a cura di
Francesco Fiumalbi
Sommario
del post:
00_INTRODUZIONE
01_LA TRADIZIONE LEGATA
A OTTONE I DI SASSONIA
02_IL
SILENZIO DELLE FONTI DIPLOMATICHE
03_PRIMA
DEGLI IMPERIALI: I SIGNORI DI SAN MINIATO
04_LA
MARCA DI TUSCIA
05_FEDERICO
I “BARBAROSSA” E LA TOSCANA
06_IL
“MAGNUM PARLAMENTUM” DEL MARCHESE GUELFO VI (1160)
07_L'ARCICANCELLERIERE
RAINALDO DI DASSEL (1162)
08_L'ISTITUZIONE
DEL “CONTE DI SAN MINIATO” (1163)
09_L'AMMINISTRAZIONE
IMPERIALE A SAN MINIATO: UN PROBLEMA STORIOGRAFICO
San Miniato,
Foto di Francesco
Fiumalbi
00_INTRODUZIONE
In questo post
cercheremo di affrontare uno degli argomenti più affascinanti della storia sanminiatese, ovvero l'arrivo
dell'amministrazione imperiale e lo faremo cercando di raccogliere gli ultimi contributi storiografici, debitamente riportati nel testo e in bibliografia. Non me ne vogliano gli
specialisti, ma gli argomenti saranno sviluppati cercando di
sintetizzare e semplificare alcune questioni, in realtà più
complesse e articolate. D'altra parte siamo su un blog che ha fra i
suoi obiettivi quello di avvicinare il maggior numero di persone
alla conoscenza e alla comprensione della storia sanminiatese.
In altra occasione, invece, parleremo delle trasformazioni, talvolta anche traumatiche, che interessarono il centro urbano di San Miniato. Infatti, l'insediamento dei rappresentanti della Corona determinò una piccola-grande rivoluzione: la costruzione della rocca (intesa come fortificazione apicale), la realizzazione dei fortilizi alle estremità dell'abitato, l'indotto economico generato dalla presenza di un nutrito presidio amministrativo e militare e, dunque, il conseguente sviluppo demografico, economico, culturale e politico. Tutti questi aspetti contribuirono a determinare la forma urbana che conosciamo oggi e portarono il piccolo abitato di San Miniato a diventare uno dei centri più importanti della Toscana, con innumerevoli riverberi nei secoli successivi, praticamente fino ai giorni nostri.
In altra occasione, invece, parleremo delle trasformazioni, talvolta anche traumatiche, che interessarono il centro urbano di San Miniato. Infatti, l'insediamento dei rappresentanti della Corona determinò una piccola-grande rivoluzione: la costruzione della rocca (intesa come fortificazione apicale), la realizzazione dei fortilizi alle estremità dell'abitato, l'indotto economico generato dalla presenza di un nutrito presidio amministrativo e militare e, dunque, il conseguente sviluppo demografico, economico, culturale e politico. Tutti questi aspetti contribuirono a determinare la forma urbana che conosciamo oggi e portarono il piccolo abitato di San Miniato a diventare uno dei centri più importanti della Toscana, con innumerevoli riverberi nei secoli successivi, praticamente fino ai giorni nostri.
01_LA TRADIZIONE
LEGATA A OTTONE I DI SASSONIA
Prima
di addentrarci nella storia vera e propria, occorre ricordare che la
tradizione storiografica sanminiatese fa risalire l'arrivo dei
rappresentanti della Corona alla seconda metà del X secolo, ovvero
al tempo dell'Imperatore Ottone
I di Sassonia
come ben sintetizzato dalle parole di Giuseppe Rondoni nelle sue
Memorie
storiche di S. Miniato al Tedesco [Tip.
Ristori, San Miniato, 1876, p. 9]: «Ottone,
procedendo a conquista, prudente come era, sapeva quanto terribili si
fossero sempre dimostrati fra i grandi feudatari i marchesi di
Toscana, e
[…] pensò
bene di avere un luogo forte nel cuore della Toscana, ove tenere
giurisdizione, soldati ed un vicario speciale che ammonisse di
continuo che l'imperatore, sebbene lontano, non se ne stava
incurante. San Miniato gli parve opportuno, e quelli abitanti ne
avranno avuto molta soddisfazione per i vantaggi e la importanza che
in tal guisa veniva conferita alla lor terra».
La
tradizione legata a Ottone I prese avvio precocemente e sembra essere
stata diffusa dalle parole dell'umanista Lorenzo
Bonincontri,
risalenti al XV secolo e pubblicate nella prima metà del '700 da
Giovanni Lami nelle «Deliciae Eruditorum» (1737-1739). Le
informazioni furono riprese dagli eruditi del XVIII secolo, come
Simone Alessandro Gatti (1700), Filippo Giuseppe Roffia (1721),
Alessandro Politi (1751) e Antonio Maria Vannucchi (1758). E poi da
tutti coloro che si occuparono di storia sanminiatese fino ai giorni
nostri (Vedi
APPENDICE).
