo sdrucciolo del Crocifisso e gridò alle persone che aveva presso di lui di recarsi al rifugio. La popolazione si riversò fuori di Chiesa ed iniziò l'opera di soccorso. Tutto il resto della giornata passò relativamente calmo fino all'arrivo delle truppe alleate (fol. 45).

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RISPOSTA AI QUESITI N. 1 e 2

Sebbene le truppe tedesche avessero provveduto a collocare in S. Miniato numerosi ordigni esplosivi, può senz'altro escludersi [05] che mine od altri ordigni siano stati collocati nella Cattedrale o nelle immediate adiacenze e che la Chiesa sia stata colpita da bombe. Quale sia stata l'impressione, puramente subiettiva, del Maresciallo Pietro Conforti (fol. 32) e del sig. Adone Bonistalli (fol. 6) manca qualsiasi rilievo obbiettivo che autorizzi l'affermazione che mine o altri ordigni siano esplosi il 22 luglio ed abbiano causato o anche soltanto concorso nella produzione dell'evento mortale. Nei residui che furono rinvenuti durante la pulizia della Cattedrale non v'era alcuna traccia di mine.
Decisiva a tale riguardo è la testimonianza del dott. Angiolo Lupi “Ho medicato moltissime persone ferite nella Cattedrale il giorno 22 luglio. Posso dire che le ferite erano varie ed avevano l'aspetto di ferite prodotte da scheggia di granata. Ho astratto sia immediatamente, sia successivamente diverse scheggie metalliche di forma irregolarmente poliedrica, cioè dotate di un certo spessore. Spesso le ferite in uno stesso soggetto erano multiple ed in genere penetranti profondamente, non di rado in cavità oppure nelle masse muscolari tanto da determinare fratture ossee comminute ed estese. Per queste caratteristiche ritengo come probabile che le ferite siano state causate da scheggia di granata. Successivamente ho avuto occasione di curare e medicare anche ferite da mina che si presentavano in genere di aspetto differente e cioè si trattava di innumerevoli ferite per lo più superficiali o non molto profonde, salvo la parte del corpo (per lo più arto inferiore) venute direttamente in contatto con la mina, nella quale parte invece si constatava una estesissima distruzione di tessuti se non addirittura l'amputazione traumatica dell'arto (fol. 40-41).
La Cattedrale fu colpita da due granate ed in ciò la prova generica collima con quella specifica. La relazione 18 ottobre 1944 a firma CHARLES R. JACOBS, Ist. Lt. Infantry Training Officer, del Comando alleato dell'VIII Deposito Complementi, giunge alle seguenti conclusioni: “Al momento dell'incidente una granata di calibro non troppo grande è entrata nella Chiesa attraverso una finestra circolare, collocata in alto nel lato Nord. Questa granata, con una traiettoria [06] abbastanza alta, colpì direttamente una colonna entro la Chiesa vicino all'altare. Una scheggia lanciata dalla esplosione ha asportato la balaustra di marmo e la direzione dell'urto è stata tale che tutta la forza dello scoppio si è sprigionata nella piccola zona dove le persone colpite erano, come si racconta, ammassate.
Mentre queste persone erano ancora nella Chiesa una granata americana è entrata nell'ala della Chiesa dalla parte più larga con angolo tra sud ed ovest. Questa granata ha colpito il muro interno dopo essere entrata attraverso una finestra e il punto dell'urto è pienamente distinguibile presso il bassorilievo in marmo. Seguendo una linea neutrale di rimbalzo, è stato notato che la granata non ha fatto scheggie” (fol. 70).
In termini concordanti è la relazione del Ten. Col. CINO CINI, Comandante il 103° Battaglione Genio da Combattimento: “Dalla ricostruzione in sito della traiettoria accerto che la bocca da fuoco che lanciò il proiettile fu un pezzo d'artiglieria tipo mortaio di calibro medio. Il proiettile risulta lanciato dallo stesso, piazzato in direzione Nord-Nord Est rispetto alla città a distanza imprecisata. Penetrato nel “rosone” della cappella della SS. Annunziata, ha percorso l'ultimo tratto della traiettoria in curva molto acuta, caratteristica di quest'arma costruita unicamente per colpire obbiettivi ubicati in zone defilate.
Dall'esame particolare del luogo e del punto d'urto del proiettile ove si manifestarono maggiormente le terribili conseguenze, ed in special modo dalla proiezione scomposta delle scheggie che investirono quel settore di Chiesa, lo scrivente deduce che lo stesso non ha trovato al momento dell'urto una superficie piana, ma bensì curva e di struscio (vedi schizzo) e conclude di conseguenza come la proiezione delle scheggie, unitamente ai frammenti della colonna colpita, non abbiano avute una direzione comune a tutti gli scoppi (come è dimostrato teoricamente) ma deformandosi per l'urto avuto sopra una superficie rotonda (diametro della colonna cm. 80 circa) lanciasse i materiali fratturati in diverse direzioni con prevalenza nel senso indicato dalle frecce rosse segnate nello schizzo; ciò, si comprende, per legge balistica, obbligata dalla origine del lancio. Il sottoscritto esclude nel modo più assoluto che il proiettile [07] sia penetrato nel Tempio attraverso uno dei “rosoni” esistenti sulla facciata della Cattedrale, in quanto all'esame degli stessi, si può facilmente osservare come nessuna traccia di penetrazione presenti la fitta e spessa rete metallica fissata a protezione dei vetri dei rosoni in oggetto.
Circa il proiettile caduto nella Cappella del SS: Sacramento (vedi schizzo) è fuori dubbio che questo risulta penetrato dal “rosone” esistente sopra il muro esposto a Sud-Sud Ovest della Chiesa; quindi accertato di provenienza di artiglieria alleata” (fol. 72).
Le due relazioni, come si vede, concordano sulla provenienza e sulla direzione delle due granate; concordano pure, come si vedrà in seguito, sul valore causale di esse. La Cattedrale, dunque, fu colpita da due granate, una di provenienza nord-nord est rispetto alla città (tedesca), l'altra di provenienza sud-sud ovest (americana).

