sabato 9 settembre 2017

L'ARRIVO DELL'AMMINISTRAZIONE IMPERIALE A SAN MINIATO

a cura di Francesco Fiumalbi

Sommario del post:
00_INTRODUZIONE
01_LA TRADIZIONE LEGATA A OTTONE I DI SASSONIA
02_IL SILENZIO DELLE FONTI DIPLOMATICHE
03_PRIMA DEGLI IMPERIALI: I SIGNORI DI SAN MINIATO
04_LA MARCA DI TUSCIA
05_FEDERICO I “BARBAROSSA” E LA TOSCANA
06_IL “MAGNUM PARLAMENTUM” DEL MARCHESE GUELFO VI (1160)
07_L'ARCICANCELLERIERE RAINALDO DI DASSEL (1162)
08_L'ISTITUZIONE DEL “CONTE DI SAN MINIATO” (1163)
09_L'AMMINISTRAZIONE IMPERIALE A SAN MINIATO: UN PROBLEMA STORIOGRAFICO

San Miniato,
Foto di Francesco Fiumalbi

00_INTRODUZIONE
In questo post cercheremo di affrontare uno degli argomenti più affascinanti della storia sanminiatese, ovvero l'arrivo dell'amministrazione imperiale e lo faremo cercando di raccogliere gli ultimi contributi storiografici, debitamente riportati nel testo e in bibliografia. Non me ne vogliano gli specialisti, ma gli argomenti saranno sviluppati cercando di sintetizzare e semplificare alcune questioni, in realtà più complesse e articolate. D'altra parte siamo su un blog che ha fra i suoi obiettivi quello di avvicinare il maggior numero di persone alla conoscenza e alla comprensione della storia sanminiatese.
In altra occasione, invece, parleremo delle trasformazioni, talvolta anche traumatiche, che interessarono il centro urbano di San Miniato. Infatti, l'insediamento dei rappresentanti della Corona determinò una piccola-grande rivoluzione: la costruzione della rocca (intesa come fortificazione apicale), la realizzazione dei fortilizi alle estremità dell'abitato, l'indotto economico generato dalla presenza di un nutrito presidio amministrativo e militare e, dunque, il conseguente sviluppo demografico, economico, culturale e politico. Tutti questi aspetti contribuirono a determinare la forma urbana che conosciamo oggi e portarono il piccolo abitato di San Miniato a diventare uno dei centri più importanti della Toscana, con innumerevoli riverberi nei secoli successivi, praticamente fino ai giorni nostri.

01_LA TRADIZIONE LEGATA A OTTONE I DI SASSONIA
Prima di addentrarci nella storia vera e propria, occorre ricordare che la tradizione storiografica sanminiatese fa risalire l'arrivo dei rappresentanti della Corona alla seconda metà del X secolo, ovvero al tempo dell'Imperatore Ottone I di Sassonia come ben sintetizzato dalle parole di Giuseppe Rondoni nelle sue Memorie storiche di S. Miniato al Tedesco [Tip. Ristori, San Miniato, 1876, p. 9]: «Ottone, procedendo a conquista, prudente come era, sapeva quanto terribili si fossero sempre dimostrati fra i grandi feudatari i marchesi di Toscana, e […] pensò bene di avere un luogo forte nel cuore della Toscana, ove tenere giurisdizione, soldati ed un vicario speciale che ammonisse di continuo che l'imperatore, sebbene lontano, non se ne stava incurante. San Miniato gli parve opportuno, e quelli abitanti ne avranno avuto molta soddisfazione per i vantaggi e la importanza che in tal guisa veniva conferita alla lor terra».
La tradizione legata a Ottone I prese avvio precocemente e sembra essere stata diffusa dalle parole dell'umanista Lorenzo Bonincontri, risalenti al XV secolo e pubblicate nella prima metà del '700 da Giovanni Lami nelle «Deliciae Eruditorum» (1737-1739). Le informazioni furono riprese dagli eruditi del XVIII secolo, come Simone Alessandro Gatti (1700), Filippo Giuseppe Roffia (1721), Alessandro Politi (1751) e Antonio Maria Vannucchi (1758). E poi da tutti coloro che si occuparono di storia sanminiatese fino ai giorni nostri (Vedi APPENDICE).

02_IL SILENZIO DELLE FONTI DIPLOMATICHE
In effetti, la notizia si basa su un dato storico reale come la discesa in Italia di Ottone I nel 961, ma trova eco solamente nelle fonti memorialistiche, per giunta successive di alcuni secoli e debitrici di un unico autore. Al contrario, le fonti diplomatiche tacciono su tale circostanza: il primo documento che informa circa la presenza di un rappresentante imperiale a San Miniato è del 1163. Vista la quantità e la varietà dei materiali archivistici inerenti la storia sanminiatese (addirittura a partire dal VIII secolo!), appare davvero inconsueto che non esistano attestazioni precise e puntuali circa la presenza degli imperiali dal 961, ma solamente a partire dal 1163! Ciò è possibile solamente posticipando di due secoli l'arrivo dei rappresentanti della Corona e riconoscendo come mendace la tradizione legata a Ottone I. Al contrario, le fonti diplomatiche rivelano una storia completamente diversa: il castello di San Miniato era controllato da un determinato nucleo familiare e la Tuscia era collegata al potere regio tramite la figura del marchio.

