a
cura di Francesco Fiumalbi
APSM-ISVP-015
IL “CRISTO RISORTO” DI FRANCESCO BARATTA IL GIOVANE
IL “CRISTO RISORTO” DI FRANCESCO BARATTA IL GIOVANE
SCHEDA SINTETICA
Oggetto: Statua raffigurante "Cristo Risorto"
Luogo: San Miniato, Scalinata del Santuario del SS. Crocifisso di Castelvecchio
Tipologia: Nicchia
Tipologia immagine/materiale: Statua/marmo di Carrara
Soggetto: Cristo Risorto
Altri soggetti: NO
Autore: Francesco Baratta "il Giovane"
Epigrafe: SI - Christus resurgens ex mortuis, jam non moritur
Indulgenza: NO
Periodo: 1723, ricollocata nel 1867
Riferimenti:
Id: APSM-ISVP-015
Sommario
del post:
INTRODUZIONE
L'AUTORE:
FRANCESCO BARATTA “IL GIOVANE”
STORIA
DELL'OPERA: DA S. FRANCESCO AL SS. CROCIFISSO
ICONOLOGIA:
CRISTO RISORTO
ICONOGRAFIA E DESCRIZIONE
DELL'OPERA
NOTE
BIBLIOGRAFICHE
INTRODUZIONE
Negli
ultimi due secoli, la storiografia sanminiatese si è impegnata a
celebrare le testimonianze artistiche e architettoniche di epoca
medievale. Una vera e propria riscoperta della San Miniato imperiale
e poi comunale, ovvero di quell'epoca considerata il “periodo
aureo” della Città. Tuttavia la ricchezza di San Miniato, sta sì
nell'origine e nei fasti medievali, ma anche nell'aver saputo operare
un costante rinnovamento al susseguirsi dei secoli, a testimonianza
di una comunità viva che attraversa la storia con impulsi sempre
nuovi. Da un punto di vista storiografico, è solo di recente che
l'attenzione è stata dedicata anche agli ultimi quattro secoli.
In
questo post parleremo di quella che è da considerarsi il massimo
esempio di scultura barocca presente a San Miniato: la figura del
Cristo Risorto,
opera dello scultore Francesco
Baratta
(Carrara, 1663 – 1729). Realizzata in marmo bianco di Carrara, la
scultura è collocata all'interno di una nicchia semicircolare,
ricavata al centro della scalinata che conduce al Santuario del SS.
Crocifisso di Castelvecchio.
Proprio
per il suo gusto “barocco” la statua non è stata oggetto di
particolare interesse, considerata forse, a torto, un'opera
secondaria e priva di particolare valore. Senza considerare che,
spesso, la fortuna di un'opera segue anche la fortuna della mano che
ebbe a realizzarla. Concepita per l'altare maggiore della chiesa
conventuale di San Francesco, fu rimossa alla fine XVIII secolo per
poi essere “riciclata” nel 1867 lungo la scalinata del Santuario.
Francesco
Baratta, Cristo Risorto, 1723
San
Miniato, scalinata del Santuario del SS. Crocifisso
già
nella chiesa di San Francesco
Foto
di Francesco Fiumalbi
L'AUTORE:
FRANCESCO BARATTA “IL GIOVANE”
Da
alcuni anni, grazie a nuovi studi condotti prevalentemente da
Francesco Freddolini, è in corso un'importante rivalutazione
dell'attività di Giovanni
Baratta,
fratello di Francesco, considerato uno degli scultori più
significativi nel panorama italiano, ed anche europeo, della prima
metà del '700 (lavorò a Roma, Firenze, Livorno, Torino, Lucca,
Genova ed alcune opere si trovano in Danimarca, Inghilterra e Spagna)
(01). Proprio lo stretto
rapporto, anche di collaborazione, che ebbero i fratelli, fa sì che
l'opera di
San Miniato possa godere di nuova attenzione. Pur non esibendo la
straordinaria qualità del fratello Giovanni, Francesco Baratta
riuscì comunque ad esprimere quella suggestiva magniloquenza che
ritroviamo, in modo particolare, nel barocco romano. Il Cristo
Risorto è una scultura
singolare nel panorama artistico di San Miniato, e per questo merita
di godere di nuova attenzione.
