venerdì 31 ottobre 2014
I 200 ANNI DELLA FILARMONICA "G. VERDI" DI SAN MINIATO - 1814-2014
Nello
scorso mese di ottobre 2014 i “chiostri” di San Domenico sono
stati animati dall'interessante allestimento dedicato alla
Filarmonica “G. Verdi” di San Miniato, in occasione del 200°
anniversario della sua fondazione. Era infatti il 1814 quando a San
Miniato nacque la “Banda Musicale Militare”, riconosciuta
attraverso un apposito decreto granducale.
L'esposizione
si snoda lungo tre dei quattro lati e comprende la riproduzione di
documenti, utili a ricostruire la storia più antica della banda
cittadina, provenienti dalla Biblioteca e dall'Archivio Storico del
Comune di San Miniato. Certamente interessanti le immagini d'epoca,
da quando fu inventata la fotografia fino ai giorni nostri. Si può
osservare l'evoluzione della divisa e del modo di sfilare con
l'introduzione del gruppo delle Majorettes.
I
testi e le didascalie sono state curate da Manuela Parentini, le
fotografie da Aurelio Cupelli, la grafica da Annarita Giorgi e
l'allestimento da Anna Braschi. Il tutto è stato poi montato da
Moreno Ciulli.
La
felice ricorrenza è stata anche occasione per proporre un bel raduno
bandistico a cui sono intervenute, oltre alla “G. Verdi” di San
Miniato, le Filarmoniche “A. Del Bravo” di La Scala, “G. Verdi”
di Castelfiorentino, “A. Mariotti” di Fucecchio.
Un
momento dell'esibizione musicale in Piazza del Popolo
Foto
di Francesco Fiumalbi
L'esposizione
ai chiostri di San Domenico
Foto
di Francesco Fiumalbi
L'esposizione
ai chiostri di San Domenico
Foto
di Francesco Fiumalbi
L'esposizione
ai chiostri di San Domenico
Foto
di Francesco Fiumalbi
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lunedì 27 ottobre 2014
SAN MINIATO NELLA CRONICA DI MATTEO VILLANI
a
cura di Francesco Fiumalbi
REGESTO
L'AUTORE
E L'OPERA
Matteo Villani,
fratello minore di Giovanni, nacque a Firenze nei primi anni '80 del
XIII secolo. Come il fratello, fu dedito alla mercatura presso la
compagnia dei Buonaccorsi, della quale fu rappresentante presso
Napoli seguendone le alterne vicende fino al fallimento, avvenuto nel
1342.
Matteo,
a partire dal 1348, proseguì la Cronica
del fratello Giovanni morto di peste in quell'anno. Nel 1362 subì un
processo per “ghibellinismo”, ma fu assolto dall'accusa.
Denunciato nuovamente l'anno successivo, fu dichiarato ineleggibile
nelle magistrature pubbliche. Morì anch'egli di peste nel 1363.
La
Cronica di
Matteo Villani si compone di 11 libri, formulati come prosieguo di
quella del fratello. Coprono un arco temporale di quindici anni, che
va dal 1348 fino al 1363. La narrazione fu ulteriormente continuata
da suo figlio Filippo.
Una
prima edizione dell'opera, composta solamente dei primi 4 libri, fu
data alle stampe in Firenze, da Lorenzo Torrentino nel 1554. Complete
invece le edizioni Giunti del 1562 e del 1581, quest'ultima con i
riscontri di un nuovo manoscritto, rinvenuto nel frattempo, ovvero il
cosiddetto “Codice Ricci”, e già pubblicato, sempre dai Giunti
nel 1577. L'ulteriore ristampa Giunti del 1597 contiene anche i
capitoli compilati dal figlio Filippo. La Cronica
conobbe nuova fortuna con
l'edizione muratoriana del 1729 (nella “collana” Rerum
Italicarum Scriptores).
Il codice Ricci fu ulteriormente riprodotto nell'edizione curata da
Moutier e stampata in Firenze da Magheri nel 1825-26, integrata con
alcune varianti desunte anche da altri manoscritti. Quest'ultima
versione fu poi riprodotta nell'edizione di Sansone Coen (Firenze,
1846) e nella Lloyd Austriaco (Trieste, 1857). Ed è proprio da
quest'ultima edizione che è tratto il nostro regesto in chiave
sanminiatese.
Frontespizio
SAN
MINIATO NELLA “CRONICA” DI MATTEO VILLANI
Le
notizie “sanminiatesi” contenute negli undici libri della Cronica
di Matteo Villani sono di
varia natura anche se circoscritte agli anni 1355 e 1363.
Carlo IV di Lussemburgo,
ancor prima di essere incoronato imperatore (Roma, 5 aprile 1355),
dette inizio ad una politica volta a rafforzare la posizione della
corona all'interno del complesso scacchiere toscano, dominato ormai
dalla città di Firenze. La strategia di Carlo IV fu volta a
garantirsi il consenso e il sostegno da parte dei centri toscani, a
scapito di Firenze, che sarebbe dovuta rimanere isolata. In questo
contesto, anche i Sanminiatesi giurarono la propria fedeltà
all'Impero [01].
