a
cura di Francesco Fiumalbi
In
questo post è proposta la Lezione n. 10, tratta da G. Lami, Lezioni
di Antichità Toscane e spezialmente della Città di Firenze recitate
nell’Accademia della Crusca da Giovanni Lami pubblico professore,
appresso Andrea Bonducci, Firenze, 1766, Parte Seconda, pp. 323-342.
Giovanni Lami (Santa
Croce sull’Arno, 1697 – Firenze, 1770), è senza dubbio una delle
principali personalità dell’erudizione toscana del ‘700. La sua
attività di ricerca storica, specialmente per quanto riguarda l’area
fiorentina e il Medio Valdarno Inferiore, sua terra d’origine, lo
portò alla pubblicazione di opere molto importanti, come le Deliciae
Eruditorum (comprendenti
anche il cosiddetto Hodeporicon),
Sanctae Ecclesiae
Florentinae Monumenta e
le Lezioni di Antichità
Toscane. Per dare un’idea
dell’importanza della sua attività, basta ricordare che tutti gli
studi successivi, fino ai giorni nostri, non possono prescindere dalle pubblicazioni sopra elencate.
La
decima lezione,
che di seguito è proposta, è assai interessante perché, nonostante
la sua vastissima cultura, Giovanni Lami cadde nel trabocchetto del
cosiddetto Decretum
Desideri Re. Si tratta
del controverso “Decreto di Desiderio Re dei Longobardi”,
falsamente riportato alla luce da Giovanni Nanni
(1437-1502), frate domenicano, meglio noto col nome umanistico di
Annio da Viterbo, autore delle Antiquitate Variarum volumina XVII.
In
tale falso “decreto”, tuttora conservato presso il Museo Civico di Viterbo,
si affermava che i centri di San Gimignano e di San Miniato fossero
stati fondati, o ri-fondati, per volontà di Desiderio. Lo scopo del
monarca sarebbe stato quello di assegnarli ai Focesi, cioè gli
antichi abitanti di Focea,
una delle città greche della Ionia, che dopo varie peripezie si
sarebbero trasferiti fra la Liguria e la Toscana. Non staremo a
discutere della parte che riguarda Fucecchio (famosa è la questione,
ampiamente smentita a più riprese, sul fatto che i Focesi fossero
gli antenati dei Fucecchiesi… per comodità si rimanda a questo post di Mario Catastini).
Insomma,
nonostante che il falso fosse stato ampiamente confutato già nel
corso del ‘500 e del ‘600 da vari eruditi del tempo, Giovanni
Lami ci offre tutto un panegirico per dimostrare che sia San
Gimignano che San Miniato erano già popolate al tempo di Desiderio,
e che nel nome di Fosci (antico castello fra San Gimignano e Colle
Valdelsa) va riconosciuta quella gente, i Focensi,
a cui il Re Longobardo aveva assegnato i due centri. Di fatto, il
Lami prese assolutamente per buono il Decreto di Desiderio, cosa che
creerà non pochi problemi storiografici almeno per tutto il secolo
successivo. Infatti Emanuele Repetti, nel suo Dizionario,
fece largo uso delle opere del Lami e quindi contribuì alla
diffusione di questa falsità storica, e definitivamente confutata in
tempi solo molto di recente.
G.
Lami, Lezioni di Antichità
Toscane,
Firenze,
1766. Frontespizio.
DI
ANTICHITA' TOSCANE
LEZIONE
X.
«[p.
323] Io impresi già
nella antecedente Lezione a ragionare sopra quella parte del
controverso Dicreto di Desiderio
Re de' Longobardi, che la nostra Toscana Reale spezialmente riguarda;
non perché io fossi persuaso, che quell'Editto sincero e legittimo
fosse; ma perché io vedeva, che le cose in esso contenute mi davano
una bella e comoda occasione di investigare tra il ritto buio della
rimota antichità varie notizie, e memorie, onde in qualche barlume
della Storia di que' lontani caliginosi tempi pervenire io potessi.
Conciossiacosaché
nell'andare io pesatamente e maturamente esaminando, se quello, che
il Decreto ne porta, sia conforme, e conveniente; o sivvero discorde,
e ripugnante; all'Istoria di quell'età: mi fa di mestiero il
diligentemente ricercare antichi e veridici monumenti, i quali possa
con le parole del Dicreto paragonare, onde la somiglianza, o la
diversità, l'incongruenza, o la probabilità, ne ravvisi: e
conseguentemente ne vengo o a discuoprire nuovamente, o a mettere in
più chiara e luminosa veduta, molte memorie , che la Storia Toscana
della mezzana età potranno forse in qualche parte illustrare. Io
finii nella mia passata Diceria coll'investigamento [p.
324] della fondazione
e antichità di Pietrasanta, dopo la ricordanza della quale, cosi in
quel Dicreto si parla: A'
Focensi poi San Geminiano, e San Miniate:
quasi dica qui il Re Desiderio,
che per comodo di alcuni popoli Toscani, i quali chiama Focensi, ha
costruite, o aumentare, le Terre di San Geminiano, e di San Miniato,
nelle quali que' popoli passassero ad abitate; essendo o per
l'innanzi dispersi, o sivvero tanto moltiplicati, che fosse loro
giovevole l'esser come dedotti in colonie. Ma io credo vera la prima
cagione, a conto dei crudeli scempi, e delle sanguinose atroci
guerre, de' Goti inumani, e de' barbari Longobardi, predecessori di
Desiderio.