02_IL
SILENZIO DELLE FONTI DIPLOMATICHE
In
effetti, la notizia si basa su un dato storico reale come la discesa
in Italia di Ottone I nel 961, ma trova eco solamente nelle fonti
memorialistiche, per giunta successive di alcuni secoli e debitrici
di un unico autore. Al contrario, le fonti diplomatiche tacciono su
tale circostanza: il primo documento che informa circa la presenza di
un rappresentante imperiale a San Miniato è del 1163. Vista la
quantità e la varietà dei materiali archivistici inerenti la storia
sanminiatese (addirittura a partire dal VIII secolo!), appare davvero
inconsueto che non esistano attestazioni precise e puntuali circa la
presenza degli imperiali dal 961, ma solamente a partire dal 1163! Ciò
è possibile solamente posticipando di due secoli l'arrivo dei
rappresentanti della Corona e riconoscendo come mendace la tradizione
legata a Ottone I. Al contrario, le fonti diplomatiche rivelano una
storia completamente diversa: il castello di San Miniato era
controllato da un determinato nucleo familiare e la Tuscia
era collegata al potere regio tramite la figura del marchio.
03_PRIMA DEGLI
IMPERIALI: I SIGNORI DI SAN MINIATO
Com'era
San Miniato prima dell'insediamento dell'amministrazione imperiale?
Chi
deteneva il controllo politico e forse anche amministrativo sul
castello e sull'abitato? Grazie agli studi di Rosanna Pescaglini
Monti (01)
e
di Paolo Tomei (02)
è
stata ricostruita l'articolazione genealogica di una famiglia che
detenne il controllo sul castello di San Miniato dagli inizi del X
secolo fino alla metà del XII, praticamente fino all'arrivo degli imperiali e alla nascita del Comune. Per questo motivo vengono
qualificati con l'appellativo di “Signori di San Miniato”. Allo
stato attuale degli studi non è chiara l'origine di tale casata,
quali legami parentali o rapporti negoziali potesse avere con le
famiglie comitali della Toscana e con il potere marchionale. Di certo
sappiamo che i “Signori di San Miniato” avevano strette relazioni con i presuli lucchesi e che da essi discenderanno i
Mangiadori, la famiglia sanminiatese che cercherà di influenzare la
vita cittadina fino alla fine del XIV secolo (03).
La
prima attestazione documentaria del castrum
Sancti Miniati è
dell'anno 904 (04)
e
al 938
risalgono le prime informazioni circa l’insediamento fortificato e
i suoi domini,
ovvero i “Signori di San Miniato” (05).
Dunque siamo in presenza di un nucleo incastellato precocemente, già
all'inizio del X secolo, controllato da un dominus
locale che vi esercitava il controllo
economico e politico (probabilmente anche di tipo amministrativo e
fiscale, ma questo aspetto non è stato ancora ben definito dalla
storiografia).
San
Miniato, pur sviluppandosi come “castello signorile”, ha fatto
storia a sé: si trovava su un limes
multiplo
(fra Pisa, Firenze, Lucca, Volterra) e i suoi domini
appartenevano ad una schiatta intermedia, certamente di secondo
livello rispetto alle principali famiglie comitali come i Guidi, i
Cadolingi o i Gherardeschi che avevano grandi possedimenti nei
territori limitrofi. Inoltre nelle vicinanze transitavano le
principali vie di comunicazione della regione, come la strada Pisana,
la via Romea
e i fiumi Arno ed Elsa. Probabilmente fu proprio questa situazione
particolarissima a determinare lo stabilimento a San Miniato di uno dei poli dell'amministrazione imperiale.
04_LA
MARCA DI TUSCIA
Prima
dei vicari o legati imperiali, la Corona esercitava il proprio potere
in Toscana in maniera formalmente simile, ma sostanzialmente diversa,
ovvero attraverso la figura del marchio
Tusciae,
il “marchese di Toscana” (marchese non nell'accezione nobiliare
moderna e Toscana non intesa come l'attuale Regione Toscana, ma con
limiti e confini non sempre chiari e definiti). Almeno in origine
era un dignitario laico investito del titolo di “dux
et comes”
di Lucca, il quale fu definito “marchio”
dalla metà del IX secolo e il cui ruolo derivava dalla più antica
organizzazione amministrativa longobarda, inglobata nel Regnum
Italiae a
partire da Carlo Magno.
Il potere marchionale, già nel secolo IX, aveva come base la città
di Lucca e si estendeva sui territori delle altre città toscane
(06).
A livello locale erano presenti officiali minori, come i vicecomes,
gastaldi, giudici, missi
marchionis,
le cui relazioni e competenze rispetto al potere marchionale
costituiscono un tema complesso ancora non del tutto chiarito dalla
storiografia (07).
I
marchiones
non erano
toscani
di origine, come i futuri legati imperiali, anche se a differenza di
quest'ultimi svilupperanno delle vere e proprie dinastie, nonostante
formalmente venissero nominati direttamente dalla Corona. La prima
dinastia è quella cosiddetta dei “Bonifaci” (797-932) (08),
a cui seguirà quella degli “Arles” (932-1001) (09)
e
poi quella dei Canossiani (1027-1115), fra cui spicca la figura della
celebre Matilde
(che tra l'altro spostò il baricentro regionale da Lucca a Firenze).
Alla morte della Comitissa (1115) rimarrà una situazione estremamente complessa e nessun altro marchio
riuscirà ad esercitare una reale autorità sull'intera Tuscia.
