di
Francesco Fiumalbi
In questa pagina è proposto un testo
molto interessante che è conservato nell'archivio privato di Alberto Lami, che
lo ha gentilmente messo a disposizione, su segnalazione di Alessio Guardini. Ad
entrambi vada il nostro più sentito ringraziamento.
Sommario del post:
PREMESSA
IL DOCUMENTO E IL CONTESTO
L’ACCUSA
PALAZZO GRIFONI
FRANCESCO LAMI
LE CASE DEI FASCISTI SONO STATE
RISPARMIATE
I FASCISTI HANNO CONTRIBUITO ALLA
DEMOLIZIONE DELLA CITTA’
PALAZZO GRIFONI DISTRUTTO, PALAZZO
FORMICHINI NO
IL RUOLO DEL CANONICO GALLI ANGELINI
LA STRAGE DEL DUOMO
I FASCISTI DOPO LA LIBERAZIONE
LA LETTERA
IL DOCUMENTO
NOTE
PREMESSA
Si tratta di una testimonianza molto
interessante, ma che risente inevitabilmente del clima convulso e drammatico dei
giorni del passaggio della guerra. Nel giro di due mesi (luglio-agosto
1944) quasi 250 civili persero la vita a causa della guerra. La
distruzione materiale e morale era palpabile ovunque. Il testo e le
considerazioni che sono proposte in questa pagina mostrano in tutta la sua
dimensione la complessità degli eventi. Purtroppo, in passato, troppo spesso
sono state operate semplificazioni abnormi, oggi inaccettabili. Dunque, la
testimonianza proposta è certamente preziosa e interessante, indicativa del clima
di quei giorni, ma è una testimonianza parziale, particolare, inserita in un
contesto assai difficile e drammatico.
La semidistruzione di Palazzo Grifoni
Foto di Cesare Barzacchi – Luglio 1944
Utilizzo
ai sensi dell’art. 70 comma 1-bis, della Legge 22 aprile 1941, n. 633
IL
DOCUMENTO E IL CONTESTO
Il documento è si intitola Prime osservazioni sugli avvenimenti del
Luglio-Agosto 1944 ed è una sorta di “memoriale” costituito da tre pagine
formato A4, suddiviso in 13 “punti”, scritti “a macchina” dal Commendatore
Francesco Lami. E’ preceduto da una lettera indirizzata ai parenti rimasti a
San Miniato – presumibilmente i cognati Eugenio Anfossi e Bianca Barnini – ed molto
interessante poiché è incentrato sulle distruzioni operate a San Miniato
dall’esercito germanico in ritirata nell’estate del ’44 ed in particolare su
Palazzo Grifoni. Pur non avendo una data precisa, possiamo presumere che sia
stato compilato nelle prime settimane della Liberazione di San Miniato, dunque
entro l’inizio del settembre 1944.
L’estate del 1944 è un periodo
cruciale per la storia sanminiatese, poiché la popolazione conobbe in tutta la
sua drammaticità l’orrore della guerra, sintetizzabile in questi brevi capitoli:
1) l’avvicinamento del fronte con le
distruzioni operate dai cannoneggiamenti e dalle incursioni aeree alleate dalla
primavera fino al mese di luglio;
2) i ripetuti ordini di evacuazione
rivolti alla popolazione civile;
3) l’allontanamento da San Miniato
delle personalità che avevano governato la città fino a quel momento,
determinando l’assenza di autorità in grado di gestire sul piano civile
l’emergenza di quei giorni;
4) l’eccidio del Duomo;
5) la ritirata dei militari germanici
e la distruzione di parte della città nel tentativo di ostacolare e rallentare
l’avanzata degli Alleati;
6) l’arrivo degli Statunitensi a San
Miniato il giorno 24 luglio 1944;
7) i successivi 40 giorni con i due
eserciti che si fronteggiarono lungo la linea della ferrovia e poi lungo le
sponde dell’Arno (01).
L’ACCUSA
Tornando al documento, l’attenzione
dell’autore è concentrata prevalentemente sui danni al patrimonio immobiliare
ed in particolare sulla semi-distruzione di Palazzo Grifoni e dell’annessa
fattoria, di sua proprietà. Infatti, fra il 18 e il 21 luglio 1944, i militari
germanici presenti a San Miniato, ormai in procinto di ritirarsi, avevano
provveduto ad allontanare la popolazione dalle abitazioni e a minare numerosi
edifici lungo tutta la dorsale cittadina. Lo scopo era quello di sbarrare la
strada con le macerie nel tentativo di ritardare l’avanzata agli Americani –
che giunsero effettivamente a San Miniato la mattina del 24 luglio – confidando
così di godere di una ritirata più agevole.
Francesco Lami cercando di comprendere
la “logica” della distruzione degli edifici, formula un’accusa gravissima: La
demolizione di S. Miniato è stata voluta dai tedeschi d’accordo coi fascisti
samminiatesi (preti compresi). I sanminiatesi, ed in particolare i
fascisti rimasti a San Miniato, con la complicità più o meno palese da parte
anche di sacerdoti, avrebbero indicato ai militari della Wehrmacht quali
edifici abbattere e quali risparmiare.
