a
cura di Francesco Fiumalbi
Giuseppe
Rondoni (San Miniato, 17 novembre 1853 – 16 novembre 1919), già
Direttore della Miscellanea Storica della Valdelsa e Presidente dell'Accademia
degli Euteleti, è senza dubbio una figura molto importante per i
suoi contributi di storia sanminiatese. Fu autore, appena
ventiquattrenne del testo Memorie Storiche di San Miniato
al Tedesco, Tip. Ristori, San
Miniato, 1876, e di innumerevoli saggi e articoli.
In
questo post è proposta la trascrizione del suo breve saggio dal
titolo La Rocca di S. Miniato al Tedesco e la Morte di Pier
della Vigna, pubblicato nella
Rivista Storica Italiana, n. 5, Torino, 1888, pp. 38-46. Questa sua
opera è molto significativa perché, oltre a fare un notevole passo
avanti rispetto alle Memorie Storiche
del 1876, raccoglie in citazione una serie di documenti, molto
interessanti, i quali poi saranno largamente utilizzati nella
storiografia sanminiatese di tutto il '900. Solo per citarne un paio,
il Can. Francesco Maria Galli Angelini e Maria Laura Cristiani Testi
ne trassero notevoli indicazioni per stendere i propri lavori. Purtroppo, essendo una rivista a tiratura nazionale edita ormai da molto tempo, non era facile riuscire a consultarla, e quindi il testo del Rondoni è caduto un po' nell'oblio. Quindi, pensando di fare cosa gradita, il testo del saggio è qui riproposto nella sua interezza.
Oltre ai documenti d'archivio dell'epoca di Federico II, pubblicati da J. L. A. Huillard-Bréholles (Historia Diplomatica Frederici Secundi, 6 voll., Parigi, 1852-1861), e da Giovanni Lami (Sanctae Florentinae Ecclesiae Monumenta, 3 voll., Firenze, 1758, e in Charitonis et Hippophili Hodoeporici, 3 voll., Firenze, 1741-1743), Giuseppe Rondoni utilizza anche le fonti cronachistiche offerte da Giovanni Villani e Ricordano Malispini, e trae una serie di informazioni raccolte da Antonio Vensi (San Miniato 1830-1904) e del Proposto Giuseppe Conti (San Miniato, 1807-1865). Inoltre dimostra di essere in contatto con alcuni professori universitari dell'epoca. La bontà del lavoro di ricerca che effettua Giuseppe Rondoni non è da mettere in discussione, anche se alcuni dei risultati che egli propone su Pier delle Vigne non sono propriamente soddisfacenti. Per questo motivo negli anni la storiografia ne ha preso un po' le distanze.
Oltre ai documenti d'archivio dell'epoca di Federico II, pubblicati da J. L. A. Huillard-Bréholles (Historia Diplomatica Frederici Secundi, 6 voll., Parigi, 1852-1861), e da Giovanni Lami (Sanctae Florentinae Ecclesiae Monumenta, 3 voll., Firenze, 1758, e in Charitonis et Hippophili Hodoeporici, 3 voll., Firenze, 1741-1743), Giuseppe Rondoni utilizza anche le fonti cronachistiche offerte da Giovanni Villani e Ricordano Malispini, e trae una serie di informazioni raccolte da Antonio Vensi (San Miniato 1830-1904) e del Proposto Giuseppe Conti (San Miniato, 1807-1865). Inoltre dimostra di essere in contatto con alcuni professori universitari dell'epoca. La bontà del lavoro di ricerca che effettua Giuseppe Rondoni non è da mettere in discussione, anche se alcuni dei risultati che egli propone su Pier delle Vigne non sono propriamente soddisfacenti. Per questo motivo negli anni la storiografia ne ha preso un po' le distanze.
Di
seguito è proposta la trascrizione. Per motivi esclusivamente di
impostazione grafica e per una migliore facilità di lettura, le note
che Giuseppe Rondoni inserisce a piè di ogni pagina, sono tutte
riportate in fondo al testo, secondo una numerazione progressiva.