Dunque,
è evidente come la tradizione sanminiatese contrasti con il
resto della storiografia toscana. Se Ottone I avesse istituito
davvero l'ufficio vicariale a San Miniato, già nell'anno 961,
avrebbe creato una figura parallela a quella del marchio,
che si sarebbe trovata ad agire in evidente conflitto di poteri e
attribuzioni. Diversa
potrebbe essere la presenza a San Miniato di un misso
marchionis,
o comunque di un ufficiale minore, che tuttavia non risulta essere
attestato nelle fonti diplomatiche. Tutti da chiarire, infine, gli
eventuali rapporti fra i “Signori di San Miniato” e il potere
marchionale.
05_FEDERICO
I “BARBAROSSA” E LA TOSCANA
La
Tuscia
nel XII secolo era diventata una zona “caldissima” dell'Impero.
Lo sviluppo economico e sociale aveva visto il ruolo trainante delle
città, in cui emergevano da una parte le dinastie comitali
desiderose di mantenere e rafforzare le antiche prerogative politiche
(oltre agli ingenti patrimoni) e dall'altra i nuovi ceti sociali che
rivendicavano una dignità e un ruolo. Tutto questo senza dimenticare
le nuove forme di organizzazione delle città e dei centri più
popolosi, ormai dotati di istituzioni comunali o protocomunali, e la
crescente conflittualità generata dalla “concorrenza” fra i vari
comitati cittadini, ciascuno con le proprie aspirazioni e
prerogative. Una situazione, per certi aspetti, simile a quella che
il “Barbarossa” dovette affrontare in Lombardia.
Dunque
Federico
I Hohenstaufen,
una volta salito al trono (1152-1155), fu impegnato
a pacificare la situazione interna della Germania, a ripristinare in
Italia un’effettiva autorità regia e quindi anche a
riorganizzare le modalità con cui esercitare il potere della Corona
in Toscana. D'altra parte, con la morte di Matilde di Canossa (1115),
il potere marchionale aveva perso autorità e capacità di azione.
06_IL
“MAGNUM PARLAMENTUM” DEL MARCHESE GUELFO VI (1160)
Il
20 marzo 1160, giorno della Domenica delle Palme, lo zio del
Barbarossa Guelfo VI, nella sua qualità di marchio
Tuscie
e dux
Spoleti,
convocò una grande assemblea presso il Borgo di San Genesio.
L'episodio fu descritto dal cronista pisano Bernardo
Maragone
come magnum
parlamentum (10).
Concorde anche l'anonimo autore dell'Historia
Welforum,
che definì l'episodio come maximum
conventus
(11).
Secondo Maragone, Guelfo VI chiese di ricevere il giuramento di
fedeltà dai rappresentanti delle principali città toscane (Firenze,
Pisa, Lucca, Siena, Pistoia), nonché dai membri delle principali
famiglie comitali ([Guelfo] quesivit
fidelitatem omnibus civitatibus et comitibus, et omnibus illis qui
aliquod de Marca detinebant).
Sostanzialmente opposta la sintesi del redattore dell'Historia
Welforum,
secondo il quale Guelfo avrebbe consegnato in feudo i sette comitati
ai maggiori aristocratici, come legittimamente spettava loro, e si
sarebbe fatto riconsegnare dalle città le prerogative marchionali
precedentemente usurpate (Ibi
baronibus terrae illius septem comitatus cum tot vexillis dedit,
ceteris nichilominus de civitatibus seu castellis ad se
confluentibus, unicuique quod suum
erat tribuit. Simul et ipse sua, quae singulae civitates ad se
iniuste contraxerant, repecit)
(12).
Guelfo tuttavia non sembra riuscire a pieno nel suo intento poiché
risultò essere troppo vicino alle posizioni dei pisani, da sempre
fedeli alleati dell'Impero (13).
Al di là dei due punti di vista, così diversi, il dato interessante
è che almeno fino alla primavera del 1160 l'istituto marchionale era
ancora attivo e il potere era esercitato da un familiare prossimo
dell'Imperatore che cercava di vitalizzare le prerogative proprie del
suo ufficio.
07_L'ARCICANCELLIERE
RAINALDO DI DASSEL (1162)
Nel
1162 Federico “Barbarossa” decise un netto cambio di strategia
rispetto alla gestione dell'Impero e dunque anche dell'Italia
Centrale, riscattando
da Guelfo VI, dietro pagamento di una forte somma di denaro, la marca
di Toscana e il Ducato di Spoleto. Quindi si rivolse a Rainaldo
di Dassel
arcivescovo di Colonia, nominandolo arcicancelliere per il Regno
d’Italia (1162-1164) con il titolo di legatus.
Parallelamente investì Cristiano
di Buch
arcivescovo di Magonza del titolo di arcicancelliere per il Regno di
Germania (14).
Nel
luglio del 1162, Rainaldo di Dassel convocò presso San Genesio una
grande assemblea, di dimensione regionale. Qui raccolse l'adesione
delle città e dei signori della Toscana ed in particolare raggiunse
un importante accordo con Lucca e, probabilmente, anche con Firenze
(15).