Certamente durante il passaggio del
fronte, la popolazione viveva in condizioni drammatiche ed estreme, cercando di
sopravvivere a tutti i costi, sebbene immersa in un generale clima di paura,
caratterizzato da tensioni e sospetti, soprattutto rivolti ad alcune
personalità sanminiatesi che avevano convintamente aderito al fascismo negli
anni precedenti. Dunque, si tratta di un documento da leggere con molta
attenzione, ma anche con spirito critico, confrontandolo, com’è d’obbligo in
questi casi, con le altre fonti disponibili.
San Miniato. Palazzo Barnini e Cassa
di Risparmio
Cartolina fine anni ’20 del ‘900
Utilizzo
ai sensi dell’art. 70 comma 1-bis, della Legge 22 aprile 1941, n. 633
PALAZZO
GRIFONI
Prima di entrare nel merito del documento,
vale la pena spendere alcune parole su Palazzo Grifoni e su come ne era entrato
in possesso (almeno in parte) Francesco Lami.
L’edificio più elegante e prestigioso
di San Miniato fu fatto costruire da Ugolino Grifoni nella seconda metà del
‘500. Rimase di proprietà Grifoni fino al matrimonio celebrato nella seconda
metà dell’800 fra Eleonora di Gaetano Grifoni e Giacianto Catanti Boezi, di
famiglia originaria di Calci. Nel 1909 i Catanti alienarono il palazzo, che fu
acquistato da Augusto Barnini. Quest’ultimo era una personalità di primissimo
piano nella società sanminiatese del tempo: possidente, Pro-Sindaco di San
Miniato dal 1908 al 1911, Direttore della CRSM dal 1915 al 1916, Presidente del
Comitato di Mobilitazione Civile nel 1915, Socio della Società Storica della
Valdelsa e Consigliere della Geofila “Società anonima agricoltura industriale”.
Morì nel novembre 1916 e fu sepolto a Certaldo nella cappella di famiglia (02). Augusto Barnini aveva due figlie:
Bianca sposò Eugenio Anfossi, mentre Engilda, detta “Gilda”, sposò Francesco
Lami. Fu proprio il matrimonio con la figlia di Augusto Barnini che consentì a
Lami di raggiungere un rango sociale elevato nel panorama sanminiatese.
FRANCESCO
LAMI
Francesco Lami nacque a La Scala nel
1894. Diplomatosi in Ragioneria, conseguì la Laurea in Scienze Economiche e
Commerciali e il suo primo impiego fu come “avventizio” negli uffici
dell’amministrazione comunale di San Miniato. In breve tempo conquistò un ruolo
sociale molto elevato, tanto da essere eletto Presidente del Comitato “Pro
Caduti” di La Scala, che nel 1921 si adoperò per la realizzazione dell’epigrafe
commemorativa, presso la chiesa di San Pietro alle Fonti, dedicata ai Caduti di
quella frazione (03). Dal 30 dicembre 1926 al 26 dicembre
1933 fu Direttore della Cassa di Risparmio di San Miniato. Insignito
dell’onorificenza di Commendatore, nei primi anni ’30 divenne Presidente della
Commissione Amministratrice del Regio Conservatorio di Santa Chiara. E fu
proprio Francesco Lami, il 6 novembre 1932, ad accogliere presso l’istituto di
via Roma il Re Vittorio Emanuele III, giunto in visita a San Miniato per
inaugurare la nuova sede della Misericordia a Palazzo Roffia e il nuovo
Sacrario di Santa Maria al Fortino (04).
In seguito, fu Direttore della Banca
Nazionale del Lavoro di Firenze e conseguì una seconda laurea in Agraria,
dedicandosi con impegno all’azienda di famiglia. Infatti, oltre all’attività
nel mondo degli istituti bancari, Francesco Lami fu impegnato anche nella
gestione dell’azienda agricola e zootecnica che era stata del suocero Augusto
Barnini. Nel 1931 partecipò alla I
Rassegna della Razza Chianina a San Miniato nella qualità di Presidente del
Consorzio Allevatori del Samminiatese con la Fattoria “Eredi Barnini” (05). La II Rassegna Zootecnica si tenne nella primavera del 1933 e vide
ancora impegnata la “Eredi Barnini”, così come nel mercato del bestiame del
1934 (06). Nel 1940 la “Eredi
Barnini” fu annoverata come esempio per il particolare contributo all’attività
zootecnica nel territorio sanminiatese (07).
Francesco Lami non sembra prendere
parte attiva alla politica sanminiatese e alle varie iniziative del regime
fascista. Tuttavia, nel 1933 fu nominato presidente dell’Opera Nazionale
Balilla di San Miniato (08). Non
sappiamo se la sua fosse un’adesione convinta o dettata da una mera questione
d’interesse. D’altra parte, in quegli anni, chiunque avesse un ruolo
socio-economico di prestigio non poteva non essere coinvolto in una delle tante
iniziative del regime fascista. Dunque, non sappiamo con quale animo
affrontasse la notizia della caduta di Mussolini del 25 luglio 1943 e il
successivo Armistizio di Cassibile dell’8 settembre successivo. Dai toni con
cui si esprime nel testo non sembra essere stato un fascista, ma non si esprime
neppure con i toni propri dei membri delle formazioni antifasciste.