Per conoscere, se in questa parte dell'Editto sia verosimiglianza, e
probabilità, e concordia, coll'antica e veritiera Istoria, bisogna
dapprima indagate, se in Toscana siano mai stati popoli chiamati
Focensi;
e se le Terre di San Geminiano, e di San Miniato, siano dei tempi di
Desiderio, oppure anteriori, o sivvero fondate e edificate dipoi. E
per quello , che appartiene ai Focensi,
io mi contenterò di ricercargli solamente nella Valdelsa, o in que'
contorni, lasciando dapparte l'insufficiente vanità di chi si
lusinga, essere stati così chiamati gli abitatori di quel luogo, che
anticamente Ficiculum,
e Ficiclum,
e Ficeclum,
dicevasi; ed ora Fucecchio
comunemente addimandasi. Quegli, che ciò hanno irragionevolmente
preteso, non sono tanto moderni , che Raffael
Maffei detto il
Volterrano,
non ne abbia fatto menzione; e Io stesso Vincenzio
Borghini sufficientemente
non gl'indichi. Ma prima di tutti il nostro immortale Accademico
Anton Maria Salvini,
in una sua Cicalata in lode de' Fichi, fé sentire, che il vero, ed
antico nome di questa Terra è Ficiclo;
ed il P. Priore D. Fedele
Soldani nella sua Istoria
del Monastero di Passignano,
ed [p.
325] io poi nella
terza Parte del mio Odeporico,
tali e tanti antichi Strumenti, e Carte , cominciando da otto secoli
indietro, abbiamo riportate, dove sempre Ficiclum,
o Ficeclum,
si nomina; che non può dubitarsi avere avuto Io stesso nome ne'
tempi addietro ancora, e conseguentemente non comportare l'analogia,
che da Ficiclum Focenses
formare, e derivare, si possa . Adunque i Focensi
in Toscana non saranno
altri, che quegli, i quali abitano lucum
prope Geminianum ex flumine regionem eam pelabente dictum,
per servirmi della parole stesse del Volterrano,
cui seguitando l'eruditissimo Vincenzio
Borghini così lasciò
scritto; Ma forse intese
de' Fosci, che era in que' tempi, ed è ancora oggi, un picciol
torrente tra Sangimignano, e Colle, sul quale era, per quel, che si
vede per iscritture, intorno all'anno millasimo della salute, un
picciol Borgo col medesimo nome de' Fosci.
Sin qui il Borghini:
a cui aggiungerò, che il fiume detto Fosci
ha un'acqua perenne, che sorge da un monte nel territorio di Colle in
tanta copia, che fa del continovo andar mulini, e le verdeggianti
rive con freschi e limpidi umori perpetuamente ne bagna. Indicata
così la situazione del fiume, e del luogo, detto Fosci,
mi giova il tare qualche richesca, e osservazione, sopra l'etimologia
e origine di questo nome. Dubitai dapprincipio, che il nome Fosci
fusse una corruzione, e storpiatura, di Fossae;
essendo stati molti i luoghi così denominati, come Fossae
Papirianae, Fossae
Philistinae, Fossae
Marianae, Fossa
Clodia, appresso gli
antichi Geografi; ed io in varie Carte e Strumenti antichi della
nostra Toscana ho incontrato altri tratti di terra detti, o puramente
Fossae,
o Fossae Cononis,
e Fossa Lupariae,
e Fossa Cuccii,
e Fossati,
e Fossatoni.
Che sarebbe maraviglia dunque, se anche il nostro torrente [p.
326],
e la campagna circonvicina, si fussero chiamati Fossae;
e perché lo stato in luogo si enunziava nel numero del più festo
caso, di Fossis
si fosse fatto Fossi,
come di Faesulis,
Fiesoli;
di Ripulis,
Ripoli;
di Quaraclis,
Quaracchi;
di Furculis
Forcoli
ec. e si fosse poi addolcita la doppia S
con cangiarne una in C,
come di lasso
si è fatto lascio;
di basio,
bascio;
di cossa,
coscia;
ed altri simiglianti: onde finalmente nascesse il nome Fosci?
Arroge, che in uno Strumento di convenzione e concordia fatto nel
MCCIV tra il Comune di San Gemignano, di cui erano allora Consoli
Lotario
d'Ardinghello,
e Palmieri
d'Angioliero,
e Morando
di Galganetto,
da una parte; e tra Sigerio
di Lupino,
e Antiochia
sua madre, Signori del Castello de' Fosci, dall'altra; sempre si dice
Castrum
de Fossis,
e Castellum
de Fossi,
e Podium
de Fossi:
e in oltre mi assicura il Sig. Abate Giuseppe
Contri
Maestro della Comunità di San Gemignano, e che di fresco ha lette e
spogliate tutte le antiche Membrane di quel copioso Archivio, che
nelle vecchie Carte si trova chiamato ancora Fossium,
e Flumen
Fossii;
onde tanto più sembra, che dalla voce Fossa
questo
nome derivi. Ma pure non credo indubitato questo sentimento. Può
avere questo nome altra origine Romana, e può esser preso dal nome
del possessore, o del fondatore, del luogo, vale a dire, da Fuscus,
o Fuscius;
poiché questi nomi gli ritrovo nelle antiche Iscrizioni Romane, e
gli vedo usati fino all'undecimo secolo in Toscana, come la Carta del
MLXVIII apparisce. Che i possessori e fondatori abbiano dato il
proprio nome a vari luoghi, è cosa tanto chiara e manifesta, che
soverchio sarebbe l'addurne ora gli esempli. Io sospetto dunque, che
questo fiume, o questo Castello, e Poggio, avesse il nome da alcuno,
che Fuscus
[p.