Estratto
da La Rocca di S. Miniato al Tedesco e la Morte di Pier
della Vigna, Rivista Storica
Italiana, n. 5, Torino, 1888, pp. 38-46.
[038]
La
Rôcca di S. Miniato al Tedesco
e la Morte di Pier della Vigna.
e la Morte di Pier della Vigna.
I.
A chi fa viaggio da Pisa a Firenze appare, a metà strada, una rôcca medioevale semplice ed austera dominante da un'elevata collina quell'orizzonte armonioso di ondulati declivi, di villaggi e di case biancheggianti tra il verde, la luce e la pace operosa della Toscana gentile. Ora non tutti sanno che da quella rôcca di S. Miniato al Tedesco si gode una delle più splendide viste, dai selvosi Appennini al ceruleo Tirreno, dalla Valdinievole cosi ricca di castelli e di borgate alla pianura del Val d'Arno disotto, che pare tutto una città, ed alla rupe ove il sole morente tinge d'oro e di porpora le torri lontane della etrusca Volterra. Né tutti forse hanno presente che questo monumento isolato, quasi il fantasma del sacro romano impero alemanno, è vivo ricordo di uno degli episodi più solenni e più tragici della nostra storia, di una delle questioni più ardue e delicate di critica storica medioevale: la morte di Pier della Vigna. Ma la povera rôcca, come il suo sacro romano impero, abbandonata da un pezzo e scoronata dai fulmini, fu scossa di recente da un terremoto in guisa da farne temere imminente la ruina, seppure da chi ne ha il dovere e il diritto non si provvede, e con prontezza, a salvarla insieme colle grandi memorie ch'essa evoca e rappresenta.
II.
Non è possibile, per la mancanza di documenti certi, determinare con precisione l'anno della costruzione di questa rôcca che suol chiamarsi di Federigo, perchè veramente fatta innalzare da Federigo II. Del rimanente sappiamo che S. Miniato era già un luogo fortificato sin da molto tempo innanzi, e per tacere della tradizione che [039] attribuisce le sue prime mura ad Ottone I, e di quella che lassù risiedessero i vicari tedeschi colle loro masnade fino dai primordi del sec. XII (01), abbiamo un diploma di Federigo I (a. 1178, Ind. XI, 13 Kal. Febr.) all'Abbadia di S. Salvatore all'Isola dato «in palatio apud castrum S. Miniatis», e una conferma di privilegi concessa da Enrico VI a Ildebrando vescovo di Volterra (a. 1186, Ind. IV), pure ratificata: apud castrum S. Miniatis. Risulta poi che i Senesi dovevano pagare nello stesso anno 70 marche di puro e buono argento alla Camera imperiale, presso il castello medesimo, ricordato pure in una sentenza del 14 gennaio 1211 (in ecclesia S. Marie castelli S. Miniatis) (02).
La
rôcca sembra ricordata,
credo la prima volta, in un pregevole documento del marzo 1221, col
quale Everardo di Lutri definisce una lite fra il comune di Pistoia e
il vescovo di quella città «actum prope portam S. Miniatis
seu casseri», mentre alla stessa porta coll'annesso fortilizio
può alludere la espressione prope portam casseri S. Miniatis,
che ricorre in altro diploma della Cancelleria imperiale del 1222
(03). E nel 1223 (15 gennaio): in casseri S. Miniatis et
habito Consilio bonorum ac sapientum virorum S. Miniatis,
Alessandro, castellano del luogo, esercitando le veci del vicario di
Toscana, e col consenso di Loderio «militis ejusdem soci in
cassaro S. Miniatis», permette ai consoli dei mercanti di S.
Miniato di frequentare sicuramente il castello e la curia
samminiatese fino all'Arno, e dall'Amo a Porcari, coll'obbligo di
certi pedaggi. Notevole tra le firme quella di Ermanno: «canevario
ejusdem casseri» (04). D'altra parte si narra che Corrado
di Spira, innanzi di passare nell'Umbria, avesse munita a guisa di
fortezza la chiesa di S. Michele posta sulla cima del poggio di S.