03_PRIMA DEGLI IMPERIALI: I SIGNORI DI SAN MINIATO
Com'era San Miniato prima dell'insediamento dell'amministrazione imperiale? Chi deteneva il controllo politico e forse anche amministrativo sul castello e sull'abitato? Grazie agli studi di Rosanna Pescaglini Monti (01) e di Paolo Tomei (02) è stata ricostruita l'articolazione genealogica di una famiglia che detenne il controllo sul castello di San Miniato dagli inizi del X secolo fino alla metà del XII, praticamente fino all'arrivo degli imperiali e alla nascita del Comune. Per questo motivo vengono qualificati con l'appellativo di “Signori di San Miniato”. Allo stato attuale degli studi non è chiara l'origine di tale casata, quali legami parentali o rapporti negoziali potesse avere con le famiglie comitali della Toscana e con il potere marchionale. Di certo sappiamo che i “Signori di San Miniato” avevano strette relazioni con i presuli lucchesi e che da essi discenderanno i Mangiadori, la famiglia sanminiatese che cercherà di influenzare la vita cittadina fino alla fine del XIV secolo (03).
La prima attestazione documentaria del castrum Sancti Miniati è dell'anno 904 (04) e al 938 risalgono le prime informazioni circa l’insediamento fortificato e i suoi domini, ovvero i “Signori di San Miniato” (05). Dunque siamo in presenza di un nucleo incastellato precocemente, già all'inizio del X secolo, controllato da un dominus locale che vi esercitava il controllo economico e politico (probabilmente anche di tipo amministrativo e fiscale, ma questo aspetto non è stato ancora ben definito dalla storiografia).
San Miniato, pur sviluppandosi come “castello signorile”, ha fatto storia a sé: si trovava su un limes multiplo (fra Pisa, Firenze, Lucca, Volterra) e i suoi domini appartenevano ad una schiatta intermedia, certamente di secondo livello rispetto alle principali famiglie comitali come i Guidi, i Cadolingi o i Gherardeschi che avevano grandi possedimenti nei territori limitrofi. Inoltre nelle vicinanze transitavano le principali vie di comunicazione della regione, come la strada Pisana, la via Romea e i fiumi Arno ed Elsa. Probabilmente fu proprio questa situazione particolarissima a determinare lo stabilimento a San Miniato di uno dei poli dell'amministrazione imperiale.

04_LA MARCA DI TUSCIA
Prima dei vicari o legati imperiali, la Corona esercitava il proprio potere in Toscana in maniera formalmente simile, ma sostanzialmente diversa, ovvero attraverso la figura del marchio Tusciae, il “marchese di Toscana” (marchese non nell'accezione nobiliare moderna e Toscana non intesa come l'attuale Regione Toscana, ma con limiti e confini non sempre chiari e definiti). Almeno in origine era un dignitario laico investito del titolo di “dux et comes” di Lucca, il quale fu definito “marchio” dalla metà del IX secolo e il cui ruolo derivava dalla più antica organizzazione amministrativa longobarda, inglobata nel Regnum Italiae a partire da Carlo Magno. Il potere marchionale, già nel secolo IX, aveva come base la città di Lucca e si estendeva sui territori delle altre città toscane (06). A livello locale erano presenti officiali minori, come i vicecomes, gastaldi, giudici, missi marchionis, le cui relazioni e competenze rispetto al potere marchionale costituiscono un tema complesso ancora non del tutto chiarito dalla storiografia (07).
I marchiones non erano toscani di origine, come i futuri legati imperiali, anche se a differenza di quest'ultimi svilupperanno delle vere e proprie dinastie, nonostante formalmente venissero nominati direttamente dalla Corona. La prima dinastia è quella cosiddetta dei “Bonifaci” (797-932) (08), a cui seguirà quella degli “Arles” (932-1001) (09) e poi quella dei Canossiani (1027-1115), fra cui spicca la figura della celebre Matilde (che tra l'altro spostò il baricentro regionale da Lucca a Firenze). Alla morte della Comitissa (1115) rimarrà una situazione estremamente complessa e nessun altro marchio riuscirà ad esercitare una reale autorità sull'intera Tuscia.
Dunque, è evidente come la tradizione sanminiatese contrasti con il resto della storiografia toscana. Se Ottone I avesse istituito davvero l'ufficio vicariale a San Miniato, già nell'anno 961, avrebbe creato una figura parallela a quella del marchio, che si sarebbe trovata ad agire in evidente conflitto di poteri e attribuzioni. Diversa potrebbe essere la presenza a San Miniato di un misso marchionis, o comunque di un ufficiale minore, che tuttavia non risulta essere attestato nelle fonti diplomatiche. Tutti da chiarire, infine, gli eventuali rapporti fra i “Signori di San Miniato” e il potere marchionale.