A tal proposito, Matteo Villani chiarisce anche il retroscena
venutosi a creare all'interno della comunità sanminiatese, divisa
dalle due casate magnatizie dei Malpigli e dei Mangiadori che,
affinché nessuna delle due prendesse il sopravvento sull'altra, di
comune accordo inviarono gli ambasciatori al cospetto
dell'Imperatore. Quest’ultimo nel frattempo si trovava a Pisa, e
l'8 marzo 1355 raccolse l’atto di sottomissione dai Sanminiatesi
[02].
Le trattative tra l'Imperatore e i Fiorentini, affinché anche
quest'ultimi riconoscessero l’autorità regia e quindi facessero
atto di sottomissione, presero avvio con l’iniziale posizione di
forza da parte della corona, forte della signoria che Carlo IV poteva
vantare sui centri di Pisa, Siena, Volterra e San Miniato [03]
[04]. Rotte le trattative
con i Fiorentini, Carlo IV da Pisa partì alla volta di Roma dove lo
attendeva la cerimonia di incoronazione, l’ultimo atto formale
della sua ascesa al trono imperiale. Dopo aver visitato Volterra, il
23 marzo 1355 passò anche da San Miniato dove fu accolto come
signore [05].
Carlo IV transitò una seconda volta da San Miniato il 5 maggio
successivo, mentre era in viaggio da Siena a Pisa, di ritorno da Roma
[06].
Una
volta rientrato in Pisa, l’Imperatore trovò una situazione pronta
ad infiammarsi. Il Conte Iacopo della Della Gherardesca (detto
“Paffetta”) e Ludovico Della Rocca soffocarono nel sangue la
rivolta contro l’Imperatore scoppiata il 21 maggio successivo, dopo
che era stato incendiato il palazzo degli Anziani. Pochi giorni dopo,
tre esponenti della famiglia dei Gambacorta, costretti sotto tortura
a dichiarare ogni tipo di colpevolezza, furono decapitati. Uno di
essi, aveva fatto il nome di tre cittadini fiorentini con cui la
fazione dei rivoltosi avrebbe stretto trattative e ottenuto aiuti
dall’esterno. I tre fiorentini furono condotti a San Miniato, dove
l’Imperatore aveva ricevuto la signoria. Qui furono processati, ma,
vista l’inconsistenza delle accuse mosse contro di loro, furono
completamente assolti e quindi rilasciati [07].
Alcuni
anni dopo, nel 1363, i mercenari al soldo dei fiorentini che dovevano
prendere servizio presso Peccioli ebbero da lamentarsi a causa della
paga, giudicata troppo bassa anche se non va escluso un tentativo di
estorsione da parte dei militari. Quest’ultimi si ribellarono e
costituirono una vera e propria “compagnia” di ventura (chiamata
Compagnia del Cappelletto) a cui si aggiunsero molte alte
soldatesche, fino a contare più di 1000 uomini. Sul momento fu una
vera e propria scheggia impazzita in seno all’esercito fiorentino
che, in quel momento, stava combattendo fra Marti e Castel del Bosco
contro i Pisani. Il capitano, messer Bonifacio Lupi, decise così di
interrompere le operazioni belliche in atto e di ritirare le truppe a
San Miniato [08].
Infine,
riporta l’avvenuta morte di Pietro Farnese, Capitano Generale
dell’esercito fiorentino, mentre si trovava a San Miniato [09].
In quel periodo la Toscana era nella morsa di una nuova ondata di
peste, dopo quella drammatica del 1348. La stessa ondata che, poco
dopo, avrebbe colpito lo stesso Matteo Villani.
REGESTO
S. MINIATO NELLA CRONICA DI MATTEO VILLANI 09/09
[anno
1363] LIBRO XI. CAPITOLO LIX.
Come
morì messer Piero Farnese.
«Essendo entrata la furia della pestilenza dell’anguinaia nell’oste de’ Fiorentini, molti n’uccise, molti ne indebolì, molti ne avvilì. Il perché essendo levato l’assedio da Montecalvoli, per comandamento de’ signori di Firenze, il capitano era in Castello Fiorentino; e quivi lo prese il male dell’anguinaia a dì 19 di giugno, e il detto dì n’andò a San Miniato del Tedesco, e quivi in sulla mezza notte passò di questa vita, e il corpo suo in una cassa alle spese del comune fu recato in Firenze, e posato a Verzaia, aspettando Ranuccio suo fratello, per cui era mandato; poi a dì venticinque del mese il corpo suo fu recato in Firenze alle spese del comune con mirabile pompa d’esequie, le quali furono di questa maniera […]».
Croniche
di Giovanni, Matteo e Filippo Villani secondo le migliori stampe e
corredate di note filologiche e storiche,
Vol. II, Trieste, 1858, p. 387.
S. MINIATO NELLA CRONICA DI MATTEO VILLANI 08/09
[anno
1363] LIBRO XI. CAPITOLO XXIII.
Come
e perché si creò la compagnia del Cappelletto.