327]
addimandavasi; onde poi Castrum
Fusci,
o Flumen
Fusci,
o con vocabolo de' tempi più bassi Curtis
Fusci,
si appellasse. Il mio sospetto nasce dal vedere, che in un Diploma di
Ottone
III
e in altro di Errico
II
e in una Carta del IIM del nostro Duca e Marchese Ugo
appresso il Puccinelli
nella
cronica
della Badia di Firenze non
Fosci
si
chiama, ma Fusci.
Ora perché appresso noi altri è stato uso di convertire agevolmente
l’U
in
O,
onde di Tuscana
si
è fatto Toscana;
di mustum,
mosto;
di musca,
mosca
ec e tutte le terminazioni dei Latini in u
us um abbiamo
voluto finire in semplice O;
non è gran cosa, se coll’andar del tempo il nome Fusci,
si conversisse in Fosci,
come appunto è questo luogo chiamato in Diplomi d’Errico
IV
Imperatore, e di Alessandro
II Papa;
in un Lodo del MCCIX tra il Comune di San
Gemignano,
e quello di Poggibonzi,
e in due Diplomi di Carlo
IV
per tacere di molte altre Membrane, e Scritture; benché in una Bolla
d’Innocenzio
IV
ora Fusci,
ora Fosci,
venga variamente addimandato. Noi medesimi diciamo Fosco,
quando quella qualità significare vogliamo, che da’ Latini col
nome Fuscus
indicavasi. Io di più trovo ancora in altri paesi altri luoghi
denominarsi da Fuscus,
onde in Carta dell’anno DCCCCXLVIII appresso il celebratissimo
Muratori
nel Tomo
II delle Antichità Italiche pag. 174
si nomina la Valle
Fisca
situata vicino Ferrara. Da Fosci
dunque Foscenses
rettamente derivasi, dalla qual voce poté togliersi poi l’S
agevolmente per maggior facilità della pronunzia, e dirsi Focenses;
come altri nomi di somigliante maniera. Potrebbe ancora aggiugnere
qualcun’altro, essere scorsi nelle antiche Iscrizioni, anche
Greche, e Romane, frequenti errori per la ignoranza dell’autore,
[p.
328]
che le compose; o dello scarpellino, e quadratario, che le incise;
onde non sarebbe gran fatto, che ne’ tempi Longobardi, o si fosse
corrotta la vera pronunzia de’ nomi, o si fosse trovato un goffo e
poco esperto incisore, che in vece di Fuscenses,
o Foscenses;
Focenses,
senza premettere l’S
al
C
ne
scrivesse. Ma siasi, dirà alcuno, chiamato pure questo luogo dal
nome Fuscus;
come si proverà, che tanti popoli fossero per questa Campagna
dispersi, sicché uopo fosse in due circonvicine Terre raccorgli?
Circa a questo, io dirò, che siccome è indubitato, che ne secolo X
e ne’ due seguenti fosse in Toscana un Castello munito, e un Borgo,
che chiamavasi Fosci,
il quale fu finalmente intorno al MCCII da’ San-Gemignanesi
distrutto, risultando ciò dall’accennato Strumento del MCCIV e che
nel suo territorio avea altre Ville e Borgora, vale a dire, Bibiano,
Monte, Santa Lucia, Pietrafitta, e Viano, come nella predetta Carta
si dice; così vi è tutta l’apparenza, che ancora a’ tempi
Romani, e inanzi alle invasioni de’ Gori, e de’ Longobardi,
questo luogo fosse popolatissimo; poiché vi sono molti riscontri,
che nella nostra Toscana, dove ora sono diserti ermi, e lande
sterili, e cupe foreste, e desolate campagne, fossero prima fiorite e
copiose Popolazioni; testimoni tanti avanzi di Romana e Etrusca
antichità, che alla giornata per essi si scavano, e disotterrano. Si
sono ritrovati pochi anni sono in Maremma sulla Cecina e Sarcofagi, e
Inscrizioni Romane: qualche anno fa nelle boscaglie di Cappiano sul
lago di Fucecchio si scopersero e olle cinerarie, e un dente di
elefante impietrito, il quale venne in mio potere, e ne fece presente
al Marchese Cav. Cosimo
Riccardi,
che di raccogliere produzioni naturali molto laudabilmente
dilettavasi, dalla morte [p.
329] sul
fiorerie dell’età rapitoci; vi
furono trovate medaglie antiche di argento in un olla, in cui si
conservano le ceneri e le ossa abbrustolite d'un cadavero, col suo
pugnale: olla che appresso di me ne conservo. Vicino a Poggibonzi in
Valdelsa alcuni anni sono non dispregevoli anticaglie si rinvennero;
per tacere di quante se ne trovano tutto giorno nella campagna
Volterrana, nella Cortonese, nel Valdarno di Sopra: tutti testimoni
certissimi dell'antica Romana popolazione. Dirò di più, che per
arguire la frequenza degli abitatori nel paese di Fosci, e luoghi
circonvicini, non solo ci dà fondamento la fresca scoperta di
antichità fatta tra Poggibonzi e Colle, da me ora commemorata; e una
testa muliebre velata di marmo pochi anni sono trovata dal Sig. Dott.
Frittelli
in luogo appunto tra Colle e San Gimignano; ma ricavo in oltre dalle
Croniche manoscritte di F.