Membro
di una vera e propria famiglia di scultori, figlio di Isidoro e
fratello di Pietro
(1668-1729)
e di Giovanni
(1670-1747),
Francesco nacque a Carrara intorno al 1670. Nei testi, spesso è
indicato come Francesco Baratta “Il Giovane” per distinguerlo da
Francesco
Baratta “Il Vecchio” (1595-1666),
suo nonno, molto conosciuto per aver collaborato con Gian Lorenzo
Bernini (la sua opera più conosciuta è il Rio
della Plata nella fontana
dei Quattro Fiumi in Piazza Navona a Roma). E proprio al nonno
Francesco “il vecchio” era stata assegnata in prima battuta la
paternità della statua sanminiatese. Merito di Anna Matteoli, l'aver
individuato nel 1976 la giusta attribuzione (02).
La
formazione di Francesco Baratta, oltre che a Carrara, poté dirsi
completata sul finire degli anni '80 del '600. Nel 1691 egli è
documentato a Roma dove, assieme al fratello Giovanni, realizzò le
figure in stucco di San
Paolino e San
Frediano, oltre a quelle
di due angeli, oggi perduti, collocate nella controfacciata della
chiesa
della Santa Croce e San Bonaventura dei Lucchesi,
ovvero la chiesa affidata alla comunità lucchese presente
nell'allora Stato Pontificio (03).
A
Roma, quindi, poté ammirare le opere del nonno, ma soprattutto i
capolavori del barocco firmati da Gian Lorenzo Bernini e dai suoi
diretti seguaci. Di questa esperienza farà tesoro nelle opere della
maturità, fra cui il Cristo
Risorto di San Miniato.
Pur appartenendo alla generazione successiva, Francesco baratta non
sembra, infatti, discostarsi troppo dai modi formali del Bernini.
Anzi, sembra replicare forme e stilemi senza, tuttavia, coglierne
appieno la complessità.
Successivamente
si trasferì a Genova, dove circa quarantanni prima aveva operato
anche il nonno, e dove il fratello Pietro aveva ricevuto commissioni
già negli anni '90 del XVII secolo. Negli anni immediatamente
successivi al soggiorno romano scolpì le figure di Cleopatra
e Artemisia
su commissione di
Marcello Durazzo. Sempre in ambito ligure, risulta attivo a Rapallo
dove nel 1697 eseguì le statue di San
Domenico e Santa
Rosa da Lima per la
chiesa dei SS. Gervasio e Protasio. Molte delle opere di questo
periodo sono andate disperse e non è possibile ricostruire in
dettaglio la sua attività nei primi due decenni del '700.
Collaborò
all'attività del fratello Giovanni alla chiesa di San Ferdinando a
Livorno negli anni fra il 1713 e il 1721, dove troviamo anche i
cugini Isidoro il Giovane e Giovanni Giacomo. Negli anni '20 fu
attivo a Carrara, dove nel 1722 scolpì l'altare per la chiesa di
Santa Maria delle Lacrime, e di nuovo a Genova, dove nel 1724 scolpì
la figura (oggi perduta) di Ambrogio
Castagnola per
l'Ospedale degli Incurabili. Nello stesso anno ricevette il pagamento
per una fontana con le statue di Enea
e Anchise
per piazza Soziglia (attualmente in piazza Bandiera). Seguendo sempre
le orme del fratello Giovanni, Francesco fu attivo anche a Parma
nella chiesa della Steccata, dove realizzò le statue dell'Umiltà
e della Castità
nel 1726. Non mancò nemmeno una committenza prestigiosa, come quella
di Augusto il Forte di Polonia, per il quale scolpì un gruppo di
cinque statue oggi disperse fra Dresda, Londra e Venezia (04).
In
conclusione, l'attività di Francesco Baratta restituisce il profilo
di un artista di buon livello, che però deve gran parte della sua
fortuna professionale al prestigio dei fratelli, soprattutto di
Giovanni. Oltre a ricevere commissioni professionali, risulta
debitore anche riguardo ai modelli stilistici, derivanti, a loro
volta, dal gusto e dalla sensibilità formale sviluppati nella grande
stagione del barocco romano senza, tuttavia, coglierne la complessità
e gli intendimenti concettuali più profondi e articolati.
Francesco
Baratta, Cristo Risorto, 1723
San
Miniato, scalinata del Santuario del SS. Crocifisso
già
nella chiesa di San Francesco
Foto
di Francesco Fiumalbi
STORIA
DELL'OPERA: DA S. FRANCESCO AL SS. CROCIFISSO
Nel
1612 l'Opera di San Giuliano Martire (l'istituzione che si occupava
del mantenimento e del rinnovamento del monumentale convento
sanminiatese) deliberò il rifacimento dell'altar maggiore della
chiesa conventuale. L'operazione si protrasse per alcuni anni, ma
poté dirsi davvero conclusa solamente nel 1723, quando sul nuovo
altare fu collocato il Cristo
Risorto di Francesco
Baratta. Nell'archivio del Convento di San Francesco sono rimaste le
note
di pagamento a Francesco Baratta: l'opera costò 575 lire, marmo
escluso, più altre 44 a titolo di rimborso spese di viaggio che lo
scultore intraprese per visitare la chiesa di San Miniato e per
rendersi conto del luogo dove sarebbe stata collocata la statua.