«La procura di Peccioli fu materia di scandalo tra l’ comune di Firense e’ soldati; perocché certi di loro, ciò fu il conte Niccolò da Urbino, Ugolino de’ Sabatini di Bologna, e Marcolfo de’ Rossi da Rimini, uomini di grande animo e seguito, con la maggior parte de’ conestabili tedeschi, a instigamento de’ procuratori di loro paghe, a dì 30 d'agosto detto anno 1363, mossone lite al comune dicendo, che per la presura di Peccioli doveano avere paga doppia e mese compiuto; e che, avendola in mano, contro a loro volere il capitano prese li stadichi; dicendo, che se non avessono il debito loro, non cavalcherebbono: e, sopra ciò stando pertinaci, mandarono loro ambasciadori a Firense, e ciò feciono noto a’ priori. Il perché, avuto per i priori sopra ciò consiglio da chi di ciò s'intendea, determinarono che loro domanda non era ragionevole: onde tornato al campo l'ambasciadore con questa risposta, furiosamente il detto conte Niccolò, Ugolino e Marcolfo puosono un cappello in su una landa, dicendo, che chi voleva paga doppia e mese compiuto si mettesse sotto il detto segno fatto; i quali in poca d'ora si ricolsono il detto conte Niccolò, Ugolino e Marcolfo con loro brigate, e molti caporali tedeschi e borgognoni, tanto che passarono il numero di mille uomini da cavallo. Di che il capitano dubitò di tradimento, non possendoli con parole rattemperare, richieggendoli per loro saramento, e per la fede promessa al comune di Firenze, che loro indebito proponimento dovessono lasciare: e tutto era niente; che quanto più li pregava e richiedea, più levavano il capo, e più li trovava duri e pertinaci. Onde per più sano consiglio, essendo con tutta l’oste infra Marti e Castello del Bosco, all'entrata del mese di settembre levò il campo, e tornossi a San Miniato, lasciando le tenute che prese avea, fornite e di vittuaglia e di gente. Come ciò fu noto a Firense, il detto conte Niccolò, Ugolino, e Marcolfo, e’ conestabili tedeschi di presente furono cassi […]»
Croniche
di Giovanni, Matteo e Filippo Villani secondo le migliori stampe e
corredate di note filologiche e storiche,
Vol. II, Trieste, 1858, p. 376.
S. MINIATO NELLA CRONICA DI MATTEO VILLANI 07/09
[anno
1355] LIBRO V. CAPITOLO XXXVII.
Come
furono decapitati i Gambacorti.
«Avendo l'imperadore presi i Gambacorti e gli altri nominati cittadini, e fattili contradii alla maestà imperiale ov'erano fedeli, e ribelli ov'erano amici, a suggestione del conte Paffetta e di messer Lodovico della Rocca, come detto è, essendo racquetato il tumulto del popolo, e l’imperadore nell'animo quieto, per coprire il notorio fallo, e perché dimostrare si potesse più certo, volendo giustificare la sua inconsulta impresa, essendo dal cominciamento della loro presura ciascuno racchiuso di per sé, senza sapere l'uno dell'altro, li fece disaminare a un giudice d'Arezzo, acciocché potesse formare l'inquisizione contro a loro per poterli giudicare colpevoli. E avendoli disaminati senza martorio, e appresso con tormento, ciascuno disse per forza di tormento ciò che 'l giudice volle che dicessono, acciocché li potesse condannare colpevoli, come sapea la volontà del signore; e nondimeno, pubblicato il processo, si trovò, che l'uno non avea detto come l'altro, ma diversamente: l’uno, come avea trattato col comune di Firenze, e che dovea mandare la sua cavalleria in Valdarno, e non conchiudea; e l'altro nominò che 'l trattato era con tre cittadini di Firenze, e nominolli per nome, e non sapea dire il modo; e l’altro si trovò ch'avea detto per un altro modo: e cosi esaminati tutti, non era nel processo convenienza salvo che in una cosa, che tutti, vedendo che a diritto o a torto convenia loro morire, per non essere più tormentati, confessarono a volontà del giudice ch'aveano voluto tradire e uccidere l’imperadore e la sua gente. Il furore del remore mosso in Pisa era sì manifesto che non fu di loro operazione, che ‘l processo nol potea contenere. I tre cittadini di Firenze nominati per Franceschino erano tali, che niuno sospetto ne cadde nel cospetto dell'imperatore: nondimeno non lasciò trarre del processo i loro nomi, anzi convenne che si appresentassono in giudicio in Samminiato del Tedesco, allora terra libera dell'imperadore, e per sentenza imperiale furono dichiarati non colpevoli e prosciolti. E allora veduto pe' savi tutto il processo, fu manifesto che i presi per ragione non doveano esser giudicati colpevoli; ma gli sventurati Gambacorti, ch'aveano tanto tempo retta la città di Pisa in singulare buono stato, e onorato l'imperadore sopra gli altri cittadini, in parlamento fatto a dì 26 di maggio predetto furono giudicati traditori dell'imperiale maestà, Franceschino Lotto, e Bartolommeo Gambacorti fratelli carnali, e Cecco Cinquini e ser Nieri Papa, Ugo di Guitto e Giovanni delle Brache, tutti grandi popolani di Pisa: e armato il maliscalco con cinquecento cavalieri tedeschi, furono menati in camicia cinti di strambe e di cinghie, e a modo di vilissimi ladroni tirati e tratti da' ragazzi, furono cosi vilmente condotti dal duomo di Pisa alla piazza degli anziani, scusandosi fino alla morte non colpevoli, e scusando il comune di Firenze e i tre cittadini nominati; e ivi, involti nel fastidio della piazza e nel sangue l’uno dell’altro, furono decapitati, e gli sventurati corpi, maculati dalla bruttura del sangue, per comandamento dell’imperadore stettono tre dì in sulla piazza senza essere coperti o sepolti: la cui morte, in vituperio del cardinale legato del papa, e in abbassamento della gloria imperiale, diede ammaestramento a' popoli che voleano vivere in libertà e a’ rettori di quelli, di non doversi potere fidare alle promesse imperiali nello stato delle loro signorie, né nel grande stato cittadinesco alcuno singulare onorato citadino, perocché l’invidia spesso per non provvedute vie è cagion di grandi ruine. Per la morte di costoro, e per la paura conceputa nel petto dell'imperadore, messer Paffetta e messer Lodovico della Rocca rimasono i maggiori governatori di Pisa; ma tosto sentì messer Paffetta la volta della fallace fortuna, come al suo tempo appresso racconteremo.»