Iacopo da S. Gemignano
dell'Ordine de' Predicatori, che si conservano nell'Archivio de'
Padri Domenicani di quella Terra, qualmente questi Religiosi essendo
stati necessitati nel MCCCLVI a trasferire il loro Convento da Monte
Scassili, ove fu nel MCCCXXIX. edificato, al luogo, in cui fi trova
presentemente, lo fondarono in un colle eminente presso le mura delia
Terra dalla parte Orientale, ove era una piccola Chiesa sotto il
titolo di S. Stefano in
Canova, intorno alla
quale erano e case, e torri, e palazzi. Fabbricato qui il nuovo
Convento, il monte su cui era una volta la Chiesa di S.
Stefano, veniva talmente
a sovrastare al medesimo, che era al pari del tetto del dormentorio;
onde que' Religiosi nel MDXXIV determinarono di spianarlo, e così
acquistare ancora il comodo del giardino. Ma nello spianare il monte
furono trovate nelle sue viscere le rovine dell' antica Chiesa di S.
Stefano, e una fabbrica e
stanza in volta , lunga [p.
330] da quindici
braccia, e larga dieci, a guisa di Tempio, che avesse cinque
Cappelle, delle quali la prima e la maggiore era volta verso Oriente,
due verso Ostro, e due verso Settentrione. Il pavimento di questo
Ipogeo era tutto pieno d'urne sepolcrali, e sarcofagi, dei più
grandi de' quali se ne servirono i Religiosi per fare le mense degli
Altari, e gli altri rimasero ivi sepolti. In mezzo di quelle urne, e
sarcofagi, erano alcuni frammenti d'Idoli, o Statue, ed un gran vaso
o pila di marmo scolpita a bassorilievo, che adesso è presso la
porta della Chiesa, per uso dell'Acqua santa; ed è sicuro riscontro
della verità del racconto, cui ho riportato ancora volentieri,
perché vedo esser noto a pochissimi; e neppure esattamente
raccontato da Vincenzio
Coppi negli Annali
di S. Gemignano. Né la
picciolezza del moderno paese detto Fosci,
né la poca memoria che se conserva, né l'odierna situazione erma e
solitaria, ci facciano credere, come ha pensato il Borghini,
che ne' tempi Romani il paese di Fosci
non potesse avere molto più grande estensione, e forse dar nome a
tutti gli altri contorni, ed aver per capo qualche popolata e
ragguardevole Terra; essendo pur troppo chiaro e manifesto a tutti,
quante grandi, antiche, e insigni, Città nella nostra Toscana sono
talmente desolate e distrutte, che appena il nome o qualche vestigio
si conserva; e non si riconosce appena più la loro vera situazione,
come è seguito di Vada, Populonia, Gravisce, Roselle, Vetulonia, e
di tante altre: onde è un fallace argomentare dallo stato presente,
o di sei o sette secoli in qua, formar giudizio dell'esser loro nella
vecchia Etrusca e Romana età, del loro potere, de' lor territori,
della loro popolazione: [p.
331] Giace
l'alta Cartago, e appena i segni /
Dell'antica
grandezza il lido serba; /
Muoiono
le Città, muoiono i Regni, /
Cuopre
il fasto, e le pompe, arena ed erba.
Non
abbiamo dunque difficoltà nel credere ben popolato anticamente il
paese di Fosci, siccome non possiamo punto dubitare in questo caso
della dispersione di quelle genti nell'orrende e crudeli guerre de'
Goti, e de' Longobardi, i quali con istragi inaudite né a Città, né
a Castella, né ad uomini, perdonarono, come io ho più volte
indicato: sopra di che piacemi qui riportare le parole di S.
Gregorio il Grande:
Effera
Longobardorum gens de vagina suae habitationis educta in nostruam
cervicem graffata est, atque humanum gens, quod in hac terra quae
nimia multitudine, quasi. Spssae segetis more surrexerat succisum
arnit. Nam depopulate Urbes, eversa Castra, concrematae Ecclesiae,
destructa sunt Monasteria virorum ac feminarum, desolata ab hominibus
praedia, atque ab omni cultura destituita in solitudine vacat terra,
nullus ac possessor inhabitat: occupeverunt bestiae loca, quae prius
multitudo hominum tenebat.
Cosa più naturale adunque può ritrovarsi, che un Re, qual fu
Desiderio,
d'ingegno mite, e propenso a ristorare i danni da' suoi antecessori
alla Toscana apportati, pensasse a riunire quelle popolazioni, che,
in qua e là fuggitive, non avevano più né casa, né tetto, dove
ricoverarsi? Ed appunto gli si appresentò una comodissima occasione
di far questo. Era stata fondata non molto tempo avanti in vicinanza
una Chiesa dedicata a S.
Geminiano
Vescovo di Modena, il quale fiorì nel quarto secolo, e la cui
devozione attraeva gran concorso di popolo; onde appoco appoco si era
cominciato a fabbricarvi intorno case, e abitazioni; sicché [p.
332] il
Re vi scorgeva già il cominciamento d'una Terra, o Castello,
considerabile: poiché in tal guisa si sono per lo più formate tutte
le Città, e Terre, che da alcun Santo hanno il nome: e circa il gran
culto di S.
Gemignano,
i suoi gran miracoli, e la sua celebrità, si può consultare il
Muratori
nel Tom.
V dell'Antichità Italiche dell'Era Mezzana pag. 4
e
seguenti;
per non dir nulla dell'Ughelli
e del Bollando.