A
Roberta Roani va il merito di aver riportato alla luce la vicenda
della commissione e dell'arrivo dell'opera a San Miniato
(05).
Un
settantennio più tardi la statua fu rimossa dalla collocazione
originaria, come ebbe a scrivere Giuseppe Piombanti: «Questo
principale altare lo fecero nuovo nel 1796, di sopra togliendoci la
statua del Redentore risorto, che, nel 1723, vi era stata collocata».
(06)
L'opera
marmorea rimase “temporaneamente” in un corridoio del convento
francescano, fino al 1867. In quell'anno fu collocata nella nicchia
ricavata fra le rampe che salgono al Santuario del SS. Crocifisso, che proprio in quegli anni fu oggetto di una complessiva opera di rifacimento e sistemazione.
Questo episodio è riportato da Antonio Vensi: nel 1866 «il
Signor Cavaliere Persio Migliorati e Professor Vincenzo Maioli
(membri
dell'Opera del SS. Crocifisso, n.d.r.) riferivano
di essere stati dal Guardiano del Convento di San Francesco, Padre
Giuseppe Michi, e chiestogli la statua in marmo del Gesù Resurrexit,
da collocarsi nel muro del rondò di faccia al Palazzo Comunale, che
ben volentieri gli era stata concessa. Però con questi patti: 1. Che
i Padri intendono concederne l'uso ma non la proprietà. 2. Che l'uso
fosse quello soltanto di essere posta a decoro e ornamento del Tempio
del Santissimo Crocifisso, e collocata in una nicchi, per ivi starvi
perpetuamente. 3. Che nel piedistallo sul quale sarà posta la
statua, sia scritto un ricordo, che era stata donata dai Padri
Francescani. […]
Come
infatti il dì 17 maggio 1867, ultimati i lavori sopra descritti, fu
detta statua posta nella nicchia: come tuttora si vede. Libro delle
Deliberazioni di lettera B, a c. 9 t.»
(07).
La statua è rimasta in quella collocazione fino ai giorni nostri,
anche se non sembra esser presente alcun riferimento alla “donazione”
dei Francescani.
Francesco
Baratta, Cristo Risorto, 1723
San
Miniato, scalinata del Santuario del SS. Crocifisso
già
nella chiesa di San Francesco
Foto
di Francesco Fiumalbi
ICONOLOGIA:
CRISTO RISORTO
Dopo
aver parlato dello scultore Francesco Baratta e aver riassunto
brevemente la storia della statua con la sua ricollocazione
ottocentesca, non meno importante è cercare di comprenderne il
significato.
Per
utilizzare le parole di Rudolf Wittkover, nel Barocco, ed in
particolare nell'arte berniniana, «l'opera
d'arte deve essere compenetrata da un tema letterario, un
caratteristico e ingegnoso “concetto” che si può applicare solo
al caso particolare in questione»,
che
sia «realmente
sinonimo dell'afferrare il significato essenziale del soggetto»
e che ne costituisca «il
momento culminante».
(08)
Il tema dell'opera è fissato nella didascalia, anche se
ottocentesca: Christus
resurgens ex mortuis, jam non moritur.
Sono le parole utilizzate da San Paolo nella lettera ai Romani, nella
sua versione latina (Rm 6, 9): Cristo
è risorto dai morti, non muore più, non appartiene più alla morte.
La
Resurrezione è quel grande “mistero” su cui si fonda la fede
cristiana. «Se
non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma
se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione
ed è vana anche la vostra fede»
(1 Cor 15, 13-14).
Rimanendo
nel testo di San Paolo, seppur mutuando le parole dal profeta Isaia,
la Resurrezione è una di «quelle
cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in
cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano»
(1
Cor 2, 9). Nessuno fu testimone della Resurrezione, ma molti furono i
testimoni della nuova condizione di Gesù, non più tra i morti,
bensì fra i viventi.
Tuttavia
è difficile dare un'idea figurativa, cioè descrivere con
un'immagine, la condizione fisica di Gesù Risorto. Nei Vangeli sono
narrati molti episodi di apparizioni (alle donne al sepolcro, alla
Maddalena, agli Apostoli... etc), ma in nessuna di queste è presente
una vera e propria descrizione. Addirittura, chi lo incontra stenta a
riconoscerlo.