Miniato, e già mi parve che si trattasse proprio dell'innalzamento
della rôcca, ma forse è da
credere che il ministro imperiale si limitasse al compimento
dell'edifizio. Fatto sta che Corrado, vescovo di Spira e di Metz e
cancelliere dell'impero, fu nominato legato d'Italia il 17 aprile del
1220, esercitando tale ufficio dall'agosto al marzo del 1221, quando
ritornò in Alemagna (05).
[040]
Che poi il Cassero dei ricordati diplomi imperiali sia veramente la
Rôcca, appare dal senso
speciale del vocabolo («cassarium, castrum, arx; nome che
davasi alla parte più forte e più elevata di un castello, di forma
quadra o tonda, a foggia di torrione, maschio», così la Crusca),
e dagli esempi analoghi citati dal Ducange: «in cassero
seu turri principali»; «possessionem et quasi cassarti et
turris ac totius castri» (06). E si noti che anche da
disegni alquanto antichi si rileva ch'era la nostra rôcca
parte principale di un ben inteso sistema di fortificazioni che
incoronavano la cima del poggio, e ch'essa sorgeva presso una porta
della cittadella imperiale, potendosi scorgere anche oggi qualche
vestigio di altre costruzioni, e il principio di una galleria
sotterranea che doveva mettere in comunicazione la torre col palazzo
pubblico, ed altri punti della città munita in antico di un triplice
recinto di forti mura (07). Anche il Villani attribuisce la
fondazione della Rôcca di
S. Miniato a Federigo II (08), e poiché, fino dal 1222, i
documenti, in sostanza, confermano la sua asserzione, ricordandosi
prima di quell'anno solo il palazzo o il castello di S. Miniato,
mentre, subito dopo, viene ad un tratto citato spesso il cassero,
cosi la sua costruzione risale indubitatamente ai primi anni del
regno del grande svevo.
Risulta
quindi l'antichità ragguardevole del nostro monumento, e il suo
carattere e la importanza. È infatti un avanzo di quegli edifizi e
di quell'architettura, onde tanto si compiacque il secondo Federigo,
e de' quali pur troppo restano in Italia assai scarse mine. È una
testimonianza viva della politica del grande imperatore che aveva
scelto S. Miniato, cui fu largo di molti privilegi (09), come
sua cittadella per tenere in fede gli amici e fronteggiare i nemici,
e come residenza quasi abituale del Vicario e della Camera imperiale
in Toscana (10). Unico e cadente monumento superstite per la
storia dei Vicari imperiali in questa regione, storia di particolare
interesse, oltreché per gl'Italiani, per gli Alemanni, non va la
nostra rôcca confusa colle
tante torri signorili e feudali più o meno ben [041]
conservate in tante parti d'Italia, essa, fortezza del sacro romano
impero, e dei magistrati che rappresentarono quel sistema di governo,
col quale Federigo, mantenendo unita l'Italia coll'Alemagna, tentò
pure di raccoglierne le sparse forze, concentrando il potere. Fu
inoltre prigione di Stato, e si collega con essa una memoria storica
e poetica fieramente immortale.
III.