05_FEDERICO I “BARBAROSSA” E LA TOSCANA
La Tuscia nel XII secolo era diventata una zona “caldissima” dell'Impero. Lo sviluppo economico e sociale aveva visto il ruolo trainante delle città, in cui emergevano da una parte le dinastie comitali desiderose di mantenere e rafforzare le antiche prerogative politiche (oltre agli ingenti patrimoni) e dall'altra i nuovi ceti sociali che rivendicavano una dignità e un ruolo. Tutto questo senza dimenticare le nuove forme di organizzazione delle città e dei centri più popolosi, ormai dotati di istituzioni comunali o protocomunali, e la crescente conflittualità generata dalla “concorrenza” fra i vari comitati cittadini, ciascuno con le proprie aspirazioni e prerogative. Una situazione, per certi aspetti, simile a quella che il “Barbarossa” dovette affrontare in Lombardia.
Dunque Federico I Hohenstaufen, una volta salito al trono (1152-1155), fu impegnato a pacificare la situazione interna della Germania, a ripristinare in Italia un’effettiva autorità regia e quindi anche a riorganizzare le modalità con cui esercitare il potere della Corona in Toscana. D'altra parte, con la morte di Matilde di Canossa (1115), il potere marchionale aveva perso autorità e capacità di azione.

06_IL “MAGNUM PARLAMENTUM” DEL MARCHESE GUELFO VI (1160)
Il 20 marzo 1160, giorno della Domenica delle Palme, lo zio del Barbarossa Guelfo VI, nella sua qualità di marchio Tuscie e dux Spoleti, convocò una grande assemblea presso il Borgo di San Genesio. L'episodio fu descritto dal cronista pisano Bernardo Maragone come magnum parlamentum (10). Concorde anche l'anonimo autore dell'Historia Welforum, che definì l'episodio come maximum conventus (11). Secondo Maragone, Guelfo VI chiese di ricevere il giuramento di fedeltà dai rappresentanti delle principali città toscane (Firenze, Pisa, Lucca, Siena, Pistoia), nonché dai membri delle principali famiglie comitali ([Guelfo] quesivit fidelitatem omnibus civitatibus et comitibus, et omnibus illis qui aliquod de Marca detinebant). Sostanzialmente opposta la sintesi del redattore dell'Historia Welforum, secondo il quale Guelfo avrebbe consegnato in feudo i sette comitati ai maggiori aristocratici, come legittimamente spettava loro, e si sarebbe fatto riconsegnare dalle città le prerogative marchionali precedentemente usurpate (Ibi baronibus terrae illius septem comitatus cum tot vexillis dedit, ceteris nichilominus de civitatibus seu castellis ad se confluentibus, unicuique quod suum erat tribuit. Simul et ipse sua, quae singulae civitates ad se iniuste contraxerant, repecit) (12). Guelfo tuttavia non sembra riuscire a pieno nel suo intento poiché risultò essere troppo vicino alle posizioni dei pisani, da sempre fedeli alleati dell'Impero (13). Al di là dei due punti di vista, così diversi, il dato interessante è che almeno fino alla primavera del 1160 l'istituto marchionale era ancora attivo e il potere era esercitato da un familiare prossimo dell'Imperatore che cercava di vitalizzare le prerogative proprie del suo ufficio.

07_L'ARCICANCELLIERE RAINALDO DI DASSEL (1162)
Nel 1162 Federico “Barbarossa” decise un netto cambio di strategia rispetto alla gestione dell'Impero e dunque anche dell'Italia Centrale, riscattando da Guelfo VI, dietro pagamento di una forte somma di denaro, la marca di Toscana e il Ducato di Spoleto. Quindi si rivolse a Rainaldo di Dassel arcivescovo di Colonia, nominandolo arcicancelliere per il Regno d’Italia (1162-1164) con il titolo di legatus. Parallelamente investì Cristiano di Buch arcivescovo di Magonza del titolo di arcicancelliere per il Regno di Germania (14).
Nel luglio del 1162, Rainaldo di Dassel convocò presso San Genesio una grande assemblea, di dimensione regionale. Qui raccolse l'adesione delle città e dei signori della Toscana ed in particolare raggiunse un importante accordo con Lucca e, probabilmente, anche con Firenze (15). Di fatto riuscì laddove aveva fallito Guelfo, ovvero raccordando con maggiore efficacia i potentati locali alla Corona e riconoscendo implicitamente le prerogative cittadine (16). Sicuramente l'esperienza della distruzione di Milano (primavera 1162) aveva contribuito a creare un clima di timore e un approccio remissivo da parte delle città toscane rispetto all'istituzione imperiale.