Solamente
alcuni particolari vengono riportati da San Giovanni Evangelista nel
libro dell'Apocalisse: «...vidi
sette candelabri d'oro e in mezzo ai candelabri c'era uno simile a
figlio di uomo, con un abito lungo fino ai piedi [...]. I capelli
della testa erano candidi, simili a lana candida, come neve. [...] e
il suo volto somigliava al sole quando splende in tutta la sua forza.
Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su
di me la destra, mi disse: Non temere! Io sono il Primo e l'Ultimo e
il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la
morte e sopra gli inferi»
(Ap. 1, 12-18). E' proprio questa la descrizione, l'immagine ricavata
dalle parole di San Giovanni, a cui dovette ispirarsi
Francesco Baratta per modellare il Cristo
Risorto.
Francesco Baratta, Cristo Risorto, 1723, particolare
San Miniato, scalinata del Santuario del SS. Crocifisso
già nella chiesa di San Francesco
Foto di Francesco Fiumalbi
Prendendo
in prestito le parole di Timothy Verdun, il Cristo
Risorto
è un'immagine in cui «i
credenti sono invitati a cercare, oltre ciò che vedono, qualche cosa
di più, magari non vista perché ancora nel futuro o che c'è ma
rimane nascosta, oppure che muti radicalmente il senso e l'aspetto
delle cose».
Ed ancora, un'immagine «che
si pone come “epifania” e “apocalisse”, manifestazione e
rivelazione»
(09),
manifestazione di Cristo risorto, di colui che vive, rivelazione del
progetto salvifico che Dio ha pensato per l'uomo e che si compie
attraverso suo Figlio: «Io
sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio; che per te e
per questi, che da te hanno avuto origine, ora parlo e nella mia
potenza ordino a coloro che erano in carcere: Uscite! A coloro che
erano nelle tenebre: Siate illuminati! A coloro che erano morti:
Risorgete! A te comando: Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho
creato perché rimanessi prigioniero nell'inferno. Risorgi dai morti.
Io sono la vita dei morti. Risorgi, opera delle mie mani! Risorgi mia
effige, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo di qui! Tu in me e io
in te siamo infatti un'unica e indivisa natura»
(Da
un’antica “Omelia sul Sabato Santo” - Ufficio delle letture del
Sabato Santo,
tratto da Patrologia
Graeca,
n. 43, 451).
Rispetto
alla felice ricollocazione al centro della scalinata che conduce al
Santuario, la scultura si configura come una “prolessi”: svela,
cioè, il significato ultimo e profondo del Christo
patient rappresentato
nell'immagine del SS. Crocifisso di Castelvecchio custodita
all'interno della chiesa. La venerata immagine sanminiatese, infatti,
rappresenta il momento del dolore, della morte. Tuttavia si tratta di
un sacrificio, dell'estremo gesto d'amore di Gesù, necessario perché
si compia la Resurrezione e sia, quindi, strumento di Salvezza per
l'umanità.
Francesco
Baratta, Cristo Risorto, 1723, epigrafe didascalica
San
Miniato, scalinata del Santuario del SS. Crocifisso
già
nella chiesa di San Francesco
Foto
di Francesco Fiumalbi
ICONOGRAFIA E DESCRIZIONE
DELL'OPERA
Da un punto di vista iconografico, Roberta Roani propone di vedere nel Cristo Risorto in bronzo collocato nell'altare del SS. Sacramento della Basilica di San Pietro (VAI ALL'IMMAGINE ↗) e nel Salvator mundi della Basilica di San Sebastiano Fuori le Mura (VAI ALL'IMMAGINE E ALLA DESCRIZIONE ↗), entrambe opere di Gian Lorenzo Bernini, i modelli da cui trasse spunto Francesco Baratta (10).
La figura del Cristo di Francesco Baratta ha una dimensione quasi a grandezza naturale. Il piccolo piedistallo parallelepipedo su cui poggia, oltre ad elevare la scultura, è funzionale a portare il volto esattamente al centro dell'arco della nicchia, che probabilmente era già stata predisposta prima che venisse lì collocata.
La figura del Cristo di Francesco Baratta ha una dimensione quasi a grandezza naturale. Il piccolo piedistallo parallelepipedo su cui poggia, oltre ad elevare la scultura, è funzionale a portare il volto esattamente al centro dell'arco della nicchia, che probabilmente era già stata predisposta prima che venisse lì collocata.