È noto quanto siano incerte le notizie intorno alla sventurata fine di Pier della Vigna, fatto che l'Huillard-Bréholles chiamava «un mistero storico» (11). Ora, escludendo subito come puramente leggendari i racconti del Tritemio, e la voce riferita, ma non accettata da Benvenuto da Imola, ch'egli si gittasse dall'alto del suo palazzo di Capua, mentre Federigo passava per la via, se può restar dubbio (e non lo ammetto per le ragioni che dirò) che il gran cancelliere morisse nel cassero di S. Miniato ovvero in Pisa, e certo però ad ogni modo e consentito da tutti, cronisti antichi e storici moderni, ch'ei fu condotto in S. Miniato dall'imperatore, ed ivi fatto accecare nel marzo del 1249 (12). L'Huìllard-Bréholles non risolve il dubbio circa il luogo della morte, ma sembra propendere (come lo Chérrier ed altri) per la opinione che il Della Vigna si uccidesse mentre da S. Miniato si trasportava a Pisa per esporlo al furore di quei cittadini, suoi particolari nemici (13). Ora, tutto considerato, la critica storica, o m'inganno, dovrebbe inclinare piuttosto verso la opinione contraria, ed anzi di recente il prof. Pagano di Diamante riteneva non essere più incerto il luogo ove il grande sventurato finiva i suoi giorni, e cioè la rôcca o prigione di Stato di S. Miniato. Ma poiché egli non si trattiene come di ragione e con esattezza sull'argomento, né mi pare che adduca le prove che valgono a sostenere quell'opinione, ch'ei dà per certa; ma che, com'egli l'accenna, sembrerebbe invece forse più incerta che mai (14), e poiché d'altro lato il De Blasiis crede ancora accertata la morte a Pisa (15), [042] cosi torna opportuna qualche considerazione in proposito per risolvere forse l'intricata questione.
III.
È noto quanto siano incerte le notizie intorno alla sventurata fine di Pier della Vigna, fatto che l'Huillard-Bréholles chiamava «un mistero storico» (11). Ora, escludendo subito come puramente leggendari i racconti del Tritemio, e la voce riferita, ma non accettata da Benvenuto da Imola, ch'egli si gittasse dall'alto del suo palazzo di Capua, mentre Federigo passava per la via, se può restar dubbio (e non lo ammetto per le ragioni che dirò) che il gran cancelliere morisse nel cassero di S. Miniato ovvero in Pisa, e certo però ad ogni modo e consentito da tutti, cronisti antichi e storici moderni, ch'ei fu condotto in S. Miniato dall'imperatore, ed ivi fatto accecare nel marzo del 1249 (12). L'Huìllard-Bréholles non risolve il dubbio circa il luogo della morte, ma sembra propendere (come lo Chérrier ed altri) per la opinione che il Della Vigna si uccidesse mentre da S. Miniato si trasportava a Pisa per esporlo al furore di quei cittadini, suoi particolari nemici (13). Ora, tutto considerato, la critica storica, o m'inganno, dovrebbe inclinare piuttosto verso la opinione contraria, ed anzi di recente il prof. Pagano di Diamante riteneva non essere più incerto il luogo ove il grande sventurato finiva i suoi giorni, e cioè la rôcca o prigione di Stato di S. Miniato. Ma poiché egli non si trattiene come di ragione e con esattezza sull'argomento, né mi pare che adduca le prove che valgono a sostenere quell'opinione, ch'ei dà per certa; ma che, com'egli l'accenna, sembrerebbe invece forse più incerta che mai (14), e poiché d'altro lato il De Blasiis crede ancora accertata la morte a Pisa (15), [042] cosi torna opportuna qualche considerazione in proposito per risolvere forse l'intricata questione.
Il
«Chrónicon de rebus in Italia gestis» edito
dall'Huillard-Bréholles, opera di un ardente ghibellino di Piacenza,
vissuto nella seconda metà del secolo XIII, vera cronica schietta e
ordinata dei ghibellini d'ltalia e di Lombardia sino alla fine del
secolo XIII (cessa coll'anno 1284), attingendo, come l'autore stesso
dichiara, le notizie sulle gesta di Federigo II da antiche memorie
(e la redazione propriamente originale incomincia coi tempi di quel
sovrano), narra che a Pier della Vigna furono strappati gli occhi in
S. Miniato, ov'egli finì la sua vita «oculos de capite erui
fecit in S. Miniato, ubi suam vitam finivit» (16).