Croniche
di Giovanni, Matteo e Filippo Villani secondo le migliori stampe e
corredate di note filologiche e storiche,
Vol. II, Trieste, 1858, p. 171-172.
S. MINIATO NELLA CRONICA DI MATTEO VILLANI 06/09
[anno 1355] LIBRO V. CAPITOLO
XXII.
Come l'imperadore si partì da Siena e andò a Samminiato.
Come l'imperadore si partì da Siena e andò a Samminiato.
«L'imperadore,
raccomandata la signorìa e 'l raggimento della città di Siena al
patriarca, a dì 5 di maggio del detto anno ai partì della città, e
vennesene da Staggia e da Poggibonizzi senza entrare nella terra; e
fatta ivi di fuori sua lieve desinea, si mise a cammino, e la sera
giunse a Samminiato
del Tedesco, e da'
Samminiatesi
fu ricevuto a onora come loro signore. E com'egli prese la via di là
per andara a Pisa, molti de' suoi baroni con grande comitiva de' loro
cavalieri si partirono da lui, e vennonsene a Firenze per seguire
loro cammino tornandosi in Alamagna. In Firenze furono ricevuti
cortesemente, rassegnandosi i caporali per nome, e dando il numero
della loro gente al conservadore: e questo valico fu più giorni,
avendo il dì e la notte da seicento in ottocento più cavalieri
tedeschi ad albergare in Firenze; e però niuno sospetto o movimento
si fece o si prese nella città, salvo che un pennone per
gonfalone guardava la notte senza andare la gente attorno.»
Croniche
di Giovanni, Matteo e Filippo Villani secondo le migliori stampe e
corredate di note filologiche e storiche,
Vol. II, Trieste, 1858, p. 166.
S. MINIATO NELLA CRONICA DI MATTEO VILLANI 05/09
[anno
1355] LIBRO IV. CAPITOLO LXXX.
Come
l'imperadore richiese di lega i Fiorentini, e non l'ebbe.
«Avendo l'imperadore compiuto e fermo l'accordo co' Fiorentini, mandò a Firenze suoi ambasciadori a richiedere il comune di Firenze con grande stanza, che piacesse loro per bene e stato di tutte le città di Toscana, e per levare ogni pericolo che venire potesse loro addosso per la forza de' tiranni e della gran compagnia, per vivere i detti comuni insieme in unità e in pace, di fare lega insieme, e quella gente per via di taglia che a' Fiorentini piacesse; e offerendo l'aiuto suo ove che fosse a ogni loro bisogno molto largamente, dicendo, che presa la corona intendea d'andare in Lombardia o nella Magna, ove il comune di Firenze consigliasse. I Fiorentini in più consigli privati e palesi praticarono se questa lega fosse da fare o no; e infine considerato il pericolo dell'impresa, e temendo di non correre ad essere indotti a rompere la pace a' signori di Milano, e che la gente d'arme raunata sotto un capitano dato dell'imperadore non potesse essere cagione di novità contra alla libertà del comune, al tutto deliberare che la lega per lo nostro comune non si facesse, e con belle e oneste e legittime cagioni si deliberarono di quella richiesta. L'imperadore essendo in movimento per andare a visitare la città e le terre che gli s'erano date, e andare per la corona, soprastette senza accettare la scusa, e domandò che il nostro comune apparecchiasse dugento cavalieri che l'accompagnassono a Roma: e da Pisa si parti a dì 22 di mano e andossene a Volterra, ove fu ricevuto secondo la loro possa assai onoratamente; e albergatovi una notte, l'altro dì venne a Samminiato, e da loro fu ricevuto come signore; e a dì 23 di marzo giunse a Siena la sera, ove fu ricevuto con singolar festa e onore.»
Croniche
di Giovanni, Matteo e Filippo Villani secondo le migliori stampe e
corredate di note filologiche e storiche,
Vol. II, Trieste, 1858, p. 154.
S. MINIATO NELLA CRONICA DI MATTEO VILLANI 04/09
[anno 1355] LIBRO IV. CAPITOLO LXXVII.
Come
fu offesa la libertà del popolo di Roma da' Toscani.