Probabilmente era un “indipendente”, un uomo dell’alta borghesia, una
personalità erudita, che rifuggiva dalla retorica della politica e
difficilmente poteva sentirsi rappresentato da una specifica ideologia. Come è
facile da immaginare, vista la sua elevata posizione sociale, era in contatto
con i maggiorenti sanminiatesi del tempo, fascisti e non.
Nel Secondo Dopoguerra fece parte di
molti enti culturali e assistenziali e fu accademico degli Euteleti. Il suo
impegno nel campo agricolo lo vide contribuire al Consorzio Zootecnico di San
Miniato e del Consorzio del Vino delle Colline Sanminiatesi. Morì il 4 dicembre
1963 (09).
LE
CASE DEI FASCISTI SONO STATE RISPARMIATE
Francesco Lami, motivò l’accusa che
vedeva il diretto coinvolgimento dei fascisti sanminiatesi nella distruzione
delle abitazioni di San Miniato, con alcune constatazioni. La prima di queste
fu che le case dei fascisti furono tutte risparmiate (Capponi, Novi,
Formichini, Panfin, Vescovo e Galli Angelini), mentre quelle degli antifascisti
furono tutte demolite. L’affermazione non è veritiera e alcuni dettagli
meritano di essere approfonditi.
La casa di Sabatino Novi (già
Segretario Politico del Fascio di San Miniato) si trovava in Piazza XX
Settembre e la sua eventuale distruzione non avrebbe procurato quella
“barriera” di macerie che i tedeschi volevano utilizzare per sbarrare la
strada. La casa Pietro Panfin (Agente agrario del Conservatorio di Santa Chiara
e noto fascista) era situata in via Carducci e si trovava “aggrappata” alla
costa della strada per cui, se fosse stata demolita, le macerie sarebbero
andate in valle e non sulla strada. Stesso discorso per la casa di Ugo Capponi
(1903-1964, membro del direttorio del fascio sanminiatese) poiché distante da
via Roma e quindi la sua distruzione sarebbe stata inutile.
Sulla casa del Vescovo, cioè
l’Episcopio, forse altre ragioni spinsero a non demolirlo: su tutte il fatto
che la Curia Vescovile rimase l’unico punto di riferimento istituzionale per i
sanminiatesi durante i giorni del passaggio del fronte. Su Palazzo Formichini e
sull’abitazione del Canonico Galli Angelini, invece, torneremo in seguito.
La semidistruzione di Palazzo Grifoni
e della Cassa di Risparmio di San
Miniato
Foto di Cesare Barzacchi – Luglio 1944
Utilizzo
ai sensi dell’art. 70 comma 1-bis, della Legge 22 aprile 1941, n. 633
I
FASCISTI HANNO CONTRIBUITO ALLA DEMOLIZIONE DELLA CITTA’
La seconda constatazione riguarda il
fatto che i fascisti sanminiatesi avrebbero guidato i tedeschi nell’opera di
demolizione, di saccheggio e di depredazione. Questo aspetto risulta plausibile
e, in definitiva, veritiero. Numerosi testimoni, fra cui l’impiegato comunale
Giuseppe Zucchelli e il Maresciallo dei Carabinieri Pietro Conforti,
dichiararono di aver visto l’elenco delle abitazioni da demolire: una lista
scritta in italiano, con ottima calligrafia, contenente l’indicazione dei nomi
e dei cognomi dei proprietari, gli indirizzi e i numeri civici. Non è noto l’autore dell’elenco, ma l’ipotesi
più verosimile – avanzata da Paolo Paoletti – è che sia stato compilato dal
Commissario Prefettizio Genesio Ulivelli, prima di allontanarsi dalla città,
nei giorni che precedettero le demolizioni e quindi la Liberazione di San
Miniato. C’è da dire che le
conclusioni della Relazione Giannattasio esclusero responsabilità delle
autorità civili, ma va anche ricordato che Genesio Ulivelli,
nonostante fosse stato l’ultimo Commissario Prefettizio nominato dalla RSI,
sedeva nei banchi della nuova Giunta di Liberazione! (12). Inoltre, è del tutto ragionevole che i militari germanici si
facessero coadiuvare dai fascisti rimasti, anche e soprattutto per requisire
beni e materiali da destinare alle truppe – che agivano in ranghi ridotti e con
ampio razionamento di materiali e cibo – ma anche in operazioni di vero e
proprio sciacallaggio. Va ricordato, tuttavia, che alcune personalità vicine
alle posizioni dei fascisti si comportarono ugualmente in favore della
popolazione. Ad esempio, lo stesso Ugo Capponi si impegnò, assieme al Vescovo
Ugo Giubbi e alla Cassa di Risparmio, per la liberazione degli ostaggi che era
stati catturati dai militari tedeschi a seguito dell’uccisione di un
maresciallo germanico presso La Catena. L’intervento di Ugo Capponi risultò
determinante nel salvataggio degli innocenti che rischiarono di morire per
rappresaglia (13).
PALAZZO
GRIFONI DISTRUTTO, PALAZZO FORMICHINI NO
La terza constatazione riguarda
l’atteggiamento di Piero Formichini. Quest’ultimo consigliò al Lami di
abbandonare la città e di lasciare i beni mobili e gli indumenti presenti a
Palazzo Grifoni in custodia presso il suo palazzo. Tale circostanza fece
ipotizzare al Lami che il Formichini avesse la certezza che il suo palazzo non
sarebbe stato distrutto e questa sarebbe stata la prova provata che egli agisse
in accordo con i militari germanici. Tale circostanza, tuttavia, non è
veritiera.