L'Huillard-Bréholles ritiene il cronista non cosi bene informato
circa il luogo della morte, come su tutto il resto. Ma perchè? Ecco:
noi abbiamo (cosi egli dice) contro questa opinione tre testimonianze
troppo precise, troppo concordi (si noti) perché possano essere
messe dapparte. Le testimonianze sarebbero: Matteo Paris, e due
croniche pisane che riferiscono una tradizione locale in termini
presso a poco identici (17). Ma è proprio vero che M. Paris,
il quale scriveva essendo lontano dai luoghi, né proponevasi di
trattare ex-professo delle imprese di Federigo, dica in modo
preciso esser morto il Logoteta in Pisa? Ponendo a riscontro
il testo del Paris colla traduzione francese che ne dava
l'Huillard-Bréholles stesso, mi fu dato di leggervi soltanto che
Pietro abbacinato venne condotto a ludibrio per varie città d'Italia
e di Apulia, e che l'imperatore finalmente ordinava che venisse
esposto ai Pisani perché ne facessero strazio. Conosciuta la crudele
sentenza, Pietro, per non cadere in mano a cosi formidabili nemici,
ricordevole di un detto di Seneca, percuotendo fortemente il capo
alla colonna alla quale era legato, si ruppe il cranio (18).
Parrebbe proprio dal contesto e da quell'allusione alla colonna che
si suicidasse in prigione, e che perciò dovesse ricever conferma il
racconto del cronista piacentino che fa giungere quell'infelice,
carico di catene, in S. Miniato, dalla parte di Pontremoli dopo
essere stato catturato in Verona, e dopo una fermata a Borgo S.
Donnino, forse anche indirizzato a Pisa, e già spettacolo
miserando della volubilità della fortuna a [043] molte terre
d'Italia. Ed anche Francesco Pipino e Guido Bonatti la sostanza
convengono ch'ei troncò la sua esistenza nello squallore del carcere
(19).
Né
si trova poi troppa precisione e concordia nelle tradizioni pisane,
perpetuatesi in termini tutt'altro che identici e sicuri. Secondo un
passo di un codice dell'ospedale di Pisa, che il Dal Borgo giudica
antichissimo, ma che appartiene per la scrittura al sec. XIV, ed è
un registro di privilegi concessi al pio luogo, Federigo II,
trattenendosi in S. Miniato, e leggendo l'epistole del papa a lui
proponente la pace, fece accecare Pier della Vigna come perturbatore
di essa, e, in breve, lo mandò a Pisa perché fosse ucciso «a
pueris». Egli allora in terram de mulo corruens se ipsum
excerebravit, et quidem desperatus in ecclesia S. Andrae decessit.
E poco innanzi vi si legge che il ministro era caduto in disgrazia
perché «abutebatur imperatrice, et erat in gaudio cum ea dum
erat impertor in bello»: fola evidente. Secondo un'altra cronica
pisana, si fece menare in una chiesa, e domandò al guardiano se vi
era ostacolo fra il muro e lui. Dietro risposta negativa, si gittò
con tanta violenza contro il muro che si uccise (20).
Alcuni degli antichi commentatori della Divina Commedia accreditarono
la tradizione, o alterandola, o forse riferendone ora l'uno ora
l'altro degli aspetti vari e mutevoli. Per Jacopo di Dante mori
il Della Vigna battendo il capo presso il Fosso Arnonico, fuori di
Pisa, versione accettata dallo Scartazzini (21). Altri scrive
che portato a Pisa da S. Miniato «fu per li somieri (asinai)
tolto giuso, e messo ad un ospedale perché reposasse, e quivi batto
tanto lo capo al muro che morì» (22). Che se alcuni, a dir
vero, riferiscono che si sfracellò il capo ad una muraglia, senza
specificare il luogo, l'Anonimo intesse un racconto che offre il
colorito e le inverosimiglianze di certe leggende, e cioè che Pier
della Vigna, già abbacinato, ma libero, erasi ritirato a Pisa,
affine di provare la sua innocenza, e non riuscendovi, e udendo dirsi
villania mentre andava attorno per la città, si uccise presso S.
Paolo (23).