08_IL "LEGATO" E L'ISTITUZIONE DEL “CONTE DI SAN MINIATO” (1163)
Al Legato, nominato direttamente dall'Imperatore, erano delegate funzioni di tipo politico, amministrativo, giudiziario, fiscale e militare. Non a caso nei documenti si incontra l'appellativo di “legatus”, un termine che deriva dal titolo di legatus Augusti pro praetore riservato al governatore di una provincia nell'antica Roma imperiale. Dunque, anche nel passaggio dal termine marchio a quello di legatus si può osservare una importante differenza programmatica.
I vicari, nominati dal regnate, venivano alternati con una certa frequenza (magari destinati ad incarichi analoghi, ma in altri territori) e dunque non furono messi in condizione di formare vere e proprie dinastie. Avevano tutti un'origine germanica e differenza dei marchiones, che avevano il titolo di “dux et comes” di Lucca con giurisdizione anche sugli altri comitatis cittadini, il legatus non aveva altri titoli e non era collegato ad un territorio in particolare, anche se poteva contare su alcune “basi” territoriali, su tutte quella di San Miniato.
E' in questo contesto, infatti, che fra il 1162 e il 1163, accanto all'Arcivescovo di Colonia Rainaldus in qualità di Italiae Archicancellarius, et Imperatore Majestatis Legatus troviamo la figura del «comitis de Sancto Miniato» nella persona di Eberardo di Amern, il primo Amtsgraf – «conte d'ufficio» di San Miniato, come testimoniato dall'atto del settembre 1163 riguardante la città di Pistoia (17). In questo passaggio solamente Pisa sembra riuscire a mantenere una propria autonomia, forte della tradizionale vicinanza alle posizioni imperiali (18). Altri due Amtsgraf, invece, furono insediati nei territori lucchese e senese (Lucca e San Quirico d'Orcia), ma il castello sanminiatese divenne il centro privilegiato del governo imperiale in Toscana e oltre. Ciò risulta dal documento con cui la città di Gubbio (8 novembre 1163) si impegnava, ogni anno, a rendere alla Corona un fodro pari a 60 lire lucchesi o pisane «apud Sanctum Miniatum aut ubi iusserimus» (19). Merito di Paolo Tomei l'aver identificato con precisione questo passaggio (20) che ha trovato accoglimento anche da Maria Elena Cortese e Mauro Ronzani in occasione della Giornata di Studio Impero e Toscana in Età Sveva (1139-1250) tenutasi a San Miniato il 13 maggio 2016 a cura del Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo. In proposito si veda il video della Giornata.
Oltre agli «Amtsgraf», l'amministrazione si componeva di una rete capillare di altri ufficiali minori. Sono attestati vicecomites a Campiglia (comitato di Massa Marittima), a Chiusdino (fra Volterra e Siena), Serre e Orgia nel senese, Montegrossoli nel fiorentino (21).

09_L'AMMINISTRAZIONE IMPERIALE A SAN MINIATO: UN PROBLEMA STORIOGRAFICO
Uno degli aspetti più innovativi della nuova strategia federiciana, infatti, fu quello di porre il centro amministrativo della Corona al di fuori delle città, in un luogo neutro anche rispetto alle aree di influenza delle famiglie comitali, al riparo da influenze e interessi particolari. D'altra parte il ripristino dell'autorità regia in Toscana passava innanzitutto dalla necessità di stemperare le antiche tensioni fra le realtà cittadine e di evitare che ne insorgessero di nuove. Da qui la scelta di San Miniato, un luogo che per varie ragioni era rimasto fuori dai vari comitati (sebbene vi fosse l'influenza lucchese), ma comunque vicino ai maggiori centri della regione e lungo le principali vie di comunicazione. Inoltre San Miniato aveva un "retroterra" poco sviluppato e strutturato e si trovava in una posizione orografica privilegiata e facilmente difendibile.
La presenza di una dinastia signorile minore, probabilmente, fu un aspetto favorevole. Tuttavia la storiografia, attualmente, non è in grado di chiarire se il castello di San Miniato sia stato “venduto” o “ceduto” alla Corona, oppure se l'Imperatore abbia potuto disporre del castello a seguito di un azione militare o di un accordo politico con le varie città. Purtroppo non sembrano essere sopravvissuti documenti che possano chiarire la questione e le fonti narrative tacciono sull'argomento.

