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Continua il nostro percorso alla scoperta di Augusto Conti, insigne sanminiatese che molto fece per l’Unità d’Italia, dapprima come portabandiera a Curtatone e Montanara e poi come senatore e filosofo. Dopo l’introduzione pubblicata da Rassegna Nazionale, in questa seconda parte proponiamo discorso dell’allora Sindaco Agostino Bachi pronunciato all’inaugurazione del busto di Augusto Conti. L’opera fu realizzata dallo scultore Antonio Bordone e inserita nella nicchia progettata dal Prof. Cassioli. L’epigrafe fu redatta da Guido Mazzoni, allora segretario dell’Accademia della Crusca alla quale apparteneva lo stesso Augusto Conti.
Antonio Bordone, Busto di Augusto Conti
Facciata del Municipio di San Miniato
Foto di Francesco Fiumalbi
Estratto da RASSEGNA NAZIONALE, fascicolo del 16 aprile 1906
Un anno è scorso rapidamente. – Un anno fa un Vegliardo, il nostro grande Concittadino, giaceva estinto sul suo letto di grandi dolori; la Morte lo aveva toccato con l’ala sua gelida, lasciandolo in braccio alla Gloria.
Un inno, di subito si levò in Italia e fuori, e fu un inno che pianse e cantò: pianse la perdita del Cittadino, pianse la dipartita di Lui dall’affetto de’ suoi, degli amici, dei discepoli; cantò le laudi del filosofo, dello scrittore, dell’uomo innamorato dell’arte, e di quest’inno che mirabile slancio che unanime creò, risuona sempre l’eco sonora, che si ripercuoterà quando una voce umana vorrà evocare le supreme idealità del Vero, del Bello e del Buono.
E come sarà possibile a me, non ultimo nella venerazione per l’Uomo illustre, ma ultimo per ingegno e perdono di parola eloquente, aggiungere una nota a quell’inno glorioso? Io acuirò le forze della mia povera mente per quella sola possibile, quella, cioè, del comune affetto per il grande Concittadino. E questa nota, o abitanti del Samminiatese, l’avete già espressa Voi, quando per mezzo della vostra Rappresentanza municipale voleste che non indegna cornice accogliesse il dono prezioso che il Signor Alessandro Norsa, per affetto inesauribile verso il Padre della sua diletta consorte, volle farci della venerata effigie; e voleste ancora che il Ch.mo Prof. Guido Mazzoni, con alata parola, nel breve spazio di pietra concessogli scolpisse la vita intemerata e sapiente del caro estinto. Da Voi, amati concittadini, trarrò la forza, dico anzi l’audacia di pronunziare questa breve commemorazione. Se potessi trasfondere nella mia parola il fremito di commozione affettuosa, che in questo momento fa battere i vostri cuori, oh! Allora sì che essa fatta sopra ogni altra eloquente saprebbe evocare dinnanzi a Voi la figura di Augusto Conti, quale io la sento: figura superba e fiera, vivificata da un’anima grande, alla quale fu dato vedere sublimi armonie, fu luce perenne una fede fortemente sentita, supremo dovere l’amor della patria, sorriso ineffabile gli affetti della famiglia.
Antonio Bordone, Busto di Augusto Conti
Facciata del Municipio di San Miniato
Foto di Francesco Fiumalbi
Le date della nascita, della morte, lo stato di servizio d’insegnante per più di mezzo secolo, tutto ciò noi conosciamo, né vogliamo ripetere.
La vita di Augusto Conti, o Signori, è un ammaestramento continuo nella parola e nell’opera: di essa ho visioni delle quali la mia mente si compiace nei momenti meno tristi e il cuore si solleva. E queste visioni oggi ricordo, e più chiare mi si presentano, qui, dinanzi all’effige pensosa di Lui.
Io lo vedo giovane, baldo, con il vessillo tricolore in pugno, in mezzo ad una primavera d’eroi, dalle vette dell’Appennino inneggiare alle Alpi, monti sublimi incoronati di raggi e di tempeste, alle Alpi che in quel momento gli fanno traboccare l’anima di dolore e d’allegrezza: la servitù dei fratelli, la speranza della prossima liberazione. Scende la schiera de’ prodi sul fiume di Virgilio e sul verde piano l’epica lotta s’ingaggia; furono vinti, ma la loro sconfitta ha la sua pagina gloriosa nella storia degli eserciti vicino a quella delle Termopili.