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RISPOSTA AL QUESITO n. 3

L'eccidio fu causato esclusivamente dalla granata germanica. Si legge nella relazione Jacobs: “Dei testimoni hanno affermato che fu visto uscire dalla Chiesa molto fumo. La testata di una granata americana è stata trovata entro la Chiesa, con i seguenti segni; “Fuse P.D. M43”. Questa testata non è del tipo adoperato per le granate americane che producono scheggie, avendo il fondo di metallo pesante invece della solita composizione di alluminio. Non c'è possibilità di affermare in modo definitivo se sia stata dell'uno o dell'altro tipo, ma io credo che sia certamente stato una granata fumogena o una granata al fosforo bianco. Nessuno di questi due tipi di granate produce scheggie, ma sono adoperate principalmente ai fini di mascheramento.
Deve essere ben inteso che l'esplosione di questi due tipi di granate non può causare che morti in seguito a bruciatura. Riassumendo i risultati delle mie ricerche, io credo che le vittime siano state causate dalla sola granata che entrò nella Chiesa attraverso la finestra del lato nord e che esplose colpendo la “colonna” (fol. 70 e retro).
Il perito T. Col. Cini non soltanto concorda con l'Jacobs sulle cause dell'eccidio, ma chiarisce anche il dubbio di quest'ultimo [08] se la granata americana fosse fumogena o al fosforo:
Però in relazione ai danni minimi arrecati dallo scoppio di questo proiettile (quello alleato), che ha segnato poche e leggere scalfiture nelle pareti e solo danni al bassorilievo nel punto d'urto, lo scrivente conclude che non si tratta di granata, ma di proiettile “fumogeno” di piccolo calibro, lanciato forse per togliere la visibilità ad osservatori tedeschi notati sopra i punti dominanti della città e sopra il campanile della Cattedrale stessa. Ciò è confermato da testimoni che osservarono subito dopo il violento scoppio, una notevole fumata in quel lato del Tempio.
Si esclude quindi che il proiettile sia stato di specie offensiva od incendiaria (al fosforo) anche perché da dichiarazioni raccolte, viene accertato che non fu avvertito dai presenti odore acre, come del resto non risulta che si sviluppassero incendi” (fol. 72 e retro). Il dissidio tra l'Jacobs ed il Cini è sul punto se trattasi di una granata fumogena o al fosforo oppure di proiettile fumogeno e sembra più esatta da una parte la tesi dell'Jacobs, che si fonda su di un elemento obbiettivo, e cioè il rinvenimento entro la Chiesa della testata di una granata americana. D'altra parte sono ineccepibili e fondati sulla prova specifica i rilievi del Cini in base ai quali è escluso che si sia trattato di una granata al fosforo.
Comunque sia, e cioè tanto nel caso che dalla direzione sud-sud ovest sia penetrata, attraverso il rosone, nella Cattedrale una granata fumogena tanto in quello che sia penetrato, invece, un proiettile fumogeno, poiché non risulta che vi siano stati morti o feriti a seguito di ustioni o per asfissia, se ne deduce che le vittime dell'eccidio (morti e feriti) sono dovute tutte alla caduta della granata germanica, lanciata dal mortaio situato sulla riva destra dell'Arno e che penetrata nella Chiesa dal lato nord, andò a colpire la prima colonna di destra e si disperse in mille frammenti.
Può affermarsi, con tranquilla sicurezza, che l'eccidio fu preordinato.
Come è stato già rilevato, la tragedia si verificò verso le ore dieci di sabato 22 luglio 1944. Verso le ore 0,30 un militare tedesco, al quale don Lionello Benvenuti chiese il permesso per un fedele di lasciare la chiesa e recarsi nel vicino alloggio a prendere [09] cibarie, rispose: “Non c'è bisogno di andare, perché tra poco tutto è finito” (fol. 20). La signora Simoncini ha sentito dire da molte persone che alcuni militari tedeschi, i quali sostavano sul prato del Duomo davanti alla Chiesa, prima dell'esplosione, guardavano spesso l'orologio (fol. 27). Dalla signora Morandi Elvezia ved. Catini la mattina del 22 luglio un militare polacco si reca per avvertirla di star lontana dalla Chiesa: “Non stare in Chiesa, oggi pericoloso, dire anche agli altri che c'è pericolo” (fol. 35). Analogo avvertimento fa un certo maresciallo Werner alla signorina Adriana Ceccherelli ed alla sua donna di servizio, con le parole: “La Chiesa non buono”. Alla stessa Ceccherelli, dopo l'eccidio, un militare tedesco, di nazionalità polacca, afferma: “Vigliacchi i tedeschi a mandarvi tutti nelle Chiese, in Chiesa grande vi sono molti morti e feriti” (fol. 45-46). E' stato già notato che, durante il cannoneggiamento, i tedeschi impedivano l'uscita della popolazione dal tempio (fol. 45).
Ove si consideri che la guerra non passò per S. Miniato, che nessun scontro tra partigiani e tedeschi è avvenuto nei pressi di S. Miniato nella notte tra il 21 e il 22 luglio (fol. 28), tale da far temere al Comando tedesco che le truppe potessero essere colpite alle spalle dalla popolazione durante la ritirata, è evidente che la popolazione fu radunata nella Cattedrale con il preordinato scopo di compiere un massacro: doveva essere vendicato il soldato tedesco trovato ucciso a tre metri dal muro di cita del Convento dei Cappuccini, come fu spiegato a P. Quirino quando fu detto che la legge tedesca in tempo di guerra non conosce morale (fol. 9); si voleva punire la popolazione di S. Miniato che si conosceva ostile e che non si poteva deportare per mancanza di mezzi e di uomini sufficienti (fol. 52).