NOTE E RIFERIMENTI
(01) R. Pescaglini Monti, La famiglia dei “Signori di San Miniato” (secoli X-XI), in Id., Toscana medievale. Pievi, signori, castelli, monasteri (secoli X-XIV), a cura di L. Carratori Scolaro e G. Garzella, Pacini Editore, Pisa, 2012, pp. 617-627.
(02) P. Tomei, «Locus est famosus» Borgo San Genesio e il suo territorio (secc. VIII-XII), Tesi di Laurea Università degli Studi di Pisa, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea Specialistica in Storia e civiltà, A.A. 2010-2011, pp. 48-111.
(03) Ivi, p. 164.
(04) Archivio di Stato di Lucca, Diplomatico, S. Ponziano, 1 gennaio 904; ed. D. Barsocchini, Memorie e documenti per servire all’istoria del Ducato di Lucca, Tomo V, parte III, Lucca, 1841, n. MLXXXV, pp. 30-31; cfr. G. Concioni, Le vicende di una Pieve nella cronologia dei suoi pievani. San Genesio di Vico Wallari 715-1466, Accademia Lucchese di Scienze, Arti e Lettere, 2010, pp. 11-13.
(05) Archivio Arcivescovile di Lucca, *F.89; ed. D. Bertini, Memorie e documenti per servire all’istoria del Ducato di Lucca, Tomo IV, parte II, Lucca, 1836 , n. LXIV, p. 87.
(06) A. Puglia, La marca di Tuscia tra X e XI secolo. Impero, società locale e amministrazione marchionale negli anni 970-1027, Pisa, 2003, p. VI.
(07) A. Puglia, Marca, marchio, comitatus, comes: spazio e potere in Tuscia nei secoli IX-XI, in Atti del seminario di studi “Dalla marca di Tuscia alla Toscana comunale” (Pisa, 10-12 giugno 2004), a cura di G. Petralia - M. Ronzani, ETS, Pisa.
(08) Al franco Wicheramo (797-810), seguirà il bavaro Bonifacio I (810-823) e il figlio Bonifacio II (823-833). E poi ancora Manfredo (833-838), Aganone (838-843), Adalberto I (figlio di Bonifacio II, 843-884), il figlio Adalberto II (884-915), il figlio Guido (915-929), Lamberto (secondogenito di Adalberto II, 929-932).
(09) I marchiones di questa dinastia erano imparentati con Ugo di Arles o Ugo di Provenza, Re d'Italia fra il 926 e il 947. Il primo di questi fu Bosone (931-936), seguito da Uberto (937-961) e Ugo “Il Grande” (961-1001).
(10) Bernardi Maragonis, Vetus Chronicon Pisanum, in Delle Istorie Pisane libri XVI, a cura di F. Bonaini, «Archivio Storico Italiano», Serie I, Vol. VI, parte II-A, Firenze, 1845, pp. 21-22; Gli Annales Pisani di Bernardo Maragone, a cura di M. L. Gentile, «Rerum Italicarum Scriptores», Zanichelli, Bologna, 1930, pp. 19-20.
(11) Historia Welforum Weingartensis, a cura di L. Weiland, in «Monumenta Germaniae Historica», Scriptores, Tomo XXI, Hannoverae, 1868, p. 469.
(12) M. Ronzani, La nozione della ‘Tuscia’ nelle fonti dei secoli XI e XII, in Etruria, Tuscia, Toscana. L’identità di una regione attraverso i secoli, a cura di G. Garzella, Vol. 2, secoli V-XIV, Atti della seconda Tavola Rotonda, Pisa 18-19 marzo 1994, Pacini Editore, Pisa, 1998, pp. 56-59, 79-81.
(13) R. Davidsohn, Storia di Firenze, trad. It., Ed. Sansoni, Firenze, 1956-1960, pp. 698-701; cfr. F. Salvestrini, San Genesio. La comunità e la pieve fra VI e XIII secolo, in F. Cantini e F. Salvestrini (a cura di), Vico Wallari - San Genesio. Ricerca storica e indagini archeologiche su una comunità del medio Valdarno Inferiore fra Alto e Pieno Medioevo, Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo di San Miniato, Firenze University Press, Firenze, 2010, pp. 60-61.
(14) P. Tomei, «Locus est famosus» Borgo San Genesio e il suo territorio (secc. VIIIXII), Tesi di Laurea Università degli Studi di Pisa, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea Specialistica in Storia e civiltà, Relatore Prof. Simone Collavini, Anno Accademico 2010-2011, pp. 137-138.
(15) L. Weiland, Constitutiones et Acta Publica Imperatorum et Regnum, Monumenta Germaniae Historica, Legum Sectio IV, Hannover, 1893, Tomo I, n. 214, pp. 302-304; cfr. R. Davidsohn, Storia di Firenze, trad. It., Ed. Sansoni, Firenze, 1956-1960, pp. 711-714.
(16) F. Salvestrini, San Genesio. La comunità e la pieve fra VI e XIII secolo, in F. Cantini e F. Salvestrini (a cura di), Vico Wallari - San Genesio. Ricerca storica e indagini archeologiche su una comunità del medio Valdarno Inferiore fra Alto e Pieno Medioevo, Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo di San Miniato, Firenze University Press, Firenze, 2010, p. 63.
(17) F. A. Zaccaria, Anecdoctorum Medii Aevi maximam partem ex archivis pistoriensibus collectio, Torino, 1755, n. XVII, pp. 234-235.
(18) "Convento cum Pisanis" del 6 aprile 1162, L. Weiland, Constitutiones et Acta Publica Imperatorum et Regnum, Monumenta Germaniae Historica, Legum Sectio IV, Hannover, 1893, Tomo I, n. 205, pp. 282-287; cfr. R. Davidsohn, Storia di Firenze, trad. It., Ed. Sansoni, Firenze, 1956-1960, pp. 705-710.
(19) L. Weiland, Constitutiones et Acta Publica Imperatorum et Regnum, Monumenta Germaniae Historica, Legum Sectio IV, Hannover, 1893, Tomo I, n. 218, pp. 309-310.
(20) P. Tomei, «Locus est famosus» Borgo San Genesio e il suo territorio (secc. VIIIXII), Tesi di Laurea Università degli Studi di Pisa, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea Specialistica in Storia e civiltà, Relatore Prof. Simone Collavini, Anno Accademico 2010-2011, pp. 136-140.
(21) R. Davidsohn, Storia di Firenze, trad. It., Ed. Sansoni, Firenze, 1956-1960, pp. 718-720.