In altra parte, ma sempre non lungi dalla Valdelsa, era stata
fabbricata altra Chiesa sotto il titolo di S.
Miniato
Martire, nella Diogesi di Lucca: e siccome quel Santo era un Martire
Fiorentino sì famoso, che dedicate a lui si ritrovano da trenta
Chiese; quella divenne un celebre Santuario, e i popoli la
cominciarono a frequentare; onde ivi ancora furono costruite
abitazioni diverse, che cominciavano già a prender forma di Terra.
Benché non si sappia l'anno preciso, in cui fatta la Chiesa di San
Gemignano,
pure non è da dubitare, che sia antichissima, e almeno del sesto
secolo, per essere stata essa sempre Pieve, e Chiesa matrice; onde
poscia anche del titolo di Prepositura sino ab antico fu decorata.
Quella poi di San
Miniato
è sicuro, che è stata edificata intorno all'anno settecento di
Cristo, riconoscendosi da antica Carta riportata dal famoso Lodovico
Antonio Muratori nelle
Antichità
Italiche del Medio Evo,
qualmente fu fondata, essendo Vescovo di Lucca Balsario.
Posto tutto questo, qual migliore occasione poteva avere Desiderio
di riunire insieme i disperdi popoli di Fosci, che col fabbricare
diverse case, e magioni, in que' nascenti e non rimoti Borghi; e così
accrescergli, e farvi passare poi ad abitare i Foscesi? E per vero
dire, è una tradizione popolare in San Gemignano, che il Re
Desiderio
ingrandisse, [p.
333]
e ampliasse, quella Terra, e di più vi facesse un Palazzo per sua
residenza; nel quale ancora in oggi si vede una moderna Iscrizione,
che questo stesso testifica. Ma benché io dia pochissima o nessuna
fede a simiglianti Iscrizioni e tradizioni, che sull'antichità
fondamento alcuno non hanno; e che possono esser nate dalla credulità
prestata a questo Decreto di Desiderio:
pure cosa certa e indubitata si è, che la Terra di San Gemignano è
stata da gran tempo divisa in due parti, una delle quali si addimanda
Castel Vecchio, e l'altra dicesi Castel Nuovo; per essere stato
questo aggiunto posteriormente, nell'ingrandirsi ed ampliarsi il
circuito delle mura. Ora non sapendosi il principio di questo
accrescimento, potrebbe essere forse, che questo dal Re Deisiderio
fatto
già fosse. Parrebbe confermare il mio asserto una Carta del MCCXIV
la quale conservasi originale nell'Archivio di San Gimignano, e in
cui il Consolo, il Doge, il Camarlingo, e il Consiglio, in numero di
587 persone ivi descritte, giurano ad
Sancta Dei Evangelia,
che si dia l'ammissione a detti offizi ogni cinque anno una volta; e
giurano franchigia a favore di tutti quegli, che andassero ad abitare
in
toto Castro Novo & Veteri Sancti Geminiani;
la qual divisione si trova espressa ancora in molti altri Strumenti
di quella nobile Terra. Io però non mi attengo molto a questa
divisione, perché mi pare aver sufficienti riscontri, che il Castel
Nuovo di San Gimignano cominciasse a fabbricarsi sulla fine del
secolo duodecimo, o sul cominciare del decimoterzo; imperocché io
vedo in una Membrana del MCCXXXII che il Comune di San Gemignano fa
varie compre di terreno per farvi fossi e i muri nuovi; e intorno al
medesimo tempo si trova memoria di quando furono lastricate le strade
del Castel Nuovo; e [p.
334] si
trovano Editti di assicurazione e fidanza a chiunque fosse andato a
San Gemignano per abiarvi, e fabbricar nuove case in
Castro Novo;
non altrimenti di quello, che si faccia nel riferito Strumento del
MCCXIV. Di più nella Porta del Castel Nuovo, che Porta
a San Giovanni si
appella, è un'antica Iscrizione, nella quale si fa sapere, che
quell'opera fu fatta nell'an. MCCLXXIII. A me sembra tutto ciò
manifesto contrassegno, che quella parte di San Gemignano, che è
detta Castel
Nuovo,
fosse fabbricata alcuni secoli dopo l'età del Re Desiderio;
sicché se questo Re costrusse o ampliò San Gemignano, non si può
credere, che lo facesse, se non nel Castel Vecchio, nel che non trovo
ripugnanza nessuna. E' poi da osservare, che tanto più facilmente
può credersi, che Desiderio
s'inducesse a fabbricare e popolare intorno alla Chiesa di San
Gemignano,
in quanto esso, e i re Longobardi suoi predecessori, aveano portata
assai divozione a questo Santo, per quanto si può comprendere da
un'antica Carta contenente un Precetto di Lodovico
Pio
Imperatore dell'anno DCCCXXII in cui si confermano tutti i Beni a
Deusdedit
Vescovo
di Modena, e tutte le cose della sua Chiesa, qua
Reges Langobardorum propter amorem & timorem Dei Domini Nostri
Iesu Christi, & Sancti Geminiani Confessoris eius, eidem
Ecclesiae vel donaverunt, vel ab aliis datas confirmaverunt &c.
Quindi si nominano chi fossero questi Re benefattori della Chiesa di
San Geminiano, e sono Cuniperto,
Liutprando,
Ratgise,
Ildeprando,
e Desiderio;
e la Carta è riportata dal lodato Muratori
nel
Tom.