Insomma
la tradizione che diremo pisana è concorde soltanto [044]
nel far morire Piero a Pisa o nei dintorni, variando non poco i
particolari della morte; ma, per tacere della narrazione affatto
leggendaria dell'Anonimo, chi può negare la inverosimiglianza che
Piero si facesse condurre qua e là da un guardiano, e la probabilità
che il fondo del racconto del codice dell'ospedale pisano sia desunto
dalla cronica di M. Paris, come ne apparirebbe un indizio, per quanto
remoto, in quell'excerebravit, ch'è il verbo stesso usato dal
celebre cronista? E qui come non sospettare che la tradizione pisana
possa ritenersi per una di quelle onde si compiacquero tanto i
Comuni, nata e accreditata appunto dall'esser Pier della Vigna morto
in un fondo di torre a S. Miniato, mentre doveva essere trasferito a
Pisa, talché dai Pisani, i quali consideravano il castello come
propugnacolo di confine della propria città, si volle morto
senz'altro in essa? Ma v'è di più. Fra gli stessi commentatori di
Dante, Benvenuto da Imola riferisce proprio di aver letto che
trasportandosi Piero su di una mula a Pisa, «depositus apud
castellum S. Miniatis percussit caput ad murum, et mortuus est ibi»
(24). Vero è ch'ei ritiene improbabile che l'imperatore
conducesse seco l'infelice (e il Tiraboschi dà in questo ragione
all'acuto commentatore) (25); ma, in sostanza, conclude ch'ei
dovè morire in carcere: «sed quid quid dicatur credo, ut jam
dixi, quod se interfecerit in carcere».
E, a rigore, il carcere non poteva essere che quello della nostra
rócca. Infine che il maestro «per grande dolore si lasciò
morire in prigione», scrive il Villani, copiato a lettera dalla
cronica malespiniana (26). Che dire per ultimo della versione
del Collenuccio, che il De-Blasiis non sa qual fede meriti,
confessando che quello scrittore è di età posteriore, né sempre
bene informato? Federigo (cosi il Collenuccio) (27) entrò in
Toscana, conducendosi appresso il prigioniero, e volendo assicurarsi
dei cittadini di S. Miniato, che sospettava tramassero contro di lui,
incatenati molti suoi militi, e messo in mezzo Pietro, li mandò in
quel castello, dando a credere che volesse lasciarveli in custodia.
Ma i militi quando furono dentro, spezzate le catene, occuparono le
porte, e nell'aprirle introdussero Federico che fece crudelmente
punire i sediziosi. Ma nella storia di S. Miniato, e nei documenti
che si riferiscono agli Svevi non è indizio alcuno che [045]
possa confermare un simile tradimento; ché anzi i
Samminiatesi si dimostrarono sempre ligi agli Svevi, e ne ottennero,
come ho detto, privilegi insigni. I cronisti del tempo, le fonti vere
e proprie nulla sanno del singolare stratagemma, che ricorda altri
stratagemmi simili certamente leggendari, e poiché il Collenuccio è
solo a narrarlo, egli vissuto nel secolo XV, cosi è da riconoscervi
un frammento di quelle voci vaghe, contradditorie, infondate intorno
alla misteriosa caduta del Della Vigna, e forse un frammento della
leggenda formatasi intorno a lui, leggenda della quale il racconto
dell'Anonimo e di altri commentatori, nonché le tradizioni pisane
col particolare della tresca coll'imperatrice, stanno a rappresentare
le versioni principali. La morte nel carcere di S. Miniato era troppo
semplice e naturale, perché non si volesse alterarla ed aggiungervi;
i Pisani troppo alteri e potenti amici dell'imperatore perché non
volessero avere avuta gran parte nella fine del ministro che aveva
provocato tutto il suo sdegno. Le cadenti mura della Rôcca
samminiatese furono adunque l'ultima dimora del dotto e gentile
spirito capuano.
IV.