APPENDICE
La primissima dissertazione storica in cui si parla della presenza dei Vicari Imperiali a San Miniato sono le Sincerissime annotazioni dell'antichissima città di San Miniato Alto Desco in Toscana, raccolte l'anno 1700 nel mese di luglio da Simone Alessandro Gatti [ed. a cura di A. Gamucci, in «Bollettino dell'Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato», n. XXXV, 1963, p. 79]: «e il p[rim]o fù il Pio Ottone II, q[ual]e doppo haver quietate le Guerre d'Italia costituì nella Terra di Min[ia]to così d[et]ta nell'antico, e non di S. Min[ia]to come il p[resen]te al governo della med[esim]a e di 36 grossi Castelli, che vivevano subordinati p[er] suo Vic[a]rio Arnulfo e poscia l'Imperat[or]e Enrigo V posevi p[er] suo Vic[a]rio Roberto di cognome Tedesco, dal che alcuni stimano scrivasi al Tedesco [...]». Simone Alessandro Gatti aveva potuto osservare il manoscritto di Lorenzo Bonincontri ed altre memorie sanminiatesi oggi non più rintracciabili.
La stessa informazione viene riportata anche da Filippo Giuseppe Roffia, nel suo Trattato istorico della città di San Miniato databile entro i primi tre decenni del '700 [ed. a cura di A. Gamucci in in «Bollettino dell'Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato», n. XXXVI, 1964, p. 76]: «S'avanza ora maggiormente di pregio la città di S. Miniato, perché se prima ne sortì la benevolenza dei Regi Longobardi, ne conseguì dopo la munificienza degl'imperatori alamanni, dichiarata seggio dei Cesari, tribunale dei loro Vicari, così chiamati nell'antico, quali decidevano qui le cause della Toscana tutta, che per appello erano devolute […]. Inoltre serviva di piazza d'arme, risedendovi i generali dell'Imperatori, e vi facevano la massa delle milizie, per portare la guerra, ove richiedeva la contumacia di ribelli e la sollevazione dei popoli. Ed in prova di ciò Lorenzo Bonincontri matematico, ed istorico, ne suoi Annali manoscritti, l'originale de' quali esiste nella Biblioteca Vaticana, come mi viene asserito, come ancora si ritrova nella libreria del Sig. Cav. Carlo Strozzi, ed altrove, che il primo Giudice supremo fusse Arnulfo di Germania, posto in S. Miniato nel 962 dall'Imperatore Ottone II di questo nome, ma il primo d'Alemagna, il Pio, il Grande […]. E i Samminiatesi distinti con privilegio sì glorioso, per esternare la gratitudine ne fissarono in marmo la memoria espressa nella Cattedrale loro in questi Reverenti sentimenti: “Octoni Primo Henrici Germaniae Regis Augusti et Sanctae Matildis, civili animo, feminae filio, quod Italiae sedatis tumultibusque, bellisque, Miniatensem famigeratam, et nobilem civitatem in primis curiam habuerit ibique Arnulphum, Alemannum judicem appellationum Tusciae praepositum constituit, unde nomen servat Alto Desco ob recepti muneris, gratique animi monumentum perenne senatus populusque miniatensis” restringendosi per brevità il restante». L'epigrafe di cui fa menzione Filippo Giuseppe Roffia fu realizzata nel 1712 ed è tutt'ora esistente, collocata nella controfacciata della Cattedrale, alla destra della porta centrale in posizione elevata. E' segnalata anche da Anna Matteoli nel Corpus delle iscrizioni sanminiatesi in «Bollettino dell'Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato», n. 46, 1976, p. 77.
Giovanni Lami negli Annali proposti a margine della Chronica Imperatorum di Leone da Orvieto, che pubblicò in «Deliciae Eruditorum», riprendendo le parole di Giovanni Villani segnò: «962. Otho magnus in Italiam venit, & a Florentinis, & Lucensibus, honorifice excipitur, inque eorum Urbibus aliquandiu moratur. Villanius» [«Deliciae Eruditorum», Tomo III, parte II, Firenze, 1737, p. 71].