Di fatto riuscì laddove aveva fallito Guelfo, ovvero raccordando con
maggiore efficacia i potentati locali alla Corona e riconoscendo
implicitamente le prerogative cittadine (16).
Sicuramente l'esperienza della distruzione di Milano (primavera 1162)
aveva contribuito a creare un clima di timore e un approccio
remissivo da parte delle città toscane rispetto all'istituzione
imperiale.
08_IL
"LEGATO" E L'ISTITUZIONE DEL “CONTE DI SAN MINIATO”
(1163)
Al
Legato,
nominato direttamente dall'Imperatore, erano delegate funzioni di
tipo politico, amministrativo, giudiziario, fiscale e militare. Non a
caso nei documenti si incontra l'appellativo di “legatus”,
un termine che deriva dal titolo di legatus
Augusti pro praetore
riservato al governatore di una provincia nell'antica Roma imperiale.
Dunque, anche nel passaggio dal termine marchio
a quello di legatus
si può osservare una importante differenza programmatica.
I
vicari, nominati dal regnate, venivano alternati con una certa
frequenza (magari destinati ad incarichi analoghi, ma in altri
territori) e dunque non furono messi in condizione di formare vere e
proprie dinastie. Avevano tutti un'origine germanica e differenza dei
marchiones,
che
avevano il titolo di “dux
et comes”
di Lucca con giurisdizione anche sugli altri comitatis
cittadini, il legatus
non aveva altri titoli e non era collegato ad un territorio in
particolare, anche se poteva contare su alcune “basi” territoriali, su tutte quella di
San Miniato.
E'
in questo contesto, infatti, che fra il 1162 e il 1163, accanto
all'Arcivescovo di Colonia Rainaldus
in
qualità di
Italiae Archicancellarius, et Imperatore Majestatis Legatus
troviamo la figura del «comitis
de Sancto Miniato»
nella persona di Eberardo di Amern, il primo Amtsgraf
– «conte
d'ufficio» –
di
San Miniato, come testimoniato dall'atto del settembre 1163
riguardante la città di Pistoia (17).
In questo passaggio solamente Pisa sembra riuscire a mantenere una
propria autonomia, forte della tradizionale vicinanza alle posizioni
imperiali (18).
Altri
due Amtsgraf,
invece, furono insediati nei territori lucchese e senese (Lucca e San
Quirico d'Orcia), ma il castello sanminiatese divenne il centro
privilegiato del governo imperiale in Toscana e oltre. Ciò risulta
dal documento con cui la città di Gubbio (8 novembre 1163) si
impegnava, ogni anno, a rendere alla Corona un fodro pari a 60 lire
lucchesi o pisane «apud
Sanctum Miniatum aut ubi iusserimus»
(19).
Merito di Paolo Tomei l'aver identificato con precisione questo
passaggio (20)
che
ha trovato accoglimento anche da Maria Elena Cortese e Mauro Ronzani
in occasione della Giornata di Studio Impero
e Toscana in Età Sveva (1139-1250)
tenutasi a San Miniato il 13 maggio 2016 a cura del Centro Studi
sulla Civiltà del Tardo Medioevo. In
proposito si veda il video della Giornata.
Oltre
agli «Amtsgraf»,
l'amministrazione si componeva di una rete capillare di altri
ufficiali minori. Sono attestati vicecomites
a Campiglia (comitato di Massa Marittima), a Chiusdino (fra Volterra
e Siena), Serre e Orgia nel senese, Montegrossoli nel fiorentino
(21).
09_L'AMMINISTRAZIONE
IMPERIALE A SAN MINIATO: UN PROBLEMA STORIOGRAFICO
Uno
degli aspetti più innovativi della nuova strategia federiciana,
infatti, fu quello di porre il centro amministrativo della Corona al
di fuori delle città, in un luogo neutro anche rispetto alle aree di
influenza delle famiglie comitali, al riparo da influenze e interessi
particolari. D'altra parte il ripristino dell'autorità regia in
Toscana passava innanzitutto dalla necessità di stemperare le
antiche tensioni fra le realtà cittadine e di evitare che ne
insorgessero di nuove. Da qui la scelta di San Miniato, un luogo che
per varie ragioni era rimasto fuori dai vari comitati (sebbene vi
fosse l'influenza lucchese), ma comunque vicino ai maggiori centri
della regione e lungo le principali vie di comunicazione. Inoltre San
Miniato aveva un "retroterra" poco sviluppato e strutturato
e si trovava in una posizione orografica privilegiata e facilmente
difendibile.
La
presenza di una dinastia signorile minore, probabilmente, fu un
aspetto favorevole. Tuttavia la storiografia, attualmente, non è in
grado di chiarire se il castello di San Miniato sia stato “venduto”
o “ceduto” alla Corona, oppure se l'Imperatore abbia potuto
disporre del castello a seguito di un azione militare o di un accordo
politico con le varie città. Purtroppo non sembrano essere
sopravvissuti documenti che possano chiarire la questione e le fonti
narrative tacciono sull'argomento.
NOTE E RIFERIMENTI
(01)
R.
Pescaglini Monti, La
famiglia dei “Signori di San Miniato” (secoli X-XI),
in Id., Toscana
medievale. Pievi, signori, castelli, monasteri (secoli X-XIV),
a cura di L. Carratori Scolaro e G. Garzella, Pacini Editore, Pisa,
2012, pp. 617-627.