E il giovane baldo, con pochi superstiti, compie la ritirata su Brescia; e là si presenta il suo Generale, al De Lauger, e riconsegnandogli la bandiera, gli dice: << Generale, onorata la presi, onorata la rendo >>. La fierezza di queste parole è la coscienza di un dovere assolutamente compiuto. E questo generoso inizio del suo amore per l’Italia, sarà la solida base su cui si eleverà il suo patriottismo sincero, non mai smentito, e da cui trarrà ispirazioni veramente geniali, dai momenti di tristezza infinita della servitù fino agli ultimi momenti della sua vita dopo la riscossa – i fati d’Italia saranno segnati da lui in mirabili documenti: egli vedrà Vittorio Emanuele II principe profetato dell’Alighieri e dal Machiavelli ed affermerà che Giuseppe Garibaldi, deponendo nelle mani del Gran Re la dittatura di tante province, superò con senno e la virtù il proprio valore, non mai vinto dai nemici d’Italia!
Antonio Bordone, Busto di Augusto Conti
Facciata del Municipio di San Miniato
Foto di Francesco Fiumalbi
Io lo vedo nella pienezza della sua virilità. A tarda ora della notte, in piedi vicino ad un’alta scrivania; la luce della lampada illumina l’alta sua fronte – scrive l’ultima pagina della opera classica, la storia della Filosofia, compiuta con serena obiettività. Egli, con mirabile sintesi, rievoca tutta la storia del pensiero umano nelle sue manifestazioni per la ricerca della verità, e la mano docile corre sulla carta e trascrive: Là nel silenzio de’ templi orientali e tra’ i colonnati di Pesto e Crotona, le conservate tradizioni del tempo primitivo si trasfondono nelle platoniche contemplazioni; ne’ giardini e porticati di Atene Socrate conversa e n’esce la schiera degli oratori e degli storici che son meraviglia del mondo; nelle ville romane e nel Foro nasce la filosofia del buon senso e l’applicazione di lei alla giurisprudenza s’ordina geometricamente e regge ancora le più civili nazioni; nelle Catacombe, dal Colosseo, tra i padiglioni crociati di Costantino e gl’idoli infranti, sorge la filosofia del Cristianesimo, che si svolge poi ne’ chiostri solitari, ove medita San Tommaso e dipinge l’Angelico, nelle scuole operose ove si formano la prosa del Passavanti e la poesia dell’Alighieri; ed infine il filosofo scende per i maggiori delle scuole moderne fino al Vico, che applica l’osservazione interiore alla vita del genere umano e ci dà la filosofia della storia; da ogni parte, egli conclude, un lavoro continuo ardente per comparare i fatti dell’animo umano con tutte le tradizioni, con tutte le lingue, con tutti i sistemi, con tutte le arti, con tutte le leggi affinché se ne aduni la totalità delle manifestazioni dell’anima nostra, dentro di sé e nelle sue attinenze con l’umana famiglia, con l’universo e con Dio, in tutta la vastità dello spazio e del tempo.
Ed egli, che aveva già scritto i Criteri e già letto tutti gli Autori di cui si era occupato nella sua storia, forse in quell’ora di letizia per il compimento dell’opera sua, vide la grande ombra del Gioberti assenziente, del Gioberti, che sarei tentato di chiamare il vicin suo grande; perché sembra innegabile che la luce emanante dal filosofo piemontese abbia irradiato la mente del nostro Conti ed abbia plasmato la sua nobile figura di cittadino e pensatore. Certamente dovettero piacergli gl’impeti focosi dello stile del Gioberti, stile subito e passionato come il Bruno. Ed egli conferma la propria testimonianza che il Primato riformò gran parte della gioventù italiana, la invogliò di un accordo tra la religione, la scienza e la libertà del nostro paese, la svogliò di tenebrose cospirazioni e di pugnali, la commosse all’aperto congiurare della volontà risoluta ed in ogni modo palesata e della virtù. Presentimmo tutti, dice poi a mo’ di commento, che degli animi così preparati doveva nascere presto grandi novità; l’aspettavamo con certezza, e le novità nacquero ad un tratto, perché i fatti civili li crea il forte consentimento; da un libro (noi ne siamo testimoni) – egli seguita – dal Primato d’Italia folgorò il 1848, la cui memoria fa battere il cuore a tutti noi che rammentiamo la serenità di quei giorni e l’allegria di que’ canti di guerra e di speranza.