«Vedendo i falli commessi per li comuni di Toscana, che liberamente sottomisono la loro libertà al nuovo imperadore, ci dà materia di ricordare per esempio del tempo avvenire, come col popolo romano i comuni d'Italia, e massimamente i Toscani, sotto il loro principato parteciparono la cittadinanza e la libertà di quello popolo, la cui autorità creava gl'imperadori; e questo medesimo popolo, non da sé, ma la Chiesa per lui, in certo sussidio dei fedeli cristiani, concedette l'elezione degl'imperadori a sette prìncipi della Magna. Per la qual cosa è manifesto, avvegnaché assai più antiche storie il manifestino, che 'l popolo predetto faceva gl'imperadori, e per la loro reità alcuna volta gli abbattea, e la libertà del popolo romano non era in alcun modo sottoposta alla libertà dell'imperio, né tributaria come l'altre nazioni, le quali erano sottoposte al popolo e al senato e al comune di Roma, e per lo detto comune al loro imperadore; e mantenendo a' nostri comuni di Toscana l'antica libertà a loro succeduta dalla civiltà del popolo romano, è assai manifesto, che la maestà di quel popolo per la libera sommessione fatta all'imperadore per lo comune di Pisa e di Siena e di Volterra e di Samminiato fu da loro offesa, e dirogata la franchigia de' Toscani vilmente, per l'invidia ch'avea l'uno comune dell'altro, più che per altra debita cagione.»
Croniche
di Giovanni, Matteo e Filippo Villani secondo le migliori stampe e
corredate di note filologiche e storiche,
Vol. II, Trieste, 1858, p. 153.
S. MINIATO NELLA CRONICA DI MATTEO VILLANI 03/09
[anno
1355] LIBRO IV. CAPITOLO LXVIII
Trattati
dall'imperadore a' Fiorentini.
«Essendo gli ambasciadori del comune di Firenze quasi ogni dì con l'imperadore per trattare la concordia, ed egli avendo scoperto un segreto del comune e crescendogli ogni dì la forza grandissima di baroni e di cavalieri della Magna, non gli parea volere di meno, e però si tenea forte a non condiscendere alla volontà de' Fiorentini; e nondimeno temperara per non rompersi da loro, con tutto l'attizzamento de' caporali ghibellini d'Italia ch'erano appresso di lui, che al continovo l'infestavano, perché si rompesse dal trattato della concordia de' Fiorentini, mostrandogli che avendo egli Pisa e Siena, Volterra e Samminiato, e l'aiuto de' ghibellini ch'erano ivi a fare i suoi comandamenti, e la gran forza della sua baronia senza dubbio di presente ne sarebbe signore a cheto, e abbatterebbe la loro arrogante superbia con grande onore e magnificenza dell'imperio. Il savio signore conoscen quanto pericolo gli potea incorrere, potendo con suo onore e vantaggio aver pace, cercare guerra; e conosceva, che quando il comune di Firenze, ch'era potentissimo, si facesse capo della guerra contro a lui, che tosto gli si scoprirebbono molti nemici; e conoscea il servigio che avrebbe dalla gente tedesca se con larga mano non li provvedesse, e quanto erano fallaci le suggestioni de' ghibellini d'Italia: e però serbava il consiglio e la diliberazione nel suo petto, e forte si temea che nascesse cagione per la quale i Fiorentini si rompessono dal trattato; e però avendo trattato con loro per modo che pareano assai di presso, l'imperadore disse, che facessono d'avere il sindacato pieno dal loro comune come la materia richiedeva: e allora diliberarooo che tre degli ambasciadori tornassono a Firenze a fare che il sindacato si facesse.»
Croniche
di Giovanni, Matteo e Filippo Villani secondo le migliori stampe e
corredate di note filologiche e storiche,
Vol. II, Trieste, 1858, pp. 148-149.
S. MINIATO NELLA CRONICA DI MATTEO VILLANI 02/09
Come
i Samminiatesi si dierono all'imperadore.
«I Samminiatesi, che soleano essere più all'ubbidienza del comune di Firenze che i Volterrani, avendo vedute le sopraddette città di parte guelfa già sottomesse all'imperio, e che il comune di Firenze trattava per sé d'accordarsi con lui, essendo tra loro divisi per setta per la maggioranza delle due famiglie Malpigli e Mangiadori, temendo l'una parte che l'altra non pigliasse vantaggio, s'accostarono insieme dopo l'aspetto di più giorni; e celandosi da' Fiorentini perché non movessono alcuna delle dette case, e veduto loro tempo convenevole, di concordia feciono loro ambasciadori con pieno mandato e sindacato del comune a darsi liberamente all'imperadore ; e mandatili a Pisa, a dì 8 di marzo in parlamento si sottomisono liberamente alla signoria dell’imperadore; e fatto il saramento, e volendo fare l'omaggio e baciare i piedi all'imperadore, li levò di terra, e ricevetteli ad osculum pacis; cosa che non avea fatta a' sindachi di niuna altra città: la cagione si stimò che fosse per l'affezione che l'imperio per antico avea a quello castello, ove solea essere la residenza degl'imperadori e de' loro vicari, perché è uno mezzo tra le grandi e buone città di Toscana. Questo fu prima fatto che il comune di Firenze ne sentisse alcuna cosa; e quando il seppono, più gravò nell'animo de' cittadini di Firenze che la sommissione di Siena e di Volterra, per la vicinanza che 'l detto castello ha con la nostra città e con l'altre di Toscana; ma gran cagione ne fu la poca provvedenza già detta de' rettori del nostro comune.»