L'immagine
è concepita per una visione esclusivamente “frontale”, anche se
la sua collocazione originaria – sull'altar maggiore della chiesa
di San Francesco – prevedeva che l'illuminazione provenisse da
dietro, contrariamente alla sua posizione attuale. L'effetto,
specialmente nelle prime ore del mattino, sarebbe dovuto essere
quello di una figura completamente avvolta dalla luce:
il suo volto somigliava al sole quando splende in tutta la sua forza.
Un'idea formale, dunque, che utilizzava la luce come elemento della
composizione, una sorta di riflesso luminoso, funzionale per
descrivere con maggior efficacia il “mistero” della Resurrezione.
Tuttavia,
il volto del simulacro è comunque circondato da una raggiera
marmorea. Questa avvolge tutta la parte alta della figura e presenta
una sorta di nervatura, o ispessimento, a formare i bracci della
Croce in leggero rilievo. Con questo espediente compositivo,
idealmente, la luce è comunque presente al di dietro.
Il
Cristo è raffigurato come un uomo con il volto
disteso – seppure un po' oblungo – con i capelli che sembrano effettivamente candidi,
simili a lana candida, come neve.
Effetto certamente corroborato dal marmo di Carrara.
Il
braccio destro è sollevato e la mano si apre in un gesto che vuole
essere un saluto vittorioso, come a dire: Non
temere! Io sono il Primo e l'Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma
ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi.
La
veste è aperta e scivola verso il basso, rivelando, attraverso una
casta seminudità, la fisicità del busto. L'abito
lungo fino ai piedi
appare, piuttosto, quasi come un lenzuolo: una specie di sudario
funebre, da cui la figura, slanciandosi, si va liberando. Si potrebbe
leggere questo dettaglio come una sorta di analessi scultorea, un
richiamo alla Resurrezione, al momento in cui Gesù, tornato alla vita, si
libera del lenzuolo in cui era stato avvolto.
NOTE
BIBLIOGRAFICHE
(01)
Per un quadro completo e approfondito su Giovanni Baratta si veda: F.
Freddolini, Giovanni
Baratta 1670-1747. Scultura e industria del marmo tra la Toscana e le
corti d'Europa, «L'Erma»
di Bretschneider, Roma, 2013.
(02)
A. Matteoli, Arte e storia
del Santuario del Santissimo Crocifisso a San miniato,
in «Bollettino dell'Accademia degli Euteleti della Città di San
Miniato», n. 45, 1976, pp. 96, 98.
(03)
M. Dunn, Two
Early Documented Works by Francesco Baratta the Younger,
in «The Burlington Magazine», vol. 133, n. 1055, 1991, pp. 91-94.
(04)
F. Freddolini, Francesco
Baratta: un nome, due scultori, due secoli,
in «Nuovi Studi Rivista di arte antica e moderna», n. 15, 2010, pp.
274-278.
(05)
Archivio
Convento di San Francesco, s.n., Uscita
dell'Opera di San Giuliano Martire,
16*4-1787, cc. 112v, 117; Archivio Accademia degli Euteleti, Fondo
Varie, Carte
di Antonio Vensi,
91, Materiali
raccolti per formare il tomo I e II dei documenti per la storia di
San Miniato da Antonio Vensi l'anno 1874,
p. 506; cfr.
R.
Roani, Episodi
d'Arte e di Restauro nella chiesa di San Francesco e nella Cattedrale
di San Miniato,
in San
Miniato nel Settecento. Economia, società, arte,
a cura di P. Morelli, CRSM, Pacini Editore, Pisa, 2003, p. 219.
(06)
G.
Piombanti,
Guida
della Città di San Miniato al Tedesco. Con notizie storiche antiche
e moderne,
Tipografia M. Ristori, San Miniato, 1894,
p.
109.
(07)
Archivio
Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato, n. 87, Memorie
della Sacra Immagine e dell'Oratorio del Santissimo Crocifisso detto
del Castel-Vecchio,
c. 423; ed. A. Matteoli, Arte
e storia del Santuario del Santissimo Crocifisso a San Miniato,
in «Bollettino
dell'Accademia degli Euteleti
della Città di San Miniato», n. 45, 1976, pp. 79-80.
(08)
R. Wittkower, Arte
e architettura in Italia. 1600-1750,
3a ed., Einaudi, Torino, 1993, pp. 140-141.
(09)
T. Verdun, Cristo
nell'arte europea,
Electa, Milano, 2006, p. 198.
(10)
R. Roani, Episodi
d'Arte e di Restauro nella chiesa di San Francesco e nella Cattedrale
di San Miniato, in San
Miniato nel Settecento. Economia, società, arte,
a cura di P. Morelli, CRSM, Pacini Editore, Pisa, 2003, pp. 220-221.