Giovanni Lami fece riferimento alle parole seguenti parole di Giovanni Villani: «Regnando nel papato Giovanni duodecimo figliuolo d’Alberto imperadore […] e guastando la Chiesa per le sue ree opere, fue per parte de’ cardinali rimandato per Otto re d’Alamagna per levare il detto papa di signoria, e fare lui imperadore; [...]. Per la qual cosa, e per le pessime opere di Berlinghieri e d’Alberto, faceano in Lombardia e in Toscana, Otto con tutta sua forza passò ancora in Italia, e abatté al tutto la signoria de’ detti imperadori in Lombardia, come in parte fu detto dinanzi. E poi venne in Toscana, e da’ Lucchesi e da’ Fiorentini fu ricevuto onorevolemente, e soggiornò assai in Lucca, e alquanto in Firenze; poi se n’andò a Roma, e da’ Romani fu ricevuto a grande gloria e triunfo; [...]» [G. Villani, Nuova Cronica, a cura di G. Porta, Fondazione Pietro Brembo/Guanda, Einaudi, Parma, 1991, Libro V, Cap. I, p. 124].
Oltre a questo, Giovanni Lami aggiunse ulteriori dettagli in nota alla Historiae Siculae, Pars prima di Lorenzo Bonincontri in «Deliciae Eruditorum»: «In oppidum (hoc est S. Miniatis) ab Octhone I conditum, in quo Alamannum quemdam Arnulphum instituit adpellarionum Tusciae judicem, ideo etiammnum nomen servat al Todesco, ad quem appellationes deferebantur. Huic Alamanno Stephanus alter successit. Is fuit Cei Bonincontrii filius, a quo gentiles mei origine habuere» [«Deliciae Eruditorum», Tomo VI, parte I, Firenze, 1739, p. 112].
A partire dalle notizie proposte da Giovanni Lami, Alessandro Politi nel suo Panegyricus Senatui Populoque Samminiatensi Consecratur [Pisa, 1751, pp. 11-12] «[…] deinde Otho Primus, Magnus e Germania Imperator, muris atque aedificiis beneficiisque omnibus ita ornaverat, atque auxeret, ejus ut urbis originem aliqui non ignobiles sanè scriptores ad Othonem illum Magnum, Germanici Imperii auctorem, retulerint. […] Quid enim dicam de urbis Miniatensis dignitate? Quum ean naximè urbem ad Imperii Germanici dignitatem in Etruriâ sustinendam Magnum Otho Imperator delegerit: qua in urbe, tanquam in sede ac domicilio Imperii, vicarii sui residerent. Hoc est, ii, qui vice Imperatoris Romani in Etruriâ fungererunt: unde & ipsi jurisdictionem atque jus Caesareum in totam late Etruriam exercerent».
L'erudito Antonio Maria Vannucchi, nel suo Ragionamento storico al nobil giovane Gio. Battista Gucci gentiluomo samminiatese sopra la nobiltà della sua patria e della sua famiglia, [Stamperia Gaetano Albizzini, Firenze 1758, p. 22] riportò: «A tempo di Ottone il Grande, vale a dire prima del mille, sì gran numero avea di abitanti, che per rendernela capace ei l'ampliò, come parlano i vostri Storici, e stimò bene di fortificarla, giudicandola posto opportuno a dominare l'Etruria.»
Francesco Fontani, nel suo Viaggio Pittorico della Toscana, [Tomo IV, Firenze, 1817, Veduta della Città di San Miniato, p. 229] scrisse: «adotteremo il sentimento di Lorenzo Bonincontri, il quale, sì nella storia che egli scrisse della Sicilia, come ne' suoi Annali, attribuisce la fondazione della sua patria ad Ottone I, Imperatore, il quale, secondo il Villani, scese in Italia nel 962, e quivi appunto costituì, come in luogo opportunissimo, il Tribunale degli Appelli, lasciando giudice dei medesimi un Tedesco di nome Arnolfo. Non dee fare specie perciò se in breve tempo questa Terra crebbe e in onore, e in grandezza, poiché risiedendovi i Vicarj Imperiali, e molte e frequenti essendo le cagioni che là vi chiamavano i popoli, facilmente comprendesi la necessità che ci dovette essere di accrescervi le abitazioni, e i comodi pei ricorrenti».
L'erudito sanminiatese Damiano Morali, riprendendo anch'egli i testi di Giovanni Lami, in Un cenno sulle Memorie di Sanminiato [Tip. Canesi, San Miniato, 1834, p. 5] scrisse: «Ottone I nel 960 la cinse di mura, e vi pose il Vicario Imperiale con giurisdizione per tutta Toscana, ed un fatto, che leggesi nell'Ammirato, mostra, che i Fiorentini puranco vi accorrevano per l'appello. Questa dignità vi ebbe sede per qualche secolo».