Croniche
di Giovanni, Matteo e Filippo Villani secondo le migliori stampe e
corredate di note filologiche e storiche,
Vol. II, Trieste, 1858, p. 147.
S. MINIATO NELLA CRONICA DI MATTEO VILLANI 01/09
01
[anno 1355] LIBRO IV. CAPITOLO LV.
De'
fatti commessi per lo comune di Firenze, e degl'inganni ricevuti da'
suoi vicini.
«Avvegnaché quello che seguita non sia cosa notevole, concedesi al nostro trattato per ammaestramento delle cose a venire. I rettori del comune di Firenze sentendo passato in Italia l'imperadore e coronato a Moncia, per loro non si fe' alcuna provvisione in utilità beneficio del nostro comune; stando egli lungamente a Mantova nel lieve stato che v' era, se il nostro comune v' avesse mandalo a dargli conforto, ciò che avessono volato avrebbono di grazia impetrato da lui; ove poi con pericolo e con gran costo s' accordarono con lui, come seguendo si potrà trovare. E ancora lasciarono per matta ignoranza a provvedere d'arrecare alla loro volontà e disposizione tutte le città e castella e terre vicine, le quali lievemente con alquanta provvedenza avrebbono recato a dire e a fare quello che il comune di Firenze avesse voluto; ove in sul fatto catuna terra e castello, senza richiesta del comune di Firenze, prese suo vantaggio, non senza pericolo del nostro comune: la diligenza e la sollecitudine de' nostri rettori fu abbandonata al corso della fortuna, come per antico vizio degli uomini del nostro comune è consueto, perocché non é chi si curi di patrocinare lo stato e la provvedenza del nostro comune; e i rettori, c' hanno poco a fare all'uficio, intendono più alle loro private cose che a' beneficii del comune: e però più lo conduce fortuna che provvedimento; ma molto l'aiuta Iddio, e gli ordini dati alla grande massa del comune per i nostri antichi maggiori. E in questo tempo per questa cagione avvenne, che i Sanesi non si curarono di rompere in sul fatto la fede a' Fiorentini: e i Volterrani, sentendo l'offerte fatte pe' Sanesi, anch'eglino si diedono liberamente all'imperadore contro al volere de' Fiorentini; e i Pistoiesi, contro al volere de Fiorentini, e senza con loro conferirne, vi mandarono ambasciadori per darlisi: ma sentendo che il comune di Firenze si turbava contro a loro, si rattennono della libera profferta, e soprastettono più per paura che per amore; e' Samminiatesi cominciarono segretamente, coprendosi a' Fiorentini, di darsi liberamente all'imperadore: e trovando tra loro concordia, prima l'abbono fatta ch' e' Fiorentini vi potessono riparare; e se non fosse che i rettori di Arezzo torneano forte de' Tarlati loro usciti e de' ghibellini d'entro, avendosi veduti a stanza de' Senesi abbandonare da' Fiorentini nella presenza dell'imperadore, si sarebbono dati come gli altri, non curandosi del comune di Firenze; ma per loro medesimi sostennono la libertà di quello comune, essendo forte impugnati da' Tarlati, Pazzi e libertini loro ribelli, ch' erano con l'imperadore: e avvedutisi gli ambasciadori fiorentini dell'inganno de' Sanesi, e di quello ch'aveano fatto i Samminiatesi e' Volterrani, cominciarono a parlare per gli Aretini e per i Pistoiesi. L' imperadore per sua industria non li sostenne, ma disse la parola del Vangelo: aetatem habent ipsi, de se loquantur, e non lasciò dar loro audacia o favore; e cosi per difetto di mala provvedenza, i Fiorentini de' loro proprii fatti, e di quelli che s'appartengono alla guardia de' loro vicini, furono più e più giorni a pericoloso partito, e in grande ripitio degli altri cittadini.»
Croniche
di Giovanni, Matteo e Filippo Villani secondo le migliori stampe e
corredate di note filologiche e storiche,
Vol. II, Trieste, 1858, p. 144.
mercoledì 22 ottobre 2014
I RACCONTI DELL'ORTO - PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI GIANCARLO PERTICI - SAB 15 NOVEMBRE 2014 ORE 17.00
L'Associazione
Turistica Pro Loco di San Miniato e la Casa Editrice “La conchiglia
di Santiago” invitano tutta la cittadinanza alla presentazione di
“I Racconti dell'Orto”, il libro di racconti di vita sanminiatese
composti da Giancarlo Pertici.
Appuntamento
per Sabato 15 novembre 2014, alle ore 17.00, presso l'Aula Pacis, Loggiati
di San Domenico, a San Miniato. Un libro che non vuole essere
soltanto interessante o piacevole, ma anche utile. Infatti, il
ricavato delle vendite andrà a sostenere il lavoro del Movimento
Shalom ONG e della Casa Famiglia Caritas di San Miniato.
I
RACCONTI DELL'ORTO
un
libro di Giancarlo Pertici
prefazione
Cecilia Alessi
San
Miniato vista con gli occhi di un bambino degli anni Cinquanta
"I racconti dell'Orto", Copertina
Parteciperanno
oltre all'autore: Stefano Bartoli, Maria Antonietta Frosini, Manila
Pettinà, Lida Remorini, Andrea Mancini (per La conchiglia di
Santiago).