(02)
P. Tomei, «Locus
est famosus» Borgo San Genesio e il suo territorio (secc. VIII-XII),
Tesi di Laurea Università degli Studi di Pisa, Facoltà di Lettere e
Filosofia, Corso di Laurea Specialistica in Storia e civiltà, A.A.
2010-2011, pp. 48-111.
(03)
Ivi,
p. 164.
(04)
Archivio
di Stato di Lucca, Diplomatico,
S.
Ponziano,
1 gennaio 904; ed. D. Barsocchini, Memorie
e documenti per servire all’istoria del Ducato di Lucca,
Tomo V, parte III, Lucca, 1841, n. MLXXXV, pp. 30-31; cfr. G.
Concioni, Le
vicende di una Pieve nella cronologia dei suoi pievani. San Genesio
di Vico Wallari 715-1466,
Accademia Lucchese di Scienze, Arti e Lettere, 2010, pp. 11-13.
(05)
Archivio
Arcivescovile di Lucca, *F.89; ed. D. Bertini, Memorie
e documenti per servire all’istoria del Ducato di Lucca,
Tomo IV, parte II, Lucca, 1836 ,
n. LXIV, p. 87.
(06)
A.
Puglia, La
marca di Tuscia tra X e XI secolo. Impero, società locale e
amministrazione marchionale negli anni 970-1027,
Pisa, 2003, p. VI.
(07)
A.
Puglia, Marca,
marchio,
comitatus,
comes:
spazio e potere in Tuscia nei secoli IX-XI,
in
Atti
del seminario di studi “Dalla marca di Tuscia alla Toscana
comunale” (Pisa, 10-12 giugno 2004),
a cura di G. Petralia - M. Ronzani, ETS, Pisa.
(08)
Al
franco Wicheramo
(797-810),
seguirà il bavaro Bonifacio
I (810-823)
e il figlio Bonifacio
II (823-833).
E poi ancora Manfredo (833-838), Aganone (838-843), Adalberto
I (figlio di Bonifacio II, 843-884),
il figlio Adalberto
II (884-915),
il figlio Guido
(915-929),
Lamberto
(secondogenito di Adalberto II, 929-932).
(09)
I
marchiones
di questa dinastia erano imparentati con Ugo
di Arles o Ugo di Provenza, Re d'Italia fra il 926 e il 947.
Il primo di questi fu Bosone
(931-936),
seguito da Uberto
(937-961)
e Ugo
“Il Grande” (961-1001).
(10)
Bernardi
Maragonis, Vetus
Chronicon Pisanum,
in Delle
Istorie Pisane libri XVI,
a cura di F. Bonaini, «Archivio Storico Italiano», Serie I, Vol.
VI, parte II-A, Firenze, 1845, pp. 21-22; Gli
Annales Pisani di Bernardo Maragone,
a cura di M. L. Gentile, «Rerum Italicarum Scriptores», Zanichelli,
Bologna, 1930, pp. 19-20.
(11)
Historia
Welforum Weingartensis,
a cura di L. Weiland, in «Monumenta
Germaniae Historica», Scriptores,
Tomo XXI, Hannoverae, 1868, p. 469.
(12)
M.
Ronzani, La
nozione della ‘Tuscia’ nelle fonti dei secoli XI e XII,
in
Etruria,
Tuscia, Toscana. L’identità di una regione attraverso i secoli,
a cura di G. Garzella, Vol. 2, secoli V-XIV, Atti della seconda
Tavola Rotonda, Pisa 18-19 marzo 1994, Pacini Editore, Pisa, 1998,
pp. 56-59, 79-81.
(13)
R.
Davidsohn, Storia
di Firenze,
trad. It., Ed. Sansoni, Firenze, 1956-1960, pp. 698-701; cfr.
F.
Salvestrini, San
Genesio. La comunità e la pieve fra VI e XIII secolo,
in F. Cantini e F. Salvestrini (a cura di), Vico
Wallari - San Genesio. Ricerca storica e indagini archeologiche su
una comunità del medio Valdarno Inferiore fra Alto e Pieno Medioevo,
Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo di San Miniato,
Firenze University Press, Firenze, 2010, pp. 60-61.
(14)
P.
Tomei, «Locus
est famosus» Borgo San Genesio e il suo territorio (secc. VIIIXII),
Tesi di Laurea Università degli Studi di Pisa, Facoltà di Lettere e
Filosofia, Corso di Laurea Specialistica in Storia e civiltà,
Relatore Prof. Simone Collavini, Anno Accademico 2010-2011, pp.
137-138.
(15)
L.
Weiland, Constitutiones
et Acta Publica Imperatorum et Regnum,
Monumenta Germaniae Historica, Legum Sectio IV, Hannover, 1893, Tomo
I, n. 214, pp. 302-304; cfr. R. Davidsohn, Storia
di Firenze,
trad. It., Ed. Sansoni, Firenze, 1956-1960, pp. 711-714.
(16)
F.