Antonio Bordone, Busto di Augusto Conti
Facciata del Municipio di San Miniato
Foto di Francesco Fiumalbi
Io lo vedo vecchio e cieco, in mezzo alla sua nuova famiglia, che gli prodiga le più amorevoli cure, circondato dall’amore sviscerato della figliola, dei parenti, dall’affetto dei suoi discepoli che vedono e ricordano in Lui il venerato Maestro.
La sua mente è serena e lucida, confortata da principii incrollabili, che in Lui si sono idealizzati supremamente: infatti egli detta il Discorso per Curtatone e Montanara e poco dopo il Messia – quello fremente amore vero di patria, gloria pe’ morti di quella memoranda giornata, inneggiante al vessillo tricolore, che unico dall’Alpe alla Sicilia s’inalbera sulla torre d’Arnolfo; questo, visione d’asceta, quasi viatico (come egli si esprime) per l’altra vita.
Vedo sulla fronte del Vegliardo, che le forze fisiche venute meno confinano per lunghe ore immoto, passare, segnalate da impercettibili movimenti, le memorie de’ tempi suoi: la illetta natale delle Fonti, le apriche collinette, le valli consapevoli di tante sue lacrime, di tanti suoi gaudii, dove per tanto tempo sedé nel Consiglio municipale in quella sala di cui tanto si compiaceva, perché gli ricordava, ne’ dipinti del quattrocento e nelle araldiche imprese di tanti valentuomini, un passato non inglorioso; a cui diè tanta opera sua nelle amministrazioni locali e nel Parlamento.
Vedo su quella fronte passare il ricordo dei primi ardori giovanili, della campagna del 48, delle speranze di que’ giorni e dei timori per la libertà; del suo insegnamento che cominciò qui, nella sua Città natale, e poi continuò per più di mezzo secolo nel modo più eletto, più coscienzioso e che ha dato agli studiosi e ad ogni ordine di cittadini una enciclopedia filosofica, letteraria ed educativa, che è e resterà monumento della sua operosità – la vedo illuminarsi di un senso di tenerezza al ricordo della sua prima consorte adorata; di un sentimento di profonda soddisfazione rivedendo nel silenzio della luce la grandiosa sua concezione dell’idea che decorò la facciata di S. Maria del Fiore, idea della quale Egli andò sempre superbo, e che inveri è opera degna della mente sua poderosa.
Ma quella fronte si offusca: passano i ricordi di tante amarezze. Egli fu buono, buono in sommo grado; e questo mondo, o Signori, voi ben sapete che i buoni affligge; ed Augusto Conti ebbe nella vita molte afflizioni e amarezze, e soprattutto lo addolorò un pensiero: quello che si dubitasse, che si negasse il suo amore per l’Italia.
Egli non ha bisogno della mia difesa; l’opera sua lo difende – ma sia concesso a me, che non seguo la sua filosofia, di affermare ancora una volta con voce sonora: Si, Augusto Conti amò l’Italia liberata dallo straniero, indipendente e una; amò la libertà e quanto altri la vide come luce perenne, nata inseparabile con la coscienza dell’uomo, sublimata nei dolori, nelle lotte, nei martiri della fede e del pensiero.
Sfollate, o scribi e farisei di tutti i partiti, d’intorno alla veneranda figura. Augusto Conti oggi appartiene solamente ai buoni d’ogni partito, perché essi nella vita e nelle opere di Lui trovano e troveranno sempre un esempio, una parola che conforta nelle quotidiane miserie, che fortifica nelle lotte per le giuste aspirazioni del progresso, della scienza, della civiltà.
E questa figura eminentemente civile, per volontà di popolo, sulla facciata della Casa del popolo avrà perenne ricordo; e l’effigie venerata evocherà per noi e per le venture generazioni le sembianze di tanto Concittadino, che fu grande per inesauribile bontà, per sommo sapere, per operosità senza pari, per inestimabile virtù.
6 marzo 1906
Agostino Bachi
Sindaco di San Miniato