Ne
I racconti dell’Orto, primo libro di Giancarlo Pertici, si
incontrano pagine che hanno anche un interesse antropologico,
descrivendo un mondo che non esiste più, ma che – fino a non molti
anni fa – sembrava marchiare in eterno quei luoghi e quegli spazi.
È insomma una specie di aiuto postumo che lo scrittore offre ai
turisti, ma anche ai nuovi abitanti di quei luoghi, descrivendo
qualcosa, nei fondi dei negozi, nei segni sui muri, negli archi sotto
le case e negli spazi aperti e chiusi, che non esiste più, ma di cui
si può ancora sentire il respiro. Al punto che anche un lettore
comune, che non conosce un luogo, che per molti scrittori di
Sette-Ottocento era una specie di paradiso terrestre, può trarre
grande sollievo, dalla semplice conoscenza di questo mondo,
poverissimo, ma pieno di grande dignità, di umanità, di spessore.
Giancarlo
Pertici è nato (anno 1947) e ha vissuto in San Miniato fino al
completamento degli studi nel 1967. In quell’anno si diploma al
Cattaneo, dopo aver trascorso un lungo periodo nel Seminario
Diocesano (58/63). Sposato da oltre 40 anni, ha due figli: Cristiano
di anni 31 anni e Tiziana di 29. Con la nascita di Tiziana, bambina
down, Giancarlo si fa notare per l’impegno profuso a favore dei più
deboli, soprattutto dei disabili. Da quest’impegno nascono i primi
servizi sul territorio, la Ludoteca ora trasferita a Castelfranco di
Sotto e la Casa Famiglia Caritas. Non si è mai cimentato in opere
letterarie, anche se il suo ‘talento’ nello scrivere lo ha
tradotto, nel corso degli anni, nel suo campo specifico, elaborando
progetti e consulenze per l’accesso a finanziamenti e contributi,
nazionali, regionali e comunitari. Solo nella giornata del primo
maggio di quest’anno, il 2014, il primo tentativo con pretese
letterarie: Lo Scioa, il tessuto commerciale e artigiano del
dopoguerra.
Molti
racconti di Giancarlo Pertici sono consultabili anche sul blog
Smartarc, nell'apposita pagina RACCONTI
DI GIANCARLO PERTICI. Nel libro ce ne saranno di nuovi.
[VIDEO] LA TORRE CAMPANARIA DEL DUOMO DI SAN MINIATO: PRESENTAZIONE DEI RESTAURI
a
cura di Francesco Fiumalbi
Io
ti mostrerò l'edificio essere proprio un uomo vivo,
e
vedrai che così bisogna a lui mangiare per vivere,
come
fa proprio l'uomo: e così s'ammala e muore,
e
così anche nello amalare guarisce molte volte
per
lo buono medico […].
Antonio
Averlio, detto il “Filarete”, XV secolo
Il video della presentazione
Le
parole del Filarete, pronunciate oltre cinque secoli fa, ben
riassumono lo spirito dell'importantissimo intervento di restauro che
ha avuto come oggetto la Torre Campanaria della Cattedrale, uno degli
edifici più belli e suggestivi di San Miniato, e i cui risultati
sono stati presentati nel giorno di martedì 21 ottobre 2014.
Un
intervento che si lega in qualche modo al ministero pastorale di S.
E. Mons. Fausto Tardelli: come ha ricordato lo stesso Vescovo, quando
fece il suo ingresso a San Miniato, nel 2004, era stata da poco
restaurata la Cattedrale. Adesso che sta per lasciare alla volta di
Pistoia, si concludono i lavori alla Torre. E' un cerchio che,
idealmente, si conclude.
Le
operazioni di restauro, strutturale e conservativo, hanno beneficiato
di un consistente apporto economico del Ministero dei Beni Culturali
e del generoso contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di San
Miniato, rappresentata dal Presidente Antonio Guicciardini Salini.
D'altra
parte, una torre campanaria non è solamente un edificio funzionale
alla liturgia, ma si configura anche come un vero e proprio simbolo
urbano, utile alla vita civica dell'intera comunità, come ha ben
sottolineato nel suo intervento il Prof. Roberto Paolo Ciardi.
Il
Prof. Gianni Royer Carfagni (Univ. Parma), assieme al progettista
Ing. Sergio Gronchi, hanno evidenziato quali sono stati i risultati
ottenuti da un punto di vista strutturale, partendo da una situazione
estremamente delicata e complessa. La torre, nei secoli, ha subito
innumerevoli trasformazioni che hanno modificato sensibilmente anche
il suo comportamento strutturale. Ed è del tutto normale che,
periodicamente, una struttura del genere necessiti di interventi, che
da una parte vadano nella direzione di garantirne la stabilità e,
dall'altra, che non ne compromettano la funzionalità.
La
progettista Arch. Silvia Lensi ha ripercorso quelli che sono state le
operazioni di restauro conservativo, specialmente riguardo al
ripristino degli orizzontamenti e dei collegamenti interni, oltre che
alla pulizia e al consolidamento dei vari brani murari, che avevano
raggiunto un livello di degrado molto elevato.
Come
ha tenuto a informare lo stesso Vescovo Tardelli, a breve la torre
sarà aperta al pubblico. Un fatto eccezionale, che andrà ad
ampliare significativamente l'offerta culturale e turistica
dell'intera Città di San Miniato.