Salvestrini, San
Genesio. La comunità e la pieve fra VI e XIII secolo,
in F. Cantini e F. Salvestrini (a cura di), Vico
Wallari - San Genesio. Ricerca storica e indagini archeologiche su
una comunità del medio Valdarno Inferiore fra Alto e Pieno Medioevo,
Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo di San Miniato,
Firenze University Press, Firenze, 2010, p. 63.
(17)
F.
A. Zaccaria, Anecdoctorum
Medii Aevi maximam partem ex archivis pistoriensibus collectio,
Torino, 1755, n. XVII, pp. 234-235.
(18)
"Convento
cum Pisanis" del 6 aprile 1162, L. Weiland, Constitutiones
et Acta Publica Imperatorum et Regnum,
Monumenta Germaniae Historica, Legum Sectio IV, Hannover, 1893, Tomo
I, n. 205, pp. 282-287; cfr. R.
Davidsohn, Storia
di Firenze,
trad. It., Ed. Sansoni, Firenze, 1956-1960, pp. 705-710.
(19)
L.
Weiland, Constitutiones
et Acta Publica Imperatorum et Regnum,
Monumenta Germaniae Historica, Legum Sectio IV, Hannover, 1893, Tomo
I, n. 218, pp. 309-310.
(20)
P.
Tomei, «Locus
est famosus» Borgo San Genesio e il suo territorio (secc. VIIIXII),
Tesi di Laurea Università degli Studi di Pisa, Facoltà di Lettere e
Filosofia, Corso di Laurea Specialistica in Storia e civiltà,
Relatore Prof. Simone Collavini, Anno Accademico 2010-2011, pp.
136-140.
(21)
R. Davidsohn, Storia
di Firenze,
trad. It., Ed. Sansoni, Firenze, 1956-1960, pp. 718-720.
APPENDICE
La
primissima dissertazione storica in cui si parla della presenza dei
Vicari Imperiali a San Miniato sono le Sincerissime
annotazioni dell'antichissima città di San Miniato Alto Desco in
Toscana, raccolte l'anno 1700 nel mese di luglio da
Simone
Alessandro Gatti [ed.
a cura di A. Gamucci, in «Bollettino
dell'Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato», n. XXXV,
1963, p. 79]: «e
il p[rim]o fù il Pio Ottone II, q[ual]e doppo haver quietate le
Guerre d'Italia costituì nella Terra di Min[ia]to così d[et]ta
nell'antico, e non di S. Min[ia]to come il p[resen]te al governo
della med[esim]a e di 36 grossi Castelli, che vivevano subordinati
p[er] suo Vic[a]rio Arnulfo e poscia l'Imperat[or]e Enrigo V posevi
p[er] suo Vic[a]rio Roberto di cognome Tedesco, dal che alcuni
stimano scrivasi al Tedesco [...]».
Simone Alessandro Gatti aveva potuto osservare il manoscritto di
Lorenzo Bonincontri ed altre memorie sanminiatesi oggi non più
rintracciabili.
La
stessa informazione viene riportata anche da Filippo
Giuseppe Roffia,
nel suo Trattato
istorico della città di San Miniato databile
entro i primi tre decenni del '700 [ed. a cura di A. Gamucci in in
«Bollettino dell'Accademia degli Euteleti della Città di San
Miniato», n. XXXVI, 1964, p. 76]: «S'avanza
ora maggiormente di pregio la città di S. Miniato, perché se prima
ne sortì la benevolenza dei Regi Longobardi, ne conseguì dopo la
munificienza degl'imperatori alamanni, dichiarata seggio dei Cesari,
tribunale dei loro Vicari, così chiamati nell'antico, quali
decidevano qui le cause della Toscana tutta, che per appello erano
devolute […].
Inoltre
serviva di piazza d'arme, risedendovi i generali dell'Imperatori, e
vi facevano la massa delle milizie, per portare la guerra, ove
richiedeva la contumacia di ribelli e la sollevazione dei popoli. Ed
in prova di ciò Lorenzo Bonincontri matematico, ed istorico, ne suoi
Annali manoscritti, l'originale de' quali esiste nella Biblioteca
Vaticana, come mi viene asserito, come ancora si ritrova nella
libreria del Sig. Cav. Carlo Strozzi, ed altrove, che il primo
Giudice supremo fusse Arnulfo di Germania, posto in S. Miniato nel
962 dall'Imperatore Ottone II di questo nome, ma il primo d'Alemagna,
il Pio, il Grande […].
E
i Samminiatesi distinti con privilegio sì glorioso, per esternare la
gratitudine ne fissarono in marmo la memoria espressa nella
Cattedrale loro in questi Reverenti sentimenti: “Octoni Primo
Henrici Germaniae Regis Augusti et Sanctae Matildis, civili animo,
feminae filio, quod Italiae sedatis tumultibusque, bellisque,
Miniatensem famigeratam, et nobilem civitatem in primis curiam
habuerit ibique Arnulphum, Alemannum judicem appellationum Tusciae
praepositum constituit, unde nomen servat Alto Desco ob recepti
muneris, gratique animi monumentum perenne senatus populusque
miniatensis” restringendosi per brevità il restante».