Piero Formichini era il padre di
Filippo Formichini, podestà fascista di San Miniato dal 1933 al 1935, che era
rientrato a San Miniato dopo l’8 settembre, dopo essere stato in guerra poiché
era capitano di vascello. La figlia, invece, era crocerossina. Quel che
successe a Palazzo Formichini è degno di nota, poiché fu effettivamente minato
dall’esercito tedesco, ma fu salvato grazie ad un’operazione di sabotaggio da
parte di un soldato intenzionato a disertare. La vicenda è narrata in una
lettera che lo stesso Piero Formichini scrisse al Prof. Gimmelli, pubblicata
nel 1986. Queste le sue parole (14):
Il
19 luglio potei mettermi in contatto con un polacco della squadra dei
distruttori tedeschi, riuscendo così, in collaborazione col dott. Cassata, a
far sparire l’esplosivo già portato per far saltare la casa Donati […]. Avevo
combinato anche che sarebbe stata sabotata la cassa di esplosivo posta nella
nostra casa di Via 4 Novembre 16, e la diserzione del polacco stesso che la
sig.ra Laura Mori durante la notte, coraggiosamente, avrebbe guidato verso
Collebrunacchi ove lo avrei fatto nascondere; ma purtroppo all’ultimo momento
la carica che doveva essere sabotata non lo fu ed esplose, distruggendo quella
nostra casa, e il polacco non si presentò. Quello scoppiò provocò gravi danni
anche alla nostra casa di via 4 Novembre 15 […].
Palazzo Grifoni, oggi sede della
Fondazione CRSM
Foto di Francesco Fiumalbi
IL
RUOLO DEL CANONICO GALLI ANGELINI
La quarta constatazione di Francesco
Lami riguarda il fatto che i militari germanici non avessero alcuna intenzione
di demolire Palazzo Grifoni, poiché distante dalla strada e dunque tale
circostanza sarebbe stata voluta dai fascisti del luogo per vendetta nei suoi confronti.
In realtà la demolizione della parte orientale del palazzo e della sede della
Cassa di Risparmio era funzionale al blocco di via di Borgonuovo, la strada che
corre parallela a via IV novembre.
In questo scenario entra in gioco il
Canonico Francesco Maria Galli Angelini, che era stato notoriamente vicino alle
posizioni dei fascisti, accusato di non essersi adoperato per salvare Palazzo
Grifoni, dichiarato “Monumento Nazionale”, dato il suo ruolo di Ispettore
onorario della Soprintendenza, e tenuto presente che all’interno dell’edificio
si trovavano oggetti provenienti da un non meglio precisato Museo di Pisa.
Com’è noto il Palazzo Grifoni fu
scelto quale luogo “sicuro” ove sistemare alcune opere, così come vennero
rinvenute dagli ufficiali del governo alleato incaricati di verificare lo stato
di conservazione delle opere d’arte italiane. Il 24 agosto 1944 giunse a San
Miniato il Capitano Deane Keller, in servizio al Monument, Fine Arts and
Archives Office del 5° Armata Statunitense, che redasse un sintetico rapporto
sulle condizioni della città. Soffermandosi su Palazzo Grifoni annotò la
semidistruzione del palazzo, ma anche il buono stato di conservazione delle
opere qui conservate. Lami, nel suo “memoriale”, parla di quadri e statue del museo di Pisa, ma il militare statunitense
rinvenne solamente casse contenenti libri, manoscritti e quadri provenienti da
Livorno. Può darsi che nel mese intercorso alcune opere fossero state spostate
altrove. Di seguito il rapporto del Capitano Keller (15):
The
right alf of this Rennaissance Palace is absolutely flat on the ground. Yje
other half is preserved almost perfectly – hardly a shrapnel nick. In this half
the 32 boxes of books, mss., etc., and the pictures from Livorno are preserved
in perfect condition. The Germans opened one of the sealed boxes, but
apparently took nothig. In contained books. The place may be mined and
booty-trapped. The caretaker blocked all access to the deposit with salvaged
doors and beams, and the rooms are under lock and key. Seams safe.
Tornando al Canonico Galli Angelini,
nel suo diario personale, affermò di aver tentato di salvare la città dalle
distruzioni, almeno per quanto riguardava i suoi monumenti. Purtroppo, ottenne
una risposta evasiva e, nella drammaticità di quei giorni, probabilmente gli fu
impossibile fare di più. Queste le sue parole riportate nel suo Diario (16):
20
Luglio. […] Io, circa le ore 12 (legali) mi reco al Comando tedesco, nel Villino
Fiore, per scongiurare la distruzione della rocca, del duomo, del Palazzo
Grifoni e degli altri edifici storici e monumentali della città. Mi si risponde
che il Comandante partirà la sera stessa e di non potere assumersi
responsabilità con promesse che non può garantire, dovendo lasciare ad altri il
comando. Nella sera inoltrata e nella notte dal 20 al 21 luglio, sono state
fatte saltare con le mine molte case di San Miniato.