Da
sx: Prof. Gianni Rover Carfagni, Pres. Antonio Guicciardini Salini,
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SAN PANTALEONE A VINCI – MART 28 OTTOBRE 2014 ORE 18,30 PRESENTAZIONE DEL LIBRO
Martedì
28 ottobre 2014 alle ore 18.30, a San Miniato presso il Palazzo
Vescovile, si terrà la presentazione del libro “San
Pantaleone a Vinci: storie di archivio per una secolare chiesa
samminiatese”. Si tratta del primo volume della raccolta
Historia Ecclesiae Miniatensis edita dalla Diocesi di San
Miniato con il fondamentale contributo della Fondazione Cassa di
Risparmio di San Miniato e la collaborazione della Parrocchia di San
Pantaleo, del Comitato San Pantaleo e della Pratikagroup.
Un
testo che vuole collocarsi come riferimento fondamentale per chi
vorrà cimentarsi con la storia del luogo, ormai conosciuto come il
“paesaggio materno di Leonardo da Vinci”. La pubblicazione
rappresenta il punto di arrivo di una serie di ricerche durate oltre
cinque anni e, nello stesso tempo, di partenza per quanto riguarda
l’approfondimento della biografia leonardiana.
Molte
le suggestioni e i ricordi. La pubblicazione è edita dalla Diocesi
di San Miniato. Si tratta probabilmente dell’ultima pubblicazione
del vescovo Tardelli, da poco assegnato alla vicina Diocesi di
Pistoia, con la quale tuttavia inizia una nuova collana di testi
dedicata alla storia della Chiesa samminiatese. La Chiesa di San
Pantaleone si trova a meno di cento metri dalla storica Croce di
Fralupaia che segna il confine tra la Diocesi di Pistoia e quella di
San Miniato, prima ancora di Lucca. Sotto il Vescovo Tardelli,
questo piccolo lembo della Diocesi, San Pantaleo, veniva riscoperto e
valorizzato. In casi eccezionali, l’antica chiesa veniva riaperta
al pubblico e agli studiosi. Il primo a ritornare a San Pantaleo è
stato il prof. Carlo Pedretti, uno dei massimi studiosi dell’opera
di Leonardo, con una magistrale lezione su “Omo Sanza lettere”.
Era esattamente il 9 settembre 2007. L’evento “San Pantaleo e
Caterina” curato dal locale Comitato e dal Museo Ideale Leonardo da
Vinci, con Agnese Sabato e Alessandro Vezzosi, con il patrocinio del
Comune di Vinci e il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio
di San Miniato, è già entrato nella storia di Vinci per essere
riuscito a coniugare uno straordinario successo di pubblico ad un
evento di altissimo livello culturale. Anche il Vescovo di San
Miniato, nella persona di Mons. Tardelli, tornava nel 2009 in visita
pastorale nella piccola cappella di campagna. Nel 2011, infine, il
nuovo convegno dedicato al ritrovato archivio parrocchiale “Leonardo
e San Pantaleo” con gli interventi di Graziano Concioni, Alexander
Di Bartolo, Adriano Prosperi, Alessandro Vezzosi e Romano Nanni.
All’epoca veniva fissato anche il successivo appuntamento ovvero
quello dedicato alla pubblicazione degli atti . Sono passati tre
anni. Sicuramente più del previsto.
Nel
frattempo la Parrocchia di San Pantaleo -Apparita ha curato il
restauro della tela cinquecentesca dell’antica chiesa, con il
contributo della popolazione e del Comitato Dama di Bacco . Infine la
pubblicazione odierna, curata da Alexander Di Bartolo, già
coordinatore del convegno del 2011 e degli eventi culturali del
“borgo pietroso” di San Pantaleo. Si tratta di un testo molto
ricco e documentato, pieno di piccoli e grandi aneddoti, curiosità e
riscoperte, che racconta la storia della gente che ha vissuto e
abitato questo luogo, indipendentemente che si trattassero o meno di
parenti del mito di Leonardo. Manca purtroppo il contributo di Romano
Nanni, all’epoca Direttore della Leonardiana, recentemente
scomparso, alla cui memoria viene dedicato il volume. Sarà però un
altro ex direttore dell’importante biblioteca vinciana, oggi
professore di biblioteconomia all’Università di Firenze, il prof.
Mauro Guerrini, a presentare il volume, assieme al curatore, al
vescovo di San Miniato, ormai uscente, Mons. Fausto Tardelli, il
prossimo 28 ottobre 2014, alle ore 18,30 presso la Curia di San
Miniato. L’iniziativa è promossa ancora una volta, una sorta di
cerchio che si chiude, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di San
Miniato che aveva contributo alla realizzazione del primo grande
evento del 2007 a San Pantaleo.
La
prossima presentazione sarà sicuramente a Vinci per la soddisfazione
della piccola Parrocchia di San Pantaleo Apparita, ma anche delle
associazioni che, in questi anni, hanno curato le varie iniziative di
promozione e valorizzazione storica e turistica e
dell’amministrazione comunale che le ha sostenute. Ora è arrivato
anche il momento di passare dalle parole ai fatti: di completare,
quindi, il restauro dell’antico borgo e di restituirlo alla gente,
all’attenzione degli studiosi e appassionati non solo di Leonardo,
ma dell’intero territorio del Montalbano.
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