I delle Antichità del Medio Evo.
E' da notarsi ancora, che parimente il dotto P. Giovanni
Bollando
è stato di sentimento, che il Re Desiderio
ampliasse o costruisse la Terra di S.
Gemignano
per la divozione, che avea per [p.
335] quel
santissimo Vescovo; e pensa, che egli stesso fosse quegli, che vi
trasferisse la Reliquia del Dito del medesimo Santo, checcé altri
favorevolmente ne ferivano. In quanto poi a San Miniato, io non so
donde Lorenzo
Pesciolini,
che viveva nel MD nella sua Istoria MS di San Gemignano abbia
ricavato, che il Re Desiderio
non solamente risedesse alle volte in San Gemignano, ma ancora in San
Miniato, che poi si disse Al
Tedesco,
e in oggi vuol lo Statuto della nostra Città, che dicasi Fiorentino.
Io dubito, che sia questa una sua frangia a questo istesso Editto,
sul quale io di presente ragiono; poiché in alcun luogo, benché non
con tutta esattezza, lo cita. Io, che ho fatte gran ricerche delle
memorie di San Miniato, non ho potuto di ciò ritrovare riscontro
alcuno, il quale meritasse qualche credenza: ma pure ciò non ostante
è certo e sicuro, che la Chiesa di S.
Miniato
vi era fino dal settecento dell'Era Cristiana, vale a dire da
cinquanta, e più anni, innanzi al Regno di Desiderio,
come già ho osservato di sopra: e non sembra di potersi dubitare,
che anche alcuni Longobardi abitassero a quella vicino, e nel
circuito delle abitazioni fattevi appresso. E per vero dire Celestino
III
in una sua Bolla del MCXCIV spedita a Gregorio
Proposto
di S.
Genesio,
e da me pubblicata nella prima Parte del mio Odeporico,
commemora i Longobardi di San Miniato con quelle parole: Universa
etiam, quae a Longobardis de Sancto Miniate vobis legitime data sunt,
ac Chirographis confirmata &c.
Io so bene, che in progresso di tempo la voce Longobardi
fu
trasportata a significare i nobili,
e
possenti,
e
dovizioni;
ma questo significato non ebbe origine d'altronde, che
dall'abitazione de' Longobardi in que' tali luoghi, dove eglino, come
conquistatori, e più protetti, e favoriti, [p.
336] da'
Re di loro nazione, avevano ancora facoltà immense, e potere non
ordinario, e dignità illustri, e cospicue. Questi Longobardi di San
Miniato, credo, che fossero tra gli ultimi certi Signori di Corvara,
a uno de' quali chiamato Odalberto
figlio di Benedetto,
il Vescovo di Lucca Corrado
concedé in enfiteusi nell'anno DCCCCXXXVII la Chiesa di S.
Miniato
posta nel Castello, detto Castello
di S. Martino;
il qual Castello era vicino alla Pieve di S.
Genesio:
e del medesimo Castello era Signore il detto Odalberto,
come costa da Instrumento scritto da Giovanni
Notaio,
esistente nell'Archivio Episcopale di Lucca. E quindi si conosce, che
l'antico nome di S.
Martino
era ritenuto ancora da quel Castello, benché vi fosse la Chiesa di
S.
Miniato,
intorno alla quale il Re Desiderio
edificò quell'accrescimento, detto poi San Miniato dalla Chiesa, che
vi era dedicata a tal Santo. Questo è quel Castello di S.
Miniato,
che poscia dagli abitanti fu nel MCXCVII disfatto per abitare nel
luogo piano di S.
Genesio,
e di S.
Gonda;
e che nel MCC lo tornarono a rifare; come scrive il Villani
nel
Lib.
V. Cap. XXI
e XXVII.
So altresì, che in San Miniato esiste ancora una certa Iscrizione,
nella quale si fa menzione della nostra Regina Teodelinda,
come di benefattrice di quel luogo; ma siccome io ho stimato sempre
essere quella Iscrizione moderna, ed apocrifa, non ne fo caso alcuno;
tanto più, che Teodelinda
fiorì circa l'anno DXC e la Chiesa di San Miniato non ebbe origine,
se non intorno al settecento di Cristo. io credo adunque, che ancora
senza questa Inscrizione si possa rimaner persuasi, che in San
Miniato facessero soggiorno varie famiglie Longobarde; onde tanto più
agevolmente poté indursi Desiderio
ad ampliare ed accrescere la Terra, ed a moltiplicarvi gli abitatori
[p.
337] con
invitarvi i Foscensi. Fo di più una riflessione, che Desiderio,
quando era semplice Duca d'Istria, e Generale d'Astolfo
Re de' Longobardi, faceva la sua dimora in Toscana; ed in Firenze
forse ancora sarà stato, dove avrà venerato la Basilica del Monte
del Re, dedicata a S.
Miniato;
e l'antica Chiesa inclusa poi dentro la ristorata Città, che San
Miniato tra le Torri si
appella; e gli avrà fatto impressione, che la stessa Chiesa
Cattedrale di San
Giovanni Batista
ha per contitolare S.
Miniato,
come si conosce da un Diploma del Re Berengario
dell'anno DCCCXCIX appresso l'Ughelli;
ed avrà posto mente alla gran divozione di questi popoli a qual
Santo Martire, a cui più di trenta Chiese furono nella sola Toscana
erette, e consacrate, come ho già detto, la maggior parte delle
quali ancora sussiste; per la qual cosa egli pure avrà avuto de' pii
riguardi pel culto di un Santo sì celebre: e vedendo forse, che ne'
contorni della Chiesa di S.