Molti uomini oscuri languirono in quella prigione subito dopo il grande uomo di stato. Fra i prigionieri fatti nella resa del castello di Capraia alcuni Fiorentini vi morirono d'inedia o in altro crudel modo, Rinieri Buondelmonte affogato nell'acqua, e Rodolfo vicario abbacinato lui pure e decapitato (28). Nel 1255 Manfredi liberava i carcerati della Rôcca, ch'è ricordata di frequente, da questi tempi in poi, sia negli atti dei vicari della seconda metà del secolo XIII, sia nei cronisti fiorentini. Nel 1369 fu espugnata dai Fiorentini, dopo tre giorni che si erano insignoriti di S. Miniato, spengendo la sua libertà; non fu potuta espugnare da Benedetto Mangiadori, fuoruscito samminiatese, quando coll'aiuto del Visconti e dell'Appiano tentò far ribellare a Firenze il comune natio. I Fiorentini continuarono ad apprezzare la importanza di quel fortilizio, e in un Registro del Comune dell'Archivio di S. Miniato, dall'anno 1392 al 1397, si trova che per lettera di Noferi di Andrea Neri vicario di S. Miniato nel 1397 è ordinato alle terre del Val d'Arno di stare in arme e vigilare, come pure di fare attenzione al segno dei fuochi della [046] Rôcca, aecadendo qualche attentato in tempo di notte. Inoltre, cominciate in Italia, sulla fine del secolo XV, le guerre che partorirono la nostra servitù, i Priori di S. Miniato, per ordine di Firenze, «ne minimo hostium impetu expugnari possimus», approvisionarono la Rócca (che pochi anni prima, nel 1486, era stata abbandonata e affittata a Giuliano da S. Quintino «coll'entrata come sta ora e coll'orto») e la guernirono di armi e di munizioni, 24 spingarde, 80 archibusi, 200 corazze, 100 balestre e 100 lance (29). Oppose resistenaa agli Spagnaoli, eppoi al Ferruccio (30), sinché, caduta la repubblica, quel forte arnese di guerra, già cittadella imperiale e ghibellina, eppoi propugnacolo di una potente repubblica guelfa, fu venduto, declinando il secolo XVI, insieme colle sue pertinenze dal «Serenissimo Granduca, e per esso dai Magnifici Signori Capitani delle Arti della città di Firenze» a Michele Mercati nobiluomo samminiatese, che si trova fare istanza nel 1583 perché il titolo della chiesa di S. Michele di Ròcca venisse trasferito nella vicina chiesa di S. Stefano (31). Ma già la fortezza aveva sentito i danni del tempo e degli uomini. Delia cappella rimanevano appena alcune vestigia, né avea più servito al culto da tempo immemorabile «almeno dopo le guerre e la devastazione della Rôcca». Questa poi non serviva più ad uso pubblico, ed anzi «era luogo abbandonato in balìa delle bestie e degli spini, e pieno d'immondezze» (32). Cosi termina la storia di quella RÔcca che dalla cima del suo monte vide nascere le grandezze di Pisa e Firenze, e passare le loro rivoluzioni, e che vide sotto le cupe sue vôlte, ora asilo di animali notturni, «colui che volse ambo le chiavi del cor di Federigo», e il tragico avvenimento onde poi rifulse uno degli episodi, una delle figure più grandiose del poema dantesco. Ed ogni ricordo dantesco è parte sacra del patrimonio della Nazione.
G. Rondoni.
NOTE
BIBLIOGRAFICHE
(01)
G. Villani, Cronica, lib. IV,
cap. 26
(02)
Lami, Mon. Eccl. Flor.,
tomo 1, pag. 375 e pag. 471. Muratori, Ant. It. M. Aevi,
tomo IV, p. 469. Ficker, Forschungen etc.,
n. 250. Cfr. Repetti, Dizionario storico geografico della
Toscana, all'articolo S.
Miniato.
(03)
Ficker, Forschungen zur
Reichs und Rechtsgeschichte italiens,
n. 291.
(04)
Idem, n. 300 e 304.