21
Luglio. Nella mattinata si apprende che sono state fatte saltare con le mine,
la notte precedente, la Cassa di Risparmio e metà del Palazzo Grifoni e molte
altre case di San Miniato. Con grande perplessità sono uscito di Seminario e
sono andato fino al Ponte della vecchia pretura [la porta “Toppariorum”, fra la Torre degli
Stipendiari e l’Hotel Miravalle, n.d.r.] e
ho vedute salve la casa mia e la misericordia.
Queste sue ultime considerazioni – ho vedute salve la casa mia e la
misericordia – lasciano intendere che il Canonico Galli-Angelini non avesse
avuto materialmente la possibilità di “salvare” la propria abitazione, che si
trovava al di sotto dell’Hotel Miravalle e il cui accesso avveniva da via
Augusto Conti, di fronte al Palazzo Roffia sede della Misericordia. Dalle
testimonianze dell’epoca sappiamo che sia il Palazzo della Misericordia che l’edificio
di fronte (ovvero l’ingresso alla casa del Galli Angelini) vennero
effettivamente minati. Tuttavia non furono demoliti.
LA
STRAGE DEL DUOMO
I
FASCISTI DOPO LA LIBERAZIONE
Oltre a quanto detto nei paragrafi
precedenti, risultano interessanti alcune osservazioni a proposito dei giorni
immediatamente successivi alla Liberazione di San Miniato (24 luglio 1944).
Infatti, secondo quanto annotato da Francesco Lami, alcuni fascisti
sanminiatesi avrebbero continuato a collaborare con i militari germanici – che
si attestavano nella pianura tra la ferrovia e l’Arno – attraverso opere di
sabotaggio, come il taglio di fili telefonici, piccoli sabotaggi, attività di
segnalazione. Ciò è del tutto plausibile. Per rimanere in Toscana, è nota la
vicenda dei “franchi tiratori” a Firenze nei giorni immediatamente successivi
alla Liberazione e che provocarono un clima di terrore fra la popolazione
appena liberata (17). Su questo
aspetto, tuttavia, la storiografia sanminiatese è carente e non sono
disponibili, al momento, ulteriori testimonianze.
LA
LETTERA
Di seguito è proposta la trascrizione
della lettera inviata da Francesco Lami ai suoi congiunti, a corredo della
quale fu inviato anche il “memoriale”.
Genovini,
1° Sett. 1944
Carissimi,
Vi
ringrazio sentitamente per le vostre lettere tanto affettuose per me e per la
piccola.
Sono
state giornate, giornate e notti veramente terribili e piene di sofferenze
atroci, centuplicate al mio cuore di padre dalla presenza della piccola e dal
pensiero che essa pure, a quella tenera età, soffriva, vittima innocente di
tanta crudeltà e feroce bestialità!
Dal
24 Luglio, giorno in cui lasciammo S. Domenico a tutto ieri, le giornate non
sono state buone, specialmente per me (che, non avendo più venti anni, sento
più acutamente le preoccupazioni dei pericoli, i guai e gli incomodi) e per la
Lallina, dato anche il suo deperimento: innumerevoli e fragorosissime cannonate
in partenza e purtroppo alcune anche in arrivo ogni giorno e ogni notte, mosche
in numero enorme che non danno tregua e, in mancanza di cibo, pinzano anche
attraverso le calze e la camicia, caldo insopportabile, polvere, se si scende
in istrada, che mozza il respiro, impossibilità di prendere un bagno ecce cc.
Speriamo
che il mese di Settembre che oggi si inizia ci liberi da alcuno di questi
flagelli! Io, per ciò che mi riguarda, cerco di dimenticarli colla
rassegnazione e scrivendo comparse conclusionali, memorie ecc.
Vi
do la buona notizia che tutti i libri, registri, documenti riguardanti
l’amministrazione, comprese le cartelle che erano in biblioteca, sono stati
salvati e asportati dal palazzo nel giorno in cui io e la consorte ci parlammo
colà per sapere se era vera o non la notizia, che circolava in città, che i
tedeschi avrebbero fatto saltare il palazzo.
Vi
mando poi un rapporto supplementare riguardante gli avvenimenti del mese di
agosto: vi prego di rendermelo e di farmene una o due copie (sarebbe bene mi
mandaste, se potete, un po’ di carta carbone: non avendone non posso
contemporaneamente all’originale, battere qualche copia. Grazie per i giornali.
Vi
confermo che, per ciò che concerne la campagna, i guai nostri, sino ad oggi,
non sono enormi, come risulta dalle relazioni che vi ho inviato e da quella di
cui sopra (per quanto ivi non siano indicati tutti i danni: per es. Armando mi
diche che nel grano appare la gatta porcina: inoltre nulla vi posso ancora dire
dei fondi di Roffia, per quanto, secondo le ultime notizie, le case coloniche
sono sì aperte, ma tuttora in piedi, le bestie sono state salvate da noi. Il
tabacco fiorito sì, ma in istato discreto, l’uva pure in istato discreto).
Per
ciò invece che concerne il palazzo, la fattoria e la casa dei RR.CC. i guai
sono ben gravi!
P.S.
Prego di dire all’avv. Arrighi, se non ancora ha liberato quella somma di
500/m, di liberarla subito, perché dal 9 giugno sono passati oramai tre mesi e
anche la più grande pazienza ha un limite.