Miniato
a Quarto, che così si diceva in que' tempi, vi era gran concorso di
gente, e cominciavano ad esser frequenti le abitazioni; oltre al
prossimo Castello di San
Martino,
che credo essere stato quello posto in Faognana, poté indursi tanto
più facilmente a beneficar quel luogo, con farvi varie fabbriche, e
comodi, per novelli abitatori. Avrà forse emulato così ancora la
pietà de' suoi Regi antecessori, poiché in quanto a me credo, che
molte delle tante Chiese edificate in onore di S.
Miniato fino
de' tempi de' Re Longobardi, e forse la mentovata Basilica di S.
Miniato
presso la nostra Città, sia opera della Cristiana liberalità
d'alcuno di que' Re: tanto più che essa è edificata in un monte,
che nel nome stesso porta seco la possessione, o ragione, che di esso
aveva alcuno de' nostri Regi, vale a dire, Monte
del Re;
siccome altro Monte
[p.
338] del
Re
è vicino a Fiesole detto volgarmente Montereggi;
ed a Firenze è il Campo
del Rege
intorno alla Chiesa di San
Lorenzo,
e di San
Giovanni Batista,
vicino a cui era ancora un luogo chiamato il Prato
del Re,
come osserva anche il Borghini
P.
II pag.
405 e antichi Strumenti ci nominano pure in Firenze il Mercato
del Re,
Forum
Regis;
e una parte ancora di campagna si chiamo Campo
del Rege,
o Careggi:
i quali nomi credo certamente, che importino qualche diritto privato,
che aveva il nostro Rege Alibrando
prescritta,
o per dir meglio Liutprando:
della quale ha trattato in una operetta a parte il Sig. Domenico
Maria Manni.
Impertanto io non credo, che il Monte
del Re
così a caso nominato ne fosse; né mi so persuadere, che in quel
luogo fosse anticamente costruita la Chiesa, e il Monastero, se non
dal Re. Imperciocché io non posso darmi ad intendere con alcuni, che
fino de' tempi Romani, e sotto gl'Imperadori gentili, o almeno a'
tempi di Costantito
il Grande,
foste ivi edificato alcuno Oratorio, o Monastero; non prestando io
nulla di fede alle Leggende apocrife del Martirio di S.
Miniato;
e molto meno credendo a qualche Fraticello, e altro negligente
Scrittore, il quale poco curando la scorta della Cronologia ha
scritto, essere ivi abitati i Monaci Basiliani fino da' tempi, in cui
San
Basilio
non avea ancora dato Regola, né stabilito Ordine alcuno. Ma quello
che mirabilmente conferma quanto sono andato qui divisando, si è una
Carta di Carlo
Magno,
riportata dall'illustre Muratori
nel
[p.
339]
Tom.
V delle Antichità Italiche pag. 647
nella quale quel Re fa donazione d'immensi beni nella Toscana al
Monastero di Nonantola, e tra questi vi è il Monastero di S.
Miniato
di Firenze, cui chiama col nome di Città Fiesolana, per essere
allora per la sua desolazione considerata, come una parte di Fiesole.
Sembra la Carta al Muratori
del DCCLXXIV cioè, dell'anno medesimo, in cui Carlo
vinse il Re Desiderio,
le ragioni del quale portarono a lui il padronato di quel Monastero,
non potendolo avere acquistato altramente. E' dunque cosa manifesta,
che il Monastero, e la Chiesa, di S.
Miniato
di Firenze era de' Re Longobardi; e quindi bisognerà dire, che fu da
essi verosimilmente fondata. Io riportai già le parole di questa
Carta sopra pag.
294. Osservate tutte queste cose, non si scorge inverisimilitudine
alcune, che Desiderio
nostro Re potesse ampliare ed accrescere il Borgo allora nascente di
San Miniato, e farvi passare a maggiormente popolarlo i Foscesi. Né
mi si opponga, che Lorenzo
Bonincontri San-Miniatese
nei suo Annali
all'anno MCXII ha lasciato scritto, che San Miniato ebbe la sua prima
origine a' tempi di Ottone
I Imperadore,
vale a dire, intorno al DCCCCLXII poiché quello, che il Bonincontri
afferma, non si dee in altra maniera intendere, se non che Ottone
quel luogo circondasse di mura, e vi facesse rocche e torri, ed altre
fortificazioni; essendo questo ciò, che dagli Storici ben si chiama
edificare, costruire, fare di nuovo, come nella mia passata Lezione
feci opportunamente osservare. E per vero dire, il Bonincontri
si esprime col chiamarlo Opidum
ab Othone I conditum;
ed Opidum
appunto vale luogo forte e munito. Né faccia maraviglia ad alcuno,
che il Re Desiderio
per
popolare maggiormente i Borghi di San Gimignano, e di San Miniato,
[p.
340]
v'inviasse i popoli, e le famiglie, disperse che erano in alcuni
contorni della Valdelsa; e non piuttosto deducesse alcune colonie
dalla moltitudine di ben popolate Città: perché primieramente per
le guerre de' Goti, e de' Longobardi, erano le Città della Toscana,
siccome molte dell'altra Italia, guaste, e desolate, sicché appena
vi erano rimasi abitatori; lo che accennò Pelagio
Papa nelle Lettera, che scrisse al Vescovo Fioretnino, e che è
riportata da Graziano
nel suo Decreto,
e da Gregorio
Prete
nel suo Policarpo,
e da Anselmo:
le parole della quale secondo quello, che riferisce Graziano
nella
Distinzione
XXXIV Cap. VII sono:
Defectus
nostrorum temporum, quibus non solum merita, sed corpora ipsa,
hominum desecerunt.