L'epigrafe di cui fa menzione Filippo Giuseppe Roffia fu realizzata
nel 1712 ed è tutt'ora esistente, collocata nella controfacciata
della Cattedrale, alla destra della porta centrale in posizione
elevata. E' segnalata anche da Anna Matteoli nel Corpus
delle iscrizioni sanminiatesi in
«Bollettino dell'Accademia degli Euteleti della Città di San
Miniato», n. 46, 1976, p. 77.
Giovanni
Lami
negli Annali
proposti a margine della Chronica
Imperatorum
di Leone da Orvieto, che pubblicò in «Deliciae Eruditorum»,
riprendendo le parole di Giovanni Villani segnò: «962.
Otho
magnus in Italiam venit, & a Florentinis, & Lucensibus,
honorifice excipitur, inque eorum Urbibus aliquandiu moratur.
Villanius»
[«Deliciae Eruditorum», Tomo III, parte II, Firenze, 1737, p. 71].
Giovanni
Lami fece riferimento alle parole seguenti parole di Giovanni
Villani:
«Regnando
nel papato Giovanni duodecimo figliuolo d’Alberto imperadore […]
e
guastando la Chiesa per le sue ree opere, fue per parte de’
cardinali rimandato per Otto re d’Alamagna per levare il detto papa
di signoria, e fare lui imperadore; [...].
Per la qual cosa, e per le pessime opere di Berlinghieri e d’Alberto,
faceano in Lombardia e in Toscana, Otto con tutta sua forza passò
ancora in Italia, e abatté al tutto la signoria de’ detti
imperadori in Lombardia, come in parte fu detto dinanzi. E poi venne
in Toscana, e da’ Lucchesi e da’ Fiorentini fu ricevuto
onorevolemente, e soggiornò assai in Lucca, e alquanto in Firenze;
poi se n’andò a Roma, e da’ Romani fu ricevuto a grande gloria e
triunfo; [...]»
[G. Villani, Nuova
Cronica,
a cura di G. Porta, Fondazione Pietro Brembo/Guanda, Einaudi, Parma,
1991, Libro V, Cap. I, p. 124].
Oltre
a questo, Giovanni Lami aggiunse ulteriori dettagli in nota alla
Historiae
Siculae, Pars prima di
Lorenzo
Bonincontri
in «Deliciae Eruditorum»: «In
oppidum (hoc
est S. Miniatis) ab
Octhone I conditum, in quo Alamannum quemdam Arnulphum instituit
adpellarionum Tusciae judicem, ideo etiammnum nomen servat al
Todesco, ad quem appellationes deferebantur. Huic Alamanno Stephanus
alter successit. Is fuit Cei Bonincontrii filius, a quo gentiles mei
origine habuere»
[«Deliciae Eruditorum», Tomo VI, parte I, Firenze, 1739, p. 112].
A
partire dalle notizie proposte da Giovanni Lami, Alessandro
Politi
nel suo Panegyricus
Senatui Populoque Samminiatensi Consecratur
[Pisa, 1751, pp. 11-12]
«[…]
deinde
Otho Primus, Magnus e Germania Imperator, muris atque aedificiis
beneficiisque omnibus ita ornaverat, atque auxeret, ejus ut urbis
originem aliqui non ignobiles sanè scriptores ad Othonem illum
Magnum, Germanici Imperii auctorem, retulerint. […]
Quid
enim dicam de urbis Miniatensis dignitate? Quum ean naximè urbem ad
Imperii Germanici dignitatem in Etruriâ
sustinendam Magnum Otho Imperator delegerit: qua in urbe, tanquam in
sede ac domicilio Imperii, vicarii sui residerent. Hoc est, ii, qui
vice Imperatoris Romani in Etruriâ fungererunt: unde & ipsi
jurisdictionem atque jus Caesareum in totam late Etruriam
exercerent».
L'erudito
Antonio
Maria Vannucchi,
nel suo Ragionamento
storico al nobil giovane Gio. Battista Gucci gentiluomo samminiatese
sopra la nobiltà della sua patria e della sua famiglia,
[Stamperia Gaetano Albizzini, Firenze 1758, p. 22] riportò: «A
tempo di Ottone il Grande, vale a dire prima del mille, sì gran
numero avea di abitanti, che per rendernela capace ei l'ampliò, come
parlano i vostri Storici, e stimò bene di fortificarla, giudicandola
posto opportuno a dominare l'Etruria.»
Francesco
Fontani,
nel suo Viaggio
Pittorico della Toscana,
[Tomo IV, Firenze, 1817, Veduta
della Città di San Miniato,
p. 229] scrisse: «adotteremo
il sentimento di Lorenzo Bonincontri, il quale, sì nella storia che
egli scrisse della Sicilia, come ne' suoi Annali, attribuisce la
fondazione della sua patria ad Ottone I, Imperatore, il quale,
secondo il Villani, scese in Italia nel 962, e quivi appunto
costituì, come in luogo opportunissimo, il Tribunale degli Appelli,
lasciando giudice dei medesimi un Tedesco di nome Arnolfo. Non dee
fare specie perciò se in breve tempo questa Terra crebbe e in onore,
e in grandezza, poiché risiedendovi i Vicarj Imperiali, e molte e
frequenti essendo le cagioni che là vi chiamavano i popoli,
facilmente comprendesi la necessità che ci dovette essere di
accrescervi le abitazioni, e i comodi pei ricorrenti».