IL
DOCUMENTO
PRIME
OSSERVAZIONI SUGLI AVVENIMENTI DEL LUGLIO – AGOSTO 1944
La
demolizione di S. Miniato è stata voluta dai tedeschi d’accordo coi fascisti
samminiatesi (preti compresi). Infatti:
1)
Le case appartenenti a fascisti, salve pochissime eccezzioni, sono state
risparmiate (casa del Capponi, del Novi, del Formichini, del Panfin, del
Vescovo, del Can. Galli ecc.). Le case appartenenti a persone contrarie al
fascismo sono state invece tutte demolite.
2)
Persone degne di fede (fra le quali il parroco di Moriolo) sono venute a riferirmi
che i fascisti guidavano i tedeschi nell’opera di demolizione, di saccheggio,
di depredazione, (per es. il Capponi indicò ai tedeschi l’esistenza di due
cavalli nella mia stalla e li condusse egli stesso ivi mostrando loro i due
cavalli dei quali infatti i tedeschi si impossessarono, ecc.)
3)
Allorquando il giorno 18 luglio, dopo la parziale demolizione della mia
fattoria, io, unitamente ai miei, minacciati al pari di me, di fucilazione, vi
feci ritorno accompagnato dal Panfin per chiedere ai tedeschi se potevo
rimanervi e fui nuovamente minacciato di fucilazione se non avessi subito
abbandonato S. Miniato, notai che il Formichini rimaneva invece indisturbato
davanti al suo palazzo. Il Formichini stesso mi consigliò di abbandonare S.
Miniato. Egli, rimase invece ivi tranquillamente, il che sta a significare in
modo indubbio che egli erasi messo, come il Capponi ed altri daccordo con i
tedeschi nel senso che le loro persone non sarebbero state toccate, come non lo
furono, dai tedeschi. E’ resultato inoltre che la figlia del Formichini era
ritornata il giorno prima da Firenze, vestita da crocerossina e munita di
documenti del Comando tedesco che assicuravano al Formichini, famiglia e cose
sue, l’incolumità e la intangibiltà.
4)
Il comando tedesco non aveva alcuna intenzione di far saltare con la dinamite
il palazzo, sia perché questo era lontano dalle vie che i tedeschi intendevano
ostruire con macerie, sia per il gentile trattamento da noi fatto ai militari
tedeschi che avevano chiesto ed ottenuto alloggio ivi, come ripetutamente
ebbero a dichiararsi i graduati e soldati tedeschi che ivi alloggiavano. La
demolizione effettuata diversi giorni dopo fu pertanto l’effetto,
evidentemente, di nuove disposizioni date dai fascisti del luogo.
5)
Allorquando io, per eccesso di prudenza, asportai i mobili e indumenti dal
palazzo, nel giorno 20 luglio (essendo corsa la voce che sarebbe stato demolito
dai tedeschi) il Formichini ci invitò a lasciare parte dei mobili e indumenti (
che difficilmente avremmo potuto trasportare fino al convento di S. Domenico)
nel suo palazzo, il che sta nuovamente a significare che egli aveva la certezza
che il suo palazzo non sarebbe stati, come non lo fu, minato. Ora egli cercherà
di farsi amici gli Americani, fingendosi americanofilo, ma si spera sarà
smascherato.
6)
Il palazzo dell’Avv. Taviani, noto antifascista, fu fatto saltare nonostante
egli avesse tentato di salvarlo versando una cospicua somma (£. 100.000.) ai
tedeschi.
7)
Il Can. Galli, noto fascista e filotedesco – tanto che arrivò al punto di
arringare sotto i chiostri, il popolo samminiatese e di incitarlo a portarsi,
in Germania a lavorare ivi – temendo per la sua casa, provvide a porre sulla
porta della stessa un cartello nel quale, a caratteri cubitali, era scritto che
detta casa era sotto la protezione della Città del Vaticano e, come tale,
intangibile. Invitato per ben due volte dal Giunti Aldo, custode dei quadri e
statue del museo di Pisa esistenti nel Palazzo Grifoni, a porre un cartello
sulla porta del Palazzo Grifoni attestante il carattere di monumento nazionale
del palazzo stesso, fece – nonostante la qualifica di sopraintendente ai
monumenti nazionali e nonostante avesse presenziato, in tale qualità, alla
introduzione nel palazzo dei siccitati quadri e statue del museo di Pisa,
orecchi da mercante, dimostrando così, non solo di preporre sfacciatamente e
vigliaccamente (data la sua veste di fascista e filogermanico e inglesofobo) il
suo individuale interesse a quello collettivo, ma di calpestare quest’ultimo e
di infischiarsene della demolizione del Palazzo Grifoni, della quale
demolizione egli è pertanto, col suo contegno volutamente negativo, complice e
responsabile civilmente e penalmente (avendo inteso, evidentemente di
vendicarsi, così delle giuste pubbliche accuse mossegli anni ora sono dal
Lami).