San Gregorio
il Grande
ancora scrivendo al Vescovo di Luni pur troppo fa sentire la miseria,
in cui si trovava la nostra Fiesole: e basta dare un'occhiata a
Procopio,
e ad Agazio,
per rimaner del tutto persuasi d'una verità sì lacrimevole: ed io
l'ho rappresentata qui sopra con altre espressioni del lodato S.
Gregorio,
a pag.
331
e
più diffusamente la descrissi nelle Lezioni anteriori pag.
113 e seg.
ed altrove. Non potea dunque Desiderio
trar gente dalle Città Toscane, quando quelle aveano appunto bisogno
d'esser di bel nuovo popolate, e rifatte. Ma era ben molto opportuno,
e conveniente, il raccorne di nuovo insieme le genti raminghe, e
desolate, e che per la campagna miseramente abitavano; essendo così
quasi sempre usato per le popolazioni delle nuove Terre, e Città; e
grande esempio ne sia la gran Roma, se agli Storici Latini crediamo.
Ma per portare qualche esempio più fresco, e della nostra Etruria
Reale, Tolomeo
da Lucca ne'
suoi Annali
all'anno 1255
racconta, che per popolare maggiormente i due Borghi di fresco
ampliati, ed accresciuti, [p.
341] di
Pietrasanta, e Camaiore, furono là trasferiti i contadini e
agricoltori delle circonvicine campagne, e paesi, come già mostrai
nella mia precedente Lezione. Ecco le sue stessissime parole: Hunc
(cioè,
Campomaggiore) rusticis,
seu hominibus, Cattaneorum; alium vero de Petrasancta replevit
hominibus, Cattaneorum; alium vero de Petrasancta replevit hominibus
de Corvaria, & de Vallecchia.
Empoli ancora illustre Terra di Toscana, e assai celebre nelle
nostre Istorie, che vanamente da alcuni Emporium
si addimanda contro l'autorità delle antiche Carte, e Memorie;
quando di più il nome Empolum
fino nelle Istorie di Tito
Livio s'incontra,
benché d'altro Empoli egli favelli: non altrimenti fu fondato, e
ridotto a quella popolazione, che si vede, se non perchP la Contessa
Emilia
moglie del Conte Guidoguerra,
ritrovandosi nel MCXIX del mese di Dicembre nella Città di Pistoia,
investì col consenso del marito di tal maniera Rolando
Prete, Custode, e Preposito, della Pieve di S.
Andrea
d'Empoli, che promessero d'allora innanzi fino a Calendi Maggio
prossimo venturo omnes
homines Castellani, qui habitant modo in aliis Castellis de Impori, &
in Cittadella, & in Burgis, & in Villis, facient per
habitandum venire, & inibi semper habitare, ad praesatam Plebem
Sancti Andreae, dando unituique casalinum, ubi eorum casa aedificent,
& Castrum aedificare sua praesentia, vel alterius hominis
praesentia, vice eorum facient; & post factum, donec ipsi
vixerint, non destruent, vel destruere consentient, vel permittent:
che
sono le stesse parole dello Strumento, da me già pubblicato nella
prima Parte del mio Odeporico.
Che dirò io delle due ragguardevoli Terre del Valdarno di Sotto,
Santa Croce, e Castel Franco, delle quali si sa per indubitato, che
nel secolo duodecimo ancora non esistevano, se non nella dispersione
di alcune Parrocchie, intorno alle quali erano [p.
342] certe
adunanze d'abitatori, le quali all'uso Pisano, e Bolognese, Cappelle
si addimandavano; e finalmente nel secolo terzodecimo, per ripararsi
forse dall'impero minaccioso, e furibondo, delle spietate fazioni de'
Guelfi, e de' Ghibellini, si accolsero ed unirono insieme que'
popoli, e formarono ciascuno una sola adunanza di case, e abituti,
cui cinsero di mura, e di fossi, e fortificarono con torri, siccome
l'uso di que' tempi portava? Tutte queste verità risultano da
antichi ed autentici Strumenti, che io in altro luogo, o brevemente
allegai, o distesamente riferii, vale a dire, nel mio Odeporico.
Se dunque coll'adunare insieme i popoli dispersi si formavano sovente
le Terre, e i Castelli, e le Città medesime; se intorno alle Chiese
insigni concorrevano volentieri le genti ad abitare, e edificare
case, e magioni; se le Chiese di San
Geminiano
nella Diocesi Volterrana, e di San
Miniato
in quella di Lucca, sono anteriori a' tempi di Desiderio
Re de' Longobardi; se alcuni popoli circonvicini chiamati Foscensi, o
di Fosci, erano probabilmente dispersi e raminghi per la crudeltà
delle guerre; se il Re Desiderio
d'indole più mansueta e benigna degli altri, poté esser tocco
ancora dalla religione e dal culto verso S.
Geminiano
Confessore e S.
Miniato Martire,
come io diffusamente mi sono studiato di dimostrare in questo mio
Ragionamento; e non so vedere improbabilità, e inverisimiglianza,
che Desiderio
trasferisse ad abitare in San
Gemignano,
e in San
Miniato,
gli abitatori dispersi del paese di Fosci, siccome nel controverso
Decreto si dice».