Emanuele Repetti fu più prudente, e nel suo Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana [Firenze, 1843, Vol. V, v. S. Miniato, p. 80] precisò: «Se dovessimo prestar fede a quanto scris se il sanminiatese Lorenzo Bonincontri nei suoi Annali e nell'Istoria sicula converrebbe attribuire all' Imperatore Ottone I non solo la prima fondazione del Castello di Sanminiato, ma ancora l'istituzione più vetusta e la residenza in questa città di un giudice degli appelli di nazione tedesco, per cui il paese si distinse con l'epiteto di Sanminiato al Tedesco. Ma già si disse che la sua origine rimonta ad un'epoca più vetusta, mentre l'istituzione e sede de' giudici imperiali in Sanminiato è di lunga mano posteriore all'età di Ottone I».
Gaetano Moroni, rifacendosi alle considerazioni di Emanuele Repetti, nel Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai giorni nostri [Venezia, 1847, vol. XLV, pp. 155-167] annota: «La città di S. Miniato, in origine castello, si crede da alcuni fondata dall'imperatore Ottone I, nel secolo X, mentre altri l'attribuiscono all'VIII ed a Desiderio ultimo re dei longobardi. […] Narra il sanminiatese storico Lorenzo Bonincontri, che non solo Ottone I fondò il castello di S. Miniato, ma istituì in esso la residenza d'un giudice degli appelli di nazione tedesca, per cui il paese si distinse con l'epiteto di S. Miniato al Tedesco. Tuttavolta l'origine del castello rimonta come si disse ad epoca più vetusta, e l'istituzione e sede de' giudici imperiali in esso ebbe luogo assai più tardi».
Il Proposto Giuseppe Conti nella Storia della Venerabile immagine e dell'oratorio del SS. Crocifisso detto di Castelvecchio nella Città di San Miniato [Tip. M. Cellini, Firenze, 1863, p. 83], riprendendo i testi pubblicati dal Lami, specificò: «962. Ottobre I aggiunto il regno d'Italia all'Alemagna fonda in Sanminiato una nuova fortezza, e vi stabilisce il Vicario imperiale. Arnulfo Alemanno primo Vicario»
Ancora, Giuseppe Rondoni nelle sue Memorie storiche di S. Miniato al Tedesco [Tip. Ristori, San Miniato, 1876, p. 9]: «Ottone, procedendo a conquista, prudente come era, sapeva quanto terribili si fossero sempre dimostrati fra i grandi feudatari i marchesi di Toscana, e […] pensò bene di avere un luogo forte nel cuore della Toscana, ove tenere giurisdizione, soldati ed un vicario speciale che ammonisse di continuo che l'imperatore, sebbene lontano, non se ne stava incurante. San Miniato gli parve opportuno, e quelli abitanti ne avranno avuto molta soddisfazione per i vantaggi e la importanza che in tal guisa veniva conferita alla lor terra».
Alla fine del XIX secolo, anche Giuseppe Piombanti nella sua Guida della Città di San Miniato al Tedesco [Tip. Ristori, San Miniato, 1892, p. 15]: «sembra ad altri più probabile che l'imperatore Ottone I, venuto in Italia, si fermasse poi su questo colle, di non facile accesso, d'aria eccellente, di posizione opportuna, e di mura ne cingesse le abitazioni, molto utile stimando possedere nel bel mezzo della Toscana un luogo fortificato, a sede di un so rappresentante, che del continuo alta ne tenesse l'autorità, e gl'interessi ne difendesse. Posevi egli in fatti nel 962 un tale Arnolfo, capo delle milizie, giudice ed esattore imperiale, con giurisdizione in Toscana, lasciando a S. Miniato una certa libertà per affezionarsene gli abitanti; onde il luogo fu detto Al tedesco, cioè castello del vicario o del giudice tedesco».
Anche Guido Carocci, ne “Il Valdarno. Da Firenze al mare”, [Istituto Italiano d'Arti Grafiche di Bergamo, 1906, p. 85] riportò: «Certo è che fin dal secolo IX, dopo una non breve permanenza fattavi da Ottone I Imperatore, San Miniato, che dal titolare d'un'antica chiesetta ebbe nome, divenne la residenza d'un rappresentante o Vicario degl'Imperatori di Germania che in Toscana ne tutelava l'autorità e gl'interessi».

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