8)
L’introduzione in alcune chiese (Duomo – S. Domenico) e l’esplosione di bombe
nel Duomo, fu l’effetto di un accordo fra fascisti e tedeschi e, per lo meno, i
fatti stanno a dimostrare che i primi erano al corrente dell’introduzione di
dette bombe in tali chiese e colpevoli di aver cooperato, col loro contegno
volutamente negativo a tale scempio. Si afferma da parecchi samminiatesi
scampati miracolosamente allo eccidio che i tedeschi e anche il Vescovo, noto
filofascista o fascista, che nel Duomo invitò i “fratelli dilettissimi” a
pregare, “potendo la morte essere imminente”, consultavano, sino a pochi minuti
prima dello scoppio delle bombe, i propri orologi e che il Vescovo, pochi
minuti prima dello scoppiò, abbandonò il tempio. Posta anche che se al Vescovo
fosse stato dai tedeschi imposto di tacere, egli non avrebbe dovuto – se quanto
si afferma risponde a verità – entrare nel Duomo, poiché la sua presenza
determinò indubbiamente molti ad entrarvi, e non avrebbe dovuto, comunque,
abbandonare il suo gregge al momento fissato per l’eccidio, il che forse
avrebbe evitato lo scempio.
9)
Dopo l’occupazione di S. Miniato da parte degli americani è continuata e
continua l’opera di ostilità alle forze e operazioni militari americane e di
collaborazione alle operazioni militari germaniche da parte dei fascisti
iscritti e non iscritti al partito repubblicano, per esempio: taglio di fili
telefonici, segnalazioni ai tedeschi, furti di oggetti appartenenti alle forze
americane, ecc. Orbene, è resultato che costoro sono quasi esclusivamente quei
tale le cui case sono state salvate totalmente o quasi totalmente. Ciò è altra
conferma che lo scempio di S. Miniato fu l’effetto di un accordo fra fascisti e
tedeschi e che, in virtù di tale accordo, ai fascisti si impegnarono ad aiutare
nell’avvenire i tedeschi, in corrispettivo del salvataggio delle loro case e a
titolo di gratitudine verso i tedeschi (divenuti strumento delle loro
antipatie, odii, e vendette) per aver essi demolito le case delle persone loro
invise.
10)
Quando nella mattina del 20 luglio 1944 io mi portai nel palazzo per evitare
che questi venisse demolito dalle mine tedesche, rilevai una strana
contraddizione tra quanto a noi era stato riferito dai sanmminiatesi sulla
sorte del palazzo, e le affermazioni dei graduati tedeschi ivi banchettanti.
Mentre cioè in paese ci era stato assicurato, sulla base di un elenco che
diversi samminiatesi avevano visto e nel quale figuravano le case di S. Miniato
che dovevano essere demolite con la dinamite, che la nostra casa era nel novero
delle case da demolire, i tedeschi che si trovavano nel palazzo non solo
negarono ciò, ma mostrarono la più alta meraviglia e quasi mi trattarono di
visionarlo e solo dichiararono che non potevano escludere che il palazzo
venisse in avvenire non demolito, ma danneggiato da qualche cannonata americana
o tedesca. Ciò adunque starebbe a dimostrare che la demolizione del palazzo non
fu tanto voluta dai tedeschi quanto dai compilatori dell’elenco (sergente paracadutista
ed altri) in combutta coi fascisti o filofascisti samminiatesi, o, comunque,
ostili a noi rimasti a S. Miniato.
11)
Quando il 30 luglio andai a Corazzano e trovai diversi samminiatesi (Scali,
Corsi, figlio di Marianelli eCo) nessuno mi fece le condoglianze del caso
occorsomi. Quando ai primi di Agosto ricevetti la visita dell’Avv. Gazzini e
della sua fidanzata, costui mi disse che da Marzana, ove attualmente dimora,
aveva notato la demolizione parziale del mio palazzo e ciò era spiaciuto tanto
a lui come samminiatese! Nessun dispiacere aveva dunque provato per coloro che
si erano sempre adoperati per il bene di S. Miniato e che fino agli ultimi
momenti di permanenza nel palazzo si erano prodigati per i samminiatesi, ma
unicamente aveva sofferto come cittadino di S. Miniato!
Può
darsi che la parola abbia tradotto male il suo pensiero e che egli avesse
inteso significare quale fu il suo precipuo dolore, comunque, se così parla un
amico, si può pensare come parlerà una persona indifferente, o peggio, ostile a
noi e giova concludere che è bene seguire il consiglio (da me dato anni
addietro) di vendere tutto e abbandonare S. Miniato i cui cittadini hanno
evidentemente l’abitudine di compensare colla ingratitudine, colla maldicenza e
con la sadica gioia per le sventure altrui, coloro dai quali sono stati
costantemente beneficiati.
12)
Il guardia mi ha riferito che i tedeschi giorno or sono hanno acciuffato tre
uomini, dei quali due sessantenni, li hanno obbligati a lavorare indi di notte
li hanno rinchiusi in una casa in prossimità dell’Arno ed hanno cannoneggiato
ferocemente detta casa fino a demolirla. Questi tre disgraziati si sono salvati
miracolosamente in un sottoscala e nella mattinata successiva hanno potuto
raggiungere le truppe americane. Questi delitti bollano per l’eternità il
popolo e l’esercito germanico con marchio dell’infamia e del disonore.
13)
I tedeschi hanno pubblicato dei bollettini nei quali hanno comunicato al
mondo…. Degli imbecilli, che S. Miniato, essendo stato demolito quasi
completamente dalle bombe degli aeroplani anglo-americani, hanno dovuto essere
abbandonato dalle truppe tedesche. E pensare che su S. Miniato non è caduta
neppure una bomba degli anglo-americani.