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RISPOSTA AL QUESITO n. 4

Al quesito se ricorrono responsabilità da parte di autorità politiche, amministrative o religiose, va subito risposto che di autorità politiche non ne esistevano in quell'epoca di trapasso tra un regime che era scomparso ed uno che ancora non era sorto e che le autorità amministrative erano del tutto assenti. Il Commissario prefettizio cav. Genesio Ulivelli inviò un suo rappresentante, il sig. Filippo Formichini ad accompagnare Mons. Vescovo [10] a Firenze nella gita del giorno 8 luglio, allo scopo di attenere dal Comando tedesco che la città di S. Miniato fosse stata risparmiata (fol. 21), ma nei giorni che precedettero quello dell'eccidio non v'è traccia di autorità sul posto. Il Cav. Ulivelli assicura che era in S. Miniato (fol. 67) ma nelle lunghe trattative non v'è segno della sua presenza. Il maresciallo dei Carabinieri Conforti dovette nascondersi perché ricercato dal paracadutista Caporali che voleva vendicarsi dell'arresto (fol. 31). Va rilevato, però, che da parte del Comando tedesco v'era la determinazione di deportare tutte le autorità nell'Italia Settentrionale, come fu fatto chiaramente intendere al Presidente del Tribunale di Livorno, comm. Martini (fol. 52) per cui la loro presenza, mentre avrebbe costituito un indubbio pericolo personale, nulla avrebbe giovato alla popolazione di S. Miniato. Lo dimostra il fatto che il Comando tedesco non volle ascoltare la parola di Mons. Vescovo, non prese in considerazione l'offerte di due sacerdoti e di uno studente seminarista di darsi in ostaggio a garanzia della incolumità dei soldati tedeschi (fol 13), non dette alcun seguito al passo compiuto dalla Signorina Donati e dal Presidente del Tribunale di Livorno (fol. 52).
Le autorità religiose, che si sostituirono alla autorità civili mancanti, dettero alla popolazione ogni assistenza spirituale e materiale, comunicando ai cittadini gli ordini che il comando germanico trasmetteva verbalmente. Mons. Vescovo non si trovò presente nella Cattedrale nel momento più doloroso, perché si era recato a celebrare la Messa nella cappella del rifugio, ma era stato fino a poco tempo prima fra i fedeli a pronunciare parole di incoraggiamento, ed incitare alla preghiera e appena possibile, ritornò nella Cattedrale, ove altri sacerdoti impartivano l'assoluzione ai morenti e davano soccorso ai feriti. L'opera che il Clero di S. Miniato svolse in quei tristissimi giorni è superiore ad ogni elogio.
Al quarto quesito credo che si possa rispondere negativamente, escludendo qualsiasi responsabilità, diretta o indiretta, giudiziaria o morale, delle autorità locali, civili e religiose.

Firenze, 13 luglio 1945
dott. Carlo Giannattasio
Giudice del Tribunale di Firenze


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