L'erudito
sanminiatese Damiano
Morali,
riprendendo anch'egli i testi di Giovanni Lami, in Un
cenno sulle Memorie di Sanminiato
[Tip.
Canesi, San Miniato, 1834, p. 5] scrisse: «Ottone
I nel 960 la cinse di mura, e vi pose il Vicario Imperiale con
giurisdizione per tutta Toscana, ed un fatto, che leggesi
nell'Ammirato, mostra, che i Fiorentini puranco vi accorrevano per
l'appello. Questa dignità vi ebbe sede per qualche secolo».
Emanuele
Repetti
fu più prudente, e nel suo Dizionario
Geografico Fisico Storico della Toscana [Firenze,
1843, Vol. V, v.
S. Miniato,
p. 80]
precisò:
«Se
dovessimo prestar fede a quanto scris se il sanminiatese
Lorenzo Bonincontri nei suoi Annali e nell'Istoria sicula converrebbe
attribuire all' Imperatore Ottone I non solo la prima fondazione del
Castello di Sanminiato, ma ancora l'istituzione più vetusta e la
residenza in questa città di un giudice degli appelli di nazione
tedesco, per cui il paese si distinse con l'epiteto di Sanminiato al
Tedesco. Ma già si disse che la sua origine rimonta ad un'epoca più
vetusta, mentre l'istituzione e sede de' giudici imperiali in
Sanminiato è di lunga mano posteriore all'età di Ottone I».
Gaetano
Moroni,
rifacendosi alle considerazioni di Emanuele Repetti,
nel
Dizionario
di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai giorni
nostri
[Venezia, 1847, vol. XLV, pp. 155-167] annota: «La
città di S. Miniato, in origine castello, si crede da alcuni fondata
dall'imperatore Ottone I, nel secolo X, mentre altri l'attribuiscono
all'VIII ed a Desiderio ultimo re dei longobardi.
[…] Narra
il sanminiatese storico Lorenzo Bonincontri, che non solo Ottone I
fondò il castello di S. Miniato, ma istituì in esso la residenza
d'un giudice degli appelli di nazione tedesca, per cui il paese si
distinse con l'epiteto di S. Miniato al Tedesco. Tuttavolta l'origine
del castello rimonta come si disse ad epoca più vetusta, e
l'istituzione e sede de' giudici imperiali in esso ebbe luogo assai
più tardi».
Il
Proposto Giuseppe
Conti
nella Storia
della Venerabile immagine e dell'oratorio del SS. Crocifisso detto di
Castelvecchio nella Città di San Miniato [Tip.
M. Cellini, Firenze, 1863, p. 83], riprendendo i testi pubblicati dal
Lami, specificò: «962.
Ottobre I aggiunto il regno d'Italia all'Alemagna fonda in Sanminiato
una nuova fortezza, e vi stabilisce il Vicario imperiale. Arnulfo
Alemanno primo Vicario»
Ancora,
Giuseppe
Rondoni
nelle sue Memorie
storiche di S. Miniato al Tedesco [Tip.
Ristori, San Miniato, 1876, p. 9]: «Ottone,
procedendo a conquista, prudente come era, sapeva quanto terribili si
fossero sempre dimostrati fra i grandi feudatari i marchesi di
Toscana, e
[…] pensò
bene di avere un luogo forte nel cuore della Toscana, ove tenere
giurisdizione, soldati ed un vicario speciale che ammonisse di
continuo che l'imperatore, sebbene lontano, non se ne stava
incurante. San Miniato gli parve opportuno, e quelli abitanti ne
avranno avuto molta soddisfazione per i vantaggi e la importanza che
in tal guisa veniva conferita alla lor terra».
Alla
fine del XIX secolo, anche Giuseppe
Piombanti
nella sua Guida
della Città di San Miniato al Tedesco
[Tip.
Ristori, San Miniato, 1892, p. 15]: «sembra
ad altri più probabile che l'imperatore Ottone I, venuto in Italia,
si fermasse poi su questo colle, di non facile accesso, d'aria
eccellente, di posizione opportuna, e di mura ne cingesse le
abitazioni, molto utile stimando possedere nel bel mezzo della
Toscana un luogo fortificato, a sede di un so rappresentante, che del
continuo alta ne tenesse l'autorità, e gl'interessi ne difendesse.
Posevi egli in fatti nel 962 un tale Arnolfo, capo delle milizie,
giudice ed esattore imperiale, con giurisdizione in Toscana,
lasciando a S. Miniato una certa libertà per affezionarsene gli
abitanti; onde il luogo fu detto Al tedesco, cioè castello del
vicario o del giudice tedesco».
Anche
Guido
Carocci,
ne “Il
Valdarno. Da Firenze al mare”,
[Istituto Italiano d'Arti Grafiche di Bergamo, 1906, p. 85] riportò:
«Certo
è che fin dal secolo IX, dopo una non breve permanenza fattavi da
Ottone I Imperatore, San Miniato, che dal titolare d'un'antica
chiesetta ebbe nome, divenne la residenza d'un rappresentante o
Vicario degl'Imperatori
di
Germania che in Toscana ne tutelava l'autorità e gl'interessi».
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