(05)
G. Rondoni, Memorie
storiche di S. Miniato, pag. 47,
e G. Conti, Storia della ven. Immagine dell'Oratorio del
SS. Crocifisso di S. Miniato,
pag. 86. In una raccolta di documenti inediti dello stesso Proposto
G. Conti il passaggio di Corrado è riferito, non so con quale
autorità, al 1237. Cfr. Huillard-Bréholles, Hist.
Diplimatica Frid II,
Introduction, pag. CDLXXII.
(06)
Dizionario della Crusca, v.
Impressions. Ducange,
Glossarium.
(07)
La riproduzione di questi disegni si
vede nei Doc. inediti per la storia di S. Miniato
mss. dal sig. A. Vensi, p. 628. La porta presso il Cassero era detta
alle Cornacchie.
(08)
Lib. VI, c. I.
(09)
G. Rondoni, Memorie
storiche di S. Miniato, loc.
cit.
(10)
G. Villani, IV, XXIX
(11)
Huillard-Bréholles, Vie
et correspondance de Pierre de la Vigne.
Paris. Plon. 1864.
(12)
Id., pag. 84-85.
(13)
Chérrier, Hist. De la
lutte des Papes etc., tomo II,
pag. 375.
(14)
Propugnatore, anno XIX, disp. 2A,
pag. 229.
(15)
Così l'illustre professore, dietro
mia richiesta, si compiaceva di scriveremi in una sua lettera del 25
ottobre 1887, confermando ciò ch'ei dice nel suo dotto libro: Della
vita e delle opere di Pietro della Vigna.
(16)
Cronicon Placentinum et Chronicon de rebus etc.
Parisiis, 1856, Pref. pag. XXII e segg. e pag. 218.
(17)
Huillard-Bréholles, loc. cit.
(18)
M. Paris, Opera. Parisiis,
1644, pag. 511, e Grande Cronique,
tomo VI, p. 477. Traduz dello Huillard-Bréholles.
(19)
Pipino, Chronico,
II, XXXIX. Rer.
It. Script.,
tomo IX, e G. Bonatti, Astronom.,
pag. 220, ediz. di Basilea, 1550. Cfr. Tirabocchi, Storia
della Lelt. Ital.,
tomo IV, pag. 17 e segg.
(20)
Dal Borgo, Dissert.,
IV, pag. 208 e 257. Cfr. De Raumer, tomo IV, pag. 595.
(21)
Scartazzini, Commento
alla Div. Commedia,
vol. I, c. XIII.
(22)
Commento d'Jacopo
Lana, ediz. dello Scarabelli.
(23)
Comm.
di Anonimo a cura di P. Fanfani, tomo I.
(24)
Presso Muratori, Ant.
It. M. Aevi,
tomo I, col. 1051-1052.
(25)
Tiraboschi, loc. cit.
(26)
G. Villani, lib. VI, c. XXII, e R. Malespini, c. CXXVI
(27)
Storia del regno di Napoli,
lib. IV. Nella sua cortese lettera il prof. De Blasiis confessava: «
... io non saprei dirle quanta fede meriti questo racconto ... ».
(28)
G. Villani, lib. VII, c.
XXXIII. Lami, Hodeporicon,
parte I, e la Raccolta
ms.
del Prop. G. Conti.
(29)
Rondoni, Memorie
storiche di S. Miniato,
pag. 153, 166-167 e 179. Quanto poi all'affitto della Rocca a
Giuliano mi venne dal sig. A. Vensi di S. Miniato comunicata copia di
una lettera degli Octoviri
Praticae Reip. Flor.
al Vic. di S. Miniato circa quell'affare.
(30)
Varchi, Storia
Flor.,
lib. X. Rondoni, Memorie
storiche cit.,
pag. 185-188.
(31)
Doc. Vensi. Editto per la Traslazione del titolo di S. Michele di
Rocca nella chiesa di S. Stefano, p. 116.
(32)
Parole
del doc. sopra citato.