La
menzogna elevata a sistema, la beffa aggiunta ai danni apportati alle terre
occupate ecco un'altra delle salienti virtù di questo miserabile esercito di
delinquenti, meritevole di essere distrutto unitamente al popolo da cui deriva,
ab imis fundamentis.
Francesco Lami, Prime osservazioni sugli avvenimenti del Luglio-Agosto 1944. Pagina 1
Archivio privato Alberto Lami, per gentile disponibilità
Francesco Lami, Prime osservazioni sugli avvenimenti del Luglio-Agosto 1944. Pagina 2
Archivio privato Alberto Lami, per gentile disponibilità
Francesco Lami, Prime osservazioni sugli avvenimenti del Luglio-Agosto 1944. Pagina 3
Archivio privato Alberto Lami, per gentile disponibilità
NOTE
(01)
Per un quadro generale sul passaggio
del fronte della Seconda Guerra Mondiale dal Medio Valdarno Inferiore e dal
territorio sanminiatese (escluso episodio della Strage del Duomo) si veda: San Miniato durante la Seconda Guerra Mondiale
(1939-1945) Documenti e cronache,
Amministrazione Comunale di San Miniato, Biblioteca Comune di San Miniato,
Giardini Editori, Pisa, 1986; C. Biscarini e G. Lastraioli, «Arno-Stellung».
La quarantena degli Alleati davanti a Empoli (22 luglio – 2 settembre 1944),
«Bullettino Storico Empolese», vol. IX, anni XXXII-XXXIV, Associazione
Turistica Pro Empoli, Tip. Barbieri, Noccioli & C., Empoli, 1991.
(02)
R. Boldrini, Dizionario Biografico dei Sanminiatesi (secoli X-XX), Comune di San
Miniato, Pacini Editore, Pisa, 2001, pp. 160-161; Gazzetta Ufficiale del Regno
d’Italia, n. 293 del 14 dicembre 1916, p. 1623.
(03)
«La Vedetta», Anno
III, n. 32, del 14 agosto 1921, p. 3.
(04) «Il Corriere del Tirreno»,
anno LXI, n. 263 del 7 novembre 1932, p. 2
(05)
«Il Ponte di Pisa», Anno XXXIX, n. 39
del 24-25 ottobre 1931, p. 2; n. 41 del 7-8 novembre 1931, p. 2; n. 42 del
14-15 novembre 1931, p. 2.
(06)
«Il Ponte di Pisa», Anno XLI, n. 21
del 20-21 maggio 1933, p. 3; «Il Ponte di Pisa», Anno XLII, n. 12 del 24-25
marzo 1934, p. 3
(07)
V. Palmarocchi, Il Comune di S. Miniato e la sua importanza agricola, Ispettorato
Provinciale dell’Agricoltura, Pisa, 1941, in San Miniato durante la Seconda Guerra Mondiale (1939-1945). Documenti e
cronache, Comune di San Miniato, Biblioteca Comunale di San Miniato,
Giardini Editori, Pisa, 1986, pp. 10-14: 14.
(08)
«Il Ponte di Pisa», Anno XLI, n. 27
del 1-2 luglio 1933, p. 3.
(09)
La
scomparsa del Comm. Francesco Lami,
in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato», n.
36, San Miniato, 1964, pp. 165-166.
(10)
R. Boldrini, Dizionario Biografico dei Sanminiatesi (secoli X-XX), Comune di San
Miniato, Pacini Editore, Pisa, 2001, p. 223.
(11)
«La Voce Fascista», Anno I, n. 21 del
4 novembre 1922.
(12)
P. Paoletti, 1944 San Miniato. Tutta la verità sulla strage, Mursia Ed. Milano,
2000, pp. 25-27.
(13)
E. Cintelli, Un baule per la libertà. La Catena 1944. Un borgo prima, durante e dopo
il passaggio della Seconda Guerra Mondiale. Fatti, testimonianze, documenti,
FM Edizioni, San Miniato, 2013, pp. 31-33.
(14)
Archivio Privato Alessio Alessi, in San Miniato durante la Seconda Guerra Mondiale
(1939-1945) Documenti e cronache,
Amministrazione Comunale di San Miniato, Biblioteca Comune di San Miniato,
Giardini Editori, Pisa, 1986, pp. 128-131.
(15)
National Archives, Washington DC,
Holocaust-Era Assets, Roberts Commission – Protection on Historical Monuments, Monuments, Fine Arts and Archives Brunch
(MFAA) Field Reports, Tenth Monthly Report, August 1944, n. 1537270, p. 169.
(16)
Archivio dell’Accademia degli Euteleti
della Città di San Miniato, Fondo Galli
Angelini, Note di Diario di Francesco Maria Galli Angelini; ed. F.
Mandorlini, Diaristica religiosa nella
diocesi di San Miniato. La guerra vista in parrocchia, in convento, in
monastero, in Abbiamo fatto quello
che dovevamo. Vescovi e clero nella provincia di Pisa durante la Seconda Guerra
Mondiale, a cura di S. Sodi e G. Fulvetti, Edizioni ETS, Pisa, 2009, pp.
176-178.
(17)
P. Paoletti, Firenze Agosto 1944. Alleati, Tedschi, C.T.L.N., partigiani e franchi
tiratori nel mese più sanguinoso della storia fiorentina, Edizioni Agemina,
Firenze, 2004, pp. 161-176.